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SYNODUS EPISCOPORUM
BOLLETTINO

della Commissione per l'informazione
X COETUS GENERALIS ORDINARIUS
SYNODI EPISCOPORUM
30 septembris-27 octobris 2001

"Episcopus Minister Evangelii Iesu Christi propter Spem Mundi"


Il Bollettino del Sinodo dei Vescovi è soltanto uno strumento di lavoro ad uso giornalistico.


Edizione plurilingue

17 - 09.10.2001

SOMMARIO

QUATTORDICESIMA CONGREGAZIONE GENERALE (MARTEDÌ, 9 OTTOBRE 2001 - POMERIDIANO)

Alle ore 17.00 di oggi martedì 9 ottobre 2001, alla presenza del Santo Padre, con la preghiera dell’Adsumus, ha avuto inizio la Quattordicesima Congregazione Generale della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, per la continuazione degli interventi dei Padri Sinodali in Aula sul tema sinodale Espiscopus Minister Evangelii Iesu Christi propter Spem Mundi. Presidente Delegato di turno Em.mus D.nus Card. Bernard AGRE, Archiepiscopus Abidianensis (Abidjan).

In apertura dei lavori della Congregazione il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi S.Em.R. Card. Jan Pieter SCHOTTE, C.I.C.M. ha dato la seguente comunicazione:

Omnibus vobis animadvertendam commendo quandam variationem in nostro kalendario.Cras mane hora nona Circuli Minores coadunantur, non autem hora nona cum dimidio sicut legitur in kalendario.Oratio Hora Tertia celebratur a singulis circulis apud suas sedes.Postea hora quarta post meridiem erit coadunatio moderatorum et relatorum circulorum minorum, in secunda contignatione apud aulam quartam, prope secretariam generalem.Cras mane in secunda sessione Circulorum Minorum fiet suffragatio ad eligendos relatores circulorum minorum.In Vademecum articulo quinquagesimo quarto (54) habemus normam suffragationis. Possumus simul legere .Ad electionem perficiendam cum informata conscientia meminisse iuvabit exigentias, quae e muneribus relatoris oriuntur, prout apparent in Vademecum articulo quinquagesimo tertio (53) simul nunc legendum.

[00254-07.03] [NNNNN] [Texto originale: latino]

A questa Congregazione Generale che si è conclusa alle ore 19.00 con la preghiera dell’Angelus Domini erano presenti 221 Padri.

INTERVENTI IN AULA (CONTINUAZIONE)

Sono intervenuti i seguenti Padri:

Diamo qui di seguito i riassunti degli interventi:

Exc.mus D.nus Franc KRAMBERGER, Episcopus Mariborensis (Maribor, Slovenia).

Il mio intervento si riferisce all'Instrumentum laboris, nn. 85, 86 e 88, in cui si parla del vescovo come principio e moderatore di unità nella Chiesa particolare e della relazione tra vescovo e sacerdoti. Il Concilio esige dai vescovi uno spirito nuovo, nuove conoscenze, nuove comprensioni e nuove energie per la realizzazione della missione affidata. Gli eventi ed i documenti postconciliari hanno ulteriormente approfondito la teologia del ministero episcopale ed hanno presentato chiaramente lo stile odierno e le odierne caratteristiche del ministero e dell'autorità episcopali. In primo luogo vi è il senso di responsabilità ed il servizio secondo l'esempio di Gesù Cristo che "non è venuto per essere servito ma per servire" (M t 20,28).

Un tempo si parlava del vescovo come di "maiestas a longe" (autorità a distanza), o di "vescovo della lontananza", oggi egli è al contrario "vescovo della vicinanza". Ciò significa che il vescovo deve ascoltare i sacerdoti, informarli, consigliarsi con loro ed incoraggiarli in un mondo, come quello di oggi, senza valori, liberalizzato e permissivo.

La Chiesa nella sua totalità deve essere di più Chiesa che ascolta ed apprende. I vescovi come responsabili nelle scelte e nella guida della Chiesa particolare devono ascoltare i sacerdoti, anche i laici, ed imparare da essi.

Solo in questo modo il vescovo sarà principio di unità e promotore di "communio" nella propria diocesi.

Nel periodo del socialismo e del comunismo in molti Paesi dell'Europa dell'Est c'era la tendenza secondo cui era necessario separare i vescovi dal Papa, i sacerdoti dal vescovo ed i fedeli dai sacerdoti. Lo scopo era questo: la necessità di frammentare la Chiesa in modo tale che nessuno avrebbe mai più potuto ricomporla. Tuttavia ciò non è avvenuto. Un ruolo decisivo lo hanno svolto i vescovi. Essi sono stati uno con il Papa, uno con i sacerdoti ed uno con il Popolo di Dio, anche a costo di persecuzioni, di sofferenze attraverso una prigionia di lunghi anni, a costo del martirio e persino della morte.

Proprio questa testimonianza vincola noi, attuali vescovi, a compiere, in un tempo di liberalismo, indifferentismo, consumismo ed edonismo, attraverso il servizio magisteriale, di santificazione e pastorale, la missione di "angelo della Chiesa particolare", della Chiesa all'interno del proprio popolo, della Chiesa in Europa, nel mondo (cf. Ap. 1, 20).

[00228-01.03] [in188] [Testo originale: italiano]

Em.mus D.nus Card. Varkey VITHAYATHIL, C.SS.R., Archiepiscopus Maior Ernakulamensis-Angamaliensis (Ernakulam-Angamaly dei Siro-Malabaresi, India).

Ever since Pope Leo XIII, in 1894, wrote on the like dignity and rank of Eastem and Western Churches, it became part of Catholic awareness that being exclusively western means being insufficiently Catholic. The difficulties Eastern Catholics experience become especially acute when it comes to helping them pastorally, such as by setting up an Eastem-rite parish in a Latin diocese. In spite of this repeated exhortation, from Vatican II's Christus Dominus, on the pastoral office of Bishops, to John Pau1 II's Ecclesia in Asia, on the pastoral situation in Asia, the much needed swing in mentality has still to come.

The problem is not simply one of taking care of diaspora Catholic communities in a Catholic Church of a different rite, but a matter of how the Church understands herself. It is rather a question of the apostolicity of the Church. Christ did not choose just one apostle, Peter, leaving it up to him to select his own team, but rather left little to chance and chose his vicar as well as his fellow apostles. If the St Thomas Christians are so proud of the tradition of having been evangelized by St Thomas, this shows how keenly felt it is that the "way of Thomas" is thoroughly reconcilable with the "way of Peter", and indeed, that without the way of Thomas the Church would be incomplete.

As Major Archbishop of the second Largest Catholic Eastern Church, and one of the most vital, I must confess before the Holy Father and my brother Bishops my inability in the present situation to provide adequate pastoral care for the faithful of our Church outside of our Church, outside of my relatively small proper territory and to find missionary fields for the numerous missionary vocations with which God has blessed our Church. Strange world! In the West they constantly bemoan the lack of vocations, adding that so much is jeopardized precisely because of this state of affairs; in the East the good of souls is in jeopardy because circumstances do not allow us to deploy our vast resources. If there is a sin against poverty in the Church, it is the unwillingness to pool resources; if there is a way of multiplication of the bread it is to address courageously a situation which calls for generosity and thinking big in the vineyard of the Lord. So I beg my fellow Bishops to make this sacrifice and help God's work.

But again, this amounts to pleading for a lost cause unless the Church's teaching on the Eastern Churches comes to be an integral part of the on-going formation of bishops. Here we have long ways to go since, as is well known, what the Church thinks about herself is a never finished treatise-- an unfinished symphony, if you like, since God's graces are greater than our lacunae. In this way, Bishops will be sensitized to think that, by the very fact of being ordained bishops, they belong not only to a Latin or an Eastern Church, but to the Church universal. That will help us to be qualified agents of communion among all the Churches of the Catholic Church.

[00229-02.04] [in189] [Original text: English]

Em.mus D.nus Card. Vinko PULJIĆ, Archiepiscopus Vrhbosnensis (Vrhbosna), Praeses Conferentiae Episcopalis (Bosnia et Herzegovina).

L'uomo di oggi sente un urgente bisogno di speranza. Lo mettono in evidenza i tragici avvenimenti del secolo che abbiamo lasciato dietro, come pure le diverse minacce, soprattutto quelle di intolleranza e di indifferenza, che si alzano agli orizzonti di questo nuovo secolo appena cominciato. I problemi che assillano l’umanità di oggi sono molteplici e non sono di facile soluzione. La risposta concreta della Chiesa a tali problemi è il coraggioso e perseverante annuncio del Vangelo di Cristo e del suo messaggio di perdono, di riconciliazione e di pace; del suo messaggio di speranza per ogni singola persona e per tutti i Popoli.

Il testimone privilegiato di tale messaggio è Vescovo, uomo che in qualità di erede autentico degli Apostoli si è messo in servizio del Vangelo; uomo che si è reso maestro e pastore dei fratelli, disponibile al costante dialogo ed ai colloqui fidati, gioioso della propria vocazione.

Per quanto concerne la Chiesa che è in Bosnia ed Erzegovina, i suoi Pastori si impegnano insieme con i loro sacerdoti, consacrati e fedeli laici per fare sì che la loro testimonianza diventi lievito della società e sia in grado di trasmettere la luce del Vangelo nelle realtà economiche, sociali e politiche del loro Paese. Mentre la maggior parte dei consacrati che operano sul territorio delle circoscrizioni ecclesiastiche locali rimangono fedeli al carisma del loro Istituto e si impegnano senza riserve per la promozione dell'opera apostolica, del bene della Chiesa e della società civile, alcuni membri dell'Ordine dei Frati Minori Francescani o quelli espulsi cercano, purtroppo, di imporre il proprio punto di vista alle singole Diocesi, sostituendo i carismi autentici con i pseudocarismi, una minaccia seria per la Chiesa e per la sua unità organizzativa e dottrinale. Basti ricordare i tristi eventi che nell'estate scorsa hanno visto come protagonisti alcuni appartenenti del suddetto Ordine e un autodichiarato vescovo: un diacono veterocattolico espulso dalla sua comunità, oppure una sistematica disobbedienza degli stessi religiosi che vi è da anni nella Diocesi di Mostar-Duvno.

Con dolore si può constatare che il mondo di oggi è diviso. Tale divisione riguarda vari settori ed ha diverse origini. Ci sono, purtroppo, anche le divisioni della Chiesa, Corpo mistico di Cristo e sacramento universale di salvezza. Cresce la coscienza che la divisione offusca lo sguardo verso il futuro.

Il superamento delle divisioni esistenti della Chiesa e del mondo attuale offrirà una carica speciale di speranza all'umanità del nostro tempo. La Chiesa non può rimanere divisa ed è chiamata ad essere una, santa, cattolica ed apostolica; è chiamata ad essere comunione e rimanere unita sia al livello locale che al livello universale, sempre con il Successore di Pietro a capo. Grazie al Vangelo, la Chiesa si presenta al mondo come una forza vitale capace a renderlo più unito. In tale luce, il dialogo ecumenico riacquista un nuova carica. Lo stesso vale pure per il dialogo interreligioso.

L'Europa non può rimanere divisa tra l'Europa orientale e l'Europa occidentale. Il mondo non può restare diviso tra il Nord e il Sud, tra i Paesi ricchi e sviluppati ed i Paesi poveri e meno sviluppati. Le Nazioni non possono continuar ad essere divise in Nazioni civili e in Nazioni non considerate civili.

La risposta alle divisione del mondo odierno è il dialogo sincero tra le Nazioni ed i Popoli. Qualsiasi sia il tema o il motivo del dialogo, esso vede sempre coinvolto le due parti. Non c'è il dialogo se non c'è pure l'altra parte che ne sia partecipe attiva.

Un notevole contributo all'impegno per il superamento delle divisioni esistenti potrebbe essere dato particolarmente dai mezzi di comunicazione sociale, che sono in grado di essere pure mezzi privilegiati dell'annuncio del Vangelo. Quanti operano con questi mezzi e quanti li dirigono hanno una grande responsabilità.

[00230-01.03] [in190] [Testo originale: italiano]

Exc.mus D.nus Paulinus COSTA, Episcopus Raishahiensis (Rajshahi, Bangladesa).

I will speak in the name of the Bishops' Conference of Bangladesh on two issues:

1) The Role of Proclamation of the Bishop. 2) His being as a Man of Prayer.

A bishop in a developing country is faced with tremendous challenges of human misery, terrorism, war and ethnic conflicts, unemployment, denial of human rights. He is to be a witness and servant of hope for men and women of today.

1. The Proclamation

Being the millennium of evangelization in Asia, Proclamation becomes a special role for bishops. The bishop takes the place of the Apostles as pastor for the proclamation of the Gospel as a message of hope for humanity torn by conflicts. His mission is to build the local Church 'as a communion of communities' around him, its Shepherd. Against the odds of the secular world, his preaching of the Word and his example will animate the people to a rebirth of a living hope.

Bishop is the first teacher of the faith. Most Catholics do not know their religion well. Hence, Catholics have been vulnerable to attacks from all corners and have gone astray. The Bishop must courageously proclaim the Word "in its entirety" and the people grow in their faith. The laity have the right to know the teachings of the Fathers, Vatican II and the recent Popes on delicate matters of moral and family life and their role in the building up of the Church. The Bishop should make them available to his people through publications, diocesan synods, seminars, pastoral letters, etc.

The bishop is the living presence of Christ in his Church. As a good shepherd in his total self-giving he creates a knowing and loving relationship with his flock. Like Jesus the Good Shepherd, the Bishop governs and guides the poor, the needy and goes in search of the lost sheep to bring them back to the fold.

2. The Bishop, A Man Of Prayer

The bishop has been called to live in evangelical perfection before God and people. In following Jesus who constantly prayed for the Apostles, the bishop prays and becomes the symbol of prayer for his people. He is the unifying point in all aspects of spirituality among his people with the brother bishops of his region.

[00231-02.04] [in191] [Original text: English]

Exc.mus D.nus Vital Komenan YAO, Archiepiscopus Buakensis (Bouaké, Litus Eburneum).

En écoutant attentivement l’important exposé préliminaire du relator generalis, document riche, dense sur la mission de l’évêque aujourd’hui, je me suis senti comme écrasé devant les attentes du monde et l’hyperpolyvalence de l’évêque, envoyé de Jésus-Christ à l’humanité tout entière. Combien parmi nous en ces temps de célébration de ce saint synode peuvent prétendre correspondre aux exigences de l’appel de Dieu et à la réalisation de la volonté de Dieu dans son dessein de salut universel? Impuissance? Découragement? Abandon?

Mais voilà qu’avec les interventions et communications, avec les expériences diverses vécues à travers l’Eglise, je me suis vu plongé comme en contemplation devant ce que le Seigneur fait de nos personnes; de nos actions, de nos échecs mêmes, en faveur de son peuple en marche. L’évocation des nobles et dignes figures d’évêques, d’hier et d’aujourd’hui, rassure, réconforte et remet debout dans la voie de l’espérance. Nous avançons et nous devons cheminer comme si nous voyions l’Invisible, à la suite et à la manière du Christ lui-même.

L’évêque, icône du Christ

Le passage de l’Evangile de Jean, au chapitre 10, cité dans l’Instrumentum laboris, présente et illustre bien les qualités et déterminations du vrai et bon pasteur, qui doit inviter tout évêque digne de ce nom.

En réalité, le regard contemplatif qui semble être le premier élément tiré de l’attitude du Bon Pasteur n’apparaît pas dans le texte de Jn 10, 1-21; il en est de même du coeur rempli de compassion. Le verbe qui exprime ce sentiment ou cette attitude du Christ (splagnízomai, être ému de compassion, être pris de pitié, être saisi dans ses entrailles) n’est jamais employé par l’auteur du quatrième évangile. Ce sont les synoptiques qui l’utilisent pour marquer essentiellement l’attitude de Jésus devant les foules (Mt 9, 36 ; 15,32; Mc 6, 34; 8,2) ou face aux malades qui le sollicitent (Mt 14, 14; 20,34; Mc 1, 41); quelquefois, Jésus lui-même, sans attendre d’être sollicité, et intervient de son propre chef (Lc 7, 13 ).

Ce sentiment qui est loin d'etre de la pitié ou de la simple condescendance apparaît comme un élément important de l’action de Jésus thérapeute, guérisseur; il est l’élément moteur de son agir, car il communie d’une certaine manière aux souffrances et aux légitimes aspirations de ceux qui le suivent, le sollicitent ou le rencontrent. Cette communion le conduit à poser des actes salvifiques. Ce sont de tels sentiments ou attitudes qui doivent sous-tendre l’action pastorale de l’évêque.

L’évêque, témoin de l’espérance

Contrairement à l’usage grec qui emploie le terme elpís aussi bien pour l’attente du bonheur que pour l’appréhension du malheur, dans l’Ancien Testament, l’espérance (tikwá) envoie toujours à l’attente d’un bien; c’est une attente pleine de confiance de la protection et de la bénédiction de Dieu.

Si l’espérance est définie dans le langage courant comme le sentiment qui fait entrevoir comme probable la réalisation de ce que l’on désire ou souhaite, le terme désigne’aussi la personne ou la chose qui est l’objet de l’espérance.

C'est au creux de cette expérience douloureuse (souffrance, manque, handicap, besoin) que naît l’espérance, ce désir de vouloir sortir de cet état ou de cette situation. Le Christ a été pour ses contemporains à la fois sujet et objet d’espérance. Il est celui qui, par son enseignement, ses miracles ou actes de puissance, ses paroles réconfortantes, suscite l’espérance. Il porte aussi en lui l’espérance de l’humanité. Pour l’apôtre Paul par exemple, l’espérance est avant tout "d’être avec le Christ" (Phl, 23 ; 2 Co 5, 8); Paul n’attend plus son bonheur personnel, mais simplement quelqu’un qu’il aime; Ce Christ, espérance de la gloire (Col 1, 24-29), il veut le révéler aux païens; Christ est l’espérance même (1 Tm 1, 1). En s’incarnant, il a assumé les faiblesses de l’homme et au plus profond de sa passion, il a vécu l’espérance.

Cette espérance dont doit témoigner l’évêque a un double contenu: Elle est matérielle parce que promotrice d’une vie meilleure: actions sociales ou caritatives, réalisations socio-économiques... Elle a une portée eschatologique, parce que devant conduire à une autre finalité. Dans la rencontre de Jésus et la samaritaine (Jn 4, 1-42), à partir du thème de l'eau, le Christ conduit celle-ci au désir de s’approprier l’eau véritable; Jésus lui dit: "Mais celui qui boira de l’eau que je lui donnerai n’aura plus jamais soi; au contraire, l’eau que je lui donnerai deviendra en lui une source jaillissante en vie éternelle". La femme lui dit: "Seigneur, donne-moi de cette eau pour que je n’aie plus soif et que je n’aie plus à venir puiser ici". Il en est de même des autres thèmes abordés dans ce texte: le culte ou adoration (4, 20-24), le Messie (25-26), Jésus conduit la Samaritaine des réalités immédiates vers les réalités spirituelles. C’est ainsi que devra agir l’évêque; conduire ceux qui le sollicitent pour un bien-être matériel vers les biens spirituels, vers les réalités d’en-haut. Mais la tentation est grande de se lancer et de se complaire dans des oeuvres de bienfaisance, des actions politiques et sociales. Il en fait la panacée de sa mission, oubliant qu’agissant de la sorte, il s’éloigne de l’objectif premier de l’Eglise: élever l’homme vers les biens spirituels. Certes, ces entreprises temporelles font de l’évêque un pasteur qui suscite l’espérance; mais il ne doit pas se contenter de susciter cette espérance, il doit s’efforcer de l’incarner par sa vie de pauvreté orientée vers celle du Christ et par la pratique des vertus inhérentes à sa mission. C’est en étant à la fois sujet et objet d’espérance, comme son maître, qu’il devient réellement le témoin de l’espérance.

A l’heure du forum de réconciliation nationale organisé en Côte d’Ivoire, la conférence épiscopale dûment invitée, tirera de ce saint synode les ressources nécessaires pour semer l’espérance au coeur de cette nation en quête d’équilibre, de justice et de paix, in nomine Christi.

[00232-03.03] [in192] [Texte original: français]

Exc.mus D.nus George PELL, Archiepiscopus Sydneyensis (Sydney, Australia).

One duty of the bishop is to encourage the development of genuine Christian hope. One could say that there is considerable silence and some confusion on such Christian hope especially as it touches the Last Things, death and judgment, heaven and hell.

Limbo seems to have disappeared, purgatory has slipped into limbo, hell is left unmentioned, except perhaps for terrorists and infamous criminals, while heaven is the final and universal human right; or perhaps just a consoling myth.

Many Westerners are reluctant to concede that true freedom is found only in truth and equally reluctant to accept a Creator God who requires people to move towards the truth. So too there was a reluctance to accept that serious evil can be freely chosen and is different from the fruits of ignorance. But September Eleventh might be changing this.

Christian teaching on the resurrection of the body and the establishment of a new heavens and earth, the Heavenly Jerusalem, are a vindication of the values of ordinary decent living, while. the Final Judgment, the separation of the good from the evil, marks the establishment of universal justice not found in this life.

Bishops should encourage poets, artists and theologians to fire the imaginations of future generations on the attainment of the goals of Christian hope, as the genius of Dante and Michelangelo did for earlier generations.

[00233-02.03] [in193] [Original text: English]

Exc.mus D.nus Luciano Pedro MENDES DE ALMEIDA, S.I., Archiepiscopus Marianensis (Mariana, Brasilia).

1. Il grande Giubileo è diventato una sorgente di grazie che ha fatto un bene immenso alla Chiesa. E' stato l'incontro con Cristo vivo. Come, però, portare avanti i frutti del grande Giubileo nel nuovo millennio?

2. Siamo stati tutti colpiti dalla violenza crescente, dagli attentati terroristici, dalle ingiustizie, e dall’agnizione alla vita e dalla morte di tanti innocenti. Si intensificano i conflitti armati, l’odio e la vendetta.

3. E' in quest'ambiente d'incertezza e di sconvolgimento che avviene il Sinodo per annunziare di nuovo a tutti che "Gesù Cristo è la speranza definitiva per il mondo", l'unico salvatore che vince il peccato, supera l'odio e ci aiuta a "vincere il male con il bene".

4. Appartiene ai Successori degli Apostoli, uniti al Papa e fra loro, la priorità nell'assumere il servizio e la missione provvidenziale di annunciare e testimoniare il mistero della comunione, desiderata da Gesù. Al di là di ogni divisione e ogni discriminazione, siamo figli e figlie di Dio, chiamati a vivere la fraternità in Cristo.

5. All'inizio di questo nuovo millennio, discepoli di Gesù Cristo, siamo convocati, pastori e tutto il popolo di Dio, per attuare l'ideale di una "Chiesa vivente, evangelizzata ed evangelizzatrice" che rinnovi nei nostri giorni la bellezza della testimonianza della Chiesa nascente, secondo gli Atti degli Apostoli: "Tutti erano assidui nell'insegnamento degli apostoli, nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" (At 2, 42; 4, 32). L'amore era il fondamento di un nuovo ordine sociale che univa Giudei e gentili, uomini e donne, e membri di tutte le classi sociali, preannunzio del Regno definitivo (Ga 3, 28).

6. Desidero presentare, secondo il suggerimento della Conferenza Episcopale, la modesta testimonianza di quello che oggi sta succedendo nel Brasile, dopo la grazia del grande Giubileo 2000. Così come il grande Giubileo ha propiziato "l'incontro con Cristo vivo", così adesso, in continuità con questa grazia, stiamo mettendo mano, nei prossimi due anni, alla lettura e meditazione degli Atti degli Apostoli. Alla luce della tradizione cattolica cerchiamo di incontrare la Chiesa vivente che Gesù Cristo ha fondato e vivifica con il suo Spirito. Si tratta di vivere con passione il mistero della Chiesa di Gesù risorto che rafforza la certezza dei beni futuri (la speranza escatologica). Possa essere la Chiesa (in tutte le diocesi, parrocchie, gruppi di preghiera e riflessione, gruppi di famiglie, comunità religiose e movimenti) una Chiesa orante con Maria, Madre di Gesù, che confida nel Padre, che ascolta la Parola di Dio, docile allo Spirito Santo, in continua conversione, artefice della comunione e della riconciliazione, aperta al dialogo, missionaria, al servizio di tutti e specialmente dei poveri e promotrice intrepida e senza paura della giustizia, della solidarietà e della pace. Questo programma d'evangelizzazione diventa poco a poco una nuova Pentecoste.

7. Mi permetto di fare la proposta che il Sinodo dei Vescovi porti a tutti nel suo Messaggio Finale, come frutto concreto di quest'assemblea, l'appello affinché il grande Giubileo di Gesù Cristo continui nel programma "essere Chiesa nel nuovo millennio". Sia un tempo, per esempio di due anni, che possa estendersi nelle diocesi del mondo intero, di rinnovamento della fedeltà e dell'amore appassionato alla Chiesa, richiamando i fedeli allontanati, e offrendo a tutti il messaggio di salvezza.

8. Mi permetto ancora di aggiungere la proposta della Conferenza Episcopale Brasiliana che il Sinodo dei vescovi, in profonda unione con il Santo Padre, convochi in questo difficile momento i fedeli cristiani, credenti, ebrei, musulmani e persone di buona volontà, per elevare a Dio la preghiera comune e l'offerta del lavoro e dei sacrifici per la pace e la riconciliazione, fra le nazioni e gruppi in conflitto. Il mondo è in attesa di una parola, di una nostra parola speranza che rinnovi, specialmente nei giovani, la fiducia in Dio e dia senso alla vita.

[00234-01.04] [in194] [Testo originale: italiano]

Exc.mus D.nus Laurent MONSENGWO PASINYA, Archiepiscopus Kisanganiensis (Kinsangani), Praeses "Symposium des Conferences Episcopales d'Afrique et de Madagascar" (S.C.E.A.M.) (Re Publica Popularis Congensis).

Mais une telle invitation à la confiance et à l’espérance concerne en premier lieu le Collège épiscopal lui-même en communion avec le Successeur de Pierre qui, dès le début de son Pontificat, demandait à l’humanité de ne pas craindre d’ouvrir les portes au Rédempteur. Le message d’espérance pascal nous pousse à "avancer au large" suivant la consigne du Saint-Père (Novo Millennio ineunte, 15), à bannir la peur, notamment la peur des réformes nécessaires, à poser les problèmes réels en toute confiance à l’Esprit Saint, à abandonner la quiétude des sentiers battus pour explorer des voies nouvelles d’évangélisation suggérées par les signes des temps (cf. Lc 12, 54-56).

A une humanité profondément divisée par la fracture sociale et une culture politique qui intègre le puissant et le riche tout en excluant le faible et le pauvre, l’évêque doit proclamer l’Evangile de l’Eglise-famille de Dieu. "Qu’as-tu fait de ton frère?" doit crier l’évêque à tous ceux et celles qui prennent plaisir à l’injustice, à l’oppression, à la violation des droits de la personne et de sa dignité, au trafic illicite des armes, à l’organisation, aujourd’hui encore, de l’esclavagisme, crime abominable et inique.

A un monde fatigué et ruiné par les guerres et les conflits armés avec leur cortège de haine, d’agressivité et de violence refoulées, à une humanité abasourdie par des génocides et autres atteintes à la vie, l’évêque proclame l’Evangile de la vie et de la paix: la vie que le Christ est venu donner en surabondance, (cf. Jn 10, 10); la vraie paix, celle que seul le Christ donne (cf. Jn 14 ,27), Un tel évangile obligera l’évêque à intégrer harmonieusement nationalisme et patriotisme d’un côté, et de l’autre, fraternité universelle et charité pastorale, exerçant autant que possible un ministère de médiation et de réconciliation entre frères ennemis.

Enfin, en Afrique comme dans le Tiers Monde, l’évêque doit prêcher la Bonne Nouvelle libératrice de la pauvreté évangélique effective et de la Croix. Non seulement parce que "nous proclamons un Christ crucifié » (1 Cor 1, 23), mais aussi parce que, avec son peuple, l’évêque fait une rude expérience de la pauvreté. Il doit souvent porter le poids de la misère et de ]a détresse matérielle et spirituelle d’un peuple qui, par intuition et bon sens, recourt spontanément à l’Eglise pour trouver auprès d’elle salut matériel et spirituel. Comme jadis Paul VI, au cours de l’un de ses voyages apostoliques, l’évêque a souvent du mal à retenir ses larmes devant un enfant squelettique et condamné à la mort à cause de l’endurcissement du coeur de ceux qui instaurent ou soutiennent des systèmes politiques corrompus et peu respectueux de la dignité humaine fondée sur l’Incarnation du Christ.

La sacramentalité de ]'Eglise perçue instinctivement par le peuple en quête du salut intégral apporté par le Christ aux pauvres, aux opprimes et aux laissés-pour-compte, mérite une réflexion théologique plus approfondie, notamment en ce qui concerne l’évangélisation du monde politique. Cela fait aussi partie du service de l’Evangile pour l’espérance du monde. Que l’Esprit de Jésus-Christ, Esprit de sagesse et de conseil, nous y aide grâce à l’intercession maternelle de la Vierge Marie.

[00244-03.03] [in195] [Texte original: français]

Exc.mus D.nus Vernon James WEISGERBER, Archiepiscopus Vinnipegensis (Winnipeg, Canada).

The Instrumentum Laboris invites the Church to ask herself how Christ and his Gospel are to be proclaimed today at a time when we recognize both the unity of the human family and its pluralism of nations, languages and cultures. The Gospel message must enter each of our cultures; the achievement of such evangelization demands collaboration for the Church' s magisterium. Therefore our Holy Father has said that the Petrine ministry and Episcopal collegiality 'need to be examined constantly' and he underlined the importance of such examination for ecumenical dialogue.

Primacy and collegiality are both gifts to the Church and they should be exercised in such a way that they serve and express the fundamental reality of the Church as communion of churches. Communion involves mutual recognition and respect, confidence and trust, openness and reciprocal communication. The Church must ensure that primacy and collegiality are exercised in balance with each other. Due to historical developments, there is an imbalance in the exercise of primacy and collegiality. Two suggestions for improvement are made.

l) The bishop in his diocese must be recognized as the teacher, the leader, the unifier, 'the vicar and ambassador of Christ'. His role is stifled if popular perception thinks he is merely giving a teaching from a centralized level of Church. On the other hand when full and health-giving collaboration is evident, the Bishop is able to exercise fully his munera and primacy and collegiality are thereby strengthened.

2) The Church entering the new millennium has received a wonderful pastoral plan contained in Novo Millennium Ineunte. To embark courageously and go in the direction of the deep, that is to say to evangelize in a new age, the episcopal conferences must be seen as vehicles of collegiality. They are not obstacles between primacy and collegiality, but rather contemporary ways that local churches can engage local culture to develop the particular characteristics reflecting the richness of the multiform wisdom of God. The competence and authority of episcopal conferences must be promoted and respected.

The Instrumentum Laboris warns of the forces of globalization and their 'tendency to reduce everything to a common denominator and undervalue differences'. Excessive centralization creates the same danger for the Church.

[00236-02.03] [in196] [Original text: English]

Exc.mus D.nus Gérard-Joseph DESCHAMPS, S.M.M., Episcopus Bereinitanus (Bereina, Papua Nova Guinea).

The Synod of Bishops established by Pope Paul VI is meant to give advice to the Pope in the governing of the universal Church. "The stronger the unity of the Bishops with the Pope, the richer will be the communion and mission of the Church, the more effective will be their ministry" (Inst. Laboris, no.9).

How strong is the unity and communion emerging from a Synod as it is now? The episcopal collegiality as defined at the Council can create so much unity and communion between the Roman Pontiff and the Bishops of the world.

Synods are not without producing some fruits. The Bishops give their advice and the Pope decides. He has the right to do so. Sometimes the decisions take a long time to come. In Oceania we are stilI waiting for the Apostolic Exhortation following on our Oceania Synod of 1998.

The Apostles to the Gentiles, Paul and Barnabas, have shown us, in Acts 15, how collegiality works and can produce results in vital matters, like inculturation, for the life of the whole Church.

At the Council it was stated that the same collegiate power (as that of the Council) can be exercised in union with the Pope, under certain conditions, outside the Council. And Canon Law, no. 343, agrees that a deliberative vote could be given at least sometimes at the Synods, but with the Pope ratifying the decisions.

Maybe a revised structure of the Synods of Bishops could be devised, and assist in dealing with many hard questions that come back at every Synod in the GeneraI Assembly or in the circuli minores. This expression of unity and communion could strengthen the good work of the Synods of Bishops.

[00238-02.03] [in198] [Original text: English]

Exc.mus D.nus Horacio del Carmen VALENZUELA ABARCA, Episcopus Talcensis (Talca, Chilia).

Una palabra de gratitud al Señor por el enorme don de este encuentro sinodal. Junto al Santo Padre y obispos de todo el mundo, religiosos y laicos vivimos, en el Espíritu Santo, un tiempo precioso de comunión, que "manifiesta y encarna la esencia misma del misterio de la Iglesia" (N.M.I.. 42 ).

Me refiero básicamente a tres temas:

El primer lugar respecto al Instrumentum Laboris en general. El tema central del Sínodo, "El obispo servidor del Evangelio para la esperanza del mundo" ha tenido la mucha resonancia en nuestras Iglesias particulares. Prueba de ello es la gran riqueza que ha recogido el Documento. Esto, sin embargo, implica asumir al menos dos desafíos: Expresar los contenidos más el1 función de la raíces ontológicas del ministerio episcopal y, en segundo lugar darle más nitidez y peso al hilo conductor en función del episcopado y la esperanza cristiana.

El segundo aspecto apunta a la necesidad de relevar la presencia de la Madre del Señor en el documento. Destacar su lugar como modelo de acogida , encarnación y servicio a la Palabra y por lo tanto como Madre de la Esperanza.

En tercer lugar, el delicado ejercicio del ministerio de la Palabra por parte del Obispo exige una cierta connaturalidad con el Evangelio. Es imperativo, evitando los fundamentalismos que paralizan, acercarnos más al estilo del Señor. Necesitamos trasladar a todos los ambientes la experiencia de los hombres y mujeres del mundo rural que al escuchar el Evangelio oyen hablar a Dios en su propia lengua.

[00239-04.03] [in199] [Texto original: español]

Em.mus D.nus Card. Francisco Javier ERRÁZURIZ OSSA, de patribus «Schönstatt», Archiepiscopus Sancti Iacobi in Chile (Santiago de Chile), Praeses Conferentia Episcopalis (Chilia).

Quisiera referirme a algunos aspectos de nuestra vida y misión como sucesores de los apóstoles, que dicen relación con la esperanza.

La primera característica de los apóstoles es haber sido llamados por Jesús a ser discípulos suyos. Se distinguían de los demás discípulos, porque Jesús, los había llamado para que estuvieran con él (cf. Mc 3,13) y permanecieran en su amor y su verdad. El Padre ató sus vidas a la persona, la sabiduría y la misión de su Hijo, despertando en ellos el asombro, la conversión y la fidelidad hasta la muerte. También a nosotros el Padre de los cielos nos ha llamado a vivir muy cerca de Jesucristo, a escucharlo con admiración, permanentemente, como discípulos suyos; a servirlo, recorriendo los caminos del Evangelio; a hacer de cada encuentro de nuestra vida un encuentro con su Hijo, una contemplación de su rostro y de sus designios de salvación. Para cuantos les resulta transparente esta realidad, y nos perciben como discípulos de Jesús, somos signos de esperanza, ya que lo buscan, aún sin saberlo.

Ya antes del encuentro con Cristo, los apóstoles vivían de la esperanza. Sobre todo por los profetas tenían conocimiento de las promesas de Dios. A esta luz comprendemos el breve diálogo con los dos primeros discípulos. Jesús pudo tender un puente hacia sus anhelos más profundos con sólo dos palabras: "¿Que buscáis?" Después de estar con él, fueron ellos los que anunciaron: "Hemos encontrado al Mesías" (cf. Jn 1, 38 ss). Habían encontrado a Jesucristo, en quien todas las promesas tenían un "sí" (cf. 2 Co 1, 20).

De nuestros labios tiene que brotar esa misma pregunta "¿qué buscáis?", sabiendo que el alma humana fue creada para buscar y participar de la felicidad de Dios, y que todos sus anhelos nobles tienen su respuesta en Cristo. A nosotros nos corresponde anunciar las promesas de Dios. Sin ellas, no hay esperanza teologal, no hay amistad con Dios, no hay un compartir realmente fraterno de los bienes de la tierra. Basándonos en las promesas, nuestro trato con las personas les hará sentir que creemos en su dignidad, corno también que confiamos en la realización de las promesas en ellas, porque Dios es todopoderoso y fiel. Él puede y quiere invitarlas a pasar de la muerte a la vida, como también a colaborar con el en la construcción de su Reino de justicia, amor, paz y santidad.

Propongo que desarrollemos con más fuerza la pedagogía pastoral que es coherente con las promesas de la Nueva Alianza.

3. Las promesas de Dios llegan a ser realidad viva por el poder de Dios. Poco antes de ascender al cielo, Jesús dijo a los apóstoles que enviaría sobre ellos la Promesa de su Padre y que serían revestidos de poder desde lo alto (cf. Lc 24, 49; Hch 1, 4). Ya el mismo día de Pentecostés, los frutos del discurso de Pedro manifestaron la fecundidad de la irrupción del "Espíritu de la Promesa " (Ga 3, 14 ) . Este nombre del Espíritu revela que quien lo recibe ya posee en la esperanza, con verdadero gozo, el cumplimiento de todas las promesas. Los apóstoles experimentaron su vigorosa acción como Espíritu de comunión, de santidad y de audacia y fecundidad misioneras. En lo que atañe a nosotros como sucesores de los apóstoles, cada vez que damos nuestro "sí" a los planes que Dios nos propone, confiando ilimitadamente, como la Virgen María, en que para él nada hay imposible, somos un signo de esperanza. También cada vez que apoyamos iniciativas de los fieles en las cuales hemos descubierto el soplo del Espíritu, pero que no guardan proporción alguna con sus fuerzas humanas; tan sólo, con el poder del Espíritu de la Promesa.

[00240-04.04] [in200] [Texto original: español]

Exc.mus D.nus Eduardo Vicente MIRÁS, Archiepiscopus Rosariensis (Rosario, Argentina).

Agradezco especialmente el testimonio de esperanza que nos ofrecieron las iglesias perseguidas y las que están enclavadas en culturas que hacen muy difícil crear en ellas un espacio para el evangelio de Jesucristo. Querría insistir en varios temas, ya presentes de algún modo en las propuestas de otros padres sinodales:1) La colegialidad en la Iglesia-comunión debería acentuarse más, igual que la importancia de las conferencias episcopa1es, de las provincias eclesiásticas y, en su medida de las confederaciones o consejos regionales, porque al obispo no se lo entiende sino en la colegialidad. La misión misma, que forma parte del ser íntimo de la Iglesia, está estrechamente vinculada Con la colegialidad. El responsable del mundo a evangelizar es el Colegio junto con Pedro, su cabeza.

La unidad y pluriformidad de la Iglesia nos obliga a justipreciar la relación entre el obispo y los carismas. Éstos deben ser valorados y alentados. Pero es conveniente evitar que de los carismas surjan pastorales paralelas. En cambio deben inserirse en el plan pastoral de la Iglesia local.

Debería subrayarse el discipulado del mismo obispo que ofrece su carisma a la Iglesia particular, y en Ella se enriquece con la ayuda de los presbíteros, diáconos y demás fieles. El Obispo no es un ser extraño a la grey, sino el elegido por Dios para apacentarla y promover la unidad. Por ello también debe dejarse enseñar por el pueblo de Dios.

Corno en muchos lugares el pueblo guarda del obispo la imagen predominante del hombre influyente en el poder secular y, a veces, su aliado, hacen falta gestos institucionales, aunque sean pequeños y cotidianos, para mostrar que verdaderamente desea servir en proximidad, ser solícito con todos y lejano a la figura del simple administrador. Ayudaría mucho renunciar a honores; títulos y vestimentas que saben a reconocimiento secular y le impiden aparecer como "padre, hermano y amigo" (Instr. Lab. 9).

Por ultimo, frente a la afirmación del Concilio Vaticano en "Gozo y Esperanza" no 2: "La Iglesia tiene ante sí al mundo: la entera familia humana con el conjunto universal de sus realidades", es necesario que el obispo, como servidor del evangelio para la esperanza del mundo, atienda a todas estas realidades, conociendo e interpretando la cultura contemporánea, proponiendo iniciativas que sirvan a la dignidad del ser humano y promoviendo la influencia del pensamiento y el peso de los valores cristianos.

[00245-04.03] [in201] [Texto original: español]

AVVISI

LAVORI SINODALI

Riprenderanno domani mattina mercoledì 10 ottobre 2001 alle ore 09.00 i lavori dei Circoli Minori, per l’elezione dei Relatori e la continuazione del dibattito sul tema della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.

I Moderatori e i Relatori dei Circoli Minori si riuniranno domani pomeriggio mercoledì 10 ottobre 2001 alle ore 16.00.

La Quindicesima Congregazione Generale avrà luogo domani pomeriggio alle ore 17.00, per l’Auditio Auditorum II, la seconda Auditio per gli interventi degli Auditori in Aula sul tema sinodale.

"BRIEFING" PER I GRUPPI LINGUISTICI

L’ottavo "briefing" per i gruppi linguistici avrà luogo domani mercoledì 10 ottobre 2001 alle ore 13.10 (nei luoghi di briefing e con gli Addetti Stampa indicati nel Bollettino N. 2).

Si ricorda che i Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) sono pregati di rivolgersi al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali per il permesso di accesso (molto ristretto).

"POOL" PER L’AULA DEL SINODO

L’ottavo "pool" per l’Aula del Sinodo sarà formato per la preghiera di apertura della Sedicesima Congregazione Generale di giovedì mattina 11 ottobre 2001.

Nell’Ufficio Informazioni e Accreditamenti della Sala Stampa della Santa Sede (all’ingresso, a destra) sono a disposizione dei redattori le liste d’iscrizione al pool.

Si ricorda che i Signori operatori audiovisivi (cameramen e tecnici) e fotoreporters sono pregati di rivolgersi al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali per la partecipazione al pool per l’Aula del Sinodo.

Si ricorda che i partecipanti al pool sono pregati di trovarsi alle ore 08.30 nel Settore Stampa, allestito all’esterno di fronte all’ingresso dell’Aula Paolo VI, da dove saranno chiamati per accedere all’Aula del Sinodo, sempre accompagnati da un ufficiale della Sala Stampa della Santa Sede, rispettivamente dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

BOLLETTINO

Il prossimo Bollettino N. 18, con l’elenco dei Relatori dei Circoli Minori eletti nella Sessione II dei Circoli Minori e riguardante i lavori della Quindicesima Congregazione Generale della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi di domani pomeriggio mercoledì 10 ottobre 2001, sarà a disposizione dei Signori giornalisti accreditati giovedì mattina 11 ottobre 2001, all’apertura della Sala Stampa della Santa Sede.

 
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- Indice Bollettino Synodus Episcoporum - X Assemblea Generale Ordinaria - 2001
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- Indice Sala Stampa della Santa Sede
 
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