Intervista al poeta siriano 'Ali Ahmad Sa'id Isbir (Adonis)

L'arte è quell'incontro
che restituisce l'uomo all'uomo


di Silvia Guidi

Di dialogo fra culture si parla moltissimo; più raramente alla teoria corrisponde la pratica. Adonis è uno dei più grandi poeti arabi viventi, da anni nella rosa dei candidati al Nobel per la letteratura, ma soprattutto è un esempio raro di autentico e operativo interesse per ogni forma artistica, anche la più lontana dalla tradizione del proprio paese di origine. A partire dal suo pseudonimo:  "'Ali Isbir, agli inizi della sua carriera sceglieva di presentarsi con il nome di un mito della rinascita della civiltà mediterranea. L'idea fondante del suo pensiero, infatti, è la speranza di rinnovamento dell'essere umano, e il desiderio di stabilire la coesistenza tra gli uomini a partire da valori universali condivisi" spiega Francesca Corrao, amica e traduttrice del poeta siriano e docente di lingua e letteratura araba all'università L'Orientale di Napoli. "Negli anni Sessanta, per rendere concreta questa prospettiva, ha fondato il gruppo "Tammuz", in nome della divinità babilonese simbolo della rinascita. Il gruppo di letterati ha contribuito in maniera attiva a rivisitare i miti mediterranei, assieme alla diffusione delle opere dei maggiori poeti e critici stranieri moderni. Dalle pagine della rivista "Shi'r" Adonis ha partecipato al vivace dibattito sui temi della poesia e dell'impegno schierandosi a favore dell'apertura verso le altre culture e per la libertà e l'indipendenza della creazione artistica. Il rifiuto per le rigidità dell'accademia e degli schieramenti nazionalisti non gli ha impedito di partecipare al dibattito politico; ad esempio, nel poema Prolegomeni dei re dei piccoli regni, dedicato all'agonia dell'Andalusia araba medievale, alludeva alla storia moderna e ai mali che affliggono ancora oggi il Medio Oriente. La critica araba è divisa fra gli strenui sostenitori e i detrattori della sua opera:  la rottura degli schemi convenzionali nella produzione poetica e la coraggiosa difesa della libertà di pensiero ne fanno un poeta scomodo, un grande autore; ma un pericoloso maestro".
Critico verso il velo, che considera uno strumento di separazione e di cancellazione dell'identità, non assolve neanche il cinismo occidentale che mercifica la donna e la trasforma in "un pasto per le finestre, per le piazze e gli schermi, per / i giornali, / un pasto per avvelenare la lingua / e uno per divorare l'eternità su un piatto rotto" come scrive nel suo ultimo testo teatrale, o ripone tutta la sua speranza in una tecnologia che non impedisce all'uomo di "muoversi a quattro zampe", ovvero di regredire sempre di più verso l'animalità.
La settimana scorsa Adonis è stato a Napoli, ospite di un festival del teatro che ha l'ambizione di mescolare registi e attori di nazionalità diverse non solo in uno stesso programma, ma in uno stesso spettacolo - come in Tanto amor desperdiçado, Peine d'amour perdue, di Shakespeare, per citare un esempio fra i tanti, in cui il re di Navarra parla realmente portoghese e la principessa di Aquitania realmente francese - o di affiancare ai testi di Anna Maria Ortese riletture moderne della forma teatrale tradizionale di Singapore, i bangsawan. Vista la sua curiosità onnivora per tutto ciò che è cultura, un habitat ideale per il poeta siriano:  "Questa manifestazione mi ha fatto venir voglia di imparare l'italiano, per poterla apprezzare di più, per capire meglio i suoi spettacoli e i suoi incontri. L'idea del festival è eccellente, è un luogo di dialogo ideale". Eccoci tornati al punto di partenza, la necessità che il dialogo non resti solo una buona intenzione o il titolo di un convegno.

Di dialogo si parla spesso, ma quali sono, secondo lei, le premesse necessarie per uno scambio autentico che non trasformi ogni tentativo in un monologo?

L'arte rende il dialogo realmente possibile. Dialogare non è solo possibile, è necessario. Il problema è stabilire l'argomento e scegliere una questione precisa su cui confrontarsi. La condizione fondamentale, ovviamente, è che le due parti siano aperte l'una all'altra, senza alcuna intenzione di controllo o di imposizione. La poesia, la pittura e la musica sono ambiti privilegiati di comunicazione; conoscere i popoli attraverso l'arte è una forma di conoscenza assimilabile all'amore. Tra l'altro, l'arte è la più alta espressione dell'animo umano, e quindi la forma più alta di dialogo, poiché arriviamo direttamente alla comprensione di quanto ognuno ha dentro di sé. È più difficile parlarsi attraverso la filosofia, l'economia, le scienze sociali o la politica. Sono argomenti troppo legati agli interessi contingenti, alla logica mercantile. Ciononostante è necessario tessere rapporti tra gli esseri umani che si basino su uno scambio reale, anche economico, in quanto il prodotto industriale è anch'esso una modalità di espressione dell'uomo. Come per l'arte, anche nell'espressione economica, il dialogo è un significante indicativo.

Nel mondo arabo sta crescendo l'interesse per i classici della letteratura occidentale; per citare solo l'Iran, viene in mente il caso di Farideh Mahdavi-Damghani, che ha tradotto in farsi la Divina Commedia, o quello di Kaveh, uno studente che nel suo blog pubblica le traduzioni dei programmi della tv italiana dedicati a Dante. Qual è il classico della letteratura araba che il mondo occidentale dovrebbe assolutamente conoscere?

Ce ne sono molti. È impossibile citare un autore solo; ogni poeta prende in esame un aspetto diverso della vita e della realtà della sua epoca. Comunque bisognerebbe conoscere qualcosa di ciascuna delle tre fasi:  i poeti preislamici - come Tarafa - che hanno gettato le basi dell'estetica araba, poi quelli che hanno fondato l'estetica della città, in antitesi con l'estetica beduina, come Abu Nuwa's, Abu Tamman, al Mutanabi, infine quelli che hanno scelto come argomento la fisica come al Ma'rri. Che, tra l'altro, ha influenzato anche Dante.

Nella pièce scritta per il Napoli teatro festival, "Alberi adagiati sulla luce", ritorna spesso il tema della positività ultima del reale:  le radici delle cose affondano nell'invisibile, in un mistero inaccessibile alla mente umana, ma positivo e luminoso. Questo deriva dall'influenza della cultura islamica, in cui è sempre presente la consapevolezza che la realtà è creata in ogni istante da Dio, o da un suo percorso personale?

Certamente sono stato influenzato dalla cultura del mio Paese, ma mi sento lontano da quanto è religioso in senso confessionale. Mi interessano molto l'interrelazione con le altre culture e l'immaginazione, nel senso poetico del termine. È questo che crea una visione sempre nuova della realtà proiettata sul futuro, ma carica del suo passato e del suo presente. In questo ha grande importanza per me il pensiero mistico.

La sua filosofia del nihil alienum risulta evidente anche dal suo ultimo libro di poesie in cui cita Shakespeare (Calma, Amleto intuisce la follia di Ofelia, Dar Al Saqi, Beirut, 2008) o nel suo testo teatrale ambientato a Napoli in cui fa parlare Virgilio, Leopardi, Vico, Benedetto Croce, Masaniello, o ruba delle immagini ad Arancia meccanica di Stanley Kubrick...

Sì, sono d'accordo con Publio Terenzio Afro, Homo sum, humani nihil a me alienum puto; sono un uomo, non ritengo a me estraneo nulla di ciò che è umano. Nel caso del mio libro, comunque, Ofelia e Amleto vengono usati non come personaggi ma come simboli. Amleto è colui che cerca qualcosa che è perduto, simbolo della ricerca di ciò che non c'è più. Ofelia è il modello della donna che muore, che perde; della femminilità che svanisce. Shakespeare è una fonte di simboli preziosa per il mio lavoro poetico. Anche Napoli è un simbolo, oltre a essere una città reale che amo molto...

... da come la descrive nel suo testo, sembra un posto dove è più facile dire "noi" rispetto all'individualismo occidentale, in cui l'"io" spesso è una monade isolata dal contesto.

L'"io" e il "noi" sono correlati a seconda della struttura della società di cui si parla. Per noi è un rischio pesante, il "noi" è fondato su un'istituzione che cancella l'individuo. Pertanto è necessario nei paesi islamici concentrarsi sull'"io". Esattamente l'opposto rispetto alla cultura occidentale, l'individualismo si deve costruire, il futuro è pericoloso, la posta in gioco è molto alta, ci deve essere un "noi" consapevole, in cui l'individuo è presente. Se si costruisce sempre in conflitto e in contrasto con l'altro la città del vivere civile diventa una follia, il più potente divora il più debole, l'oppressione appiattisce ogni cosa. Il "noi" del mondo islamico deve lasciare il posto a un altro "noi" che permetta di essere creativi e attivi nella creazione di una società aperta e libera. Il "noi" dell'arte è diversificato, molteplice, ma non è mai in contrasto con qualcosa:  a Napoli la tomba di Virgilio è accanto a quella di Leopardi, segno di una continuità che è anch'essa una forma di dialogo attraverso lo spazio e il tempo. Si può essere di religioni diverse, ma quando vediamo la statua del Cristo velato di Giuseppe Sammartino nella Cappella Sansevero contempliamo un'espressione dell'arte umana. L'arte aiuta a portare tutto su un piano di profonda umanità.

L'incomunicabilità tra oriente e occidente, ma anche tra persone vicine per lingua e cultura è un tema molto presente nelle sue opere; in un suo componimento viene espressa anche graficamente con un dialogo interrotto di versi affiancati, ma separati sulla pagina da uno spazio bianco.

Questo ha a che vedere con la percezione dell'altro. L'"io" non esiste se non in rapporto con l'altro, anche quando vado verso me stesso devo passare dall'altro, l'altro è più di una parte nel dialogo, fa parte degli elementi che costituiscono l'"io".

È d'accordo con il J'accuse della poetessa Patrizia Valduga, che a Napoli ha letto un suo testo nella serie l'Assedio delle ceneri:  la letteratura occidentale è malata di bulimia, nelle librerie i pochissimi capolavori sono sepolti in mezzo a un'enorme quantità di opere mediocri?

La letteratura è diventata un prodotto industriale, una merce come un'altra, quindi ha bisogno di un mercato, non è più importante il valore oggettivo dell'opera, ma deve rispondere alle esigenze della massa e questo non si può combattere che in un solo modo:  creando opere d'arte eccellenti. È questo l'unico rimedio concreto per contrastare questa tendenza, poiché non si possono imporre divieti o limiti alla produzione intellettuale.
La produzione ottima è quella che si afferma da sola. Che i grandi scrittori si consolidino dunque nell'altezza della loro produzione. Il tempo seleziona; molti grandi successi sono fuochi di paglia:  si bruciano subito e lasciano solo cenere. Il grande artista spesso parte in sordina, cresce lentamente nel tempo, ma poi il suo fuoco non si spegne più.



(©L'Osservatore Romano 2 luglio 2008)
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