A colloquio con l'arcivescovo Fortunato Baldelli, penitenziere maggiore

Meno senso di colpa
e più senso del peccato


di Nicola Gori

Diminuire nei fedeli il senso di colpa e far riscoprire il senso del peccato. Sensibilizzare le coscienze nei confronti degli aspetti sociali di una condotta non conforme ai valori evangelici. Far prendere coscienza all'uomo di oggi della sua enorme responsabilità verso quelli che saranno i suoi discendenti sul pianeta. Garantire loro una vita dignitosa e possibilmente migliore dell'attuale, evitando di compiere azioni improntate all'egoismo e al disprezzo delle leggi divine che possano compromettere l'integrità e l'armonia del tessuto sociale. Sono alcuni degli obiettivi che la Penitenzieria Apostolica si propone di raggiungere nel prossimo futuro attraverso varie iniziative. Ne abbiamo parlato con l'arcivescovo Fortunato Baldelli, penitenziere maggiore, in quest'intervista al nostro giornale.

Da qualche mese lei è alla guida della Penitenzieria Apostolica. Quali progetti e impegni avete per l'anno in corso?

I progetti della Penitenzieria Apostolica non sono pochi né di poco conto. Tra questi spicca il corso sul foro interno, giunto alla ventunesima edizione, che si sta svolgendo in questi giorni,  alla  luce  di  quanto  Benedetto XVI ebbe a dire il 16 marzo 2007 ai partecipanti a quel corso:  "Oggi pare che si sia perso il "senso del peccato", ma in compenso sono aumentati i "complessi di colpa"". La sollecitudine di questo dicastero è far riscoprire il senso del peccato e ridurre i complessi di colpa, e di mettere al contempo in rilievo gli aspetti sociali di tale risposta che non possono che contribuire a rapporti più sereni e fecondi. Il che avrà luogo attraverso una seria presa di coscienza della nostra condotta troppo superficiale e simultaneamente attraverso la riscoperta del volto misericordioso di Dio. È il duplice obiettivo che la Penitenzieria Apostolica si propone con le sue iniziative. Tra queste iniziative, di grande respiro, è il secondo Simposio a fine anno - dal 4 al 5 novembre - sul tema "La Penitenzieria tra il primo e il secondo millennio", dopo il primo incontro internazionale, celebrato nel gennaio dello scorso anno intorno ai percorsi storici, giuridici, teologi e alle prospettive pastorali.

Il tema del messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima è:  "La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo". Qual è secondo lei il senso di questo testo paolino?

La giustizia, di cui parla Paolo, sulla quale il Santo Padre ci invita a riflettere in occasione della Quaresima di quest'anno, non è quella retributiva, proporzionata alle opere umane, ma quella che viene concessa gratuitamente a tutti i credenti, senza differenze di statuti etnico-religiosi. La giustizia o meglio la giustificazione non dipende dalle opere dell'uomo, ma dalla morte di Cristo, alla quale corrispondiamo con la nostra fede. Evento-Cristo e fede, come accoglimento:  questi i due momenti attraverso cui si realizza la nostra giustizia. Dunque, si tratta di una giustizia unica nel suo genere, priva di confronti, perché tutta favorevole al peccatore, e dunque estranea ai presupposti delle comuni categorie umane. Questa giustizia non è da attendere, perché si è già "manifestata" in Cristo. Occorre solo disporci a farci lavare da questo sangue che sgorga dalla Croce.

Ha senso parlare di penitenza all'uomo di oggi o parlare di digiuno nel periodo quaresimale? Cosa differenzia quest'ultimo dalla dieta così di moda?

Il digiuno quaresimale è per il potenziamento dello spirito, mentre la dieta è per lo snellimento del corpo. Sono due prospettive, una interiore e una esteriore, una riguarda il nostro rapporto con Dio, l'altra riguarda l'immagine che vogliamo lasciare negli altri. Non è arduo cogliere l'asimmetria tra il digiuno quaresimale e la dieta dimagrante.

Di fronte al dilagare dell'edonismo e dell'egoismo, cosa può indicare un confessore per far crescere nelle coscienze l'attenzione ai bisogni degli altri?

L'edonismo è un modo di interpretare la vita, senza profondità, e l'egoismo una chiusura di sé in sé, senza luce e senza futuro. Il confessore ha il compito di aprire le coscienze e di renderle partecipi delle necessità del prossimo, cercando di fare capire che chi dà non si impoverisce, ma si arricchisce. Resta vero che "si riceve donando". È questa la grande esperienza che il penitente è chiamato a fare sotto la guida illuminata del confessore.

La necessità di dare un'anima etica all'economia è stata più volte raccomandata dal Papa. Quali penitenze dovrebbe fare chi si macchia di peccati che danneggiano i beni comuni dei cittadini?

Dare un'anima etica all'economia è ormai un precetto per tutti. Le conseguenze disastrose di un'economia che persegue il puro profitto sono davvero devastanti. Quanti non favoriscono il bene comune e non operano per incrementarlo, più che ricevere delle particolari penitenze, devono essere indotti a rendersi conto dell'impoverimento della propria coscienza morale e insieme della vita civile che causano e quindi della distorsione dei rapporti sociali che provocano. Qui il problema è il cambio di prospettiva o, meglio, di un'autentica "metanoia" o mutamento del modo di leggere la realtà. È questa la grande penitenza a cui occorre sottoporre chi lascia cadere l'invito del Papa a porre l'economia sui binari del bene comune.

Vi è una maggiore sensibilità tra i fedeli nei confronti dei peccati sociali:  evasione delle tasse, frodi, truffe sul lavoro, inquinamento colpevole dell'ambiente. Secondo lei ciò avviene a scapito dell'attenzione rivolta ai peccati individuali?

La particolare sensibilità per i cosiddetti peccati sociali è indice di un cambio di sensibilità e dunque una crescita di responsabilità. Il che non significa che ci sia minore attenzione per i peccati cosiddetti tradizionali. Si tratta invece di una interpretazione di questi in chiave sociale. Infatti, i peccati hanno sempre delle conseguenze che vanno oltre il circuito della nostra esistenza individuale. Oggi la vita privata è giudicata in questo nuovo registro, e ciò in rapporto ai riflessi sulla vita degli altri o in genere, in relazione al pianeta. Il grande dovere che incombe su tutti è che occorre vivere in modo da garantire a quanti vengono dopo di noi una vita dignitosa e possibilmente più ricca di possibilità della nostra. Questo sguardo al futuro sta penetrando lentamente nel cuore dei cristiani.

Si celebra l'Anno sacerdotale, occasione per riscoprire l'importanza del sacramento della confessione. Quanto tempo ed energie dovrebbero dedicare i preti alla confessione?

L'Anno sacerdotale è propizio per l'approfondimento del sacramento della penitenza. In realtà, l'obiettivo primario che occorre perseguire è la consapevolezza che chi vive in pace con Dio vive in pace con se stesso e con gli altri. Il sacramento della penitenza riguarda questo aspetto profondo del nostro essere, in grado di assicurare questa pace o quiete spirituale, quale premessa per una vita personale e sociale fruttuosa e produttiva. Rimane alla solerzia del pastore, nelle molteplici sollecitazioni ministeriali, dare un tempo privilegiato al confessionale. Dopo l'Eucaristia, questo è l'obbligo prioritario del sacerdote e la consolazione più  alta che possa avere e donare.



(©L'Osservatore Romano 11 marzo 2010)
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