A colloquio con il vescovo Maupeou d'Ableiges,
già presidente della Conferenza Episcopale regionale Nordeste5 del Brasile

Vangelo e fede per rispondere
a ingiustizia e violenza


di Nicola Gori

Speculazioni, soprusi, malversazioni, violenze di quanti cercano di sottrarre terre, risorse e vita agli indios a scopo di lucro. Sono le sfide alle quali si trova di fronte la Chiesa nella parte settentrionale del Brasile, in una delle zone dove è più forte il contrasto tra una bassissima percentuale di gente ricchissima e un'altissima maggioranza di gente che non ha di che vivere. Un contrasto reso ancor più evidente dallo sfavillio delle poche ma apprezzate strutture turistiche, sfruttate più che altro da multinazionali, e l'estrema povertà delle case tirate su alla meno peggio nelle poche città degne di questo nome che punteggiano la regione. E in questo contesto si alimenta quella vena di violenza che preoccupa particolarmente i pastori di questa terra. Occorre dunque uno sforzo deciso e un impegno concreto non solo per sostenere poveri e deboli, ma soprattutto per cercare di arginare il continuo degrado della popolazione. Come fare? "Quanto più la Chiesa sarà evangelicamente fedele, tanto più sarà credibile ed efficace nel contrastare i potenti e annunciare Cristo". Lo dice in questa intervista al nostro giornale il vescovo emerito di Viana Xavier Gilles de Maupeou d'Ableiges, che il 25 ottobre ha concluso il suo mandato di presidente della Conferenza Episcopale regionale Nordeste5 del Brasile, in questi giorni in visita ad limina Apostolorum.

La violenza sembra purtroppo caratterizzare certe aree della regione. Come si può arginare il fenomeno?

La realtà è molto difficile. È la conseguenza di un sistema sociale che spinge certe fasce della popolazione ai limiti della legalità. La comunità ecclesiale cerca, attraverso le sue pastorali, in particolare quelle sociali, e i suoi movimenti, di guidare la gente alla luce della Bibbia, della Scrittura e della tradizione. Purtroppo per molti la fede si riduce a lodi e devozioni, estraniandosi dal contesto reale della vita delle donne e degli uomini di oggi. Nella difesa della vita molti condannano l'aborto nelle cliniche ma chiudono gli occhi quando questo viene provocato dalla violenza gratuita contro i poveri nelle campagne e nelle periferie. Del resto troppo spesso ad educare alla violenza è la stessa televisione dove passano messaggi che con il Vangelo hanno poco a che fare, anzi sono una negazione della passione, della morte e di conseguenza della croce del Signore. Fortunatamente movimenti e gruppi ecclesiali della nostra comunità cattolica resistono e cercano di coniugare fede e vita.

Il Brasile vive un periodo di crescita economica. Ma c'è il rischio che a beneficiarne possano essere poche persone, con la totale esclusione della parte più povera della popolazione. Cosa può fare la Chiesa per mettere in guardia da questo pericolo?

Il "rischio" non è rischio, è realtà. I benefici finiscono nelle mani di poche persone. La popolazione più povera viene esclusa. L'unica e vera soluzione è quella di Francesco d'Assisi, di san Vincenzo de' Paoli, dei profeti, dei padri della Chiesa. A volte purtroppo il rischio riguarda anche alcune strutture della nostra comunità. Occorre dunque ripensare come riorganizzare le nostre realtà, moltiplicare le piccole comunità ecclesiali di base, nelle periferie, negli ambienti intellettuali, negli ambiti decisionali, e riprendere il vecchio metodo dell'Azione Cattolica:  nel vedere, giudicare e agire. I cursillos di cristianità a suo tempo hanno aiutato molto.

Questo stato di cose si riflette anche a livello sociale, in particolare nella politica?

Osservando la "propaganda politica" effettivamente si nota oggi la ricerca e la volontà del possedere, di avere sempre di più. Soprattutto la spasmodica ricerca del potere per comandare, per dominare; la voglia di piacere. La volontà di servire, di condividere, di fratellanza non esiste. Noi invitiamo le nostre comunità a pregare, a riflettere. Organizziamo riunioni, giornate di studio, soprattutto in gruppi piccoli. Invitiamo a guardare alle parole e alle azioni di Gesù, a servire, a condividere, a fraternizzare. Il punto centrale è sempre lo stesso:  a partire dalle comunità ecclesiali di base, da altre comunità ecclesiali, dalle pastorali, dai movimenti, occorre riflettere sulla realtà alla luce della Bibbia, delle Scritture, della Tradizione, della Dottrina sociale della Chiesa. Il Regno di Dio è giustizia alla quale conducono l'amore e la solidarietà. Qui la preghiera assume tutto il suo significato.

La missione continentale cerca di coinvolgere i laici nell'evangelizzazione. Che ruolo rivestono nel cammino quotidiano delle vostre comunità?

Come sarebbe possibile vivere la missione continentale senza i laici? L'affermazione del loro ruolo però di fatto rivela il problema della nostra Chiesa cattolica, siamo cioè forse ancora troppo legati a certi presupposti. Nelle parrocchie il capo è il parroco; ed è giusto che sia così ma al laicato viene data troppo poca importanza. Dobbiamo costruire una Chiesa che sia completamente ministeriale. D'altra parte c'è bisogno di esercitare una maggiore attenzione nell'opera di discernimento davanti alle nuove vocazioni; a volte ci sarebbe bisogno di più severità nel giudizio sui candidati:  la necessità di "operai" per la messe non può significare chiudere gli occhi sulle attitudini personali del candidato. Ciò aiuterebbe a evitare il reiterarsi di comportamenti disdicevoli in futuro.
La missione continentale continua e porterà frutti perché Dio cammina con il suo popolo. Un grande lavoro lo fanno le comunità ecclesiali, soprattutto quelle che operano nelle periferie; i gruppi di preghiera, i movimenti e le pastorali.

Qual è la situazione degli indios nelle vostre terre?

Gli indios sono i veri doni della terra. Sono uomini con doveri e diritti. Devono essere rispettati come persone e come popolo con le loro culture e tradizioni. La Chiesa è presente in ogni minoranza, quindi anche tra gli indios. Il Consiglio indigeno missionario (Cimi) è l'organismo che se ne occupa. Certo, non è privo di difetti ma ha fatto e sta facendo delle cose nel rispetto dovuto agli indios e alla natura. Attualmente, troppo spesso il latifondo e l'industria agricola perseguono solo la ricerca del profitto senza scrupoli. Non si può servire Dio e mammona. Servire Dio è difendere la vita dall'inizio alla fine, dal concepimento alla morte, passando per la difesa della terra e di tutti i popoli della terra. Vorrei a questo proposito citare due vescovi che si sono distinti proprio nella difesa dei diritti degli indios:  monsignor Tomás Balduino della Commissione pastorale della terra (Cpt), e monsignor Erwin Kräutler, presidente del Consiglio indigeno missionario (Cimi). Hanno reso un grande servizio e Dio si aspetta da noi di impegnarci ancora di più.



(©L'Osservatore Romano 28 ottobre 2010)
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