A colloquio con il Patriarca Greco-Melkita d'Antiochia Gregorio III Laham

È urgente frenare l'esodo
dei cristiani dal Vicino Oriente


di Mario Ponzi

Non ha dubbi sua beatitudine Gregorio III Laham, siriano, Patriarca Greco-Melkita cattolico d'Antiochia:  se l'Europa e il mondo occidentale vogliono veramente sradicare le radici della violenza terroristica e costruire un futuro di pace devono adoperarsi per frenare l'esodo dei cristiani dalla terra santa. "È un'emorragia - dice - che sta lentamente dissanguando il popolo della pace nella terra della pace. Mi auguro che nel rinnovato vincolo nella Parola di Dio, ognuno di noi sappia cogliere il senso di responsabilità necessario per affrontare questa che non esito a definire una vera e propria emergenza". Nato in Siria, vissuto per oltre 25 anni in Palestina, e oggi in Libano, il Capo della Chiesa greco-melkita cattolica sperimenta quotidianamente la sofferenza del forzato distacco di tanti cristiani dalle loro terre d'origine, sconvolte da ogni forma di violenza. Il Patriarca attraverso il nostro giornale lancia il suo grido d'allarme.

Ma è proprio così drammatica la situazione dei cristiani nel Vicino Oriente, tanto da costringerli a quello che sembra un vero e proprio esodo?

Sì, lo è. Anzi voglio cogliere questa opportunità per rivolgere un appello a tutti i confratelli vescovi riuniti in questo Sinodo:  fate tutto ciò che è nelle vostre possibilità per impetrare la pace per Gerusalemme, così come preghiamo nei salmi. Pace a Gerusalemme significa pace in tutto il mondo. Ma soprattutto significa consentire ai cristiani di continuare a dare la loro testimonianza nel Vicino Oriente.

Cosa sta succedendo in quelle terre?

Per la verità ciò che accade non è poi tanto dissimile da quello che si sta verificando anche in altri Paesi nei quali i cristiani sono una minoranza. Solo che nel Vicino Oriente le minacce diventano più forti e le violenze si ripetono con maggiore frequenza.

Secondo lei quali sono i motivi veri di tanta tensione? E come rispondono generalmente i cristiani?

I motivi sono diversi e dipendono da tanti fattori. Mi preme invece sottolineare che quella dei cristiani nei territori mediorientali è una testimonianza meravigliosa. Continua ancora oggi, nonostante grandi sacrifici. In Palestina, come in tanti altri Paesi arabi, in Giordania, in Siria, in Iraq, in Kwait, negli Emirati. Purtroppo con l'inasprirsi dei conflitti questa presenza è minacciata fortemente dal fenomeno dell'emigrazione, conseguenza diretta dei conflitti che scuotono queste terre. E io credo che questo sia un fattore di grande rischio, di destabilizzazione.

In che senso?

Se Paesi come quelli europei, come gli Stati Uniti mirano effettivamente all'istaurarsi di un clima di pace, se vogliono veramente mettere la parola fine al terrorismo, se vogliono mantenere vivo un costruttivo rapporto con il mondo islamico, allora devono preoccuparsi di mantenere viva la presenza, la testimonianza in queste terre della comunità cristiana. Se si vuole evitare che il fondamentalismo prenda il sopravvento sulla purezza della fede e alimenti il terrorismo bisogna affrontare alla radice il problema del Vicino Oriente.

Cosa intende per affrontare questo problema alle radici?

Significa fare in modo che le religioni si incontrino, si parlino, trovino nel desiderio di pace un terreno comune di incontro. Se continua l'esodo dei cristiani dal medio oriente si potrebbero creare blocchi separati e ancora più difficile sarebbe poi parlare di convivenza tra un'Europa a maggioranza cristiana, un mondo arabo tutto islamico, percorso da un fazzoletto di terra tutta ebraica. Il rischio sarebbe allora veramente di arrivare a uno scontro di civiltà che non si conoscono, di culture che non si parlano, di religioni che non si rispettano reciprocamente.

E secondo lei quale messaggio, in questo senso potrebbe scaturire dal Sinodo?

È la quarta volta che partecipo a un Sinodo dei vescovi. In questa nuova esperienza quello che più mi ha colpito è l'atmosfera di vera collegialità che si respira in questo Sinodo, malgrado alcuni critichino la struttura piramidale della Chiesa cattolica o polemizzino sul primato petrino, io credo che la Chiesa cattolica sia quella che ha più forte il senso della collegialità rispetto ad altre Chiese. C'è la possibilità concreta di discutere e anche la possibilità di trovare soluzioni insieme per risolvere concretamente le grandi sfide che la società le pone davanti, senza restare nel vago o nella nebulosità delle parole.

Tornando tra la sua gente porterà con sé un messaggio di speranza?

Sarò certo più ricco. Io sono nato in Siria, dunque nella terra di san Paolo, sono rimasto 26 anni in Palestina, tra i luoghi della Bibbia, e dunque torno nella terra dove è nata la Parola di Dio dopo aver capito quanto questa Parola riesca a unirci tutti. Quindi ai miei fedeli raccomanderò di vivere ancora più intensamente la comunione che nasce da questa Parola perché è l'unica forza in grado di unire tutti i cristiani dell'universo. Certo noi in patria siamo una piccola minoranza. Ma proprio per questo più grande è la nostra missione:  dire che Dio ama tutto il mondo. Io porterò questo messaggio così come l'ho sperimentato in questi giorni:  Dio ama veramente tutti gli uomini. E lo dirò anche ai musulmani. I musulmani arabi sono trecento milioni; nei Paesi arabi i cristiani invece sono solo quindici milioni. Però siamo in grado di far passare il messaggio della Parola di Dio e dobbiamo farlo anche attraverso i musulmani e anche attraverso gli ebrei. Del resto noi cristiani ci troviamo proprio in mezzo a queste due religioni:  gli ebrei sono venuti prima di noi i musulmani dopo. Ma proprio per questo dovremo cercare di trovare le strade che ci aiutino a far convergere tutti verso un punto d'incontro. Questa è la nostra missione. Le Sacre Scritture possono essere la via:  con gli ebrei abbiamo in comune l'Antico Testamento. Mentre qualcosa, sia dell'Antico Testamento che del Vangelo, è presente nel Corano, che è di un'epoca successiva. Io credo dunque che ci siano gli elementi per un confronto costruttivo.

Secondo lei questo Sinodo si è sufficientemente preoccupato di reclamare pace e dialogo?

Il Sinodo ha sollevato abbastanza il problema, soprattutto ha posto in evidenza la necessità del dialogo, del confronto con il mondo ebraico e con il mondo islamico, anche se c'è stata qualche manifestazione di reticenza. La mia impressione è che comunque tanti vescovi non abbiano bene presente l'importanza che sta acquisendo l'islam nel mondo e non si preoccupano troppo di conoscere più approfonditamente l'islam. O almeno non lo mettono sullo stesso piano della conoscenza del mondo ebraico. Posso capire la maggiore attenzione ma non capisco l'ignoranza. Quindi mi auguro che alla fine di questo Sinodo ci sia più coscienza dell'importanza che sta assumendo l'islam e della necessità di confrontarci con l'islam. In tanti Paesi d'Europa, Italia compresa, ormai l'islam è la seconda religione quanto a numero di fedeli. Noi nei loro Paesi siamo sempre l'estrema minoranza. Nel mondo la loro presenza è in continuo aumento perché le famiglie islamiche continuano a mettere al mondo figli mentre, quelle cristiane ne fanno nascere sempre di meno. Presto dunque potremmo riscoprirci numericamente inferiori, ammesso che già non siamo stati superati. L'Europa invecchia. E con essa rischia di invecchiare anche il cristiano e trovarsi senza ricambio.

E del messaggio di questo Sinodo cosa pensa?

È bello, ma non solo. Con molti confratelli ci eravamo detti che da questo Sinodo sarebbe dovuta uscire una Parola forte, piena di rinnovata fiducia, di rinnovata speranza. Ecco questo messaggio è riuscito a fare questo. Soprattutto risponde fedelmente all'entusiasmo di san Paolo, l'apostolo sotto la cui egida questo Sinodo di è posto. Bene da questo messaggio a me pare che traspaia tanto entusiasmo. La bellezza di questo messaggio deriva dal fatto che è intessuto di Sacra Scrittura, spazia dall'Antico al Nuovo Testamento e ne fa il testamento di Dio al suo popolo. Emana calore, soprattutto laddove raccomanda il dialogo con le diverse etnie, con le diverse culture, con l'arte in tutte le sue espressioni, con i credenti, con tutti i credenti. Io trovo in questo messaggio una grande potenza per affrontare il dialogo in senso cristiano con tutti, nella chiarezza della luce cristiana che è veramente luce del mondo. E sul mondo deve tornare a risplendere con i suoi riflessi di pace.



(©L'Osservatore Romano 24 ottobre 2008)
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