Il cardinale Luigi Poggi racconta gli anni
della sua esperienza di nunzio apostolico

Dall'Africa all'Europa dell'est
in missione per conto del Papa


di Nicola Gori

Novantuno anni, dei quali ben cinquantatré trascorsi al servizio di cinque Papi, il cardinale Luigi Poggi è senza dubbio uno degli ultimi testimoni viventi di un periodo storico di cambiamenti epocali che hanno riguardato anche la vita della Chiesa. Di Pontefici, in verità, ne ha conosciuti ben sette:  ha iniziato il suo cammino verso il sacerdozio sotto il pontificato di Pio xi e ha salutato tre anni fa l'inizio di quello di Benedetto XVI già da Archivista e Bibliotecario emerito di Santa Romana Chiesa. Tra Papa Ratti e Papa Ratzinger ha servito Pio XII, Giovanni xxiii, Paolo vi, Giovanni Paolo i e Giovanni Paolo II.
Non ha segreti da custodire, "solo ricordi - dice in questa intervista rilasciata al nostro giornale - legati soprattutto a grandi figure ecclesiali che hanno accompagnato, anzi in alcuni casi segnato, la mia vita sacerdotale". Due, a parte i grandi Pontefici che ha servito, sembrano essere le figure preminenti nel suo album di ricordi:  il cardinale Tardini e il cardinale Casaroli. Piacentino doc, nasce il 25 novembre del 1917. Studia nel collegio Alberoni della sua città. A ventitré anni è già sacerdote e lavora in parrocchia. Scopre la sua passione per il diritto canonico. Si laurea in utroque iure nel 1944, mentre continua a svolgere il ministero sacerdotale nelle parrocchie romane. I suoi superiori intuiscono nel giovane grandi capacità e lo avviano agli studi nella Pontificia Accademia Ecclesiastica. Così il suo futuro è segnato. Nel 1945 Pio XII lo chiama al servizio della Santa Sede. Comincia a lavorare in Segreteria di Stato, nella sezione dei rapporti con gli Stati. Anni difficili, nel corso dei quali il cardinale Poggi non si risparmia nel servire la Chiesa. Da nunzio apostolico in Italia, poi, è il primo al quale Giovanni Paolo II affida, proprio in quanto rappresentante pontificio, il compito di preparare le terne - cioè di individuare i nomi dei tre candidati più indicati - per le nomine vescovili in Italia. Ed è ancora lui, sempre in qualità di nunzio apostolico, a gestire la delicata fase di riordinamento delle diocesi italiane nel settembre 1986.

Cosa ricorda degli anni in cui ha iniziato il suo servizio alla Santa Sede?

Erano gli anni bui sul finire della seconda guerra mondiale. Il Papa mi chiamò nel 1945 a lavorare nella sezione per i rapporti con gli Stati - allora prima sezione, oggi seconda - della segreteria di Stato. Tuttavia il battesimo sul campo lo ebbi nel 1963, quando fui incaricato di una missione presso il Governo della Tunisia. C'era necessità di trovare un accordo sullo status della Chiesa cattolica in quel Paese. Dovevo praticamente negoziare un modus vivendi tra Santa Sede e Tunisia per risolvere il problema del riconoscimento giuridico della Chiesa. Fu un'esperienza per certi versi esaltante, forse perché era il mio primo incarico vero. Dopo vari contatti, l'anno successivo si giunse finalmente a un accordo. Fui molto soddisfatto per avervi contribuito.

Che ricordo conserva di Pio XII?

Era un uomo superiore quanto a intelligenza ed esperienza. Aveva una serie di doti eccezionali. Fu Pio XI il primo a riconoscerle, tanto che subito cercò di valorizzarlo affidandogli delle missioni all'estero perché egli potesse arricchire le sue conoscenze e, a sua volta, fosse conosciuto. Ricordo che, appena morto Pio XI, il cardinale Tardini, disse:  è morto il Papa, ma già c'è il nuovo. E si riferiva al cardinale Pacelli. Egli era conosciutissimo, perché aveva girato tutto il mondo. Era stato per amore alla Chiesa che Papa Ratti lo aveva preparato perché fosse il suo successore.

Ritorniamo al suo servizio nella diplomazia della Santa Sede. Quella di Tunisi non fu la sua unica esperienza in Africa.

Certamente no. Anche se le altre le vissi un po' diversamente, soprattutto perché, ricevuta l'ordinazione episcopale - era il mese di maggio del 1965 - ero stato nominato arcivescovo e delegato apostolico per l'Africa centrale. Dunque avevo una rappresentatività diversa. Avevo giurisdizione su Camerun, Ciad, Congo-Brazzaville, Gabon e Repubblica Centroafricana. La prima cosa a cui ho lavorato è stata l'istituzione di una sede diplomatica. Era una casa molto bella a Yaoundé. Mi aiutarono molti amici, alcuni dei quali vennero poi a trovarmi, complimentandosi per la scelta. Era in un luogo centrale, ma soprattutto era ben collegata con il resto della città. Una volta stabilita la sede, ho cominciato a confrontarmi con una serie di grandi difficoltà, che non mi hanno abbandonato mai per tutto il periodo del mio lavoro in quei Paesi. Grazie a Dio, però, dopo qualche anno si riuscì ad allacciare relazioni diplomatiche con Camerun, Gabon e Repubblica Centroafricana.

Dopo un'altra esperienza maturata nella nunziatura peruviana, nel 1973 rientrò in Vaticano e fu nominato nunzio apostolico con incarichi speciali, iniziando la sua collaborazione con il cardinale Agostino Casaroli. Cosa ricorda di quegli anni?

Intanto ricordo la figura del cardinale Casaroli. Sono stato un suo assiduo collaboratore. Poi ricordo i miei tanti viaggi nei Paesi dell'est europeo. Mantenevo i contatti con i governi di Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Romania e Bulgaria per conto della Santa Sede, cercando le strade migliori per far fronte alla difficile situazione della Chiesa cattolica in quei Paesi. Per esempio - non è un segreto - mi recavo spesso in Polonia. Avevo ottimi rapporti, a livello personale, con il cardinale Stefan Wyszynski. Egli era allora il primate di Polonia e i nostri, lo ripeto, erano rapporti di grande, grandissima amicizia. Lo ricordo con piacere e anche con un po' di emozione. Era molto energico, anche suscettibile, ma era un uomo di valore. È stato un baluardo per la Chiesa in Polonia. E se il comunismo non è riuscito a provocare danni ancor più rilevanti di quanti ne abbia effettivamente causati alla Chiesa, è stato proprio grazie alla saldezza della sua presenza. Per andare da lui, in Polonia, in quel periodo, ho dovuto affrontare molte difficoltà, le stesse del resto che ho dovuto affrontare e superare per recarmi nei Paesi comunisti. Mi ricordo che una volta sono partito dall'Austria diretto proprio in Polonia. Alla frontiera cecoslovacca mi hanno fermato perquisendomi tutto, a eccezione della valigetta diplomatica.
Alla fine, nel luglio del 1974, i rapporti tra Santa Sede e Polonia vennero istituzionalizzati e io fui nominato da Paolo vi capo della delegazione della Santa Sede per i contatti permanenti con il Governo.

Ha accennato alla sua collaborazione con il cardinale Casaroli. Quali ricordi conserva di lui?

Era un uomo molto intelligente e molto abile nelle trattative. Era un piacere lavorare con lui, perché si imparava veramente tanto. Era stimatissimo. È stato mio superiore per molti anni. Sapeva risolvere anche le questioni più delicate. Con fine intuito riusciva ad arrivare all'obiettivo individuato. Non era la persona del "tutto o niente". La morte del cardinale Casaroli è stata una vera perdita per la Chiesa di quegli anni.

E di Paolo VI?

Ricordo che negli anni sessanta ero nella prima sezione della Segreteria di Stato con il cardinale Tardini, mentre Montini era nell'altra sezione. Allora non avevo particolari contatti con lui, ma lo ricordo come un uomo superiore. Quando è stato eletto al soglio pontificio, siamo andati a ossequiarlo. Oltre all'intelligenza, univa una delicatezza eccezionale. Ho potuto sperimentarla negli anni successivi:  è stato lui che nel 1965 mi ha nominato arcivescovo e delegato apostolico per l'Africa centrale, nel 1969 nunzio apostolico in Perù e poi nel 1973 nunzio apostolico con incarichi speciali.

Dopo essersi occupato dei Paesi comunisti europei, nell'aprile 1986 venne nominato nunzio apostolico in Italia. Come ha vissuto questo cambiamento?

Fu anche quello un periodo per me interessante. Io provengo dalla scuola del cardinale Tardini, che ci aveva abituati a lavorare bene, per cui passavo intere giornate, per esempio, a studiare le pratiche per i processi informativi dei possibili candidati all'episcopato.

Dopo l'incarico presso la nunziatura in Italia, nel 1992 divenne pro-Archivista e pro-Bibliotecario di Santa Romana Chiesa. Cosa avvenne in quegli anni?

Avevo conosciuto personalmente il cardinale Karol Wojtyla durante i miei viaggi in Polonia. Una volta eletto alla Cattedra di Pietro, mi chiamò a occuparmi dell'Archivio e della Biblioteca Apostolica Vaticana. Nel concistoro del 26 novembre 1994 mi creò cardinale del titolo di San Lorenzo in Minerva e tre giorni dopo mi nominò Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa. Ricordo che un giorno Giovanni Paolo II mi disse che doveva un po' anche a me la sua elezione, perché avevo parlato bene di lui dopo il mio rientro in Polonia. E io gli risposi che il mio voto non l'aveva avuto, ma soltanto perché a quel tempo ero ancora arcivescovo!



(©L'Osservatore Romano 31 luglio 2008)
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