A colloquio con il direttore dell'Istituto Stensen che nell'Anno dell'Astronomia ha organizzato un convegno internazionale sullo scienziato pisano

Il «caso Galileo» occasione di dialogo


di Fabio Colagrande

Le celebrazioni del corrente Anno dell'Astronomia, in coincidenza con le prime osservazioni eseguite con il cannocchiale quattrocento anni fa, riportano in evidenza il mito negativo del "Caso Galileo" come simbolo del preteso rifiuto del progresso scientifico da parte della Chiesa. Nonostante Giovanni Paolo II nel 1992 abbia in qualche modo "riabilitato" l'astronomo pisano, riconoscendo che la sua condanna da parte dei giudici dell'Inquisizione fu il frutto di una "tragica incomprensione reciproca", il suo "tormentato" caso non sembra, a oggi, ancora del tutto chiuso. A quattrocento anni di distanza, manca ancora un giudizio storico globale, obiettivo e sereno, che trascenda gli ostacoli ideologici, psicologici ed emotivi, nonché la sterile contrapposizione polemica tra laici e cattolici. In questo contesto si inserisce il Convegno internazionale di studi "Il caso Galileo. Una rilettura storica, filosofica, teologica", in programma a Firenze dal 26 al 30 maggio. Al convegno, che sarà inaugurato nella basilica fiorentina di Santa Croce - dov'è sepolto Galileo - interverranno i massimi esperti e studiosi mondiali del tema. Teologi, storici e filosofi come George Coyne, Evandro Agazzi, Nicola Cabibbo, Claus Arnold, Paolo Prodi, Adriano Prosperi, Annibale Fantoli, Jean-Robert Armogathe, Horst Bredekamp, Michele Ciliberto, Paolo Rossi e Paolo Galluzzi. La Santa Sede è presente nel Comitato istituzionale di questo evento attraverso il Pontificio Consiglio della Cultura, la Pontificia Accademia delle Scienze e la Specola Vaticana.
L'incontro è organizzato dall'Istituto Stensen di Firenze, che ha scelto sin dagli esordi di dedicarsi al dialogo tra culture. Come ricorda Ennio Brovedani, il gesuita che dirige il centro, "Niels Stensen, in italiano Nicolò Stenone (1638-1686), fu un grandissimo anatomista e viene considerato il fondatore delle scienze della Terra. Ancora oggi chiamiamo "dotto di Stenone", il dotto salivare, nell'anatomia dell'orecchio umano. Proprio nel novembre scorso è stato celebrato il ventesimo della sua beatificazione. Agli albori della rivoluzione scientifica, Stenone costituì però soprattutto un interessante esempio di possibile conciliazione tra ricerca scientifica e esperienza religiosa, ragione e fede, scienza e teologia. Perciò ispirandosi alla sua figura, la Fondazione Stensen intende promuovere la ricerca e il dialogo pluridisciplinare e interculturale, nella consapevolezza dell'estrema e, a volte, inedita complessità delle problematiche sollevate dalla ricerca bio-tecno-scientifica contemporanea".

Non è quindi un caso che l'idea di proporre una "rilettura storica, filosofica e teologica del "Caso Galileo"" sia venuta proprio alla Fondazione Stensen. Come nasce questa iniziativa?

Tutti sappiamo quanto la condanna di Galileo abbia pesato e continui tuttora a pesare nel delicato ma essenziale rapporto tra scienza e Magistero ecclesiastico in generale e ricerca bio-tecno-scientifica in particolare. La vicenda galileiana si trascina, con toni alterni, da più di quattro secoli, benché numerosi progressi siano stati compiuti nella corretta contestualizzazione e interpretazione storica del problema e delle sue diverse implicazioni. La proclamazione del 2009 quale Anno dell'Astronomia, da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, diveniva così un'occasione non solo propizia, ma anche opportuna per un riesame del "Caso Galileo" alla luce delle più recenti ricerche storiche, filosofiche e teologiche condotte in proposito e dunque per un convegno internazionale che richiami i massimi esperti del campo.

Crede davvero che i tempi siano maturi per contribuire alla risoluzione di quella che Giovanni Paolo II definì una "tragica reciproca incomprensione"?

Credo di sì e lo dimostra anche il fatto che il nostro convegno abbia ottenuto l'adesione e la partecipazione di ben diciotto autorevoli istituzioni nazionali e internazionali, rappresentative di importanti settori della vita culturale, ecclesiale e scientifica, e tra queste tutte quelle storicamente coinvolte, in maniera diretta o indiretta, nella vicenda galileiana. Per la prima volta dopo quattrocento anni si trovano insieme e costituiscono il comitato istituzionale del nostro convegno. E già questo, oltre al tema scelto per l'incontro scientifico, costituisce un evento rilevante. Ho potuto anche constatare e verificare di persona la reale volontà e il desiderio da parte di tutte le istituzioni aderenti di favorire un rapporto di collaborazione e serenità tra la Chiesa e i centri di ricerca, soprattutto nella prospettiva delle complesse problematiche filosofiche ed etiche sollevate dai rapidi sviluppi della ricerca bio-tecno-scientifica contemporanea. Il congresso affronterà tutti i temi essenziali:  la condanna della dottrina di Copernico nel 1616 e il processo a Galileo del 1633; la genesi del "caso Galilei" nell'Italia, Francia e Inghilterra del Seicento; la storia di quel caso prima nell'Illuminismo e poi nell'Ottocento (nell'età del positivismo e del Risorgimento) e infine nel Novecento, fino a questi nostri giorni.

Ma a quali condizioni può davvero stabilirsi oggi una collaborazione fruttuosa? Quali sforzi devono fare gli scienziati e quale atteggiamento deve coltivare la Chiesa?

Vi sono molti motivi per avere fiducia e essere ottimisti. Da questa secolare incomprensione e conseguente tensione si sono create sufficienti premesse per una costruttiva ed efficace sinergia, con una più chiara consapevolezza dei reciproci ruoli e compiti. La vicenda galileiana, infatti, ha costituito anche un importante fattore di sviluppo delle riflessioni metodologiche sulla natura e le relazioni tra i diversi saperi elaborati dalla ricerca umana. Da parte della scienza vi è una maggiore consapevolezza dei limiti metodologici della ragione scientifica, che non esaurisce da sola l'orizzonte e le esigenze della conoscenza umana, e soprattutto della dimensione e delle implicazioni etiche della ricerca bio-tecno-scientifica. La Chiesa, da parte sua, riconosce con chiarezza il valore della scienza. Ne sono prova le numerose allocuzioni pronunciate in questi ultimi vent'anni in proposito. Memore dell'esperienza conflittuale del passato e preoccupata di una possibile crisi di legittimazione e di significato che potrebbe pervadere la cultura scientifica contemporanea, mi sembra che la Chiesa intenda promuovere la ricerca bio-tecno-scientifica nella sua purezza ideale di ricerca della verità e soprattutto incentivare una politica della scienza che trasformi il potenziale tecnologico in strumento di promozione umana e sociale. Il "primato dell'etica sulla tecnica" - in senso propositivo e orientativo, e nel rispetto di una gerarchia di valori - resta per la Chiesa l'imperativo dominante e il principio fondante di ogni politica della scienza preoccupata di elaborare una cultura a servizio della promozione umana. L'umanità, come spesso ripeteva Giovanni Paolo II, deve attuare un "rivolgimento morale" affinché "nel trinomio scienza - tecnologia - coscienza sia servita la causa del vero bene dell'uomo".

Nel Magistero di Benedetto XVI uno dei punti fermi è la necessità di un dialogo sempre più profondo tra ragione e fede. Perché questa sfida è oggi così centrale? E su quali aspetti, secondo lei, questo confronto si farà più acceso nei prossimi anni?

Il dialogo tra ragione e fede rimane imprescindibile. Il progredire delle conoscenze in tutti gli ambiti di ricerca contribuirà a precisarne sempre di più la natura, le condizioni e le frontiere. Nei sempre più frequenti incontri con persone non credenti spesso sottolineo che "credo perché penso" e che il conseguente fatto di "credere" arricchisce il mio pensiero. A maggior ragione il dialogo tra ragione e fede è essenziale per impostare e affrontare i complessi problemi filosofici, etici e umani sollevati dalle prospettive della ricerca bio-tecno-scientifica. Per la ragione moderna, infatti, abituata a distinguere "diversi ordini di conoscenze", la condanna di Galilei rappresenta indubbiamente una tragedia, in considerazione soprattutto delle profonde lacerazioni che ha generato in molte coscienze. L'errore commesso dai giudici di Galilei è da tempo unanimemente riconosciuto:  essi hanno giudicato il sistema astronomico di Copernico, ossia una teoria cosmologica, "erroneo nella fede". Oggi però si corre anche il rischio opposto di considerare "erronea nella scienza" una dottrina di fede. Per questo il dialogo tra ragione e fede deve continuare.



(©L'Osservatore Romano 31 gennaio 2009)
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