Intervista all'arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, Raphael Cheenath

Nessuna violenza in Orissa
Ma il futuro è incerto


di Alessandro Trentin

Il Natale in Orissa è trascorso senza violenze:  la nascita di Gesù ha portato gioia e pace nella regione epicentro della persecuzione dei fondamentalisti indù contro la comunità cristiana in India. Nei campi profughi, allestiti per accogliere la popolazione in fuga dai villaggi, sono state regolarmente celebrate le messe cui hanno assistito migliaia di persone, senza che accadessero provocazioni da parte degli estremisti. Le celebrazioni sono dunque state rispettate:  un segno di speranza che ora si attende possa concretizzarsi in ulteriori passi verso una pacificazione duratura.
Infatti, nonostante gli appelli della Chiesa alla concordia e i tentativi del Governo di garantire la sicurezza, la comunità cristiana continua a vivere in un clima di paura e di incertezza. In un'intervista al nostro giornale, l'arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, Raphael Cheenath, sottolinea tra l'altro la necessità di un impegno maggiore da parte delle autorità civili nel fermare gli attacchi, tutelando così i diritti delle minoranze stabiliti dalla democrazia che vige nella nazione.

Come avete vissuto il Natale?

Le celebrazioni si sono svolte in un clima di tranquillità. Temevamo possibili provocazioni da parte dei fondamentalisti indù che, con nostra pace, non si sono verificate. Personalmente ho presieduto la messa di mezzanotte nella cattedrale a Bhubaneswar, cui hanno partecipato numerosi fedeli. Contemporaneamente nei quindici villaggi per rifugiati allestiti dal Governo, i sacerdoti hanno svolto le altre celebrazioni, assieme ai fedeli e al personale delle organizzazioni umanitarie. Attualmente sono poco più di undicimila i rifugiati presenti nei campi, ma continuano ad avere paura di fare ritorno nei villaggi perché temono che gli  estremisti indù possano colpire nuovamente. Permane dunque una situazione molto difficile, nonostante il clima  più  sereno di questi giorni di festa.

Secondo Lei si intravede uno spiraglio di riconciliazione?

Certamente il Natale trascorso senza incidenti è un segno di speranza, ma molta strada resta ancora da fare per normalizzare la situazione. La popolazione è ancora sfiduciata:  troppa è stata la violenza nel passato per far di colpo dimenticare. Abbiamo potuto celebrare le messe senza ostacoli, ma nei volti delle persone si leggono ancora i segni della sofferenza. Diciamo che non c'è ancora fiducia piena nell'azione del Governo:  si assiste a una lenta azione nell'affrontare il problema, quasi un'inerzia che rischia di mantenere costante il clima di intolleranza.

Eppure il Governo ha annunciato da tempo di aver predisposto delle misure di sicurezza per la comunità.

Sì, è vero, ma non c'è un piano organico che garantisca una protezione efficace. Nei villaggi sono stati dispiegate le forze dell'ordine che pattugliano costantemente le zone minacciate dai fondamentalisti. La rete di militari ha garantito, tra l'altro, che venissero regolarmente celebrate le messe natalizie. Insomma si sono adottate delle misure, che si sono rivelate efficaci, per il momento attuale; ma quello che ci si aspetta è una incisiva azione duratura di protezione che duri anche in futuro. La gente ha ancora paura e, per questo, continuiamo a chiedere ulteriori interventi.

In particolare cosa si attende da parte del Governo?

La questione principale resta l'individuazione e l'arresto dei colpevoli dell'assassinio dello Swami Laxmananda Saraswati, il leader religioso impegnato contro le conversioni. I fondamentalisti, che accusano i cristiani dell'assassinio, non si placheranno finché non saranno puniti i colpevoli. È diventato il nodo principale:  l'arresto dei colpevoli è quanto viene chiesto da tempo, ecco perché permane questo clima di paura.

Qual è la situazione nei campi per rifugiati?

Sono oltre undicimila le persone ospitate in una quindicina di strutture di ricovero. Esse sono continuamente assistite spiritualmente dai nostri sacerdoti; mentre per i loro bisogni materiali operano anche le squadre di volontari delle organizzazioni umanitarie. La gran parte dei rifugiati preferisce restare nei campi per la paura. Hanno perso case e terreni, ma non pensano di far ritorno nei villaggi fino a che non si sentiranno sicuri.

Cosa si aspetta dal futuro?

C'è incertezza a causa della persistente paura. La gente non si fida ancora degli annunci del Governo, quindi non si intravede per ora una soluzione. Continuiamo comunque con fiducia a sperare che prima o poi in Orissa la comunità cristiana possa ritornare a vivere in  maniera tranquilla.
Tra l'altro, il Governo dell'Orissa - riferisce l'agenzia Uca News - ha promesso di risarcire le famiglie per le violenze, ma le somme proposte inizialmente (5.000 rupie, pari a 250 dollari a nucleo per ricostruire le case), poi raddoppiate, sono giudicate insufficienti.



(©L'Osservatore Romano 27-28 dicembre 2008)
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