A colloquio con fratel Alois in vista dell'incontro internazionale dei giovani in Kenya

Da Taizé a Nairobi
per riavvicinare l'Europa all'Africa


di Giovanni Zavatta

Dopo quelli di Calcutta, in India, nel 2006, e di Cochabamba, in Bolivia, l'anno scorso, l'incontro internazionale dei giovani a Nairobi dal 26 al 30 novembre sarà una nuova tappa del "pellegrinaggio di fiducia sulla terra" cominciato da fratel Roger, il fondatore della Comunità ecumenica di Taizé. Questa riunione ha lo scopo di aiutare i ragazzi nella loro ricerca di Dio e nel loro desiderio di impegnarsi nella Chiesa e nella società. La fiducia, la pace e la riconciliazione saranno come sempre al centro dell'incontro che ha come tema "Insieme, cercare cammini di speranza". Fratel Alois, priore della Comunità di Taizé, guiderà i principali momenti di preghiera e di riflessione.

Dopo l'Asia e l'America Latina, l'incontro internazionale tocca l'Africa, più precisamente il Kenya. Che significato ha questa scelta?

Io conservo negli occhi l'immagine di un giovane africano a Taizé. Era triste perché, ci ha detto, gli europei hanno un'immagine falsa dell'Africa, un'immagine caricaturale. È vero, gli europei non conoscono abbastanza l'Africa. Noi abbiamo dei fratelli che vivono in Africa:  siamo da sedici anni in Senegal, a Nairobi si trovano altri fratelli. E fratelli africani appartengono alla nostra comunità. Per noi è molto importante, è questione fondamentale per il futuro della Chiesa e dell'umanità creare maggiori legami tra l'Africa e l'Europa, uscire da questa falsa rappresentazione conseguenza della mancanza di veri contatti e delle ferite profonde della storia. Noi non possiamo rifare il passato ma, oggi, possiamo tutti metterci all'opera per riavvicinarci. Questa è l'idea originale. Alla fine dell'anno avremo l'incontro europeo a Bruxelles e cercheremo di cogliere i frutti di quanto seminato a Nairobi.

L'annuncio del pellegrinaggio a Nairobi venne dato durante l'incontro europeo dei giovani a Ginevra, a fine 2007. Per il Kenya, scosso dalle violenze seguite alle elezioni presidenziali, erano giorni drammatici. Qual è oggi la situazione?

È tornata un po' di calma ma lo choc resta. È stato uno choc per i keniani vedere come fosse possibile tanta violenza. Ci sono ancora molti giovani fuggiaschi, che hanno lasciato la loro terra. A un certo punto abbiamo pensato di scegliere un altro luogo, perché la situazione lì in Kenya era troppo delicata, ma alcuni nostri fratelli africani ci hanno detto:  "No, noi dobbiamo andare, anche se facciamo piccole cose. Dobbiamo andare, dobbiamo dimostrare che, assieme a questi giovani africani, in Kenya sono possibili passi di speranza e di riconciliazione". Allora siamo andati avanti e alcuni nostri fratelli sono partiti mesi fa per Nairobi, per conoscere meglio la situazione e preparare l'incontro. Si tratta di una piccola comunità provvisoria. La grande sfida, dopo queste violenze, è come i cristiani possono partecipare a una riconciliazione necessaria. La base già c'è ed è buona:  per i cristiani si tratta di sostenere una certezza, quella che i legami del Battesimo sono più profondi delle divisioni, etniche o di altra natura. È questa la sfida, la stessa sfida che si ha in Europa dove in molte parti i cristiani sono divisi.

In Kenya i cristiani, complessivamente, rappresentano la maggioranza della popolazione:  i protestanti sono circa il 28 per cento, i cattolici sfiorano il 20. Come si manifesta l'impegno della Chiesa nel Paese e a che punto è il dialogo ecumenico e interreligioso?

Nella situazione di violenza creatasi all'inizio dell'anno i cristiani sono stati vicini, hanno collaborato, ma l'ecumenismo vero e proprio, con le sue ragioni e radici profonde, qui è qualcosa che deve ancora svilupparsi e ingrandirsi. Il nostro incontro tende a favorire proprio questo e porterà a riunire giovani cattolici, anglicani, presbiteriani, giovani da differenti Paesi, dall'Uganda, dalla Tanzania, dal Burundi, dal Rwanda, e rappresentanti di altre nazioni africane ed europee.

Per tutta l'estate, a Taizé, sono proseguiti i tradizionali incontri. In vista dell'evento di Nairobi i ragazzi hanno sostenuto una preparazione particolare? E i giovani africani come stanno vivendo l'attesa?

Molti ragazzi europei che parteciperanno all'incontro di Nairobi sono venuti a Taizé per prepararsi e per conoscere meglio i loro fratelli africani. La preparazione si è basata soprattutto sull'ascolto:  ascoltare, comprendere e accettare l'altro e le differenze, che sono enormi. Va detto che l'Africa conosce oggi una grande vitalità tra le nuove generazioni ma allo stesso tempo ci sono molti giovani africani che si domandano:  come trovare posto nel mondo di oggi, caratterizzato dalla globalizzazione, senza perdere valori tradizionali come la solidarietà e la gratuità? Con questo raduno noi vogliamo semplicemente incoraggiarli a cercare in questo senso, a entrare nel mondo che cambia, e che a volte li rifiuta, un mondo sempre più basato sui nuovi modelli di comunicazione, ma allo stesso tempo aiutarli a vigilare sui loro valori tradizionali.

La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa:  dal sinodo dei vescovi ai giovani di Taizé. Quale riflessione per il vostro impegno, quale insegnamento per il vostro cammino nel segno del dialogo?

Sono molto riconoscente per aver partecipato a questo avvenimento che mi ha consentito di incontrare i vescovi del mondo intero. In tutti ho avvertito la preoccupazione di porre la Parola di Dio e i suoi valori nuovamente al centro dell'esperienza di fede e della vita ecclesiale, più di quanto accaduto in passato. Ecco, se a Taizé riuscissimo a raccogliere questa sfida, a trasmettere ai giovani l'importanza di questa preoccupazione, sarebbe già molto. Mi permetto di sottolineare due idee forti espresse dal sinodo. La prima:  nelle Sacre Scritture noi incontriamo Cristo stesso; è un incontro personale attraverso le Scritture che ci aiuta in questo dialogo con Dio e fra noi. Al sinodo è stata espressa la necessità di dare un posto centrale alla dimensione sacramentale dei sacri testi. In essi incontriamo Dio. Una necessità più volte espressa negli interventi dei padri sinodali citando la Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione, la Dei Verbum del concilio Vaticano ii. Ma c'è un altro punto. Per i battezzati delle diverse Chiese e confessioni cristiane, la Bibbia è già terreno di incontro. E allora se noi non riusciamo a metterla in pratica insieme, se noi non riusciamo a pregare insieme, è perché noi siamo troppo abituati alle divisioni, è perché non siamo sufficientemente all'ascolto della Parola di Gesù. Dobbiamo imparare a riunirci, ad ascoltare insieme la Parola di Dio:  sarebbe già realizzare un'unità, imperfetta ma reale. Ho incontrato di recente a Milano il cardinale Carlo Maria Martini; mi ha detto:  "Ah, se tutti i cristiani potessero fare una lettura orante della Bibbia!". Noi a Taizé cercheremo ancora, di più, di coinvolgere i giovani nella lettura della Bibbia, aumenteremo i nostri sforzi per spiegargliela, per far loro scoprire il tesoro che contiene. E mi vengono in mente le parole di Geremia nel profetizzare la "nuova alleanza":  voi non avrete più bisogno di insegnarvi reciprocamente, sarà Dio stesso a insegnarvi. Perché Dio insegna a ciascuno.

Nel suo intervento al sinodo, lei ha descritto il clima di fiducia con il quale vengono accolti i giovani a Taizé, le fasi in cui si svolge la liturgia delle ore, il gesto simbolico di mettere la fronte sulla croce appoggiata per terra. E ha auspicato che l'ascolto comunitario delle Scritture possa far parte di più della quotidianità. Cosa manca per rendere reale, in questo campo, l'unità dei cristiani, la riconciliazione, come insegnava frère Roger?

Possiamo certamente fare ancora passi avanti verso l'ecumenismo spirituale. Noi a Taizé accogliamo giovani di tutte le Chiese cristiane, giovani cattolici, protestanti, ortodossi, greco-cattolici che non hanno alcuna difficoltà a incontrarsi tre volte al giorno attorno alla Parola di Dio; tutti possono entrare in un cammino di interiorizzazione attraverso questa preghiera comune o l'ascolto della Parola, il silenzio. Il silenzio, per noi fratelli, è fondamentale:  quando sono in silenzio mi predispongo alla comprensione dell'altro. E io sono là con l'altro davanti a Dio. Attraverso i canti ripetitivi troviamo ulteriori risposte ai nostri interrogativi, preghiamo insieme con le parole delle Scritture poiché spesso i canti contengono parole dei Salmi o della tradizione della Chiesa. Con essi rispondiamo a Dio. Approfondendo giorno dopo giorno l'ecumenismo spirituale prospettato dal cardinale Kasper, la nostra comunità vorrebbe vivere già un'anticipazione dell'unità, imperfetta forse, ma reale.



(©L'Osservatore Romano 3-4 novembre 2008)
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