Intervista con monsignor Martinelli, vicario apostolico di Tripoli

Musulmani e cristiani in dialogo

di Lucetta Scaraffia

Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli dal 1985, ma residente in Libia dal 1971, subito dopo la "rivoluzione verde" di Gheddafi - nonostante fosse nato nel Paese e appartenesse a quel gruppo di italiani considerati colonizzatori ed espulsi dalla Libia - riceve in una modesta stanza accanto alla chiesa di San Francesco, edificio di stile razionalista costruito dagli italiani negli anni Trenta e divenuto cattedrale dopo che la precedente cattedrale è stata trasformata in moschea. Fin dalle prime parole del vescovo si coglie il suo forte legame con questa terra, sia personale sia mutuato dall'appartenenza all'ordine francescano, primo ordine di missionari arrivato in Libia nel XVIi secolo, a riportare il cristianesimo dopo che l'antica radice cristiana era stata completamente estirpata.
La più antica chiesa della Libia è infatti Santa Maria degli Angeli, nella medina di Tripoli, tolta dal regime ai francescani e recentemente - anche grazie alla mediazione del vescovo - concessa alla comunità anglicana, con la possibilità, per i cattolici, di celebrarvi la festa della Madonna a cui è dedicata, il 2 agosto. Un episodio, questo, che rivela subito il buon clima di dialogo fra le diverse denominazioni cristiane ma anche fra cristiani e musulmani.
Dalle parole del vescovo si riconosce nell'islam libico - e in particolare nella World islamic call society, una associazione culturale aperta al dialogo - quell'islam "moderato" di cui tanto si parla e che tanto si cerca in Europa.
Anche se Gheddafi, a parole, invita a liberarsi dalla fede cristiana - da lui indicata come un residuo del colonialismo - di fatto invece promuove il dialogo. Come è avvenuto, dice monsignor Martinelli, in un episodio abbastanza recente:  nel dicembre del 2006, la festa islamica del Sacrificio e il Natale quasi coincidevano, e il capo libico ha preso lo spunto da questa vicinanza per convocare, di venerdì, in una grande tenda, tutti i rappresentanti delle comunità cristiane, sia i responsabili delle diverse denominazioni sia gli ambasciatori, in tutto più di cinquecento persone. Il leader si è esibito in un lungo discorso sull'islam, sulla rivelazione a Maometto, ma anche - a sorpresa - in un commento alle  beatitudini evangeliche, sostenendo che, se i cristiani le avessero messe in pratica, non ci sarebbero stati contrasti.
Gheddafi ha in sostanza rimproverato i cristiani di avere perduto l'originaria purezza di cuore, ammettendo così, di fatto, il carattere positivo della fede cristiana. Con un appello a tutti a essere fedeli alla parola di Dio. Alla fine del discorso il capo libico ha chiesto al vescovo Martinelli di pronunciare una preghiera per tutti, e il vicario apostolico di Tripoli ha recitato il Padre nostro in arabo, in una atmosfera di condivisa e intensa emozione. La cerimonia è stata trasmessa in diretta televisiva, e poi replicata più volte, offrendo così a tutto il Paese un esempio concreto di dialogo tra musulmani e cristiani.
Il dialogo con le associazioni islamiche - conferma monsignor Martinelli - è aperto e continuo:  si cerca di discutere insieme temi concreti, come la responsabilità dei capi nei confronti della comunità o l'immigrazione, secondo la linea del confronto fra le culture e fra le religioni, indicata da Benedetto XVI. In particolare, il vescovo sottolinea il ruolo importante della World islamic call society, associazione libica internazionale che comprende un collegio che prepara i migliori studenti coranici a divenire missionari dell'islam, ma di un islam moderato. L'associazione invita a tenere conferenze anche esponenti europei, sia religiosi sia politici, come per esempio, di recente, Francesco Cossiga.
Dall'orario delle messe esposto sulla porta della cattedrale si capisce subito che la comunità cattolica è composta dai popoli più diversi:  ci sono messe in arabo, ma anche in francese, inglese, filippino, coreano e italiano, e la giornata in cui le celebrazioni sono più frequenti è il venerdì, il giorno libero dal lavoro.
La comunità cattolica negli ultimi anni - spiega il vicario apostolico - è enormemente cresciuta a causa dell'emigrazione dall'Africa e da altri Paesi, come le Filippine, l'India, la Corea:  ci sono molti filippini e indiani che lavorano negli ospedali, apprezzati e benvoluti dalla popolazione, dando una concreta testimonianza cristiana. Ma la maggior parte dei fedeli è costituita da emigrati, anche clandestini, poverissimi; un caso particolarmente disperato è costituito dagli eritrei, veri e propri rifugiati politici, che cercano di fuggire da un regime opprimente con l'intera famiglia, e finiscono spesso nelle prigioni libiche senza sapere quando potranno uscirne. Il vescovo ha aperto un centro sociale di aiuto di prima necessità per gli emigranti, e sta cercando di raccogliere in una casa, fuori della prigione, le donne e i bambini eritrei, con l'aiuto della World islamic call society. I sacerdoti cattolici sono particolarmente vicini a questi detenuti che monsignor Martinelli definisce buoni cristiani, che meriterebbero di essere accolti con una corsia privilegiata dall'Italia, Paese che amano e in cui si inserirebbero facilmente.
Di immigrati si occupa espressamente padre Vanni Bressan, che vive a Sabha, uno dei centri del deserto dove passano i flussi di africani che arrivano dall'Africa subsahariana:  padre Vanni cerca di accoglierli e assisterli, creando strutture di incontro e di preghiera che diano loro un po' di conforto dopo la terribile prova superata. Questi gruppi di incontro in cui gli immigrati si ritrovano per etnie hanno anche l'importante funzione di filtro sociale:  le comunità ricostituite possono cioè individuare e segnalare le "mele marce" attraverso un'opera di controllo interno ben più efficace di quello poliziesco, e sono appoggiate dal governo libico, che ne riconosce l'utilità. Ma padre Vanni non ce la fa a fare tutto da solo, servirebbe l'aiuto di un sacerdote. Le numerose congregazioni di suore presenti sul territorio esercitano invece un'attività assistenziale, molto apprezzata, per i libici:  assistenza agli handicappati, agli anziani, agli orfani.
Anche in Libia - dice monsignor Martinelli - si stanno affacciando il consumismo e l'individualismo, ma qui la secolarizzazione non è ancora un problema. In questa vita difficile e precaria degli immigrati la fede si trasforma, diventa l'unico punto di appoggio per quello che è veramente il "popolo dell'esodo"; si verificano anche dei miracoli di conversione durante il cammino nel deserto. E il confronto con i musulmani, che hanno un forte senso della preghiera, contribuisce a rafforzare l'identità dei cristiani. Nel dolore e nella degradazione Dio è veramente necessario per permettere alle prostitute nigeriane o agli eritrei in fuga - gli ultimi della terra - di sentirsi amati, degni di essere riconosciuti nella loro dignità di esseri umani, di figli del Padre.



(©L'Osservatore Romano 6 giugno 2008)
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