A colloquio con l'arcivescovo John Hung Shan-chuan, presidente della Conferenza episcopale regionale cinese di Taiwan

Nell'educazione e nell'assistenza
il servizio della Chiesa al Paese


di Nicola Gori

Una piccola minoranza in un Paese a larga maggioranza buddista, confuciana e taoista. Una comunità che deve far fronte alla secolarizzazione e al diffuso benessere, che allontanano le persone dalla pratica religiosa. Una presenza considerevole nel campo della sanità, dell'educazione e dell'assistenza, con quattro università, oltre trenta scuole medie, superiori e tecniche, 195 asili, nove ospedali e altri istituti di cura. È la realtà della Chiesa cattolica a Taiwan, eretta ufficialmente 150 anni fa. Ne abbiamo parlato in un'intervista a "L'Osservatore Romano" con l'arcivescovo di Taipei, monsignor John Hung Shan-chuan, presidente della Conferenza episcopale regionale cinese di Taiwan, in visita "ad limina Apostolorum".

I cattolici a Taiwan rappresentano poco più dell'uno per cento della popolazione. In che modo contribuiscono alla costruzione di una società sempre più giusta e solidale?

La nostra popolazione è di circa 23 milioni di persone, ma solo 300.000 sono cattoliche. A questo numero però dobbiamo aggiungere 100.000 lavoratori emigrati dalle Filippine. Quindi, in definitiva, i cattolici sono circa 400.000.
Dal punto di vista politico il Paese è diviso:  per l'indipendenza o per l'unificazione con la Cina Continentale. Dovrebbe essere il Presidente di Taiwan, con la sua saggezza, a trovare il modo di unire il Paese e fare in modo che le persone abbiano una mentalità comune. Dal punto di vista politico, vi sono due partiti:  il Kuomintang, che proviene dalla madrepatria cinese, e il Partito Progressista, un movimento popolare. Le mentalità sono diverse:  durante le elezioni si verificano molti scontri, e la gente è divisa. In realtà le persone vogliono solo vivere in pace.

Che cosa può fare la Chiesa in questo contesto?

Finora la Chiesa non ha esercitato una forte influenza sul governo. Sebbene quest'ultimo la consideri molto importante, la tratta solo da consulente. Quindi è difficile rispondere a questa domanda. Credo che la riconciliazione ideale dovrebbe giungere dalla religione. Questo concetto dovrebbe essere sostenuto sia dai protestanti sia dai cattolici perché noi cristiani abbiamo quest'idea, crediamo in questo tipo di solidarietà, mentre le altre religioni non si preoccupano di queste cose.

Quali sono le difficoltà che la Chiesa incontra nel portare il messaggio evangelico a una popolazione che in buona parte si dichiara atea o segue religioni come il buddismo e il taoismo?

È difficile diffondere le idee cristiane fra le persone a causa della tradizione religiosa presente nel Paese, che richiede il culto degli antenati. Gli abitanti dell'isola pensano che i cattolici non venerino gli antenati. Questa è una delle difficoltà che la Chiesa cattolica dovrà  superare  a  poco  a  poco, perché anche i cattolici nutrono un certo rispetto per gli antenati e lo incoraggiano.
Secondo la tradizione religiosa cinese le persone non devono recarsi al tempio una volta alla settimana come invece richiede la Chiesa cattolica. I cristiani sono tenuti a plasmare la propria vita sul Vangelo e a osservare i dieci comandamenti. Le altre tradizioni religiose non richiedono tutto questo, pertanto è difficile per i taiwanesi comprendere ciò. Vivono i precetti come un attentato alla propria libertà.
Lo scorso anno, a Taiwan, abbiamo cominciato a celebrare il 150° anniversario dell'evangelizzazione, che commemora il secondo arrivo dei padri domenicani sull'isola. Abbiamo creato un movimento e cerchiamo di battezzare 15.000 persone. Non sono certo che ci riusciremo, ma i segnali positivi ci sono. Stiamo anche cercando di formare volontari che accompagnino i convertiti durante l'anno. Comunque il numero dei battesimi cresce. Crediamo sia un segno di speranza.

La comunità ecclesiale locale è attiva soprattutto nei campi dell'educazione, della sanità e dell'assistenza caritativa. Quali sono le iniziative più significative promosse?

Attualmente, a Taiwan, metà delle organizzazioni sociali sono gestite dalla Chiesa. Abbiamo 50 scuole, università, istituti di istruzione superiore, scuole elementari e materne. Abbiamo 7 ospedali e 100 case di riposo. Ci prendiamo cura anche degli immigrati. I medici che lavorano nei nostri ospedali non sono cattolici, ma forse potremo convertirli in futuro. Nemmeno nei nostri atenei i circa 10.000 professori sono cattolici. Negli istituti di istruzione superiore  è  cattolico  solo  il  5  per cento del corpo docente. Con queste strutture che fanno capo alla Chiesa riusciamo ad offrire un servizio in un Paese non cattolico e questo è un miracolo.

Esiste un'effettiva liberta religiosa e un rapporto di collaborazione con le autorità politiche del Paese?

A Taiwan godiamo di assoluta libertà. Le attività religiose non sono proibite in alcun luogo. Il governo non pone freni, non interferisce con le nostre attività.

Qual è il rapporto con il governo?

I politici amano le grandi folle e quindi quando li invitiamo vengono solo se c'è molta gente. Anche noi siamo contenti se partecipano, perché se vengono loro arrivano anche i mezzi di comunicazione sociale. Comunque i politici partecipano alle manifestazioni di tutte le religioni, non fanno distinzioni.

Qual è lo stato attuale delle vocazioni sacerdotali e in che modo i laici possono offrire un aiuto concreto alla pastorale?

Le vocazioni sono il settore più debole della Chiesa in Taiwan, perché attualmente in 7 diocesi abbiamo solo 14 seminaristi maggiori e 4 di loro sono stranieri, quindi in realtà ne abbiamo solo 10. Dobbiamo reclutare sacerdoti dal Viêt Nam e dall'Indonesia. Una delle difficoltà per far nascere le vocazioni è che i sacerdoti non percepiscono uno stipendio elevato e i taiwanesi invece vogliono uno stipendio cospicuo. Anche lo status sociale dei sacerdoti non è alto. I taiwanesi vogliono che i loro figli divengano medici, professionisti, tecnici, operatori economici, non sacerdoti. Le vocazioni sono dunque poche, ma noi continuiamo a pregare. Quando nelle riunioni dico:  "Chi prega perché il proprio figlio divenga sacerdote, alzi la mano", pochi lo fanno. Invece, quando dico:  "Chi prega perché divengano sacerdoti i figli degli altri, alzi la mano!" sono di più quelli che lo fanno.
Riguardo all'attività dei laici, devo dire che sono molto attivi. Negli scorsi anni, la Chiesa ha cercato di contribuire alla loro educazione. Ora raccogliamo i frutti. Le attività parrocchiali vengono organizzate da laici previa autorizzazione dei sacerdoti e dei vescovi.

Quali sono i rapporti con la comunità cattolica della Cina Continentale e quali le prospettive per il futuro?

Tutti i libri liturgici utilizzati in Cina sono editi a Taiwan. La Cina non li prende da Hong Kong perché il cinese di Hong Kong è diverso dal mandarino, che si usa invece a Taiwan. Inoltre, in Cina sia la comunità cattolica ufficiale sia quella clandestina richiedono i nostri insegnanti e i nostri professori per i loro seminari. Dobbiamo anche far notare che molti sacerdoti a Taiwan provengono dalla Cina e, ogni tanto, vi tornano per far visita ai parenti. A volte aiutano a costruirvi una chiesa. Quindi l'interazione è frequente. Tuttavia sappiamo bene che i sacerdoti, che si recano in Cina provenienti da Taiwan, non possono celebrare la messa apertamente, ma solo segretamente. Solo con la libertà religiosa la Cina potrà aprirsi al resto del mondo.



(©L'Osservatore Romano 12 dicembre 2008)
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