Con monsignor Dal Toso il bilancio dell'attività di Cor Unum in un anno segnato dall'emergenza Haiti

I costi della carità in tempo di crisi


di Mario Ponzi

L'emergenza Haiti è il dramma umanitario che, senza dubbio, ha maggiormente impegnato il Pontificio Consiglio Cor Unum in questo 2010 appena trascorso. "E certamente - assicura il segretario del dicastero della carità del Papa, monsignor Giampietro Dal Toso, in questa intervista al nostro giornale - continuerà anche nel 2011 a essere al centro della nostra attenzione. L'emergenza è tutt'altro che finita. È bene che il mondo lo ricordi. La Chiesa ha testimoniato con grande disponibilità di essere accanto agli haitiani". E perché non si dimentichi questo dramma, il cardinale presidente del dicastero, Robert Sarah, il 12 gennaio prossimo - primo anniversario della catastrofe naturale che si è abbattuta sulla regione - sarà nell'isola caraibica per portare personalmente la sua sollecitudine e assicurare la vicinanza della Chiesa e del Papa. Haiti non è stato tuttavia l'unico terreno d'intervento nel 2010. Monsignor Dal Toso, recentemente nominato segretario dopo lunghi anni di servizio nel dicastero, ripropone i momenti che hanno segnato un anno di attività.

Cor Unum è il dicastero che distribuisce la carità del Papa. Sebbene sia questo un compito importante, tuttavia sappiamo che non esaurisce la sua attività. Cosa ha caratterizzato l'impegno nel 2010?

È stato un anno particolare per noi. Lo si nota già dai cambiamenti avvenuti all'interno del dicastero:  la nomina a presidente del cardinale Robert Sarah e la nuova responsabilità che il Papa ha voluto affidarmi nominandomi segretario. Dal punto di vista delle attività svolte, vorrei sottolineare proprio quelle forse meno evidenti dal punto di vista mediatico, ma di fondamentale importanza per la formazione di una vera e propria cultura della carità, che è il nostro compito precipuo. Mi riferisco, per esempio, al recente svolgimento degli esercizi spirituali per responsabili delle istituzioni caritative cattoliche in Europa. Si sono tenuti tra la fine del mese di novembre e gli inizi di dicembre a Czestochowa, in Polonia. È stato un importante segno di comunione, caratterizzato da diversi aspetti significativi. In particolare ne ricordo due. Innanzitutto, vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici si sono ritrovati tutti insieme per fare un comune percorso spirituale. E poi è stata l'occasione per concretizzare una dimensione necessaria per chi opera nell'ambito della carità:  la formazione del cuore, come ha scritto nella Deus caritas est, e ripete spesso, Benedetto XVI. Sulla "formazione del cuore" vertono molti incontri in vari momenti dell'anno, e abbiamo potuto costatare quanto interesse ci sia intorno a questo tema. Del resto, proprio dall'amore che nasce dal cuore che ha conosciuto Dio, trae linfa vitale ogni azione caritativa. Senza questo fondamento, la missione di carità della Chiesa è inconsistente.

Dove si è espressa quest'anno l'azione caritativa di Cor Unum ?

Haiti indubbiamente è stata l'emergenza che più di ogni altra ha convogliato i nostri sforzi. Sin dai primi giorni, anzi dalle prime ore successive al disastro, siamo stati - anche attraverso il nunzio e i vescovi locali - accanto agli haitiani. Una presenza che si è protratta nel tempo e che è destinata a prolungarsi ancora. Poco è stato fatto di risolutivo di fronte all'immane tragedia, anche se l'impegno non è mancato; anzi è stato massiccio, e da parte di tutti i Paesi del mondo. Eppure c'è ancora tanto, tantissimo da fare. C'è un Paese da ricostruire. Non solo materialmente, ma anche spiritualmente e moralmente. Gli eventi delle ultime settimane, soprattutto nel periodo delle elezioni, lo stanno a dimostrare. Siamo consapevoli che si tratta di un processo molto lungo, inutile nasconderlo. La nostra scelta è stata quella di accompagnare la Chiesa di Haiti. E continueremo a farlo. Per questo è stata creata una commissione apposita, sostenuta dai vescovi americani, che dovrà vagliare e promuovere progetti, stabilendo delle priorità. È previsto che il cardinale presidente si recherà il prossimo 12 gennaio sui luoghi del disastro per testimoniare, a un anno esatto dal terribile evento, ancora una volta la vicinanza del Papa, il quale continua a raccomandare a tutti di non abbandonare Haiti. Dal punto di vista operativo stiamo lavorando su alcuni progetti per la realizzazione di scuole e di centri di assistenza, probabilmente anche per ricostruire una chiesa. Tutto questo è stato possibile grazie alla generosità di tanti fedeli.

Oltre l'emergenza Haiti?

Ce ne sono state molte altre, alcune magari più piccole o comunque nascoste, delle quali si parla meno forse, ma che hanno causato ugualmente vittime e sofferenza per una vasta porzione della famiglia umana. Al Papa certamente non sono sfuggite e Cor Unum non ha mancato di intervenire. In Benin, per esempio, ci sono state centinaia di migliaia di sfollati a causa di pesanti inondazioni; in Indonesia c'è stato lo tsunami e l'eruzione del vulcano a ottobre di quest'anno; poi le drammatiche inondazioni che hanno devastato il Pakistan e quelle che hanno colpito India. E tante altre catastrofi naturali che non hanno avuto spazio nelle prime pagine dei giornali, ma che hanno comunque causato vittime innocenti e richiamato l'attenzione del Papa e del nostro dicastero, come recentemente in Venezuela.

Cor Unum interviene solo a seguito di emergenze?

Emergenza non è soltanto il problema immediato, ma anche ciò che ne consegue. Per esempio, stiamo sostenendo tre importanti progetti:  in Africa, un centro per la reintegrazione dei bambini soldato in un contesto sociale e civile più consono alla loro età; in Viêt Nam, un centro di assistenza per portatori di handicap; in Perú, un progetto per combattere la malnutrizione infantile. Accanto a questi progetti ve ne sono tanti altri, forse meno impegnativi, ma certamente significativi, come quello in Camerun per il reinserimento  dei  detenuti  nel  contesto sociale.

Quanti soldi è stato possibile impegnare quest'anno per la carità del Papa?

Vorrei dire che la carità non si misura solo in cifre. Si può comunque certamente parlare di alcuni milioni di euro, tenendo conto anche delle nostre due fondazioni Giovanni Paolo ii per il Sahel e Populorum Progressio per l'America latina.

Cor Unum coordina anche l'attività di tanti altri organismi cattolici che si occupano di carità, dunque ha il polso della situazione. La crisi economica che ancora attanaglia il mondo, ha influito sui flussi caritativi?

In base ai nostri dati, le esperienze sono diverse. Certamente sono complessivamente diminuite le somme messe a disposizione dai Governi per progetti di cooperazione internazionale. Gli organismi che vivono di questi contributi - o per i quali questi contributi costituiscono la parte principale del loro finanziamento - sentono sicuramente gli effetti della crisi. Altri organismi invece, soprattutto quelli che vivono di offerte private, non solo non avvertono la crisi ma anzi registrano un incremento delle donazioni ricevute. Io credo che ciò sia dovuto a persone che si rendono conto di come la crisi colpisca le fasce più deboli della società e per questo si sentono chiamate a un maggiore coinvolgimento. Dunque la crisi è anche un'occasione di ripensamento e di attenzione all'altro. Dai dati in nostro possesso, poi, si nota anche che le offerte non sono costituite da grandi somme, tutt'altro. La Chiesa vive della "carità della vedova" descritta nel Vangelo:  tante persone che danno quel poco che possono e contribuiscono comunque a raggiungere grandi risultati.

Si tratta dei soldi raccolti attraverso quelle decine e decine di bollettini prestampati che finiscono nelle nostre cassette postali, soprattutto in periodi particolari come il Natale?

Non esclusivamente. Anzi bisogna fare attenzione e saper discernere. A Natale soprattutto si scatena, con una sorta di volantinaggio, la corsa al progetto da sostenere e alla ricerca da finanziare, ai bambini da sfamare e via dicendo. È difficile sapersi orientare.

Cosa fare quando apriamo la cassetta della posta e troviamo i bollettini?

Ci sono dei criteri di discernimento. Per esempio, la conoscenza diretta dell'organismo che chiede. È il primo da seguire. Normalmente, e questo mi sento di poterlo dire con tutta onestà, gli organismi cattolici offrono garanzia di reale investimento delle offerte che ricevono. Anche perché fondamentalmente abbiamo a che fare con personale motivato, che vive la missione non come una professione, ma come un servizio da rendere ai bisognosi, dunque non per tornaconti personali di carattere economico. Molti sono volontari. Se poi si tratta di congregazioni religiose note, la garanzia può essere ritenuta assoluta. Un secondo criterio di discernimento:  per un cattolico è bene capire a cosa è destinata la sua offerta. Non può infatti mantenere o finanziare progetti che non corrispondono allo stile della presenza della Chiesa nel mondo. Uno stile fatto di condivisione di vita con i poveri, di incontro personale, di annuncio del Vangelo. Anche questo  fa  parte  della  carità  della Chiesa.

Una nota trasmissione televisiva raccoglie somme ingenti di danaro in prossimità del Natale. Incuriosisce questa esplosione di buonismo natalizio della gente. A cosa è dovuto secondo lei?

Penso che ci sia qualche spunto sentimentale natalizio in questo profluvio di offerte. Ma perché no? Siamo fatti anche di sentimento. Se in qualche modo, e per una occasione particolare come può essere il Natale, il sentimento diventa veicolo per lasciarci toccare dalla miseria degli altri, dai loro bisogni, significa comunque che nel fondo del cuore abbiamo conservato ciò che ci rende uomini:  una traccia di amore. Se non ci fosse mai una manifestazione di sensibilità per chi ha bisogno, allora sì che sarebbe grave. Poi si deve considerare che in certi Paesi, come l'Italia, questo atteggiamento si nutre dello spirito cristiano della nostra cultura. Siamo nati e cresciuti nell'humus della fede cristiana. E anche quanti si allontanano dalle loro origini, in certi momenti tornano a respirare di quell'aria. Non a caso certe raccolte nascono in Paesi di antica tradizione cristiana e in occasioni come il Natale, profondamente segnate dalla fede. Anche se qualcuno lo rinnega, questo humus esiste e non si cancella:  anzi riaffiora di volta in volta e scuote l'anima.

Ma quanto costa gestire la carità?

Questo è un altro criterio di discernimento. Ci sono infatti organismi che per gestire la carità spendono anche il quaranta, quarantacinque, addirittura il cinquanta per cento di quanto raccolto per fini amministrativi. Gli organismi cattolici che agiscono nel nostro ambito si attestano attorno al dieci per cento; in rari casi raggiungono il quindici. Ciò è possibile perché essi non lavorano in totale autonomia, ma piuttosto agiscono in collegamento con la Chiesa locale, all'interno della sua missione. Uno dei nostri compiti è aiutarli a riscoprire tale dimensione e il legame fondamentale con la Chiesa. Credo sia importante perché un organismo possa sopravvivere e conservare freschezza, dinamicità, interesse. Il prossimo anno abbiamo in progetto di concentrarci su questo tema che ci sta molto a cuore, perché possa essere più chiara la dimensione ecclesiale degli organismi caritativi cattolici.

Come si esprime una visione ecclesiale?

Noi non lavoriamo per noi stessi. Neppure per realizzarci o per realizzare un nostro programma. Lavoriamo semplicemente per il bene dell'uomo in nome di Dio, dentro una comunità di credenti che ci indica il cammino da seguire. Il mondo della carità nella Chiesa vuole muoversi sempre più in questo orizzonte.



(©L'Osservatore Romano 1 gennaio 2011)
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