Quell'Angelus di Roncalli
all'alba del concilio Vaticano II


di Nicola Gori

Ascoltando l'arcivescovo Loris Francesco Capovilla, già prelato di Loreto, parlare di Angelo Giuseppe Roncalli - del quale è stato segretario per lunghi anni - si ha l'impressione che Giovanni XXIII sia ancora accanto a noi. Ne parla come di una persona ancora viva, presente non solo nella sua vita, ma anche in quella della Chiesa. Racconta il Papa del concilio Vaticano II, il grande seminatore di pace, del dialogo con l'Oriente, l'abile diplomatico e il pastore pronto a donare se stesso per il gregge, nei suoi momenti più intimi. Lo descrive mentre si prepara nel suo appartamento privato, la mattina del 25 gennaio 1959, mentre recita l'Angelus e celebra la messa prima di recarsi alla basilica di San Paolo fuori le Mura per indire il concilio Vaticano II, oppure quando si interroga sul come presentare nella sua interezza il messaggio cristiano alla gente del tempo. Monsignor Capovilla ne parla con "L'Osservatore Romano" nel decennale della beatificazione di Papa Roncalli, avvenuta il 3 settembre 2000, nel corso del grande Giubileo.

Iniziamo dai ricordi più significativi della sua esperienza vissuta accanto a Papa Giovanni, in particolare quelli legati all'evento di dieci anni fa.

Col trascorrere degli anni la mia timidezza, nel parlare di Giovanni XXIII, aumenta. Del resto parlare di lui spetta al magistero, ai teologi, agli storici. Il piccolo contubernale, che io sono, può balbettare poche cose, essendo stato impari al servizio misteriosamente affidatogli. Se mi chiedono quanti anni ho trascorso accanto ad Angelo Giuseppe Roncalli rispondo senza esitazione:  75. Per quanto attiene all'evento del 3 settembre 2000 l'ho vissuto nell'intimo e nell'ombra. Naturalmente, ad normam iuris, ho fatto le mie deposizioni ai processi, ma non presenziai a nessuno dei momenti successivi che prepararono l'iscrizione del servo di Dio nell'albo dei beati. Ebbi rapporti solo col primo postulatore della causa, il francescano Antonio Cairoli. Testimoniare! Non è compito facile. Ho chiesto perdono a Dio, e lo chiedo agli uomini, di aver detto poco, di non aver messo del tutto il mio io sotto i piedi, come mi esortava Papa Giovanni. Qualche dato. Nel 1960 mi arresi a pubblicare Cinque Letture per i tipi della Tipografia Poliglotta Vaticana, passate al vaglio della critica e della pulitura di don Giuseppe De Luca. Quel libro, messo insieme con estrema cautela, riveduto dalla Segreteria di Stato e dal teologo della Casa Pontificia Luigi Ciappi non dispiacque nel complesso all'opinione pubblica. Se quelle note son servite a qualcosa non ho motivo di vantarmene. Appartengono all'uomo e sacerdote Roncalli e ai suoi carteggi su cui mi sono soffermato a lungo, rimanendone segnato indelebilmente.

Cosa rimane nei suoi ricordi del tempo conciliare?

Sono trascorsi cinquantuno anni dal triplice annuncio:  concilio, sinodo romano, aggiornamento del Codice di diritto canonico. Riecheggiano nel mio animo due emblematiche affermazioni giovannee di allora:  l'una contenuta nel discorso ai cardinali:  "Amore e santità"; l'altra, trasparente tra le righe di una lettera inviata a un condiscepolo, parroco di campagna:  "prontezza a tutto". I singoli momenti del 25 gennaio 1959 rivivono nella mia memoria. Rivedo il Papa con le 13 pagine dattiloscritte dei discorsi, e risento la sua voce, la stessa che nell'ora estrema ripeterà identico concetto che gli stava fisso nel cuore. Il Papa si alzò all'alba avviando la sua preghiera mattutina con l'Angelus recitato sopra il solenne abbraccio del colonnato berniniano. Celebrò la messa nella cappella privata e assistette alla mia. Rimase in ginocchio più a lungo del solito. Sostò al tavolo di lavoro per una rapida scorsa ad alcune pratiche della Segreteria di Stato. Mi pare di sentire ancora il suo interrogativo:  "Come ripresentare nella sua interezza il messaggio cristiano alla gente del nostro tempo? L'uomo moderno non è insensibile alla parola di Cristo, non è del tutto restio ad afferrare l'àncora di salvezza che gli viene offerta". In macchina verso San Paolo disse poche parole. Presiedette la messa celebrata dall'abate e tenne omelia. Il rito si prolungò più del previsto e il Papa varcò la soglia dell'aula capitolare del monastero benedettino poco dopo mezzogiorno, l'ora in cui cessava l'embargo dell'annuncio. Così accadde che la notizia del concilio venne divulgata dai mass media prima che il Pontefice l'avesse comunicata ai cardinali.

Dopo l'annuncio cosa cambiò nella vita della Chiesa?

Da quell'annuncio sino all'indizione propriamente detta, del Natale 1961, nella laboriosa parentesi delle fasi antepreparatoria e preparatoria, il Papa moltiplicò in proposito la sua catechesi compendiata nelle tre articolazioni, che segnalavano il cammino dell'evento ecclesiale, come verrà precisato nel discorso di apertura:  promuovere il rinnovamento interiore della cattolicità, porre i cristiani dinanzi alla realtà della Chiesa di Cristo e dei suoi compiti istituzionali, sollecitare i vescovi, coi loro presbiteri e laici, a sentirsi collegialmente corresponsabili della salvezza di tutti gli uomini e a farsi carico di tutti i loro problemi, affinché l'assise conciliare si rivelasse veramente ecumenica, anche nei rapporti con l'intera famiglia umana. Queste articolazioni, per nulla esaurite, sono state ulteriormente esplicitate durante i pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. Ricordo per esempio che qualche giorno dopo il 25 gennaio 1959, esaltando l'Immacolata di Lourdes, Giovanni XXIII sentì il bisogno "di esprimere un pensiero in grande confidenza paterna". Infatti già lo si era collocato tra gli uomini inclini alla mitezza e all'ottimismo, ed egli non negò questa sua connotazione, ma volle renderne ragione. Si avverte in questo brano il preannuncio della "medicina della misericordia", tuttavia senza compromessi tattici, senza collocare nell'ombra uno solo dei princìpi e dei valori che sono tutt'uno col cristianesimo. Non a caso quattro Papi hanno ripetutamente asserito che il Vaticano II è stato evento voluto da Dio, condotto dallo Spirito, approdato alle sue evangeliche conclusioni; hanno riconosciuto che Papa Giovanni ha ringiovanito la Chiesa - stupendo paradosso:  il vecchio che compie opera di ringiovanimento!

E che dire del sinodo romano e del rinnovamento del codice?

La vox populi attribuisce il carisma profetico al pastore che nell'annunciare l'assise ecumenica affermò di aver voluto cogliere la buona ispirazione celeste, scoprendone la premessa nella Bibbia. Giovanni XXIII ha detto le parole del Signore? Le ha dette al popolo romano col sinodo? All'umanità col concilio? Ha interpretato l'esigenza incontrovertibile dell'aggiornamento del Codice? Se il sinodo romano, che va letto nell'ottica della legislazione degli anni Sessanta del secolo XX, è stato oggetto di non pochi strali, è segno che i suoi articoli non sono stati considerati alla luce della disciplina ecclesiastica e della passione pastorale. Se il Codice, promulgato dopo personale vaglio compiuto da Giovanni Paolo II con estrema sensibilità, al fine di renderlo strumento di liberazione per i credenti, incontra qualche difficoltà di interpretazione e di applicazione, dipende dal fatto che taluno dimentica la costituzione gerarchica della Chiesa. Se il concilio non ha raggiunto tutte le mete prefissate, o stenta a conseguirle, ciò significa che la nostra conversione è di là da venire.

Come vivono la Chiesa e la comunità di Bergamo la sua eredità spirituale?

La robusta e solida gente bergamasca ha fatto tesoro della lezione e pur tra scotimenti che preoccupano, si interroga sul proprium del suo Papa e sa di doverne custodire non solo l'immagine ma la promessa di indefettibile fedeltà a Cristo e alla Chiesa cattolica; sa che di lui rimane vivo e stimolante l'appello alla verità e alla bontà. Non dimentichiamo che dopo l'elogio tributatogli il 28 ottobre 1963, nell'aula conciliare, dal cardinale Léon Josef Suenens, prese la parola il vescovo polacco Bogdan Bejze, per presentare il cosiddetto schema 13:  "la Chiesa e il mondo", schema consegnato e raccomandato ai Padri dal Papa stesso in limine vitae. Al termine del suo intervento egli propose ai Padri conciliari di riconoscere le virtù del defunto pontefice e proclamarlo santo. Nelle incertezze di quei giorni faticosi, la proposta rimase come sospesa per aria; tuttavia due Padri scesero dai loro seggi e si recarono a congratularsi con l'oratore:  il cardinale Stefan Wyszynski e il vescovo Karol Wojtyla. Ricordarlo oggi alimenta sensi di stupore e gratitudine.

Cosa è rimasto secondo lei dell'evento conciliare?

Si tratta di un cammino irreversibile, tanto più che i benefici apportati dall'assise ecumenica superano di gran lunga disagi, indiscipline, strumentalizzazioni che non neghiamo, che saremmo anzi in grado di elencare e descrivere. Taluni chiedono ancor oggi cosa intendesse raggiungere Papa Giovanni con la celebrazione del concilio; altri vorrebbero sapere se non siano stati bruciati i tempi; se durante i lavori non sia successo qualcosa di inatteso, come lo scoppiare di un ordigno in mani inesperte; se semplicità e innocenza non abbiano giocato brutti scherzi; se la prudenza nell'annuncio, nella preparazione e nell'indizione abbia avuto, sin dalla prima scintilla, il suo posto d'onore, considerata com'è la prima delle virtù cardinali. A non volerci lanciare alla ventura, risposta esaustiva troviamo nei deliberati stessi del concilio, nella testimonianza profusa da Paolo VI, poi nell'unico radiomessaggio di Papa Luciani, negli insegnamenti di Giovanni Paolo II, nei propositi annunciati da Benedetto XVI all'indomani della sua elezione. Bastano le testimonianze dei successori di Papa Giovanni a fugare indebite obiezioni sulla provvidenzialità dell'evento, e a dimostrare il convinto coinvolgimento e l'assunzione di responsabilità dei Pontefici. Grazie anche a Papa Giovanni, sul cui petto esultavano le aspirazioni e le illuminazioni dei suoi immediati antecessori, di vescovi e di teologi, di uomini e donne timbrati a fuoco dalla parola rivelata, oggi noi sappiamo, meglio di ieri, chi siamo e dove siamo diretti.



(©L'Osservatore Romano 3 settembre 2010)
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