Intervista con il curatore della Liturgia delle ore per l'Africa

Il Kenya, i laici
e la preghiera


di Marco Bellizi

I laici sono la speranza dell'Africa. A loro è affidato il compito di condurre questa terra allo sviluppo troppe volte annunciato e non praticato. La formazione del laicato diventa così tema essenziale nei programmi pastorali della Chiesa cattolica in tutti i Paesi del continente. Ma è chiaro che l'Africa deve poter contare su risorse proprie. In campo economico, certamente. Ma anche nella vita ecclesiale. In Kenya è stato portato a termine un progetto importante, quello della realizzazione della Liturgia delle ore pensata proprio, oltre che per quella comunità, per l'intero continente. L'opera è stata presentata al Papa che ne ha fatto dono ai padri sinodali. Ne parla a "L'Osservatore Romano" il comboniano padre Rinaldo Ronzani, che ha curato la realizzazione della Liturgia delle ore.

Come è nata questa iniziativa?

Cinque anni fa i vescovi dell'Association of Members Episcopal Conferences of Africa hanno pensato che fosse venuto il momento di offrire ai loro diaconi, ai sacerdoti e anche ai fedeli una liturgia delle ore che fosse aggiornata e che fosse anche economicamente accessibile. Finora l'Africa ha sempre comprato tutti i libri liturgici dall'estero, quindi o dagli Stati Uniti o dall'Inghilterra, a prezzi per loro esorbitanti. Dell'idea si è poi fatto carico l'allora nunzio in Kenya, l'arcivescovo Giovanni Tonucci. Io ero in una missione e sono stato chiamato a dirigere questa operazione. Poi abbiamo lavorato negli ultimi quattro anni con l'aiuto di varie conferenze episcopali, per esempio quella degli Stati Uniti, che ci ha fornito tutti i testi biblici gratuitamente, la Commissione internazionale per l'inglese nella liturgia, che ci ha fornito, sempre gratuitamente, tutti i testi liturgici, il Grail-Gia, che ci ha fornito la traduzione, appena rivista, dei salmi, e la Conferenza episcopale italiana, che, grazie ai fondi dell'8 per mille ha pagato le prime 10.000 copie di ogni volume, quindi in totale 40.000 copie stampate. Il costo perciò è accessibile:  i quattro volumi costano 100 dollari, circa 80 euro, il volumetto intermedio 20 euro e quello piccolo 5 euro. L'opera è in due colori, seguendo sostanzialmente l'edizione latina. Si presenta molto bene. La grafica è stata curata da un giovane del Kenya. Suor Teresa Marcazzan, che è la direttrice del Paolines Distribution Centre di Nairobi ha curato la distribuzione, e dal punto di vista del contenuto tutto è stato fatto a Nairobi. La stampa invece è stata fatta in Italia, perché non c'è in Africa nessuna tipografia che possa fare volumi del genere, che richiedono un tipo particolare di carta.

Quale è la motivazione di fondo che ha spinto a un breviario per l'Africa?

La nostra idea di fondo era di avere un'edizione aggiornata. Durante il pontificato di Giovanni Paolo II sono stati inseriti diversi santi nel calendario generale e purtroppo nel mondo inglese non ci si è adeguati. Mi vengono in mente padre Pio, l'africana Bakita, la memoria del Sacro nome di Maria. La novità è rappresentata dai santi africani:  per la prima volta c'è un libro liturgico che è fatto completamente in Africa - è il primo esperimento che facciamo - con il calendario dei santi africani, sia pure per il momento valido solo per il Kenya. Nel calendario abbiamo però cercato di mettere cristiani laici, religiosi, sacerdoti, vescovi, per far vedere come la chiamata alla santità è per tutta la Chiesa. Abbiamo introdotto santi moderni, degli ultimi cento anni, e anche santi dei primi secoli che non sono conosciuti:  abbiamo avuto santi missionari che dal nord Africa hanno portato la fede in Europa e i santi che dall'Europa hanno portato la fede in Africa, per esempio san Zeno di Verona e Adriano di Canterbury, nordafricani; Giustino de Jacobis, italiano che ha lavorato in Eritrea, del quale hanno scoperto la nazionalità solo quando è morto, oltre ovviamente a Daniele Comboni. Abbiamo inserito alcune feste mariane, come Maria madre dell'Africa. Il 6 novembre c'è la festa di tutti i santi dell'Africa. Adesso i cristiani possono sentire la Chiesa più vicina, in questo richiamo alla santità. Abbiamo voluto che non ci fosse solo la preghiera del clero o dei monaci ma che fosse la preghiera di tutta la comunità cristiana, sviluppando così le indicazioni del concilio Vaticano ii.

Che frutti si spera di avere?

Come esperienza personale, posso dire di avere imparato a gustare i salmi in Africa. Il linguaggio dei salmi può a volte sembrare a noi occidentali un po' distante, fa riferimento a situazioni, circostanze diverse dalla nostra vita quotidiana. In Africa, soprattutto nella realtà rurale, i salmi si possono gustare pienamente, perché ci si accorge di come parlino concretamente dell'esperienza umana come un'esperienza di grazia, di incontro con Dio. Ricordo un episodio personale:  mentre tornavo nella mia missione, dopo la visita ad alcuni cristiani, in Africa, cominciai ad avvertire i primi sintomi della malaria. Avevo già la febbre. E sentivo una grande sete, una sete che si può avvertire solo in quelle circostanze. Ho capito in quella circostanza cosa vuole dire veramente, per quelle popolazioni, avere sete. Lo stesso quando si parla di terra inospitale. Quando non piove da anni e ci sono solo crepe e polvere, ci si rende conto veramente di cosa significhi anche il confronto con la natura, con il ritmo del giorno e della notte. E al tempo stesso si è in grado di capire la grande religiosità che si avverte in Africa, questo legame con Dio che è molto bello e che viene espresso continuamente nei salmi. Un africano non fa niente senza prima pregare. L'africano sa meglio di altri che quello che sta per mangiare è veramente un dono di Dio. È la presenza fedele di Dio nella storia:  e si noti che anche nelle difficoltà l'africano non dice mai "è colpa di Dio" ma si assume le sue responsabilità, il che è di per sé un segno di speranza.

In questo contesto di indubbie e persistenti difficoltà nel continente quale ruolo va riservato alla preghiera?

Anche alla luce del tema del sinodo, la preghiera dei salmi può aiutare. Si pensi ai salmi di supplica:  nella bocca di un africano non sono parole artificiali ma sono l'espressione di una realtà sofferta dove si chiede a Dio veramente di intervenire. Allo stesso tempo la comunità che si raccoglie per pregare o anche il singolo proclama che Dio è il re, non il denaro, né il potere. Dobbiamo orientare le persone, secondo me, a pregare con le scritture; la preghiera della liturgia delle ore è una preghiera sostanzialmente biblica. Adesso l'idea è di fare dei messalini:  ci hanno detto per l'aprile del prossimo anno il messale in inglese dovrebbe essere approvato, quindi l'idea è di vedere quali testi biblici usare per il lezionario e continuare con questi progetti per rendere l'Africa un po' più autonoma. Siamo molto riconoscenti nei confronti di tutti quelli che ci hanno aiutato:  l'Italia, gli Stati Uniti, perché rendono possibile all'Africa fare un passo avanti. È un esempio che le cose si possono fare.

Lei opera da anni in Kenya. I vescovi negli ultimi tempi hanno lanciato diversi allarmi sulla condizione economica e sociale del Paese. Condivide queste preoccupazioni?

Il tentativo di trovare un compromesso fra le fazioni politiche, in occasione delle ultime elezioni ha avuto effetti contrari alle intenzioni. Il grande problema è la corruzione, a tutti i livelli. In Kenya ci sono 40 ministri, guadagnano circa 10.000 euro al mese. La classe media, un infermiere, un poliziotto, un maestro, prende l'equivalente di 150-200 euro. Non c'è la classe media, in pratica. In questi ultimi due anni l'inflazione è salita di circa il 30%. Tutto costa, i prezzi sono raddoppiati. È qui che la corruzione prospera. Non c'è una visione comune. Il tribalismo è ancora molto forte. In questo contesto l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa diventa fondamentale. Se abbiamo una dicotomia profonda fra l'esperienza di fede e la vita civile non riusciremo mai a uscire da questa situazione.

Quali sono le linee di intervento della Chiesa in Kenya?

Alcuni vescovi credono che sia importante superare l'impostazione tribale che non consente di perseguire il bene comune. E quindi spingono sul fattore culturale. L'assistenzialismo - ritengono - deve agire solo a livello di emergenza. Si tenga conto che la grande parte delle istituzioni educative è in mano alla Chiesa cattolica. C'è un grande fermento di movimenti religiosi, ma questi si presentano divisi e non si impegnano nel sociale. C'è un tipo di spiritualismo che arriva a fare credere alla gente di meritare la condizione in cui si trova, un'impostazione di tipo protestante che non aiuta lo sviluppo. Invece noi abbiamo molte riviste, c'è un'emittente radiofonica che è collegata con Radio Vaticana, c'è anche un'agenzia di informazione cattolica, il Catholic Information Service for Africa, l'idea sarebbe anche quella di avere una televisione. Senza questi strumenti ormai non si fa più nulla. Bisogna anche stimolare a progettare il futuro, con un ritmo diverso da quello di adesso. Ce la faremo perché i giovani sono promettenti. Il laicato secondo me è la risorsa decisiva. Senza laici formati adeguatamente non c'è possibilità di riuscita e non potranno venire fuori, inevitabilmente, neanche i sacerdoti.



(©L'Osservatore Romano 15 ottobre 2009)
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