Intervista al presidente dei vescovi dell'Uruguay in visita «ad limina Apostolorum»

Una Chiesa immersa nella storia del popolo


di Nicola Gori

Radicata nel tessuto sociale e nel cuore della gente, la Chiesa dell'Uruguay sta preparandosi ad affrontare sfide importanti. Se da un lato la storia civile della nazione è strettamente legata alla fede, è anche vero che molte volte nel corso degli anni la Chiesa è stata costretta al silenzio e a rimanere ai margini della società. Tutto ciò comunque non ha sminuito la capacità di annuncio del Vangelo e di dialogo con il mondo. Lo dimostra la significativa mobilitazione in difesa della vita, minacciata da scelte politiche che il più delle volte "non trovano corrispondenza con il sentimento profondo del popolo", come sottolinea in questa intervista al nostro giornale il vescovo Carlos María Collazzi Irazábal, presidente della Conferenza episcopale, impegnata in questi giorni nella visita "ad limina".

Qual  è  la situazione  attuale  nella  quale si trova a operare la Chiesa uruguayana?

È una realtà legata al particolare contesto sociale e culturale nel quale siamo immersi. Nella storia dell'Uruguay la Chiesa ha sempre svolto, e svolge tuttora, un ruolo molto importante come protagonista nella trasformazione di diverse realtà. D'altra parte, la storia della Chiesa locale è segnata dalla storia del popolo:  i dolori, le speranze, i problemi, le attese sono gli stessi dei discepoli di Cristo. Il nostro Paese, in particolare, è caratterizzato dalla presenza di figli e nipoti di emigranti, dopo la grande immigrazione dall'Europa nei secoli scorsi. L'Uruguay, con la sua lunga storia di fraternità, di tolleranza, rivive ogni giorno questi valori che hanno segnato la sua storia. E lo stesso fa la Chiesa.

Quali sono gli ambiti di azione privilegiati?

Nel corso degli anni abbiamo cercato sempre di instaurare una relazione molto forte tra fede e cultura. I vescovi, soprattutto, hanno operato in tal senso. Voglio ricordare che abbiamo avuto un santo vescovo missionario, monsignor Jacinto Vera - speriamo di vederlo presto sugli altari - e un vescovo che ha svolto un lavoro enorme a favore dei rapporti tra fede e cultura, monsignor Mariano Soler, del quale proprio nel giorno dell'udienza con Benedetto XVI celebriamo il centenario della morte. Un'altra caratteristica della Chiesa in Uruguay è la presenza di numerose congregazioni religiose, che hanno dato un grande apporto alla cultura e all'evangelizzazione della cultura. Tra i religiosi vorrei ricordare i francescani, i gesuiti e i salesiani, tra le religiose le suore dell'Huerto, le salesiane, le cappuccine. La nostra storia è segnata anche dalla presenza di donne testimoni di santità:  ricordiamo le beate Dolores e Consuelo, due emigrate provenienti dalla Spagna.

Sono testimonianze ancora attuali per i cristiani del Paese?

Penso di sì, anche perché sono convinto che la grande sfida della nostra epoca sta proprio nella formazione del cristiano alla fede. In particolare, l'Uruguay ha vissuto anticipatamente un certo laicismo che sta ora attraversando altri Paesi. Però nel cuore della gente riaffiora sempre il sentimento religioso. Durante l'incontro con il Papa gli illustreremo questa realtà e gli esprimeremo la gioia di avere tanti testimoni totalmente dediti al Vangelo. Non voglio dimenticare nessuno - a cominciare dai sacerdoti, dai religiosi, dalle religiose, fino ai diaconi permanenti, agli operatori della pastorale sociale e della salute - per portarli al cuore del Pastore universale. In questi giorni, durante gli incontri con i suoi collaboratori nei vari dicasteri stiamo ricevendo consigli utili per applicare gli orientamenti pastorali che sono per tutti noi una sfida e un impegno come vescovi delle dieci diocesi del Paese. Questo dovrebbe essere un punto fermo e il segno che contraddistingue l'evangelizzazione attualmente nell'Uruguay. È anche l'applicazione concreta del momento di grazia che abbiamo vissuto nella v Conferenza generale dell'episcopato latinoamericano e dei Caraibi ad Aparecida, dove abbiamo riflettuto sul nostro essere discepoli e missionari di Cristo.

Proprio in continuità con Aparecida, siete impegnati nella missione continentale. Che progetti avete in corso?

La missione è in primo luogo un'attitudine che si trasforma in azione. La Conferenza episcopale la sta promuovendo a livello locale in ogni diocesi del Paese. L'atteggiamento fondamentale è che tutti i discepoli di Cristo devono essere missionari e devono porsi in ascolto del Signore - che parla nella sua parola, nei segni dei tempi e nella voce dei fratelli - per poter essere artefici di un gioioso annuncio di Gesù a chi sta accanto. Di fronte alle tante sfide che abbiamo - relativismo, problemi sociali, difficoltà familiari - la nostra Chiesa è impegnata quotidianamente con tutte le sue energie.

Riguardo al tema della difesa della famiglia e della vita, in Parlamento è in discussione una legge sull'aborto. Come si pone la Chiesa dinanzi a questa iniziativa?

Nel Parlamento sono stati presentati vari progetti di legge. La discussione sulla difesa della dignità umana sta entrando nel vivo. Confidiamo che alcune di queste leggi non vengano approvate. Abbiamo fiducia nella parola che ha dato il presidente della Repubblica, assicurandoci che la legge di depenalizzazione dell'aborto non si farà. C'è un impegno pubblico manifestato dal capo dello Stato, il quale, nel caso dell'approvazione di una legge del genere, applicherà il suo veto presidenziale. E lo farà in qualità di medico, in qualità di professionista che ha compreso l'origine e il valore della vita di ogni essere umano.

La pastorale vocazionale riveste un'importanza fondamentale per il futuro della Chiesa. Ci sono segnali incoraggianti in Uruguay?

In realtà il nostro Paese si è sempre caratterizzato per essere una nazione dove non abbondano le vocazioni. Il bilancio vocazionale rimane costante, con una media più o meno invariata. Abbiamo bisogno di vocazioni e, soprattutto, di quelle di speciale consacrazione, come il presbiterato, il diaconato permanente e la vita consacrata, nelle sue dimensioni di vita religiosa e di istituti secolari.

In che modo la Chiesa si pone di fronte alle diverse manifestazioni della religiosità popolare?

C'è nel Paese un forte amore alla Vergine Maria. Il nostro popolo si caratterizza per il grande affetto alla Madre di Gesù, che si manifesta in tanti modi:  in iniziative organizzate e in forme spontanee che scaturiscono dal cuore. Per esempio, per le strade e sui mezzi di trasporto è esposto spesso il segno religioso del rosario. Esso è il simbolo di un sentimento profondo verso la Madre di Dio, che noi in Uruguay invochiamo come patrona con il titolo di Vergine dei Trentatré.

Come è nata questa devozione?

È radicata proprio nella storia del Paese. Davanti a una piccola immagine dell'Immacolata Concezione, che si trova nella diocesi di Florida, i primi patrioti, i cosiddetti trentatré, si posero sotto la protezione della Vergine. Per questo, da allora viene invocata come Madre della patria. Nella seconda domenica di novembre si svolge il pellegrinaggio annuale al santuario, con la partecipazione di un gran numero di fedeli provenienti da tutto il Paese.



(©L'Osservatore Romano 26 settembre 2008)
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