Intervista a Mikhail Piotrovskij, direttore del Museo dell'Ermitage

Un'enciclopedia dell'arte scritta in russo


di Gaetano Vallini

"Oggi viviamo nel mondo del virtuale, pieno di cose non vere o artefatte, di bugie e ipocrisie. Ed è per questo che la gente apprezza e cerca molto di più di prima le cose reali. Ecco perché è disposta a sopportare di stare in fila per ore pur di entrare all'Ermitage e vedere le opere d'arte dal vivo. Uno dei nostri meriti, così come per gli altri musei, è proprio quello di custodire e mostrare cose reali, opere originali". Non c'è dubbio che Mikhail Piotrovskij, direttore del Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo, non è attratto dall'idea di mandare in giro per il mondo copie di opere d'arte, per quanto eccezionalmente perfette grazie alle tecniche digitali. Ma sa anche che le migliaia di visitatori che ogni giorno si affollano nelle splendide sale del museo da lui diretto spesso sono distratte, perché richiamate solo da alcuni capolavori, ignorando quasi tutto il resto. Per molti vale l'idea del "ci sono stato", ma quanto vedono e comprendono del museo è tutto da verificare. È il rischio e anche la sfida dei grandi musei. E l'Ermitage, tra i più grandi e prestigiosi del mondo - tre milioni di opere esposte in quattrocento sale lungo un percorso che si snoda per ben ventiquattro chilometri - non ne è immune. Il rapporto tra il museo e il pubblico - tre milioni e mezzo di visitatori l'anno - anche qui è tra i problemi sui quali il direttore Piotrovskij e i suoi collaboratori sono chiamati a confrontarsi.

Professore, quali sono le scelte di un museo come l'Ermitage che non ha certo l'esigenza di richiamare visitatori ma, piuttosto, di qualificare la relazione del pubblico con il museo?

È questo il problema più grande che siamo chiamati a risolvere ed è lo stesso per tutti i grandi musei. L'Ermitage, i Musei Vaticani, il Louvre sono affollati, ma la maggior parte della gente che entra non è preparata, non ha un alto livello di istruzione. Sono semplici turisti. Così un museo con le caratteristiche del nostro rappresenta due opposti nello stesso tempo. Da un lato è come un luogo sacro per il suo custodire capolavori della storia dell'umanità, ma dall'altro è come disneyland, un luogo puramente turistico. Il nostro sforzo - e crediamo di riuscirci - è quello di stare al centro. La maggior parte dei musei lo fa.

Uno straordinario film di Alexandre Sokurof, Arca russa, in un lunghissimo piano sequenza attraverso le stanze del Palazzo d'Inverno, e quindi dell'Ermitage, ha evidenziato come proprio questo museo abbia rappresentato nei secoli passati un luogo simbolico d'elezione dell'identità russa. È una relazione che continua a permanere tuttora? Qual è l'identità del museo oggi?

Il film di Sokurof ha mostrato a tutto il mondo la storia russa e quella parte della cultura russa rappresentata nel Museo dell'Ermitage. Qui c'è la nostra storia ed è un legame che non si può ignorare neppure oggi. È un dato di fatto. Nello stesso tempo l'Ermitage ha incarnato la cultura europea, e continua a rappresentare il volto della cultura europea. Qui c'è la Russia, ma c'è anche l'Europa. Tutte le opere d'arte qui conservate - l'arte italiana, quella fiamminga e così via - sono diventate patrimonio comune. Ma l'Ermitage è anche la versione russa del museo enciclopedico, una sorta di enciclopedia scritta in russo. Questa è una caratteristica che vogliamo continui anche per il futuro. Per l'oggi lo scopo principale è quello di rendere questo patrimonio accessibile a tutto il mondo.

La nascita dell'Ermitage-Italia a Ferrara, nello storico Castello Estense, si colloca all'interno di una più ampia strategia di espansione internazionale intrapresa nel 2001, strategia che attraverso una serie di accordi ha portato alla nascita di nuove realtà museali anche a Londra, Amsterdam e Las Vegas. Come giudica a distanza di qualche anno i risultati di questa scelta peraltro non condivisa da alcuni suoi colleghi?

Prima di tutto non userei il termine espansione per definire i nostri centri sparsi per il mondo. A nostro modo di vedere sono il tentativo di rendere il museo il più aperto possibile al pubblico. La gente vuole vedere quello che è esposto all'Ermitage e noi offriamo loro questa opportunità. Il risultato è più che soddisfacente, perché siamo riusciti a creare un sistema dinamico e flessibile. In qualsiasi momento possiamo modificare obbiettivi e programmi. A nostro avviso tale sistema funziona a meraviglia. I risultati e il pubblico ci danno ragione.



(©L'Osservatore Romano 14-15 luglio 2008)
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