A colloquio con il vescovo di Albano nel trentaduesimo anniversario della morte di Paolo VI

Un Papa sempre vivo
nella memoria della gente


di Nicola Gori

Quando si parla di Castel Gandolfo il riferimento immediato è alla presenza del Papa nelle Ville pontificie. Un legame che da secoli si rinnova e che fa della diocesi di Albano un luogo consueto per i Papi. Tra i tanti ricordi che il luogo evoca, uno spicca in particolare, quello della morte di Paolo VI avvenuta proprio nel Palazzo pontificio, il 6 agosto 1978, nel giorno della Trasfigurazione del Signore. La familiarità di Giovanni Battista Montini con Castel Gandolfo e con la diocesi di Albano non fu limitata solo agli anni in cui vi soggiornò come Pontefice, ma risaliva ai decenni precedenti quando direttore delle Ville pontificie era il bresciano, suo conterraneo, Emilio Bonomelli. È il vescovo di Albano monsignor Marcello Semeraro, in questa intervista al nostro giornale, a proporci alcune testimonianze e a ricordarci il legame di Giovanni Battista Montini con la diocesi suburbicaria.

Alcune settimane dopo la sua elezione, avvenuta il 21 giugno 1963, Paolo VI venne a Castel Gandolfo per il soggiorno estivo e vi ritornò ogni anno, da metà luglio a metà settembre. Quale legame si instaurò tra quel Papa e la diocesi di Albano?

Va detto anzitutto che il suo legame con la Chiesa di Albano era di antica data, a motivo della consuetudine familiare che Giovanni Battista Montini ebbe con l'avvocato bresciano Emilio Bonomelli, preposto dagli anni Trenta al 1970 alla direzione delle Ville pontificie a Castel Gandolfo. Qui Montini fu ospitato di frequente e da qui - dal palazzo Barberini, dove per motivi di riservatezza aveva scelto di dimorare in quei giorni - partì per Roma e per il conclave da cui uscì come successore di Pietro. Segno di questo vincolo umano e pastorale del Papa sono i cinque incontri, che egli ebbe con l'intera diocesi, dal 1963, nella cattedrale di Albano, al 1977, sulla piazza Pia della città; gli altri sei avuti con le città della diocesi - Genzano, Pavona, Aprilia, Pomezia, Nettuno e Nemi - e le altre otto pubbliche occasioni in cui egli incontrò i fedeli della diocesi in circostanze particolari. Paolo VI amò molto e molto beneficò la Chiesa di Albano, che a sua volta lo circondò di affetto.

Nell'Angelus del 13 agosto 1972, Paolo VI descrisse le sue giornate a Castel Gandolfo:  "Anche noi godiamo un po' di questo dono che il Signore ci regala. Respiriamo quest'aria buona, ammiriamo la bellezza di questo quadro naturale, gustiamo l'incanto della sua luce e del suo silenzio e anche cerchiamo qualche ristoro alle nostre povere forze". Quali erano i rapporti con i fedeli della diocesi?

La permanenza a Castello era per Paolo VI non solo una possibilità di riposo, ma tempo dello spirito. I primi giorni li dedicava ai suoi personali esercizi spirituali. A Castello egli aggiunse le note complementari al suo testamento, scritte il 16 settembre 1972, ore 7.30. Nella Chiesa di Albano si sentiva come di casa, conoscendo luoghi e contrade. Nel discorso, per esempio, fatto a Nettuno presso il santuario della Madonna delle Grazie, il Papa ricordò d'esserci già stato nel 1935 e ci sono delle lettere del febbraio di quell'anno, che egli scrisse da lì. A Pavona l'8 settembre 1963 ricordò come era riuscito ad andare incontro alle necessità pastorali del territorio, facendo giungere da Brescia le suore ancelle della carità e i padri piamartini. Parlando alla diocesi il 30 agosto 1964 disse:  "Ricordo, nei primi tempi della mia dimora in Roma, di aver visto in queste zone un pastore, uno dei pastori che si incontravano una volta per le colline laziali, intenti a far pascolare il gregge. Mi accorsi che aveva con sé strumenti di lavoro identici a quelli che si trovano scolpiti in monumenti romani di duemila anni or sono. Per duemila anni i medesimi strumenti sono stati adoperati". Una Chiesa che suscita ricordi così semplici, ma altrettanto intensi non può essere che una Chiesa amata. La certezza di questa dilezione è, ancora oggi e per tutti noi, motivo di gioia e di gratitudine al Signore.

Numerose sono le opere volute da Papa Montini a favore della popolazione di Castel Gandolfo, quali la scuola elementare pontificia che ora porta il suo nome, la chiesa di San Paolo con le opere pastorali nel popoloso quartiere sorto a ridosso della via Appia, e la chiesa della Madonna del Lago. Quali memorie conserva la gente di questo Papa?

Gli anni trascorsi fanno sì che solo quanti hanno un'età un po' avanzata abbiano ricordi personali. Io stesso incontrai di persona Paolo VI e scambiai poche parole quand'ero giovanissimo sacerdote, il 20 marzo 1974 dopo una pubblica udienza. Volli poi tornare a Roma nell'agosto 1978, per venerare la sua salma esposta nella basilica Vaticana. Oggi mi accade spesso d'incontrare persone che gli sono state molto vicine. Penso a Franco Ghezzi, cittadino di Albano, che fu il suo aiutante di camera e col quale amo spesso parlare di Paolo VI; e all'attuale direttore delle Ville Pontificie, Saverio Petrillo, anch'egli riservato testimone di tanti momenti di vita intima e privata di Papa Montini. L'impressione da tutti conservata nel cuore è sempre quella di un uomo di Dio e, per dirla alla maniera di Henri De Lubac, di un vir ecclesiasticus, uno cui la Chiesa ha rapito il cuore; uomo di elevatissima spiritualità e di estrema sensibilità pastorale e umana. Le opere da lei richiamate mostrano la sua sollecitudine speciale. Per queste realizzazioni il suo interessamento non fu solo morale, ma concretamente fattivo. Perciò gli sono stati dedicati a Castel Gandolfo un quartiere e ad Albano una piazza centrale.

Il 14 luglio 1978 il Papa si trasferì a Castel Gandolfo, ma domenica 6 agosto, a causa della febbre alta, non poté affacciarsi al balcone del Palazzo per la recita dell'Angelus e in serata morì. Che eredità ha lasciato alla Chiesa di Albano?

L'anno precedente, in occasione della solennità dell'Assunta, Paolo VI aveva voluto celebrare la messa nella chiesa da lui fatta erigere in onore della Madonna sulla riva del lago di Albano. Al termine dell'omelia, disse:  "Chissà se avrò io ancora, vecchio ormai come sono, il bene di celebrare con voi questa festa. Quel che Dio vuole. Ma io vedo ormai approssimarsi le soglie dell'al di là e perciò prendo occasione da questo incontro felicissimo per salutarvi tutti; per benedire voi, le vostre case, le vostre famiglie, i vostri lavori, le vostre fatiche, le vostre sofferenze, le vostre speranze, le vostre preghiere". Sono parole, che manifestano un affetto davvero grande. Pareva, però, che i presentimenti espressi l'anno prima dal Papa dovessero essere smentiti. Il periodo di riposo, infatti, era iniziato bene e, come ricorda Petrillo, si aveva l'impressione che la salubrità dell'aria fosse anche quell'anno di aiuto per la salute del Papa. Al pomeriggio del 1° agosto, poi, Paolo VI aveva voluto recarsi alla parrocchia di San Giuseppe alle Frattocchie, perché lì era ed è sepolto il cardinale Giuseppe Pizzardo, ultimo dei cardinali-vescovi della sede suburbicaria di Albano. Al termine della messa, il Papa si lasciò andare a molti personali ricordi, richiamando nomi e circostanze che avevano segnato pure la sua vita. Al termine, congedandosi dai fedeli, dalla registrazione si coglie il tremore della voce, a motivo della febbre che lo bruciava. Disse come in un soffio:  "La morte per noi non può essere lontana"! Ed ecco che al pomeriggio del 6 agosto alcuni concitati movimenti di familiari all'interno del Palazzo fecero capire anche all'esterno che qualcosa non andava e ben presto si seppe che le condizioni di salute del Papa erano improvvisamente peggiorate. Lei mi domanda quali eredità Paolo VI ha lasciato alla Chiesa di Albano. Cosa potrei rispondere, se non quella che egli ha lasciato alla Chiesa intera? Vi sono inoltre i ricordi materiali. I calici e alcuni arredi sacri donati alla basilica cattedrale e alle altre chiese dove ha celebrato; nella casa episcopale conservo gelosamente, insieme con quella di Pio XII e di Giovanni Paolo II, una talare bianca di Paolo VI. Nell'autografo di monsignor Macchi, che ne attesta l'autenticità, è scritto:  "Sia essa segno e pegno della benevolenza, protezione e benedizione di Paolo VI, che tanto amò la diocesi di Albano anche prima di essere Sommo Pontefice e poi soprattutto negli anni del suo pontificato". In questo giorno mi pare quasi di risentire la voce di Giovanni Paolo i che, all'Angelus del 27 agosto 1978 disse:  "Questo Papa non solo a me, ma a tutto il mondo ha mostrato come si ama, come si serve e come si lavora e si patisce per la Chiesa". Tutti sottoscriveremmo queste parole.



(©L'Osservatore Romano 7 agosto 2010)
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