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SYNODUS EPISCOPORUM
BOLLETTINO

della Commissione per l'informazione della
X ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
DEL SINODO DEI VESCOVI
30 settembre-27 ottobre 2001

"Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo"


Il Bollettino del Sinodo dei Vescovi è soltanto uno strumento di lavoro ad uso giornalistico e le traduzioni non hanno carattere ufficiale.


Edizione italiana

13 - 06.10.2001

SOMMARIO

DECIMA CONGREGAZIONE GENERALE (SABATO, 6 OTTOBRE 2001 - ANTEMERIDIANO)

Alle ore 09.00 di oggi sabato 6 ottobre 2001, memoria facoltativa di S. Bruno di Calabria, sacerdote, Fondatore dei Certosini, alla presenza del Santo Padre, con il canto dell’Ora Terza, ha avuto inizio la Decima Congregazione Generale, per l’Auditio Auditorum I, la prima Auditio per gli interventi degli Auditori e la continuazione degli interventi dei Padri Sinodali in Aula sul tema sinodale Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo. Presidente Delegato di turno S.Em.R. Card. Ivan DIAS, Arcivescovo di Bombay.

A questa Congregazione Generale che si è conclusa alle ore 12.30 con la preghiera dell’Angelus Domini erano presenti 228 Padri.

AUDITIO AUDITORUM I

Sono intervenuti i seguenti Auditori e Auditrici:

Diamo qui di seguito i riassunti degli interventi:

Sig.ra Theresa EE-CHOI, O.C.D.S., Membro del Pontificio Consiglio per i Laici (Malesia).

I terribili attacchi terroristici di New York e Washington hanno suscitato grande tristezza e dolore in tutti noi. Al Congresso Mondiale dei Giornalisti Cattolici abbiamo approvato una risoluzione che condanna il terrorismo e ogni altro atto di violenza contro le popolazioni civili.

La scorsa Pasqua, Santo Padre, lei ci ha ricordato il terribile male del razzismo. Il razzismo è un peccato. È un cancro inarrestabile che può terminare solo con la distruzione di tutti, inclusi coloro nei quali il cancro del razzismo ha trovato dimora.

Esiste una cura per questo male? All’inizio del Terzo Millennio dell’Era Cristiana, Sua Santità ci ha detto che "la santità resta più che mai un’urgenza della pastorale" (Novo millennio ineunte, n. 30). Santità significa integrità; significa senso di completezza, senso di pienezza, dove Dio, tutti gli esseri umani e l’intero creato sono visti e considerati come permeati della presenza amorevole di Dio.

È per questo che abbiamo tanto bisogno di modelli di vita cristiani. Abbiamo bisogno di vescovi che abbiano chiaramente assorbito il messaggio che cercano di diffondere tra i laici vivendolo in modo concreto. Abbiamo anche bisogno di vescovi pronti ad ascoltare coloro che sono chiamati a servire. L’autorità nella Chiesa non esiste per avere dei poteri, ma piuttosto per dare potere. L’autentica autorità consiste nell’ attivare il potenziale di coloro che si ha la responsabilità di servire. Nella Chiesa, oggi, troviamo nei laici un grande serbatoio di talenti e capacità che attendono di essere chiamati al servizio del Regno.

I laici devono essere invitati e sfidati, non solo perché in molti luoghi vi è un numero sempre minore di sacerdoti e religiosi, ma perché la vocazione dei laici è l’osservanza autentica del messaggio evangelico.

Ciò che vorremmo vedere emergere da questo Sinodo è, soprattutto, un rinnovato impegno alla santità, cioè alla completezza e al dialogo, in una unione vivente con Cristo, dove ascoltare è più importante che parlare.

[00174-01.04] [ud001] [Testo originale: inglese]

Rev. P. Jorge ORTIZ GONZÁLEZ, M.Sp.S., Superiore Generale dei Missionari dello Spirito Santo; Presidente della Conferenza degli Istituti Religiosi in Messico (Messico).

In una Chiesa di comunione, il vescovo svolge un ruolo importante nel costruire rapporti di comunione tra presbiteri, religiosi, religiose e laici attraverso un dialogo serrato, aperto e autentico. È necessario sottolineare l’urgenza e la necessità del dialogo instancabile. Un dialogo che in questo momento prende il nome di speranza (cfr. IL 30).

Questo dialogo della carità con tutto il popolo di Dio lo porta ad ascoltare, informarsi, incontrare e accogliere personalmente, discernere, in modo che le riflessioni, i programmi e le decisioni possano essere condivisi (cfr. IL 14).

Si tratta di giungere alla conoscenza effettiva di ogni realtà, di quella "Chiesa comunione di persone e di volti, dove ciascuno è irripetibile e dove nessuna individualità viene cancellata". È lì che si offre un dialogo come presenza, testimonianza, autenticità, ricerca appassionata e libera della verità (cfr. IL 83).

Il vescovo si adopererà per dialogare con tutti i suoi fedeli per apprezzare, valorizzare, riconoscere e sostenere integralmente il loro cammino cristiano, in conformità con la propria vocazione e le proprie responsabilità. Un dialogo di comunione in cui il vescovo anima i suoi fratelli e le sue sorelle e nel quale la testimonianza e la dedizione di coloro che giorno per giorno vogliono impegnarsi nell’edificare il Regno vengono arricchite e infiammate dalla fede (cfr. IL 106).

Per il vescovo, promotore e primo responsabile della nuova evangelizzazione, il dialogo sarà un metodo di comprensione reciproca, di testimonianza evangelica, sarà specialmente il dialogo della carità, in tutto e sopra tutto. Un’evangelizzazione impregnata di carità autentica che costituisca le fondamenta del dialogo permetterà con maggiore trasparenza che Cristo venga riconosciuto nei suoi discepoli (cfr. IL 130).

Anche tutto il lavoro e gli sforzi a favore della pace costituiscono parte integrante del compito dell’evangelizzazione. Per questo, la promozione di un’autentica cultura del dialogo e della pace è, allo stesso tempo, un obiettivo fondamentale e importante dell’azione pastorale di un vescovo (cfr. IL 142).

[00175-01.03] [ud002] [Testo originale: spagnolo]

Rev. Fr. Alvaro RODRÍGUEZ ECHEVERRÍA, F.S.C., Superiore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane; Presidente dell’Unione dei Superiori Generali, U.S.G., (Costa Rica).

Il mio intervento fa riferimento a quanto si legge nel n.92 dell’Instrumentum laboris, in particolare all’attenzione nei confronti dei carismi religiosi che deve caratterizzare il ministero episcopale. A questo proposito, mi sembra importante ricordare che, secondo le statistiche pubblicate nell’Instrumentum laboris del Sinodo sulla vita consacrata, risulta che l’82,2% della vita religiosa è laicale. Il Vaticano II afferma a sua volta: "La vita religiosa laicale, tanto maschile quanto femminile, costituisce uno stato in sé completo di professione dei consigli evangelici" (PC 10), anche se la vita religiosa laicale non sempre viene valorizzata e compresa dagli altri membri del popolo di Dio, oppure viene considerata incompleta o di second’ordine. Mi sembra importante che i vescovi conoscano la realtà della vita consacrata laicale, apprezzino e favoriscano questa vocazione originale che arricchisce la varietà di doni della Chiesa, riconoscano il loro "ministero ecclesiale" e facilitino la loro partecipazione nei diversi organismi e consigli in cui si studiano e si decidono sia i piani pastorali che la natura e le proposte della vita religiosa, sia a livello universale che a livello locale. Per quanto riguarda i religiosi non ordinati, è importante che anch’essi conoscano la realtà della Chiesa locale e diocesana e si inseriscano in maniera creativa evitando di muoversi in essa come un corpo estraneo. L’USG (Unione dei Superiori Generali) auspica che la commissione speciale istituita per studiare il caso particolare degli Istituti misti possa trovare il prima possibile una soluzione che risponda al desiderio manifestato dai Padri Sinodali (VC 61).

Certamente alle congregazioni laicali non mancano le sfide, particolarmente in un momento storico in cui alcuni si domandano se il ciclo vitale della vita religiosa non sia giunto al termine. Mi sembra che dobbiamo partire da una vita religiosa che non si concentra su se stessa, ma si apre alle necessità del mondo nell’ottica di un Dio "il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati" (1 Tm 2, 4). È qui che abbiamo bisogno del sostegno e della guida dei nostri vescovi affinché la nostra vita religiosa possa essere non solo ‘memoria del passato’, ma soprattutto ‘profezia del futuro’ (NMI 3).

[00043-01.04] [UD003] [Testo originale: spagnolo]

Rev. P. Robert P. MALONEY, C.M., Superiore Generale della Congregazione della Missione (Stati Uniti d’America).

Leggendo l’Instrumentum laboris, che è pieno di speranza, mi accorgo che è impossibile per un vescovo portare avanti l’enorme mole di lavoro che gli spetta. Mi chiedo quindi: se Vincenzo de Pauli fosse vivo, quali priorità sottoporrebbe ai vescovi di oggi? Vorrei suggerirvene due:

1) Siate padri e fratelli dei poveri della vostra diocesi (Instrumentum laboris 141). Fate sì che l’opzione preferenziale per i poveri della Chiesa risplenda come un faro di speranza nelle vostre persone. Accostatevi a Gesù nella persona del povero. Nel giorno del giudizio è questo il criterio principale di valutazione per voi e per tutti noi. "Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere" (Mt 25, 35). Quindi vi prego, siate un padre, perfino un fratello, per i poveri. Fate che le vostre diocesi siano un luogo in cui la Chiesa sia veramente la Chiesa dei poveri. Risvegliate la sollecitudine dei suoi membri, soprattutto dei più abbienti, affinché lavorino con voi al servizio dei poveri. Mettete insieme giovani e vecchi, uomini e donne, clero e laici, ricchi e gli stessi poveri al servizio dei più bisognosi. Pregate con i poveri. Mangiate con i poveri. Pianificate con i poveri, perché abbiano una voce nel loro futuro. Celebrate l’Eucaristia con loro. Condividete con essi la Parola del Signore. Comunicate loro la vostra convinzione che il Regno di Dio è qui ed è loro. E poiché le donne e i bambini sono quasi sempre i più poveri tra i poveri, siate al loro fianco nella lotta per i diritti umani fondamentali. Siate padri e fratelli dei poveri delle vostre diocesi.

2) Siate padri e fratelli dei sacerdoti della vostra diocesi (Instrumentum laboris 86). Siate capaci di dire loro, come ha fatto Gesù nel capitolo 15 di Giovanni (15, 15) "Vi ho chiamati amici". Soprattutto, ascoltateli. Siate per loro ministri della parola salvifica, della parola di incoraggiamento di Dio. Pregate con loro, sia nell’Eucaristia che in altre forme di preghiera silenziosa e di meditazione. Mangiate con loro. Divertitevi con loro. Offrite loro una ricca formazione iniziale e permanente. Pianificate con loro. Decidete con loro come le parrocchie della vostra diocesi e tutta la diocesi possano mettere a punto progetti creativi ed efficaci al servizio dei poveri. Siate padri e fratelli per i vostri sacerdoti.

[00176-01.04] [ud004] [Testo originale: inglese]

Rev. Suor Rita BURLEY, A.C.I., Superiora Generale delle Ancelle del S. Cuore di Gesù; Presidentessa dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali (U.I.S.G., Gran Bretagna).

Uno dei doveri pastorali del Vescovo è quello di "promuovere, proteggere e prendersi cura della vita religiosa", con "particolare sollecitudine" per gli Istituti religiosi di Diritto diocesano (IL 92; VC 48).

Più della metà di tutti gli istituti religiosi femminili sono di diritto diocesano. Il loro numero continua ad aumentare, soprattutto in Africa, in Asia e in America Latina. Vengono fondati da Vescovi, sacerdoti, ex religiosi, movimenti ecclesiali, confraternite e singoli laici.

Essi offrono un ricco contributo all’opera evangelizzatrice locale, spesso in luoghi isolati e in situazioni di pericolo. La sollecitudine del Vescovo nei loro confronti è vitale.

Tuttavia, molti di questi Istituti stanno affrontando gravi difficoltà. Spesso non dispongono di adeguate opportunità per una formazione umana completa, per una formazione spirituale, religiosa e pastorale. Spesso le suore non hanno la necessaria specializzazione professionale per diventare autonome nella gestione del proprio lavoro e delle fonti di reddito. Potrebbero non avere contratti che rispettino i loro doveri religiosi o non ricevere un compenso adeguato per il loro ministero pastorale. Tali situazioni minacciano la vita religiosa e le efficaci attività apostoliche degli Istituti, e meritano la compassione e l’aiuto pratico del Vescovo.

Il Vescovo inoltre è responsabile dell’approvazione di nuovi Istituti nella sua diocesi (cfr. MR 51) Esistono già 3.000 istituti religiosi femminili. Molti sono assai piccoli, alcuni non sono più agibili, alcuni mal definiti. Prima di approvarne di nuovi, occorre un necessario discernimento. Forse occorrerebbe pensare allo sviluppo di una struttura sopra-diocesana, che, nel rispetto dei diritti del Vescovo locale, possa offrire consigli pratici a tali iniziative, e quindi dare assistenza in questo settore.

[00177-01.04] [ud005] [Testo originale: inglese]

Sig.ra Anne-Marie PELLETIER, Professoressa dell’"Ecole-Cathédrale", Parigi (Francia).

I paragrafi 14, 41 e 46 dell’Instrumentum laboris sottolineano fortemente la responsabilità del vescovo come custode della Parola di Dio. Questo incarico assume attualmente un rilievo particolare e designa un compito urgente. In effetti, un crescente numero di cristiani apre il libro delle Scritture senza avere tuttavia gli strumenti per una loro lettura autenticamente cristiana. Alcuni affrontano il testo secondo una problematica esclusivamente critica, non arrivano più a riconoscerlo come Parola di Dio. Altri si limitano ad una lettura affettiva e proiettiva che impoverisce pericolosamente il messaggio biblico.

In queste condizioni, diventa più necessario che mai che il ministero episcopale si preoccupi di aprire per i battezzati le vie di una lettura completa della Parola di Dio, favorendo la formazione di esegeti solidi, attuando nelle diocesi una pedagogia della lectio divina, essendo essi stessi, sull’esempio dei Padri della Chiesa, coloro i quali spezzano il pane della Parola di Dio.

[00178-01.04] [ud006] [Testo originale: francese]

Sig. Martial Assandé EBA, Presidente del Consiglio Parrocchiale di San Giovanni in Cocody, Diocesi di Abidjan (Costa d’Avorio).

Il ministero degli Apostoli e dei loro successori, i Vescovi, ai quali si aggiungono i sacerdoti e i diaconi, fa seguito a quello di Cristo "che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo" (cfr Gv 10, 35), "il buon pastore che offre la propria vita per le sue pecorelle".

Il fine di una tale consacrazione e di una tale missione è di fare di tutti i cristiani un popolo sacerdotale: il sacerdozio ministeriale assunto dai Vescovi, sacerdoti e diaconi, è dunque al servizio del sacerdozio comune a tutti i battezzati.

Il Direttorio ‘Ecclesiae Imago’ parla del Vescovo come colui che è il "Padre della Chiesa, poiché egli è il ministro dell’origine soprannaturale dei cristiani". Questo è il motivo per cui il Vescovo è per il laico il padre della Chiesa Famiglia di Dio.

In questa Chiesa Famiglia di Dio, i laici avranno il loro posto ben definito, come nelle nostre famiglie africane dove ciascuno, conoscendo il suo posto e mantenendolo, si sente riconosciuto, rispettato e amato.

Per una franca e sana collaborazione, si impone una formazione adeguata dei laici.

Questa formazione avverrà nelle scuole e nei centri di formazione biblica e pastorale. (l’esempio dell’Università Cattolica dell’Africa Occidentale a Abidjan, Costa d’Avorio), oppure nelle università Cattoliche a competenza allargata (per esempio l’Università Cattolica di Abidjan-Bingerville) per le scienze umane (psicologia, sociologia, ecc.) e morali per i futuri sposi, il diritto civile e canonico, l’ecclesiologia o la teologia sulla Chiesa: la sua gerarchia, le sue strutture, il suo funzionamento.

Il popolo di Dio ha bisogno di conoscere ciò che rende specifica la Chiesa Cattolica in rapporto ad altre confessioni religiose e alle istituzioni di Stato nelle quali vivono i laici per evitare amalgami spesso spiacevoli. Sarebbe urgente educare i giovani, avvenire della Chiesa, a questa cultura gerarchica della Chiesa.

Impregnati di queste diverse conoscenze intellettuali, morali e spirituali, i laici, unitamente al Vescovo, potranno validamente rivestire il loro ruolo di collaboratori, attenti che il regno di Dio arrivi in ogni diocesi.

[00179-01.04] [ud007] [Testo originale: francese]

Rev. P. Antonio BRAVO, Direttore Generale dell’Istituto "Prado" (Francia).

In una società che, secondo i sociologi, sente nuovamente la mancanza del padre, noi presbiteri abbiamo bisogno di un’autorità apostolica che combini la tenerezza della madre e l’integrità del padre nel dono di se stessi con il Vangelo, come ci ricorda l’esperienza di San Paolo (cfr. 1 Ts 2, 5-9).

L’IL ci ricorda che il Vescovo dovrà essere padre, fratello e amico per i suoi presbiteri (nn. 86-88). Nei nn. 38-40 afferma che la SS. Trinità è la fonte che modella la loro identità, il loro essere, la loro missione e le loro relazioni.

Il Vescovo, riflesso del Padre

La missione del Vescovo consisterà nello spronare incessantemente i suoi presbiteri per mezzo del Vangelo affinché siano testimoni della verità, della speranza e della vita.

La sua autorità paterna dovrà coniugare il bene del Popolo di Dio con lo sviluppo della vocazione e dei doni di ogni presbitero. Un padre veglia sulla crescita dei suoi figli e la incoraggia. Li difende dai pericoli. Apre loro degli orizzonti e, arrivato il momento, li corregge perché si incamminino verso la loro pienezza vocazionale. È suo compito promuovere la vita spirituale del presbiterio, integrando i diversi carismi e itinerari spirituali, come ci ricorda il Magistero pontificio.

Il Vescovo, riflesso del Primogenito

La novità della fratellanza tra Vescovi e presbiteri, che contempla dimensioni sacramentali, dovrebbe dispiegarsi, secondo il mio parere, nei seguenti campi:

  • Insieme, Vescovi e presbiteri veniamo spronati a camminare come discepoli di Colui che è la Parola incarnata, la Verità liberatrice. Siamo confratelli nel discepolato.

  • Insieme dobbiamo ascoltare il grido dell’umanità, in particolare dei poveri, così come le loro speranze e lotte legittime, per accogliere e discernere la parola che Dio ci rivolge nella storia.

  • Insieme, senza per questo indebolire l’autorità apostolica, siamo chiamati a discernere i cammini dello Spirito Creatore nei segni dei tempi, siano questi positivi o negativi. La nostra azione pastorale deve nascere dall’ascolto e dalla contemplazione.

Il Vescovo nella comunione dello Spirito

Cristo ha chiamato i suoi discepoli amici. L’amicizia comporta presenza, vicinanza, intimità, reciprocità, comunione e una profonda castità di cuore.

La reciprocità implica dare e ricevere. Soltanto chi è povero e umile può arricchire gli altri e lasciarsi arricchire dagli altri.

La castità di cuore evita che l’autorità possa scivolare nell’autoritarismo e la comunione si converta in pericolosa uniformità.

[00180-01.03] [ud008] [Testo originale: spagnolo]

Rev. P. Jesús María LECEA SÁINZ, S.P., Presidente dell’Unione delle Conferenze Europee Superiori Maggiori; Presidente della Conferenza Ispanica dei Superiori e delle Superiore Maggiori (Spagna).

L’Instrumentum laboris parla di uno "stile pastorale confermato dalla vita" in cui "il vescovo sarà fedele alla sua missione ricordando che la sua responsabilità personale di pastore è nei propri modi partecipata da tutti i fedeli in virtù del battesimo, da alcuni in virtù dell'ordine sacro e da altri in forza della speciale consacrazione per i consigli evangelici"

Con queste parole, secondo me, si descrive chiaramente uno stile pastorale del vescovo profondamente caratterizzato dalla corresponsabilità. La vita religiosa in Europa avverte in questo ambiente e in questo stile pastorale il maggiore e migliore stimolo per il compito di evangelizzazione e di testimonianza che le è proprio e per la sua integrazione nella vita della Chiesa particolare e universale, con tutto il Popolo di Dio, amato e guidato dai suoi pastori. La corresponsabilità, come concretizzazione di uno "stile pastorale confermato dalla vita", che occorre anche auspicare sia "affettivo ed effettivo", costituisce lo stile adeguato ai tempi attuali, in cui i popoli, come persone e anche come membri della Chiesa, acquisiscono con l’insieme della società livelli superiori di sviluppo, di cultura e di forme di sapere, e si sentono per questo spinti a desiderare una maggiore partecipazione responsabile in tutto ciò che li riguarda dal punto di vista sociale e religioso. Riscontriamo così una felice coincidenza tra le aspirazioni di molti ad un protagonismo responsabile e la volontà ecclesiale di una crescente corresponsabilità di tutti i membri della Chiesa. Quando tra le religiose e i religiosi d’Europa si progetta come sviluppare una presenza ecclesiale, si tratta della medesima sensibilità che affiora oggi con forza. E mi azzarderei anche a segnalare che è nella vita religiosa femminile che, in forma peculiare, tale sensibilità si intreccia con la volontà delle religiose di essere presenti in tante azioni ecclesiali, molte in maniera silenziosa, ma alcune caratterizzate anche da una generosa e persino arrischiata audacia evangelica. Lavorare nella linea di corresponsabilità appena descritta equivale, inoltre, a dare una vita reale all’immagine paolina della Chiesa-corpo, così intuitiva, concreta e allo stesso tempo bella, il cui capo è Cristo, il Signore. La vita del corpo, la sua buona salute, sta nel vigore e nella robustezza di ognuna delle sue membra, ciascuna esercitando la sua funzione e tutte articolate tra loro in modo vitale. Le circostanze del momento presente, da tutti conosciute anche troppo bene, e la fedeltà al Vangelo che ci è stato trasmesso dalla Tradizione apostolica, per proclamarlo vita e salute di ogni uomo e di ogni donna, esigono l’azione congiunta corresponsabile di tutti i membri della Chiesa, ognuno "nei propri modi", precisa l’IL. La precisazione di rispettare la peculiarità di ognuno non intende sminuire il principio che la sostiene: "I presbiteri, i religiosi e i laici non sono semplicemente degli aiuti del Vescovo, ma suoi collaboratori".

[00181-01.04] [ud009] [Testo originale: spagnolo]

Rev. Suor Mary Sujita KALLUPURAKKATHU, S.N.D., Superiora Generale delle Suore di Nostra Signora (India).

Il Santo Padre ha conferito incessantemente un’importanza eccezionale alla dignità delle donne, riconoscendo il loro "genio femminile" per la creazione di un mondo più giusto. Noi religiose oggi rappresentiamo nella Chiesa una formidabile forza spirituale e apostolica. Il nostro accesso all’informazione e all’istruzione ci ha offerto maggiori occasioni di partecipare alla vita e alla missione della Chiesa e del mondo in questo nuovo millennio. Le religiose devono essere viste e accettate come qualcosa di più della forza-lavoro della Chiesa.

- La Chiesa del terzo millennio vibrerà di nuovo vigore e speranza, se guarda a sé con gli occhi delle donne.

- Riconoscete consapevolmente e promuovete il volto femminile della comunione, della collegialità e del dialogo.

- La formazione dei sacerdoti deve prendere in considerazione il problema di promuovere rapporti collegiali con le donne nella Chiesa. Dove esistono dominio e controllo, nessun tipo di comunione è possibile.

- Profondamente sensibili all’impegno delle donne, quali delle vecchie strutture vogliamo sacrificare? Quali nuove strutture intendiamo creare per garantire che le donne abbiano potere nella Chiesa?

Siamo felici di dedicarci con zelo al servizio della Chiesa anche nelle situazioni più difficili, perché riteniamo che il potere creativo femminile dello Spirito operi tra noi e ci solleciti a portare al nostro mondo nuova vita e speranza. Che la nostra Madre Chiesa continui a trovare espressioni concrete di fiducia verso le proprie figlie per il potenziamento di tutta la Chiesa.

[00182-01.04] [ud010] [Testo originale: inglese]

Sig. Giuseppe CAMILLERI, Società della Dottrina Cristiana (Malta).

L’Instrumentum laboris dice che, ad un mondo che soffre di mancanza di fiducia e perfino di disperazione, la Chiesa offre il messaggio di Cristo fondato sulle "certezze della fede" (n. 17). È molto importante che i Vescovi considerino questa frase fondamentale, se vogliono suscitare speranza nel nostro mondo secolarizzato.

La storia ha provato lo splendore della Chiesa. Il numero dei suoi membri è cresciuto in modo impressionante. I cristiani si sentivano sicuri e protetti da una Chiesa che provvedeva alle loro vite dalla culla alla tomba, garantendo eterna salvezza. Molti pensavano che le cose sarebbero rimaste immutate per sempre. Ma le cose, in effetti hanno incominciato a cambiare. La scienza ha messo in evidenza la "fine di tutte le certezze". Non-realisti, critici-realisti, positivisti, relativisti e pluralisti liberali hanno fatto tutti la loro parte per far sì che il linguaggio della religione cristiana sia visto spoglio dai suoi contenuti di verità. Man mano che il processo avanzava, per molti l’insegnamento cristiano diventava più esortativo e meno dottrinale. Molti all’interno della Chiesa, e con ragione, hanno rigettato il trionfalismo, ma hanno commesso il grave errore di rigettare con lui anche la certezza della fede. Non c’è da meravigliarsi che oggi un ampio settore del Popolo di Dio sia disorientato, soprattutto per il pubblico dissenso di alcuni teologi. Ci stanno chiedendo di restituire loro la certezza della fede.

Più frustrante è la posizione dei catechisti, perché subiscono pressioni perché impartiscano una formazione aperta priva di base dottrinale. Lo stesso si applica alle scuole cattoliche. Per essere la speranza del mondo, la Chiesa deve seguire il suo divino Fondatore. Cristo ha detto: "Io ho vinto il mondo" (Gv 16, 33). Naturalmente non c’è trionfalismo da parte di Gesù, ma una base sicura per la certezza della fede. Quando decidiamo cosa insegnare, mettiamo a rischio il messaggio.

Dovrebbe essere una certezza "per l’oggi". Lo sviluppo della dottrina non è una scusa per non trasmettere la certezza della fede. La certezza della fede ha a che fare con la verità rivelata, mentre lo sviluppo della dottrina ha a che fare con la continua ricerca della spiegazione della verità. Poiché la Chiesa deve essere "il sale della terra" e "la luce del mondo" (Mt 5, 13ss) per l’umanità di ogni tempo e di ogni luogo, la certezza del suo insegnamento non dovrebbe dipendere dalla parola del suo Fondatore piuttosto che dai capricci di qualche teologo o della ricerca sociologica?

La trasmissione della certezza della fede non è essenzialmente un esercizio intellettuale. Infatti, soltanto i santi possono trasmettere questa certezza, perché vivono quanto predicano. Il Vescovo dovrebbe insistere sulla certezza delle verità rivelate, servendosi del linguaggio idoneo che rifletta le più recenti ermeneutiche di lingua e dottrina, sempre in linea con il Magistero.

[00183-01.04] [ud011] [Testo originale: inglese]

Sig.ra Maria Christina NORONHA DE SA', Direttrice della Pastorale dei Giovani dell’Arcidiocesi di São Sebastião do Rio de Janeiro (Brasile).

1. Parlo dalla mia esperienza di Chiesa, da 30 anni responsabile di parte della pastorale sociale dell'Arcidiocesi di Rio de Janeiro (bambini di strada e giovani in disagio). Presso questi giovani, svanisce la parte più ricca dell'umanità e si perde la capacità di compassione e solidarietà. Cristo è lì. L'umanità più divina è custodita nel cuore di questi bambini. Qui la Chiesa adempie il suo compito profetico, accanto a tanti che nascono nelle mangiatoie delle strade del mondo. È importante trascendere la dicotomia tra assistenza e cambiamento sociale, è necessario convertire il mondo.

L 'uomo e la sua salvezza sono parte integrante del disegno di Dio. Non è più possibile annunciare il Suo Nome senza proclamare la vocazione umana. E ciascuno deve essere causa di felicità e di salvezza per l'altro.

2. Ai Vescovi chiediamo di aiutarci a scoprire e a vivere il senso della Chiesa, presenza visibile di Cristo, vincitore della morte e del peccato. La Chiesa dev'essere una realtà viva, aldilà delle strutture e dei progetti umani, mistero unitario di comunione. L 'ecclesiologia della Lumen gentium è più che mai attuale e richiede ulteriore approfondimento. Abbiamo bisogno di vescovi che siano autentici formatori della fede.

3. l Vescovi sappiano di non essere soli. Essi possono contare sui loro fedeli nella. complementarità della comunione. Maria, nelle nozze di Cana, ha saputo raccogliere le necessità della gente e indicarli a Gesù. La Maddalena, nell'ascoltare la voce del risorto, ha saputo identificare il Signore ed è stata annunciatrice della sua vittoria. Noi donne, non vogliamo il sacerdozio né pretendiamo un conflitto di potere. Vogliamo offrire la nostra sensibilità e vivere l'avventura della comunione arricchendo la missione comune della Chiesa, della quale i Vescovi, con il Santo Padre, sono i Maestri, i Sacerdoti e i Pastori.

[00196-01.03] [ud012] [Testo originale: italiano]

Sig. Myroslaw MARYNOVICH, Direttore dell’Istituto di Religione e Società, Lviv (Ucraina).

Come è stato notato più volte, i numeri 84 e 85 dell’Instrumentum laboris non fanno menzione della Chiesa cattolica orientale nel quadro della Chiesa universale. Ne consegue che tutto il contesto sembrava troppo semplificato alla luce della situazione attuale della Chiesa. Il problema di una collocazione delle Chiese cattoliche orientali all’interno della Chiesa universale, ovviamente, non è semplice, e dobbiamo pregare il Signore di più, nella ricerca di una comprensione chiara e non ambigua. Questa questione tuttavia è di estrema importanza per i laici della nostra Chiesa. Problemi di questo tipo è meglio risolverli nell’aula sinodale piuttosto che affidarle ai demagoghi di strada. Faccio appello ai membri più venerabili del Sinodo attuale per compiere passi in avanti verso un suo significativo chiarimento. La base teologica di ciò è stata succintamente formulata al punto 84 dell’Instrumentum laboris: "Ogni fedele... nella celebrazione dell’Eucaristia deve sentirsi sempre nella sua Chiesa". Spesso osservo che alla pienezza ortodossa manca ancora un elemento chiave di una struttura della Chiesa universale, vale a dire l’autorità del Santo Padre. Senza averlo mai confessato, l’ortodossia talvolta anela a qualcuno che sia al di sopra dell’attuale struttura, che possa alleviare alcune tensioni al suo interno. Seguendo le discussioni sinodali, ho l’impressione che il cattolicesimo, a sua volta, stia sempre più perdendo l’altro elemento chiave della Chiesa universale (come lo intendo io), vale a dire la collegialità, o sinodalità, nel processo decisionale. Non vi è nulla di pessimistico in questa tendenza. Anzi, questa convergenza è un segno del mutuo desiderio dei cristiani all’unità in seno alla Chiesa universale con la sua natura inter-complementare. Per questo motivo, il fatto che i vescovi siano insieme rappresenta un segno di speranza per il mondo.

[00195-01.04] [ud013] [Testo originale: inglese]

INTERVENTI IN AULA (CONTINUAZIONE)

Quindi sono intervenuti i seguenti Padri:

Diamo qui di seguito i riassunti degli interventi:

S.E.R. Mons. Charles Maung BO, S.D.B., Vescovo di Pathein (Birmania).

Per quanto riguarda l’Instrumentum laboris, la consideriamo una lettura spirituale arricchente sulla vita e il ministero del vescovo. Siamo grati a quanti hanno dedicato tanto amore e spiritualità alla preparazione di questo documento.

Attendiamo con piacere un trattamento ancora più completo dei vari aspetti della vita del vescovo che ci offrirà il Santo Padre. Sarà una specie di vedemecum nelle mani di ogni vescovo.

Questo Sinodo è particolarmente istruttivo per noi vescovi di Myanmar. A tale riguardo siamo grati alla Federazione delle Conferenze dei Vescovi dell’Asia per l’impegno profuso nell’aiutare i vescovi a diventare guide efficaci offrendo ai nuovi vescovi ordinati una formazione alla loro funzione. Secondo noi, questa iniziativa dovrebbe essere portata avanti e sostenuta.

Sulla stessa scia, consideriamo che sarebbe un beneficio per i vescovi-eletti e le loro future diocesi se la Santa Sede potesse riunirli a Roma o altrove per offrire loro alcuni mesi di formazione e orientamento nel periodo tra l’elezione e l’ordinazione.

Con tutto ciò, e assicurando al contempo che i piani dei precedenti vescovi e dei loro consigli pastorali continueranno ad essere attuati, sarebbe forse possibile stabilire dei termini precisi per l’ufficio di vescovo. Un termine di dieci o quindici anni, rinnovabile una sola volta, darebbe al nuovo vescovo un’idea chiara di quale sia la sua posizione all’inizio del ministero e gli consentirebbe di elaborare i suoi piani di conseguenza. Egli può decidere di fare del suo meglio durante quegli anni per riuscire veramente a concretizzare qualcosa durante il periodo in cui è in carica. Sapendo di dover lasciare il posto a qualcun altro, potrà anche essere più prudente nello stile di vita e nelle abitudini di lavoro. Secondo noi è importante che un uomo lasci il posto a un altro finché può essere ancora attivo altrove. Occupando un posto troppo a lungo e fino ad un’età avanzata, si giunge ad una condizione mentale per cui diventa più difficile lasciare tutto anche se si tratta della cosa più ovvia da fare. Si può quindi arrecare un danno immenso.

Per quanto riguarda il trasferimento del vescovo da una diocesi all’altra, certamente esso crea grandi difficoltà: un vescovo non è una guida solo nell’ambito pastorale, ma è a capo dei programmi educativi e di sviluppo.

Occorre riflettere attentamente prima di trasferire un vescovo ad un’altra diocesi.

[00153-01.04] [in127] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Peter FERNANDO, Vescovo di Tuticorin (India).

In un paese di saggi e di "rishi" come l’India, l’immagine del vescovo come persona dello Spirito e uomo di Dio profondamente radicato nell’esperienza divina è molto appropriata per il suo ministero episcopale. Il vescovo sarà sempre uno che serve e dà la sua vita per gli altri, e per lui Gesù, il Supremo Guru, è il modello e la sorgente. Vivere questa grazia del ministero episcopale richiede, da parte del vescovo, una spiritualità di comunione. Il fondamento e la sorgente di questa comunione stanno nell’intima e costante comunione del vescovo con il Dio Uno e Trino, nella preghiera quotidiana e nella celebrazione dei sacramenti, in particolare dell’Eucaristia, che egli celebra per il suo popolo.

Il sacramento della riconciliazione ha un posto significativo nella vita di santità del vescovo. Egli ne promuove la pratica fra i suoi sacerdoti e fra i fedeli. Meditare sulla Parola di Dio nella preghiera quotidiana, nella liturgia delle ore, e annunciare la Parola di Vita al suo gregge sono requisiti di santità per il vescovo.

La comunione fondante con il Dio Uno e Trino confluisce nella comunione con i fratelli nell’episcopato della regione e della provincia ecclesiastica o degli organismi episcopali nazionali e continentali, ed è organicamente legata al collegio universale dei vescovi in comunione con il successore di Pietro.

Il vescovo come Pastore capo della Chiesa particolare vive la comunione spirituale concretamente nel rapporto amorevole e paterno con i suoi sacerdoti. Egli ispira e guida il presbiterio con l’ascolto attento e con la pronta disponibilità. Ha un rapporto amorevole con quanti si sentono soli o abbandonati o in crisi. Inoltre, si confronta con loro e li corregge con una cura amorevole che dimostra il suo autentico rispetto per loro. Il vescovo dimostra lo stesso rapporto paterno con i suoi seminaristi, offrendo loro incoraggiamento e guida. Egli sostiene e guida l’opera del seminario nella sua diocesi o regione con la giusta attenzione. Altro suo compito importante è la promozione delle vocazioni al sacerdozio e la cura per la formazione integrale del futuro sacerdote.

Il vescovo cura la comunione con i religiosi rispettandone il carisma e al tempo stesso chiamandoli ad operare per la missione di Cristo nella diocesi per l’efficace testimonianza e servizio.

Altrettanto importante è la comunione del vescovo con i fedeli laici. Egli deve essere per il suo popolo un modello di santità e un padre nelle sue battaglie quotidiane. La santità del vescovo è intimamente collegata alla sua triplice funzione di guidare, santificare e insegnare. Egli segue le orme del Pastore Capo nell’adempimento del suo triplice ministero. Nello spirito di comunione egli si sforza di edificare la Chiesa in quanto servitore del Vangelo per la speranza del mondo.

[00154-01.05] [in128] [Testo originale: inglese]

S.Em.R. Card. Joseph RATZINGER, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (Città del Vaticano).

Il munus docendi affidato al Vescovo è un servizio al Vangelo e alla speranza. La speranza ha. un volto e un nome: Gesù-Cristo; il Dio-con-noi. Un mondo senza Dio è un mondo senza speranza. Essere al servizio della speranza vuol dire annunciare Dio col volto umano, col volto di Cristo. Il mondo ha sete di conoscere, non i nostri problemi ecclesiali, ma il fuoco che Gesù ha portato sulla terra (Lc 12,50). Soltanto se siamo divenuti contemporanei con Cristo, e questo fuoco è acceso in noi, il Vangelo annunciato tocca i cuori dei nostri contemporanei. Questo annuncio esige il coraggio della verità e la disponibilità a soffrire per la verità (cf. 1 Tess 2, 2). Entrare nella successione apostolica implica anche entrare in questa lotta per il Vangelo. Nella nostra cultura agnostica ed atea il Vescovo, maestro della fede, è chiamato al discernimento degli spiriti e dei segni dei tempi. Il problema centrale del nostro tempo è lo svuotamento della figura storica di Gesù Cristo. Un Gesù impoverito non può essere l'unico Salvatore e mediatore, il Dio-con-noi: Gesù viene così sostituito con l'idea dei "valori del regno" e diventa una speranza vuota. Noi dobbiamo ritornare con chiarezza. al Gesù dei Vangeli, poiché lui solo è anche il vero Gesù storico (cf. Gv 6, 68). Se i Vescovi hanno il coraggio di giudicare e di decidere con autorità in questa lotta per il Vangelo, la così auspicata decentralizzazione si realizza automaticamente. Non si tratta di decidere sulle questioni teologiche degli specialisti ma sul riconoscimento della fede battesimale, fondamento di ogni teologia. La fede è il vero tesoro della Chiesa (cf. Mt 13, 45s).

[00173-01.03] [in145] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. Andreas CHOI CHANG-MOU, Arcivescovo di Kwangju (Corea).

Svolgere l’ufficio di vescovo nella Chiesa locale.

La Chiesa in Corea è cresciuta sotto violente persecuzioni.

Cinque punti su cui si dovrebbe soffermare ogni vescovo:

1. Siamo chiamati successori degli apostoli e lo siamo.

2. Nessuno può dare ciò che non ha.

3. Dà più gioia dare che ricevere.

4. Senza di me nulla potete fare.

5. Non aver paura piccolo gregge.

[00155-01.04] [in129] [Testo originale: plurilingue]

S.E.R. Mons. Paul Josef CORDES, Arcivescovo titolare di Naisso, Presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum" (Città del Vaticano).

La grande diffusione di agenzie d'aiuto, attive in molti paesi e spesso in competizione tra loro, ha comportato una forte oggettivizzazione del loro lavoro. Le istituzioni caritative assumono specialisti, elaborano programmi, mirano a progetti. Fonti di finanziamento non ecclesiali comportano l'esclusione di finalità pastorali e spirituali e costringono a limitarsi alla dimensione sociale dell'aiuto. La legislazione fiscale e il controllo dei media spingono a servirsi di tutte le persone e delle tecniche offerte sul mercato.

Questa tendenza non è del tutto lamentabile in sé; infatti rafforza di certo l'efficacia dell'aiuto prestato dalla Chiesa cattolica e gli conferisce una risonanza pubblica positiva. Tuttavia contribuisce senza dubbio anche alla sua secolarizzazione. Così, de facto, oggi molti programmi di carità cristiana non raramente sono interscambiabili con quelli della "Croce Rossa" o delle "Nazioni Unite"; la gestione cristiana incide poco sugli scopi che si perseguono.

Conseguentemente a ciò, alcune istituzioni ecclesiali si intendono esclusivamente come agenzie umanitarie e filantropiche. Non passano sotto silenzio che vorrebbero liberarsi dal vincolo ecclesiale come da una zavorra ideologica che ostruisce la propria indipendenza e tenacia. Vorrebbero essere come una qualunque organizzazione non governativa (ONG) e più ancora esclusivamente una forza politica.

Tale perdita di identità ecclesiale porta ad una grave riduzione. Sappiamo che l'ecclesiologia si interroga sulle funzioni ecclesiali fondamentali. Nomina dunque la terna MARTYRIA, LEITOURGIA e DIAKONIA. Spiega che questi tre settori sono distinti, ma nella concreta vita della Chiesa non possono venire esercitati come se corressero su binari paralleli.

Ancora più grave sarebbe però una secolarizzazione di questo genere, poiché perderebbe di vista Gesù, il modello biblico di ogni forma di amore al prossimo. Quando il Signore sanava i malati e saziava gli affamati, la sua azione è stata sempre in rapporto costante con l'annuncio del regno di Dio. Nel superamento del bisogno umano si faceva esperienza della presenza del regno di Dio. Così ancora oggi l'attività caritativa sorregge in maniera insostituibile la credibilità della missione ecclesiale.

Perciò il Vescovo, garante di questa missione e suo primo agente, ha una responsabilità per tutti i servizi caritativi, nella sua diocesi e in ambito nazionale, che non può demandare.

[00159-01.04] [in133] [Testo originale: italiano]

S.E.R. Mons. Michael Kpakala FRANCIS, Arcivescovo di Monrovia (Liberia).

Il tema di questa Sinodo Ordinario, "Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo", è opportuno soprattutto in questo momento della vita della Chiesa. Riporta la nostra attenzione su ciò che il vescovo è e su ciò che ci si attende da lui, non solo come membro del Collegio Episcopale, ma anche e soprattutto nel suo rapporto con Dio e il suo popolo.

Come Collegio, sotto il Vescovo di Roma, ha il dovere di promuovere il Regno di Dio in questo mondo. Siamo messaggeri della Buona Novella in tutto il mondo. Tuttavia, potremo esserlo solo se siamo Pastori del Signore santi, sinceri, impegnati e zelanti. Non si metterà mai abbastanza l’accento sulla vita spirituale del vescovo.

Il Collegio Episcopale, a capo del quale vi è il Sommo Pontefice, condivide la responsabilità di custodire la Chiesa universale. Le preoccupazioni di ogni singola Chiesa locale dovrebbero anche quelle di tutte le Chiese locali; pertanto, come Collegio, dovremmo fare tutto quanto è possibile per promuovere il Regno di Dio in questo mondo. Le sofferenze e le gioie di tutte e di ciascuna Chiesa locale devono riguardare tutti. Con la nostra sollecitudine per ogni Chiesa locale, riusciremo ad esprimere in modo tangibile la presenza di Gesù Cristo tra noi come realtà salvifica.

L’amministrazione centrale della Chiesa deve sempre aver cura di ogni Chiesa locale, con le sue diversità ed esigenze in relazione alla Chiesa universale. Viviamo in una Chiesa e siamo una Chiesa che abbraccia popoli di tutte le razze, culture e nazioni, diverse tra loro per molti aspetti. Coloro che stabiliscono le priorità e prendono le decisioni che riguardano la Chiesa universale in tutto il mondo devono sempre essere consapevoli e tener conto delle situazioni peculiari che ogni Chiesa locale vive. D’altra parte, le Chiese locali devono mostrarsi sensibili alla necessità di conservare l’unità della Chiesa universale. È importante dialogare e ascoltarsi gli uni gli altri. E altrettanto importanti sono la cooperazione, la collaborazione e la comunicazione tra le Chiese locali da un lato e la Chiesa universale dall’altro.

Tutti i vescovi, quali membri del Collegio Episcopale a capo del quale vi è il Vescovo di Roma e Successore di Pietro, condividono la responsabilità per la Chiesa universale, ossia che la missione che Gesù Cristo ha affidato agli apostoli duemila anni fa continui ad essere proclamata e si porti la Parola nel Regno di Dio. È necessario che le Chiese locali che possiedono più beni materiali li condividano con quelle che non ne possiedono.

Infine, ci aspettiamo che questo Sinodo produca un programma che indichi il cammino lungo il quale noi come Pastori guideremo il nostro gregge nel XXI secolo.

[00157-01.04] [in131] [Testo originale: inglese]

S.Em.R. Card. Giovanni Battista RE, Prefetto della Congregazione per i Vescovi (Città del Vaticano).

L' Instrumentum laboris cita più volte l'immagine del Buon Pastore. È 1'immagine che meglio dipinge il Vescovo e che ha ispirato nei secoli molti Vescovi; essa ricorda un dovere che va fino a "dare la vita". In quale senso "dare la vita"?

a) Anche nel secolo da poco tramontato, molti Vescovi hanno versato il sangue per essere fedeli a Cristo. Altri, anche se non sono giunti al martirio, hanno ugualmente pagato un alto prezzo per la loro fedeltà. Alcuni di questi ultimi sono presenti in quest'Aula sinodale. La via del martirio, però, rimane sempre eccezionale.

b) Ma il "Bonus Pastor dat vitam pro ovibus suis" vale per tutti noi, in quanto ogni Vescovo deve dare la vita donando ogni giorno tutto se stesso: cuore, mente, energie e sofferenze per il bene dei fedeli affidati alle sue cure pastorali. Ed oggi si chiede molto ad un Vescovo:

1. Un Vescovo per essere testimone di speranza deve innanzi tutto avere coscienza delle sfide che l'odierna società scristianizzata porta con sé ed avere il coraggio di affrontarle con fedeltà e coerenza.

Un Vescovo deve essere una guida, un leader spirituale che indica con la parola e con la testimonianza il cammino da percorrere.

2. È un vero seminatore di speranza solo il Vescovo che dedica una speciale attenzione al suo clero, stabilendo con ogni sacerdote un rapporto cordiale, diretto, semplice, di fiducia e di confidenza.

È fondamentale la vicinanza del Vescovo ai suoi sacerdoti, dei quali deve essere un padre che educa, incoraggia, guida e corregge, ma deve essere anche fratello maggiore ed amico. Ogni sacerdote ha bisogno di sentirsi amato dal suo Vescovo.

3. Per essere un efficace testimone di speranza il Vescovo deve suscitare collaborazione attorno a sé. È importante il dialogo; è importante che il Vescovo sia accompagnato nell'elaborare le decisioni e sappia ascoltare, ma poi deve essere lui a decidere ed a decidere secondo la sua coscienza, in piena verità e libertà davanti a Dio e non in base al peso numerico dei consiglieri.

4. Si è parlato in questi giorni di vari aspetti della collegialità. Ne vorrei rilevare uno a livello locale: potrebbe risultare di efficacia pastorale che il Metropolita svolga un ruolo più incisivo, promovendo una maggiore collegialità a livello locale fra i Vescovi suffraganei, con un intenso coordinamento pastorale. Spesso le disposizioni del Codice circa i Metropoliti sono disattese e il suo ruolo è divenuto insignificante.

La vicinanza e la maggiore affinità delle comunità ecclesiali di una medesima metropolia possono agevolare iniziative pastorali comuni.

Molti sono i problemi che pesano su un Vescovo. Per questo deve avere cura di coltivare un tenore di vita che favorisca serenità ed equilibrio, così che sempre si possa trovare in lui bontà, comprensione, speranza e incoraggiamento ed essere così per tutti un "buon pastore" che infonde speranza.

[00164-01.04] [in137] [Testo originale: italiano]

S.Em.R. Card. Lubomyr HUSAR, M.S.U., Arcivescovo Maggiore di Lviv degli Ucraini (Ucraina).

Richiamata la "missione" delle Chiese Orientali in comunione con la Sede di Roma di informare le Chiese latine sul patrimonio spirituale della tradizione bizantina, ci si sofferma su alcuni elementi tipici che contribuiscono all’identità del vescovo. Il primo è la qualificazione primordiale di "uomo dello Spirito Santo", per cui la sua funzione è fondamentalmente quella di guida spirituale del clero e dei fedeli. Riferendosi poi ai testi petrini, si evidenzia la comunione con il Successore di Pietro quale garanzia di unità nella Chiesa, aggiungendo immediatamente la necessità della sinodalità, non tanto funzionale ad esigenze giuridiche e organizzative, ma come "luogo" per cercare e fare la volontà di Dio. Il valore della sinodalità viene applicato anche al processo di identificazione e maturazione del Vescovo stesso: "io Vescovo, nel confronto stabile e ordinario con i Confratelli, maturo la mia identità episcopale e la esprimo". A fondare ancora l’esigenza della sinodalità, viene ricordata la comune tradizione della Chiesa d’Oriente e d’Occidente prima delle divisioni. E si aggiunge - non certamente secondaria - la preoccupazione ecumenica "se siamo convinti che unitatis redintegratio è, in questo caso, sic et simpliciter, communionis redintegratio", per cui la vita sinodale ordinaria diventa segno credibile di un autentico dialogo ecumenico con le Chiese Orientali Apostoliche ed Ortodosse. Una riflessione viene anche riservata alla dimensione liturgica del vescovo e alla necessità di una sua evidenza in questo ambito in quanto Sacerdos Magnus. Per concludere con la plurisecolare esperienza delle Chiese Orientali in continua condizione di complessità, multietinicità e multiconfessionalità.

[00158-01.04] [in132] [Testo originale: italiano]

S.Em.R. Card. James Francis STAFFORD, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici (Città del Vaticano).

Una caratteristica delle persone che vivono in culture secolarizzate è la loro insistenza sulla natura incompleta e incompiuta di tutta la realtà. Vi sono conversazioni interminabili, possibilità perpetue che potrebbero andare avanti senza limiti e senza significato. Tutti noi facciamo parte di una cultura globalizzata che non tollera i confini netti. Ci compiacciamo di rinviare indefinitamente qualsiasi finalità. Di conseguenza, molti oggi sono affetti da una forma benigna di disperazione. L’ambivalenza sembra essere il loro rebus ineludibile.

Questa ambivalenza onnipresente ha implicazioni immense per la formazione dei Christifideles Laici nella speranza. Vedendo come va il mondo oggi, ci si chiede come possano i poveri, uomini e donne, credere ancora che il domani sarà migliore. E tuttavia, la speranza è un miracolo incomprensibile seminato nel cuore dell’uomo ed è il più grande miracolo della grazia di Dio.

La speranza nel cuore del vescovo è una speranza incredibile. Egli sa che Dio nostro Salvatore "vuole che tutti gli uomini siano salvati" (1 Tim 2, 3). Perciò spera che tutti saranno salvati in Cristo. Il vescovo affida il suo popolo, nella speranza, alla comunione dei santi e alle loro preghiere d’intercessione.

Viene il giorno, nel ministero del vescovo, in qui patroni e santi non bastano più. Ogni vescovo si innalza, nella speranza, verso Colei che è la santità incomparabile, Santa Maria, Madre della Chiesa. Le chiede di abbracciare nella sua materna sollecitudine l’intero genere umano, compreso tutto il popolo della sua diocesi.

Infine, la speranza di Gesù il Buon Pastore illumina da sola il contenuto più intimo della speranza del vescovo. Gesù va in cerca dell’unica pecora che si è smarrita. Le novantanove pecore obbedienti, che sono rimaste nella fede e nell’amore, restano sole. Ma per quell’unica smarrita, la peccatrice, il cuore di Gesù si riempie di ansia e di speranza. Nel cuore di Dio troviamo il tremore e il timore della speranza. Perché il cuore di Gesù è colto dalla paura di dover respingere qualcuno nella sua libertà.

Il mondo ha bisogno di confessori laici di eroica speranza, formati secondo il cuore di Gesù. Esorto il Sinodo a raccomandare che la Lettera Apostolica del Santo Padre chieda ai vescovi di essere più consapevoli dei laici con la fama di santità eroica che vivono nelle loro diocesi, e di avviare l’indagine canonica che porterà alla loro canonizzazione.

[00161-01.04] [in135] [Testo originale: inglese]

S.E.R. Mons. Vincent COULIBALY, Vescovo di Kankan (Guinea).

Insieme alla totalità dei membri della Chiesa-Famiglia di Dio, i vescovi sono chiamati a essere testimoni del Vangelo nel mondo. In effetti l’evangelizzazione è la grande consegna che Cristo ha lasciato ai suoi discepoli prima di salire a Dio Padre nel giorno dell’Ascensione. Evangelizzare non vuol dire soltanto e innanzitutto predicare: vuol dire testimoniare con tutta la propria vita. Non vuol dire solo insegnare, ma aiutare le persone a vivere secondo lo Spirito del vangelo. Così, tramite le nostre azioni e la condivisione della nostra vita, possiamo aiutare i non cristiani a cambiare la loro vita per vivere secondo il vangelo.

Un’analisi della situazione del nostro paese e del mondo, dopo i numerosi attacchi di ribelli che abbiamo subito dal settembre 2000 al marzo 2001, ha fatto nascere nel nostro cuore di Pastori sentimenti di compassione di fronte alle sofferenze di numerosi sfollati e rifugiati, alla mancanza di fede di molti cristiani, alla gravissima violenza di certe autorità, alla grande sete di denaro e alla mancanza di onestà e di coscienza professionale di numerosi nostri compatrioti. Gesù il Buon Pastore è stato molto sensibile alla miseria dell’Uomo.

Le nostre comunità, con il sostegno dei loro Pastori:

- devono essere comunità che pregano. Sono state organizzate giornate di preghiera. Abbiamo invitato i cristiani a pregare intensamente, ad alzare gli occhi e le mani verso il Signore, che è il nostro scudo. Convinte che se Dio non custodisce le nostre città e i nostri paesi, invano veglieranno le guardie in città e i soldati alle frontiere.

- Devono imparare a riflettere e ad agire concretamente per aiutare coloro che soffrono e dare loro un po’ di speranza; essere aperte a tutti e diventare luoghi dove i piccoli sono accolti, dove i poveri e gli analfabeti hanno voce, dove gli sfollati si sentono a casa propria, i rifugiati sono considerati dei fratelli; comunità che si impegnano nel loro ambiente per trasformarlo. È in questo quadro che è stata fondata la OCPH, la Caritas della Guinea.

Infine, gli eventi dolorosi che abbiamo conosciuto ci hanno indotti a concludere accordi di partenariato con numerosi organismi. Pur ringraziando vivamente i nostri benefattori per i copiosi aiuti ricevuti, auspicheremmo un’evoluzione delle mentalità che sottendono il partenariato. La comunione ecclesiale dovrebbe svolgere un ruolo più importante nell’evoluzione delle mentalità, per giungere a un partenariato in cui ogni povero sia ascoltato e rispettato.

[00165-01.03] [in138] [Testo originale: francese]

S.Em.R. Card. Sergio SEBASTIANI, Presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede (Città del Vaticano).

Con l'aggravarsi della situazione dell'economia globale dopo l’11 settembre 2001, si profila un incremento della disoccupazione con drammatiche conseguenze sociali. Di fronte a queste prospettive il Vescovo, padre e difensore dei poveri, dovrà promuovere con maggiore impegno e creatività (cfr. Novo Millennio Ineunte, n. 50) opere efficaci e moderne per ridurre le nefaste conseguenze della globalizzazione ispirata da uno sfrenato liberalismo, sia della nuova crisi economica che si sta abbattendo sull’umanità. Se il Vescovo vuole essere l'icona di Cristo Buon Pastore, non può non avvertire i segni di crescente sfiducia e le grida di disperazione presenti nel mondo di oggi. Non dovrà pertanto mancare la medicina della consolazione e della speranza propria della "Caritas Pastoralis", la cui operosità deve rendere palese al suo gregge "il cuore di Dio". Di qui la necessità di mettere in atto in ogni diocesi quelle forme di micro-credito, efficaci ad arginare la crescita di tanti "Lazzari" ridotti nella più estrema miseria. La riuscita esperienza fatta dall'economista del Bangladesh Prof. Muhammad Yunus, fondatore della nota "Grameen Bank" (banca del villaggio) dovrebbe incoraggiare le Caritas locali a convincersi dell'estrema urgenza e necessità di ridurre la piaga della miseria più estrema aiutando i più poveri tra i poveri per permettere loro di uscire fuori dalla miseria con le loro proprie forze, ricordando ciò che soleva ripetere la Serva di Dio Teresa di Calcutta: "Abbiate fiducia nei poveri: essi hanno così poco, ma sanno fare così tanto".

[00156-01.04] [in130] [Testo originale: italiano]

AVVISI

BRIEFING PER I GRUPPI LINGUISTICI

Il sesto briefing per i gruppi linguistici avrà luogo lunedì 8 ottobre 2001 alle ore 13.10 (nei luoghi di briefing e con gli Addetti Stampa indicati nel Bollettino N. 2).

Si ricorda che i Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) sono pregati di rivolgersi al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali per il permesso di accesso (molto ristretto).

POOL PER L’AULA DEL SINODO

Il sesto "pool" per l’Aula del Sinodo sarà formato per la preghiera di apertura della Undicesima Congregazione Generale di lunedì mattina 8 ottobre 2001.

Nell’Ufficio Informazioni e Accreditamenti della Sala Stampa della Santa Sede (all’ingresso, a destra) sono a disposizione dei redattori le liste d’iscrizione al pool.

Si ricorda che i Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) e fotoreporters sono pregati di rivolgersi al Pontificio Consiglio per le Comunicazione Sociali per la partecipazione al pool per l’Aula del Sinodo.

Si ricorda che i partecipanti al pool sono pregati di trovarsi alle ore 08.30 nel Settore Stampa, allestito all’esterno di fronte all’ingresso dell’Aula Paolo VI, da dove saranno chiamati per accedere all’Aula del Sinodo, sempre accompagnati da un ufficiale della Sala Stampa della Santa Sede, rispettivamente dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali.

BOLLETTINO

Il prossimo Bollettino N. 14, riguardante i lavori della Undicesima Congregazione Generale dell’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi di lunedì mattina 8 ottobre 2001, sarà a disposizione dei Signori giornalisti accreditati a conclusione dei lavori della Congregazione.

 

 
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