Il regista Krzysztof Zanussi al Festival internazionale del film di Roma

Il cinema come viaggio
alla scoperta del male


di Luca Pellegrini

Lo spirito della sopravvivenza tocca anche le coscienze maligne:  chi fa il male vuole continuare a farlo. Ma Krzysztof Zanussi ci ha spesso dimostrato, nella sua ampia cinematografia, che conversione, perdono, penitenza e salvezza sono imprevedibili e alla portata di tutti. A Warm Heart, in concorso al Festival del film di Roma, affronta ancora una volta questi temi, ma con humor sottile, inaspettato. Sembra tornare alla sua prima trilogia degli anni Settanta (L'illuminazione, La spirale, Constans) nella quale il più famoso tra i registi polacchi indicava come a interessarlo fossero la scienza e la precarietà della vita, la sofferenza e la mancanza di senso, la corruzione del male e del potere, la responsabilità morale e sociale, lo spirito e la materia, la passione e il desiderio, il rapporto col mondo e con Dio. "I tre film che ha nominato formano un collage di varie considerazioni nei confronti dell'esistenza umana - dice Zanussi - ma la mia visione dell'arte e dell'uomo è rimasta sempre la stessa. Se altri notano un'evoluzione nella mia cinematografia, lo possono fare "da lontano". Io mi sento uguale a ieri anche se il mondo è cambiato rapidamente. Dal mio primissimo film, La struttura del cristallo del 1969, ho sempre mantenuto una visione unitaria della vita, in cui l'artista è innanzi tutto uomo come lo spettatore e cerca, offrendo se stesso, di condividere con lui parte della propria esperienza. Io nego il ruolo assegnato dalla tradizione marxista all'artista, inteso come l'ingegnere dello spirito umano, il suo istruttore. Anche la Chiesa ha dimostrato talvolta questa tendenza:  trattare l'arte come puro strumento educativo. Ma l'arte è più che un mero strumento, è qualcosa di assai più nobile. Se vogliamo esprimere la nostra solidarietà con un altro uomo, condividendo con lui la nostra anima, "esponendoci" non per il nostro, ma per il suo guadagno, allora si capisce che l'arte è un atto più nobile dell'istruzione. Per istruire, infatti, io debbo svolgere il ruolo di colui che sa proponendo parte di questo mio sapere a qualcuno. Questa disuguaglianza non mi piace. Preferisco fare riferimento all'arte come un momento di condivisione col prossimo di una parte di noi".

In questo orizzonte, come interpreta l'ispirazione?

Questa è una domanda che tocca la libertà. Vale per tutti:  l'artista non è diverso da qualsiasi uomo. Tutti abbiamo la libertà di opporci o ignorare l'ispirazione, anche divina. Così come possiamo ribellarci o rimanere indifferenti alla libertà stessa. Se io, invece, cerco di diminuire il mio ego d'artista per ascoltare la voce che mi guida alla verità, questo diventa in me un atto liberatorio. Realizzo così la mia libertà tramite la sottomissione, intendendola come ascolto umile.

Kontrakt, del 1980, affrontava temi strettamente legati alle sue esperienze:  il malcostume della borghesia polacca nell'era comunista e la satira politica, con una continua oscillazione tra metafora e realtà. Sembrava una sterzata amara verso i toni della commedia. La vita è una commedia?

È un'espressione poetica molto ben radicata nella nostra cultura. Come "la vita è un sogno". Non si rischia molto nell'affermarlo. Nel Contratto di matrimonio, così era il titolo in italiano, ho tentato di riflettere sulla vita mondana dei protagonisti mettendoli al vaglio della presenza di una specie di divinità naturale:  un cervo, simbolo dei cacciatori, appare alla fine e costringe le due donne, Lilka e Dorota, a inginocchiarsi dinanzi a lui. Questo perché, anche se prendiamo la vita come una commedia, la divinità esiste e l'uomo può negarla o, invece, riscoprirla.

Questa ricerca di Dio ha sempre segnato il suo cinema. Ne La vita come malattia mortale sessualmente trasmessa affrontava il dramma dell'uomo agnostico che chiede a Dio di ricevere almeno un segno per credere; nel seguito, Supplemento, scandagliava la difficoltà, per i giovani, di individuare il senso o la vocazione religiosa e di saper rispondere con libertà. Nel recente Il sole nero, come in una tragedia classica, una donna viveva il sentimento della vendetta e l'esigenza della giustizia. Ora con A Warm Heart, torna alla commedia, ma i toni sono amari e il contesto "morale".

È una scelta, quella della commedia, che mi pareva necessaria oggi per parlare di cose molto serie. È morale perché la storia che racconto conferma la mia profonda fede mentre il mondo postmoderno afferma, invece, la sua inutilità, la non esistenza. Ma i temi che tratto, anche se in forma diversa, sono i miei abituali. Sorridendo cerco di costatare che tutta la visione del mondo basata sul postmodernismo, sull'assenza dei valori certi, è un concetto sbagliato perché non si può vivere se non c'è la distinzione chiara tra bene e male, tra verità e menzogna, tra bello e brutto. Mi sono ispirato alla filosofia decostruzionista di Jacques Derrida dalla quale nasce un mondo estremo e esagerato in cui la mancanza di Dio, l'impossibilità di una verità e del grande racconto, creano un paradosso avvertito dal personaggio "cattivo" del film:  in un mondo senza valori la nostra vita non si può nemmeno raccontare.

Chi è questo suo nuovo cattivo?

È un oligarca che, in attesa di un trapianto di cuore, rischia di morire. È la personificazione del male. Però anche lui ritrova una salvezza, un momento di luce nella notte, quando ammette il suo sbaglio, si converte e promette di cambiare vita. È un personaggio non credente la cui unica fede è nella sua ricchezza e nei suoi eccessi di vita. Non crede nell'eternità, nel giudizio ultimo, vive solamente basandosi sui principi edonistici del piacere e del consumo. Alla fine ammetterà di aver vissuto male, le sue ultime parole sono queste:  "Ora mi è rimasto soltanto il tempo della penitenza". Il film, una specie di favola nera, si chiude quando l'oligarca comincia a distribuire la sua ricchezza tra i poveri.

Chi è il donatore di cuore?

Un giovane semplice e ingenuo che vuole suicidarsi, inseguito dagli sgherri dell'oligarca. Anche per questo personaggio, per fortuna, arriverà il tempo della salvezza, che non è mai negata:  si getterà a capofitto in un nuovo lavoro, un nuovo ideale, la protezione degli animali. Per uno scherzo del destino, un vero paradosso, sarà invece un angelo del male, uno scagnozzo dell'oligarca, a rendertsi utile al suo padrone con un ultimo dono.

Perché la scelta di un attore ucraino per il personaggio dell'oligarca?

Bogdan Stupka, un grande attore, attualmente direttore del Teatro di Stato di Kiev, è stato anche ministro della Cultura:  conosce come deve muoversi un personaggio pubblico e di potere e per questo riassume bene l'anima dell'oligarca. Il fenomeno dell'oligarchia, inoltre, è tipico soltanto di alcuni Paesi dell'Est. Infatti, in Russia e in Ucraina la trasformazione del sistema è andata malissimo perché le ricchezze dello stato si sono semplicemente trasferite dalla ex-nomenclatura, ossia dai privilegiati di prima, a quelli che sono i privilegiati di oggi. In questi Paesi non c'è stata Solidarnosc come in Polonia, non c'è stata una resistenza popolare, una riforma profonda e interiore, ma soltanto un cambio esteriore del sistema.

È in grado di recuperare qualche cosa del passato e della storia del suo Paese e dell'Est europeo negli anni del totalitarismo?

Prima di tutto rimpiango la mancanza della libertà. Ha un grande fascino. Non è vero che tutti vogliono essere liberi. La fuga dalla libertà, nel sistema totalitario, era resa possibile, mentre oggi tutti sono condannati alla libertà. La vita è molto più difficile!

Un'immagine abbastanza fosca e certo provocatoria! È davvero sicuro che sia così?

Molti non vogliono sentirsi liberi. Pensi alla sicurezza, che fa parte di questo concetto, con tutto ciò che ne consegue nella vita civile. La gente si sentiva, allora, molto più sicura perché il vicino non poteva fare carriera, guadagnare più di me, avere più spazio o potere. Questo dava una grande illusione di sicurezza. Oggi avverto una certa forma di nostalgia per questi tempi in cui ciascuno aveva il diritto di essere pigro, passivo, immobile. Fa parte della natura umana:  c'era un fascino perverso nel sistema totalitario comunista, che offriva in cambio della libertà una sicurezza passiva, una pigrizia intellettuale, una tranquillità nel pubblico e nel privato. Oggi, nella società del libero mercato dobbiamo fronteggiare gran parte degli stessi problemi e degli stessi dubbi, solo che si manifestano in modo diverso.

Uno dei contesti in cui maggiormente si avvertono proprio questi dubbi e le più forti tensioni è quello giovanile. Lei ha sempre posto come elemento portante nel suo cinema anche l'insofferenza e la ribellione morale dei giovani contro la corruzione dei padri.

Nella mia gioventù, anche di regista, il tema è stato al centro delle mie attenzioni. Oggi ho raggiunto l'età dei padri e sono, per questo motivo, pronto a smascherare anche la corruzione dei giovani. Mi colpisce soprattutto il fatto che i giovani insistano - fingendo anche a se stessi - nel non rendersi conto che sono corruttibili, come tutti noi. La decomposizione della nostra integrità, come dimostro anche nel mio ultimo film, è un soggetto che mi interessa sempre moltissimo.

Il potere del male affrontava il male che alberga nel cuore dell'uomo e la presenza della Grazia che ci aiuta e spinge a lottare per il bene. Da allora, però, il male, nelle sue diverse radici e manifestazioni, è sempre apparso nelle sue opere.

Il male è qualcosa di subdolo, inquieto, affascinante, una forza dinamica e attiva che agisce nell'uomo e nella storia. Ricordo come tanti cristiani rimasero sconvolti da una delle affermazioni più forti di Paolo vi:  siamo "sotto l'esistenza del diavolo". Io non l'ho mai contestata. Mi accorgo che oggi il male si nasconde e l'uomo crede di essere innocente. È una tendenza, una tentazione che porta ad occultare, se non a rendere addirittura superflue, le proprie scelte morali.

Oggi è più pessimista di un tempo?

Non sono stato mai un pessimista. Rifiuto questa etichetta e questo termine. Io semplicemente riconosco l'esistenza del male che talvolta prevarica sul bene. Ma non ho mai detto e sostenuto che il male vince. Il vero pessimismo è l'indifferenza, la mancanza della speranza, la negazione del male:  così la vita perde il suo dinamismo e noi perdiamo la libertà delle nostre scelte.

Nel frattempo, lei ha scelto il soggetto del suo prossimo film.

Girerò un film storico su santa Edvige, della stirpe degli Angioini, canonizzata da Giovanni Paolo ii a Cracovia nel 1997. Di origine francese, divenne nel xiv secolo regina di Polonia e Lituania e successivamente patrona di queste nazioni. La sua vita riassume il concetto del "regnare servendo". È un personaggio che ha introdotto lo spirito cristiano nella politica interna e internazionale e, dunque, di indubbia attualità. Le radici cristiane della nostra politica civile sembrano sparire inesorabilmente nel nostro mondo. Oggi è diffuso quello che io ritengo un atteggiamento barbaro, anti-cristiano, che si concretizza in una politica senza scrupoli, senza carità.



(©L'Osservatore Romano 30 ottobre 2008)
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