A colloquio con il cardinale Rodríguez Maradiaga,
presidente dei vescovi del Paese in visita «ad limina»

La famiglia e i giovani
priorità della Chiesa in Honduras


di Nicola Gori

Una comunità dinamica, impegnata nel campo dell'educazione, della promozione umana e della cultura. È la Chiesa in Honduras, che considera di grande importanza l'impiego dei mezzi di comunicazione di massa. Essa deve la sua vitalità e la sua tensione missionaria alla presenza e all'attività delle comunità religiose, che ne hanno salvato l'identità e le radici evangeliche nel tormentato periodo seguito all'indipendenza del Paese nel 1821. Basti pensare che attualmente gli undici vescovi della nazione appartengono a congregazioni religiose. Ne abbiamo parlato nell'intervista al nostro giornale con il cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa e presidente della Conferenza episcopale dell'Honduras, in questi giorni a Roma per la visita ad limina.

La Chiesa in Honduras è una comunità viva e attiva. Può indicarci le priorità pastorali che presenterà anche a Benedetto XVI durante la visita ad limina Apostolorum?

La priorità numero uno continua a essere la famiglia. Nonostante gli sforzi compiuti in tutte le diocesi per attivare la pastorale familiare, questa è ancora la grande sfida. La causa va ricercata in una mentalità diffusa nel mondo attuale, caratterizzato dal crescente numero di divorzi, dall'edonismo e dal materialismo, dalle pressioni dei gruppi femministi che si oppongono alla maternità, ecc.
La priorità numero due è costituita dai giovani, che sono la maggioranza della nostra popolazione, in unione con la pastorale vocazionale che sta dando frutti promettenti. Fra le altre priorità vi sono la pastorale sociale, soprattutto nelle aree povere, la pastorale penitenziaria e il dialogo con il mondo della politica e dell'economia in vista di una maggiore giustizia sociale.
Tutto ciò si realizza seguendo gli orientamenti del Documento di Aparecida sul discepolato e la missione.

Il suo impegno per la cultura lo ha spinto a fondare l'università di Santa Maria de la Paz, una delle più prestigiose dell'America Latina. Quali progetti ha per il futuro questa università?

L'università è nata dal desiderio di aiutare i più poveri attraverso un'educazione superiore in qualità e allo stesso tempo per consolidare una formazione ai valori cristiani. In tredici anni di esistenza ha avuto quattordicimila studenti distribuiti in undici campus in tutto il Paese. Sette delle otto diocesi hanno un campus nel loro territorio. Siamo stati scelti come sede della prossima riunione mondiale della Fiuc per l'anno 2009. Fra i progetti futuri vi è la creazione di due nuovi campus e di otto collegi bilingue nelle città che hanno già un campus per continuare a garantire la qualità dell'educazione cattolica. Ciò a causa della scarsa qualità dell'educazione pubblica nel nostro Paese, che non permette ai giovani di poter entrare nell'università.

È sufficiente l'impegno della Chiesa per la cultura nell'America Latina?

L'evangelizzazione della cultura è sempre una grande sfida per tutta la Chiesa e l'America Latina non fa eccezione. Già nella conferenza di Puebla si era posta l'enfasi su questa opzione, che è stata il punto centrale della conferenza di Santo Domingo e che ha ripreso anche la conferenza di Aparecida. Un lungo cammino è stato percorso dal Concilio Vaticano II, quasi tutte le conferenze episcopali hanno una commissione di pastorale della cultura e il Celam incoraggia a operare in tal senso. Si è intervenuti anche nel campo della politica e dell'economia attraverso la Dottrina sociale della Chiesa. La presenza evangelizzatrice nella stampa, nella radio e nella televisione è notevole, ma c'è ancora molto da fare.

Lo sviluppo della cultura e dell'istruzione facilita l'evangelizzazione?

Nel nostro Paese vi sono persone che vivono ancora nelle condizioni di vita del xix secolo, senza strade adeguate, senza acqua potabile ed elettricità, altre che vivono con un secolo di ritardo, e altre che sono pienamente inserite nel xxi secolo, con tutti i progressi della scienza. La mancanza di equità e l'enorme povertà generano queste differenze. Non vi è dubbio che la mancanza di un'adeguata educazione è un ostacolo per l'evangelizzazione.

Le sette stanno diventando un problema per la comunità cattolica. Esse si stanno diffondendo non solo in Honduras, ma in tutto il continente. Ci sono proposte per rispondere a questa sfida?

La diffusione delle sette ha molte cause, ma ultimamente sono apparse sette di origine locale, quasi come piccole industrie religiose che si fondano soprattutto sull'enfasi posta sulla raccolta delle decime. Ogni pastore è autonomo e non deve rendere conto a nessuno. Non deve neppure sostenere parrocchie o seminari, risponde solo a se stesso e amministra i fondi della sua chiesa senza pagare le tasse. Ciò diviene molto attraente nei momenti di difficoltà economica e di disoccupazione, ma allo stesso tempo è una sfida per la nostra evangelizzazione, in quanto rivela carenze nella formazione cristiana del nostro popolo, che cambia facilmente comunità ecclesiale. La conferenza di Aparecida, incentrata sul discepolato e sulla missione, è la risposta migliore per contrastare questo problema.

Qual è il contributo dei movimenti e della vita consacrata alla pastorale delle diocesi honduregne?

La vita consacrata è la grande benedizione della Chiesa. Basti pensare che per quattro secoli abbiamo avuto una sola diocesi, che a partire dal 1911 ne sono state create tre e che attualmente ve ne sono otto. Nel 1821, anno dell'indipendenza, con tutti i conflitti socio-religiosi scoppiati, nel Paese restarono solo un vescovo e quindici sacerdoti. In pratica il clero diocesano non esisteva. Attualmente gli undici vescovi sono religiosi. La nostra meta è che la prossima generazione possa avere vescovi del clero diocesano. Al momento abbiamo quattrocentodieci sacerdoti ma le religiose sono ottocentotrenta, più del doppio. Proprio per la mancanza di sacerdoti ha avuto un forte incremento la partecipazione dei laici alla vita della Chiesa. A partire dagli anni '50 si sono sviluppate molto l'Azione cattolica e la Legione di Maria, nel 1964 sono iniziati i Cursillos de Cristiandad e poi molti altri movimenti apostolici. Tutto ciò ha fatto fiorire la Chiesa. Particolare importanza è stata data al movimento dei delegati della Parola di Dio che sono oggi una forza evangelizzatrice eccellente, con trentamila presenze in tutto il Paese.

Nell'evangelizzazione ritiene rilevante il ruolo dei media?

Nel 1955 è nata la prima radio cattolica del Paese con una missione evangelizzatrice ed educativa attraverso le scuole radiofoniche. Oggi abbiamo ventiquattro radio in Rete, un settimanale diocesano e un canale televisivo nazionale. Nonostante le difficoltà economiche andiamo avanti, convinti dell'enorme importanza dell'evangelizzazione attraverso i mezzi di comunicazione sociale.

Nei vostri seminari le vocazioni al sacerdozio non mancano. Il loro percorso formativo è valido e aggiornato?

Nel 1978 il nostro Paese era quello che aveva meno sacerdoti dopo Cuba:  erano solo centonovantadue. I seminaristi erano quattordici. In questo momento, grazie a Dio, siamo quattrocentodieci e duecento seminaristi. Diversi fattori hanno influito positivamente su questa primavera vocazionale fra i quali l'incremento della pastorale giovanile, vocazionale e familiare, oltre alla maggiore presenza di sacerdoti in comunità prima abbandonate. Disponiamo di un seminario interdiocesano e di un altro seminario di una diocesi. La formazione è accurata e segue gli orientamenti della Madre Chiesa, e i seminaristi terminano gli studi con due titoli universitari, uno in Filosofia e uno in Teologia. Noi vescovi restiamo molto vicini ai formatori. Io ho persino la cattedra di Teologia morale speciale.

La situazione politico-sociale attuale dei Paesi dell'America centrale ha sanato i precedenti squilibri, conflitti e ingiustizie degli anni passati?

Grazie a Dio la difficile situazione socio-politica degli anni '80 è stata superata, ma vi è grande deterioramento nella nostra fragile democrazia a causa della povertà crescente, dell'elevato costo del petrolio che dobbiamo importare e della violenza del crimine organizzato dal narcotraffico:  fattori che ostacolano uno sviluppo umano sostenibile. Questa problematica ha indebolito molto la giustizia e costituisce una grande sfida per la pace sociale.

La nuova situazione sociale ha spinto voi vescovi a rivedere i piani pastorali?

Quasi tutte le diocesi hanno un piano pastorale di tre o cinque anni. Inoltre le opzioni vengono riesaminate ogni anno in un'assemblea nazionale di pastorale. Al momento si sta riflettendo sui contenuti della conferenza di Aparecida che ha portato a rinnovare i piani pastorali.

In Honduras è presente una rete informatica sufficiente o si risente delle carenze che caratterizzano i Paesi del continente?

Purtroppo le reti informatiche funzionano solo nelle grandi città. La popolazione rurale, che costituisce una parte notevole del Paese, non ha accesso a internet.

L'informatica è un bene necessario e accessibile per i Paesi poveri come il suo?

Senza alcun dubbio è un bene necessario. È stato creato un programma dal titolo "Lectinautas" che promuove la Lectio Divina fra i giovani. Perciò lottiamo affinché questo bene della comunicazione possa essere accessibile a tutti.

Quale collaborazione esiste tra le varie Conferenze episcopali del Centro America?

Dal 1946 esiste un organismo dei vescovi centroamericani chiamato Sedac (Secretariado Episcopal de América Latina) che si riunisce generalmente la settimana prima della festa di Cristo Re e che promuove la conoscenza, l'amicizia e la collaborazione fra i fratelli vescovi. È un organismo molto positivo e che va potenziato.



(©L'Osservatore Romano 26 giugno 2008)
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