A colloquio con monsignor João de Aviz, presidente dei vescovi della regione del centro-oeste del Brasile in visita "ad limina"

La sfida del secolarismo


di Mario Ponzi

L'avanzare del secolarismo, l'incremento del popolo della strada, il dramma dei nuovi poveri:  sono alcune delle sfide che deve affrontare la Chiesa in Brasile nella regione del centro-oeste. Ne parla monsignor João de Aviz, Arcivescovo di Brasilia, in questa intervista al nostro giornale, rilasciata in occasione della visita ad limina Apostolorum.

Nella panoramica del Brasile la vostra regione sembra vivere una situazione socio-economica più florida rispetto al resto del Paese. Ciò richiede un impegno diverso per la Chiesa locale?

Effettivamente da quando è stata fondata Brasilia, negli anni sessanta, la regione ha sperimentato un grande sviluppo. Accanto all'attività agricola e all'allevamento del bestiame, c'è stato un notevole processo d'industrializzazione che ha portato con sé anche la nascita di un florido sistema di infrastrutture. La Chiesa cattolica è ben radicata in questa realtà, con diciassette diocesi, oltre all'ordinariato militare. Il popolo, in generale, conserva uno spirito naturalmente religioso. Più del 70 per cento della popolazione s'identifica con la fede cattolica, sebbene la percentuale di quanti frequentano i sacramenti e sono vincolati alle comunità non superi il 15 per cento. Una parte della popolazione cattolica ha subito l'influenza della teologia della liberazione, in parte segnata dall'ideologizzazione. E ciò ha causato nell'altra parte della popolazione cattolica il rafforzamento del tradizionalismo. Brasilia, in generale, ha conservato la caratteristica di Chiesa fondata sul mistero di Dio e perciò sulla sua dimensione divina, sebbene con un individualismo religioso accentuato. La vicinanza al potere politico centrale ha portato la Chiesa a doversi difendere da quanti sostengono la laicità dello Stato al punto da far pensare che non vi sia più posto per la presenza e per l'operato della Chiesa.

È questa secondo lei la causa di quel processo di secolarizzazione che si sta manifestando nella regione?

Indubbiamente c'è una tendenza alla secolarizzazione. Quanto più la società si diversifica e diventa complessa, tanto più questa tendenza si accentua. La nostra società non fa eccezione. Per noi si tratta di una grande sfida da raccogliere.

Un terreno fertile anche per il proliferare delle sette?

Naturalmente. La presenza delle sette nella nostra regione è molto accentuata. Lo si può notare dal numero di piccoli e grandi templi sparsi in tutta la zona. Le sette sono profondamente divise anche fra di loro. Mostrano un opportunismo religioso basato in gran parte sullo sfruttamento economico, soprattutto dei poveri. Mostrano, in generale, una tendenza costante a combattere la Chiesa cattolica. Del resto quanto più la Chiesa cattolica è presente e rende una testimonianza autentica del Vangelo tanto più l'influenza delle sette tende a diminuire. Per questo ci temono.

Qual è la vostra risposta pastorale?

Attualmente cerchiamo di accentuare la dimensione della comunione all'interno delle diocesi e fra di esse, sforzandoci di mettere in atto quello che Papa Benedetto XVI, come il suo predecessore Giovanni Paolo ii, ci hanno proposto per il nuovo millennio:  fare della Chiesa la casa e la scuola di comunione come criterio di vita. Cerchiamo di portare avanti l'impegno della Chiesa per una vita di discepoli missionari, in sintonia con l'importante orientamento della conferenza di Aparecida per il continente latinoamericano. Allo stesso tempo, ci abbandoniamo all'amore incondizionato per i poveri.

Tra questi ultimi quale posto occupa il popolo della strada?

Le nostre Chiese sono molto attente allo svilupparsi di questo fenomeno. Si stanno infatti potenziando molte strutture pastorali, a livello soprattutto parrocchiale per seguire più da vicino quanti sono coinvolti in questa situazione. Le capitali, in modo particolare, hanno maggiormente bisogno di questa presenza. Si fa tanto, è vero. Ma io credo che sia ancora poco.

E sono cresciute tante nuove forme di povertà.

Soprattutto l'alcolismo, la droga e la violenza. I mezzi di comunicazione ne parlano e le pubblicizzano costantemente. La Chiesa sostiene organizzazioni come la Fazenda Esperança che opera a Palmas e a Brasilia. Ci sono altre iniziative legate alle pastorali sociali. In alcuni casi mettiamo a disposizioni psicologi. I nuovi poveri hanno bisogno del nostro amore, di quello delle nostre comunità. È un impegno per il presente e per il futuro.



(©L'Osservatore Romano 14 novembre 2010)
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