A colloquio con Fiorenzo Magni, vincitore di tre Giri d'Italia e presidente della Fondazione Museo del ciclismo Madonna del Ghisallo

Con la camera d'aria stretta tra i denti


di Giovanni Zavatta

Si sono da poco concluse le celebrazioni per il sessantesimo anniversario della proclamazione della Madonna del Ghisallo a "precipua patrona celeste" dei corridori ciclisti italiani, stabilita da Pio xii, con lettera apostolica, il 13 ottobre 1949. Da allora il santuario che custodisce l'antica immagine della Vergine con il Bambino, la "Madonna del latte", è divenuto meta di ciclisti e cicloamatori che, al termine di ripidi tornanti, raggiungono la cima del colle del Ghisallo, nel comune di Magreglio, in provincia di Como. L'indimenticato campione Fiorenzo Magni, vincitore fra l'altro di tre Giri d'Italia e di tre Giri delle Fiandre, è il presidente della Fondazione Museo del ciclismo Madonna del Ghisallo. Con lui ripercorriamo le principali tappe di questi anni, carichi di memorie legate allo sport e alla fede.

Cominciamo dalla fine, dalla staffetta ciclistica partita da piazza San Pietro il 30 settembre scorso, dopo la benedizione della fiaccola votiva da parte di Benedetto XVI, e giunta quattro giorni dopo al santuario. Una rievocazione della famosa staffetta che, dal 13 al 17 ottobre 1948, condusse al Ghisallo la lampada votiva accesa da Pio XII a Castel Gandolfo e che da allora arde nel santuario.  Tra  i  tedofori c'era Coppi, c'era Bartali, c'era naturalmente anche lei. Cosa ricorda di quei giorni?

Un'enorme emozione. Per una persona dalla fede profonda, come me, devota a Maria, come lo erano i miei genitori e i miei nonni, quella staffetta aveva un significato molto importante. Quell'avvenimento aprì la strada per il futuro anche sportivo. Da quando Pio XII, un grande Papa, proclamò la Madonna del Ghisallo patrona di tutti i corridori, il santuario è stato meta di pellegrinaggi da parte di ciclisti provenienti da tutto il mondo.

Un altro Papa, Giovanni Paolo II, accolse, il 13 maggio 2000, una delegazione di corridori che gli donò una copia della fiaccola. Un incontro, da lei promosso, che è rimasto nella memoria di tutti i partecipanti.

La staffetta del 13 maggio 2000, con partenza dal santuario di Magreglio e arrivo in Vaticano, è per me un ricordo particolarmente caro. Facemmo tappa a Milano, a Bologna, a Firenze. Sono orgoglioso di aver donato personalmente la fiaccola a Giovanni Paolo II, durante un'udienza speciale insieme con dirigenti e giornalisti de "La Gazzetta dello Sport" e non solo. Quando il Papa accese la fiaccola, fu per me un momento di grandissima emozione.

Del 14 ottobre 2006 è l'inaugurazione del museo del ciclismo adiacente al santuario, reso necessario per ospitare i cimeli donati dai campioni del pedale, tanto numerosi da non trovare più posto nella piccola chiesa. L'ultima pietra, una lastra di marmo con la scritta Omnia vincit amor, fu benedetta dal Papa alcuni mesi prima, al termine di un'udienza generale. Un museo da lei fortemente voluto. Ce ne può parlare?

Gli avvenimenti succedutisi negli anni mi avevano convinto della necessità che sorgesse un museo dedicato al ciclismo e che sorgesse proprio accanto al santuario. La partecipazione, il supporto e il contributo generoso di tanti amici hanno reso possibile la realizzazione di questo mio sogno:  da "La Gazzetta dello Sport" alla Regione Lombardia e tanti, tanti generosissimi sostenitori che hanno creduto nel progetto. Oggi posso dire di essere estremamente soddisfatto del museo, considerato da stampa e addetti ai lavori il più importante per il ciclismo. Custodisce la "memoria" di questo sport ed è meta di visite guidate di tanti appassionati ma anche di giovani e scolaresche. Tra i progetti, c'è quello di allestire una sezione fotografica con le immagini che ritraggono i campioni del ciclismo, di ieri e di oggi, assieme ai Pontefici.

Quali sono i cimeli votivi più famosi ospitati nella chiesa e nel museo? E quali oggetti, da lei donati, sono legati a una sua particolare vittoria o evento agonistico?

È difficile scegliere, tra i numerosissimi cimeli esposti, quelli più significativi. Potrei citare le biciclette di Bartali al Tour de France del 1938 e del 1948, quella con cui Coppi realizzò il record dell'ora al velodromo "Vigorelli" di Milano nel 1942, o quella del record dell'ora di Moser a Città del Messico nel 1984. C'è poi la bicicletta di Eddy Merckx primo al mondiale di Montreal nel 1974 e la maglia gialla di Marco Pantani al Tour del 1998. Per quanto mi riguarda, tra gli oggetti esposti, posso ricordare le maglie rosa con cui vinsi il Giro d'Italia nel 1948, nel 1951 e nel 1955, e la maglia gialla indossata al Tour del 1950 prima di essere costretto al ritiro, assieme a tutta la squadra italiana, per protesta contro l'aggressione a Bartali sul col d'Aspin da parte di alcuni spettatori francesi.

Da don Ermelindo Viganò, "regista" della proclamazione della Madonna del Ghisallo a patrona dei ciclisti, a don Luigi Farina. I rettori del santuario hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nel custodire il tesoro di questa spiritualità.

Un ricordo affettuoso e riconoscente va a don Ermelindo Viganò, artefice della valorizzazione del santuario, al suo impegno perché la Madonna del Ghisallo venisse proclamata ufficialmente patrona dei ciclisti. Era convinto che il santuario prima e il museo poi avrebbero fatto del bene al mondo del ciclismo e avrebbero potuto tener viva la devozione alla Madonna. Oggi c'è un buon rapporto con don Luigi Farina che non manca di presenziare agli incontri che periodicamente il museo organizza per appassionati ed esperti del settore.

Dici Ghisallo e pensi al Giro di Lombardia e al Giro d'Italia. Un'ascesa con pendenze anche del 14 per cento, che ha sempre fatto selezione. È nei momenti più duri di questa solitaria fatica che dal cuore sgorga una richiesta di aiuto, una preghiera. Ci può raccontare qualcosa di questa salita?

Salire sul colle del Ghisallo è davvero molto impegnativo. Quando si vede il profilo della chiesetta e, oggi, del museo, si prova un grande sollievo. Soprattutto per chi, come me, non è mai stato uno scalatore, il sollievo è grande. Ricordo che affidarmi alla protezione di Maria mi fu di grande conforto anche in uno dei momenti più difficili della mia carriera sportiva, quando in seguito a una brutta caduta durante il Giro del 1956, mi fratturai la clavicola sinistra. I medici mi sconsigliarono di proseguire ma io decisi di provare a continuare. Il mio meccanico mi costruì quel marchingegno che si vede nelle foto d'epoca:  la camera d'aria di un tubolare che io stringevo coi denti, non potendo fare forza sul manubrio, con la mano sinistra. Purtroppo durante la tappa seguente caddi ancora, persi conoscenza per il dolore e mi risvegliai sull'ambulanza, appena in tempo per scendere e decidere di portare a termine la tappa, nonostante tutto. Quello è il Giro della famigerata tappa del Bondone, caratterizzata da freddo intensissimo, neve e condizioni impossibili. Riuscii a portare a termine la tappa. Moltissimi si ritirarono, semiassiderati, compresa la maglia rosa Fornara. Arrivai terzo, e secondo in classifica generale, dietro a Charly Gaul, alla fine di quello che sarebbe stato il mio ultimo Giro d'Italia, all'età di 36 anni. Esami successivi accertarono che si era fratturato anche l'omero. In quel momento, come sempre nei momenti difficili della mia carriera e della mia intera esistenza, la preghiera mi è stata di grande sostegno e conforto.



(©L'Osservatore Romano 29 novembre 2009)
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