A colloquio con don Enrico dal Covolo, rettore magnifico della Pontificia Università Lateranense

Un insegnamento della teologia
al passo con i tempi


di Nicola Gori

È necessario un rinnovamento della teologia perché possa restare al passo con i tempi. Le tre encicliche del pontificato di Papa Ratzinger, il disegno sistematico e unitario delle catechesi del mercoledì, opere fondamentali come il Gesù di Nazaret "costituiscono una messe abbondante, di cui oggi la teologia deve fare tesoro, se vuol essere teologia autentica, cioè capace di confrontarsi con le sfide del momento presente". Ne è convinto don Enrico dal Covolo, sacerdote, docente di letteratura cristiana antica greca, già vice rettore della Pontificia Università Salesiana, poi postulatore della famiglia religiosa fondata da don Bosco e adesso rettore magnifico della Pontificia Università Lateranense, l'ateneo del Papa per antonomasia. Di tutto questo il nuovo rettore ha parlato raccontando, nell'intervista al nostro giornale, il suo percorso di vita sacerdotale e di studioso.

La Pontificia Università Lateranense è frequentata da studenti provenienti da ogni continente, e rispe
cchia l'universalità della Chiesa. Cosa la caratterizza?


Conviene partire da alcune cifre, di per sé eloquenti. Al termine dell'anno accademico 2009-2010 gli studenti iscritti al Laterano sono 4.146, provenienti 338 dall'Africa, 172 dall'Asia; 3.051 dalla Comunità europea, 231 da altri paesi; 51 dal Nord America, 295 dal Sud America, 8 dall'Oceania. Di questi, poco meno della metà sono sacerdoti, religiosi e seminaristi. Per statuto, la Lateranense è a titolo privilegiato l'università del Papa - come recita l'articolo 1 - e intrattiene un rapporto del tutto peculiare con la Sede Apostolica:  ne è infatti un ente collegato. Di conseguenza, il progetto educativo, caratteristico di ogni università Pontificia, risulta in questo caso ancora più mirato ed esplicito. La formazione umana, cristiana, ecclesiale di ogni studente - con particolare attenzione ai sacerdoti, ai consacrati e ai seminaristi - interpella in modo decisivo e irrinunciabile la responsabilità del corpo docente e di tutti i collaboratori dell'università. Così la comunità lateranense è sollecitata non soltanto a fornire una professionalità di alto profilo accademico, ma anche a garantire una genuina testimonianza di fede cristiana. Questa seconda istanza si rende tanto più urgente oggi, quando i pastori della Chiesa, come pure le voci più attente della società contemporanea, proclamano una straordinaria emergenza educativa.

Da molte parti si sottolinea una perdurante crisi della cultura ecclesiastica, e dunque della formazione dei preti. Crede sia necessaria una revisione della preparazione accademica dei futuri sacerdoti?

Certamente l'emergenza educativa, di cui abbiamo appena parlato, non consente di procedere come se nulla fosse. Da parte sua, Benedetto XVI non cessa di introdurre nella riflessione della Chiesa e nel dibattito scientifico stimoli efficaci per un rinnovamento della cultura e della teologia. Certamente dovremmo rileggere e meditare con più attenzione alcuni suoi interventi:  la celebre lezione di Ratisbona del 2006; il discorso al Collège des Bernardins del 2008; il discorso, non pronunciato, per l'università romana La Sapienza; la commemorazione, indirizzata proprio all'università Lateranense, nel decimo anniversario di Fides et ratio. Ma non possiamo certo dimenticare le tre encicliche del pontificato; il disegno sistematico e unitario delle catechesi del mercoledì; e neppure opere fondamentali come il Gesù di Nazaret. Si tratta di una messe abbondante, di cui la teologia deve fare tesoro, se vuol essere teologia autentica, cioè capace di confrontarsi con le sfide del momento presente, a partire dalla Bibbia, dalla tradizione e dal magistero della Chiesa. In varie occasioni ho avuto modo di illustrare alcuni capitoli fondamentali di questo urgente rinnovamento culturale e teologico proposto dal Papa:  per esempio, l'allargamento della ragione alle dimensioni della fede e dell'amore; il realismo della fede stessa; più in generale, l'urgenza di una nuova sintesi di pensiero di fronte alle devastanti divaricazioni tra fede e ragione; tra teologia, filosofia e altri saperi; tra teologia razionale e dimensione contemplativa; tra esegesi cosiddetta accademica e lectio divina.

Quali sono le linee programmatiche del suo rettorato? Può anticiparle?

Confesso che il breve tempo trascorso dalla mia nomina è insufficiente per una elaborazione di linee strategiche. Ho bisogno ancora di vedere, ascoltare, imparare, riflettere. E voglio entrare con molto rispetto nella prestigiosa istituzione accademica che i miei predecessori - in particolare l'arcivescovo Rino Fisichella - mi hanno consegnato. In ogni caso, le premesse da cui mi muovo sono quelle che ho appena descritto. Mi piacerebbe riuscire a coinvolgere le quattro facoltà e i due istituti della mia università in qualche progetto unitario, relativo soprattutto alla cosiddetta emergenza educativa e alla formazione dei formatori.

Nelle parole di insediamento come rettore lei ha indicato tre tappe della sua vita. Le prime due riguardano l'entrata nella famiglia salesiana e l'incarico di postulatore. Questa alla Lateranense è la terza. Cosa porterà in questa nuova fase?

Dalla mia famiglia di origine - una famiglia veneta assai numerosa, cinque maschi e cinque femmine (io sono l'ultimo) nella quale ho appreso i fondamentali valori umani e cristiani - sono passato nella grande famiglia di don Bosco. Qui ho imparato a confrontarmi, da educatore, con le attese del mondo giovanile. L'esperienza di postulatore, poi, mi ha richiamato con energia la meta ultima di ogni educatore cristiano, che è la santità, e insieme mi ha dischiuso una prospettiva teologica meno razionalistica, e più aperta alla contemplazione. Desidererei che questa terza svolta della mia vita mi aiutasse in una sintesi efficace tra ricerca accademica e testimonianza pastorale di vita cristiana. Quando sono stato ordinato sacerdote ho scelto come motto di prima messa una parola di Gesù, tratta dal vangelo di Luca:  "Io sto in mezzo a voi come colui che serve". Oggi, dopo trent'anni di ministero presbiterale, e sollecitato dall'emergenza educativa, aggiungerei quest'altra parola, ricavata ancora dall'opera di Luca:  "Voi sarete per me i testimoni".

Che consigli dà agli studenti della sua università e agli universitari in generale?

I miei consigli nascono dall'esperienza dei quarant'anni di vita che ho dedicato all'insegnamento medio e universitario, senza neppure un semestre sabbatico. In primo luogo, bisogna innamorarsi dell'indirizzo di studi scelto. Così la frequenza, le esercitazioni, i seminari, gli esami non si configurano più come una specie di percorso obbligato, ma come tappe importanti - impegnative, faticose finché si vuole - di un cammino seguito con passione e amore. Fin dall'inizio di questo cammino, poi, bisogna essere attenti a focalizzare almeno due cose. Anzitutto, il settore proprio di interesse e di specializzazione personale, senza mai trascurare il quadro d'insieme. In secondo luogo, la persona - il professore, o meglio il vero maestro - che possa accompagnare nel modo migliore questo medesimo itinerario.

E riguardo agli studenti laici, che - soprattutto nella facoltà di diritto civile - sono molto numerosi nella sua università?

Vorrei assicurare a loro un accompagnamento pastorale serio. Sono ben consapevole che essi possono dare un contributo molto importante alla Chiesa e alla società in questo frangente storico e culturale. Esorto loro - ma anche gli ecclesiastici, i religiosi e le consacrate - ad andare oltre la semplice vita accademica, che pure rimane il primo motivo della loro presenza nell'università. L'ideale a cui tendere è quello di una condivisione generosa, esistenziale, del segmento di vita che percorrono alla Lateranense.



(©L'Osservatore Romano 29 luglio 2010)
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