A colloquio con monsignor Giorgio Caniato

Vicino ai carcerati
reclusi nell'«altra città»


di Paolo Brocato

"La civiltà di una nazione si misura anche dalla dignità della pena detentiva. Quando le condizioni nelle carceri e negli istituti di pena sono disumane e disumanizzanti, tali cioè da non indurre il processo di riconquista del senso di un valore e di accettazione delle corrispondenti responsabilità, le istituzioni falliscono nel raggiungere i loro scopi essenziali". A parlare è monsignor Giorgio Caniato, ispettore generale dei cappellani italiani del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della giustizia minorile. Mentre lo intervistiamo, nel suo ufficio romano alle falde del Gianicolo, là fuori c'è chi intrattiene un altro tipo di colloquio con gli "abitanti dell'altra città", i detenuti del vicino carcere di Regina Coeli. Ogni giorno, a sera, quelle grida, quel canto disperato tra i familiari e i detenuti, tagliano l'aria. Quelle voci esprimono attese e speranze, ma anche angosce e disperazione. "La pastorale dei carcerati è difficile. Lo è - sottolinea monsignor Caniato - per la situazione delle persone, i carcerati, la polizia carceraria e per la situazione dell'ambiente, il carcere stesso che, specialmente oggi, registra, anche a causa del sovraffollamento, disagi, difficoltà talvolta al limite dell'indicibile".
Troppo spesso, purtroppo, il carcere si trasforma in un luogo di violenza assimilabile a quegli ambienti dai quali i detenuti non di rado provengono. Ciò, è evidente, vanifica ogni intento riabilitativo ed educativo delle misure detentive. "Queste complesse tematiche - osserva il responsabile della pastorale penitenziaria in Italia - sono state affrontate più volte nel corso della storia e non pochi progressi sono stati realizzati nella linea dell'adeguamento del sistema penale sia alla dignità della persona umana sia all'effettiva garanzia del mantenimento dell'ordine pubblico. Ma i disagi, le fatiche vissute nel complesso mondo della giustizia e, ancor più, la sofferenza che proviene dalle carceri testimoniano che ancora molto resta da fare. In molti Paesi del mondo le carceri sono assai affollate. Ve ne sono alcune fornite di qualche comodità, ma in altre le condizioni di vita sono precarie, per non dire indegne dell'essere umano. I dati sono sotto gli occhi di tutti e ci dicono che questa forma punitiva in genere riesce solo in parte a far fronte al fenomeno della delinquenza. Anzi, in vari casi, i problemi che crea sembrano maggiori di quelli che tenta di risolvere".
Monsignor Caniato, nel ricordare una sua inchiesta negli istituti penitenziari di vari Paesi, ribadisce il "forte appello che giunge dalle innumerevoli carceri disseminate nel mondo, dove sono segregati milioni di nostri fratelli e sorelle. Essi reclamano soprattutto un adeguamento delle strutture carcerarie e a volte anche una revisione della legislazione penale. Dovrebbero essere finalmente cancellate dalla legislazione degli Stati le norme contrarie alla dignità e ai fondamentali diritti dell'uomo, come pure le leggi che ostacolano l'esercizio della libertà religiosa per i detenuti". Occorrerà anche rivedere - aggiunge - i regolamenti carcerari che non prestano "sufficiente attenzione ai malati gravi e a quelli terminali; ugualmente si dovranno potenziare le istituzioni preposte alla tutela legale dei più poveri".
Ma anche nelle circostanze in cui la legislazione è soddisfacente, molte sofferenze derivano ai detenuti da altri fattori concreti:  "Basti pensare in particolare - ricorda - alle condizioni precarie dei luoghi di detenzione in cui i carcerati sono costretti a vivere, come pure alle vessazioni inflitte talvolta ai detenuti per discriminazioni dovute a motivi etnici, sociali, economici, sessuali, politici e religiosi".
Altre difficoltà sono patite dai reclusi per poter mantenere regolari contatti con la famiglia e con i propri cari, e gravi carenze spesso si riscontrano nelle strutture che "dovrebbero agevolare chi esce dal carcere, accompagnandolo nel suo nuovo inserimento sociale.
"Dal Giubileo nelle carceri del 2000 - ricorda monsignor Caniato - c'è stato un risveglio e una presa di maggior coscienza anche da parte dei vescovi italiani. Di grandissimo valore il messaggio del 9 luglio 200o, così intensamente desiderato dai cappellani, del compianto Giovanni Paolo II. Il messaggio fu inviato non solo alla Chiesa universale ma anche ai capi di Stato. Sono aumentate così le presenze significative dei vescovi in visita alle carceri e l'insegnamento espresso in molti scritti e discorsi. Sono sorte nuove iniziative di aiuto sia dentro che fuori il carcere. C'è stata una maggiore attenzione alla pastorale penitenziaria, riconosciuta dalla Conferenza episcopale italiana come pastorale specifica di cui sono responsabili i vescovi che mandano e delegano i cappellani delle carceri a livello diocesano e l'ispettore generale dei cappellani a livello nazionale.
"Pastorale - sottolinea monsignor Caniato - significa l'azione della Chiesa in tutti i suoi membri per la realizzazione del suo essere e della sua missione che è l'evangelizzazione. "Andate in tutto il mondo" ha detto Gesù. Egli vuole salvi tutti gli uomini. Il termine "penitenziaria" - per chi non è dell'ambiente, può far pensare alla penitenza, al sacramento della confessione - si riferisce ai penitenziari o carceri, cioè al mondo della giustizia penale, al potere giudiziario dello Stato, di cui il carcere è una parte integrante.
"Sì, perché anche in carcere - dice monsignor Caniato - la pastorale è una sola e si rivolge a tutte le persone ospiti, detenuti e operatori penitenziari. Naturalmente si deve adattare alla struttura carceraria, a ogni singola persona, che non sono solo i detenuti e che può essere cattolica, cristiana, atea, musulmana, buddista, italiana, comunitaria, straniera e nella sua condizione di detenuto o di operatore".
Ci si può chiedere:  come la Chiesa, e quale suo tramite il cappellano in carcere, può rivolgersi ai detenuti cattolici sostenendo tuttavia anche tutti i detenuti?
"La pastorale in carcere o evangelizzazione, deve seguire ciò che Cristo ha fatto. Gesù - conclude monsignor Caniato - ha accostato tutti gli uomini, parlando, operando anche miracoli, senza chiedere nulla:  così la Chiesa, i cappellani, i volontari cristiani, gli operatori cristiani del carcere, per esigenza intrinseca del loro essere cristiani e mandati a evangelizzare devono accostare tutti, senza distinzione di nessun tipo:  sono disponibili per tutti quelli che li cercano. I cappellani però non sono assistenti sociali, sono evangelizzatori inviati dal primo Pastore".



(©L'Osservatore Romano 20 agosto 2009)
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