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CONGREGAZIONE PER I VESCOVI

OMELIA DELL'ARCIVESCOVO FRANCESCO MONTERISI
NEL 60° ANNIVERSARIO DELLA MORTE
DELL'ARCIVESCOVO MONS. NICOLA MONTERISI

Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno
Cattedrale di san Matteo
Martedì, 30 marzo 2004
 

 

Esattamente 60 anni fa, il 30 marzo 1944, Mons. Nicola Monterisi, Arcivescovo Primate di Salerno ed Amministratore Perpetuo di Acerno, rendeva la sua anima a Dio. Aveva svolto il ministero Episcopale per 30 anni, di cui 15 in questa Sede Primaziale. Della sua dipartita ci dà questo resoconto il suo Segretario, Mons. Antonio Balducci:

"La morte non lo sorprese. Tutta la sua vita era stata una lenta e serena preparazione all'eternità. Si era già spogliato di tutto, anche delle sue croci preziose e dei suoi anelli da Vescovo; aveva disposto di quanto vi era nel palazzo episcopale a favore della mensa arcivescovile, aveva destinato anche il suo patrimonio familiare ... alla parrocchia in cui era stato battezzato.

Quando sentì imminente l'ora, volle terminare i suoi giorni nella Pia Casa di Ricovero dei Vecchi. A chi gli mosse qualche rilievo sull'opportunità di questa decisione, rispose sereno:  "A chi volesse dissentire dico che, per un Vescovo, è grande onore morire in mezzo ai poveri".

Entrò nella Pia Casa il 19 marzo, giorno sacro a San Giuseppe, di cui era stato teneramente devoto; il 30 dello stesso mese, alle 22, 40, egli viveva in Dio". (cfr N. MONTERISI, Trenta Anni di Episcopato, a cura di A. Balducci, prefazione di G. De Luca, Isola del Liri 1950, p. XXIX).

Che, dopo 60 anni dalla morte, Salerno commemori la figura di un suo Arcivescovo appare altamente significativo. La traccia indelebile che il passaggio di Mons. Monterisi ha lasciato in questa Arcidiocesi ne è il primo motivo. Si sa poi quale risonanza ha avuto il suo ministero episcopale nelle Sedi di Monopoli e di Chieti che aveva retto prima di venire a Salerno. Il suo Episcopato ha avuto un influsso che si è esteso in tante altre zone d'Italia, specialmente nel Meridione, per cui gli storici  ancora  ne  studiano  i  vari aspetti.

Ma questa commemorazione non è semplicemente un "atto dovuto"; essa può divenire anche l'occasione per raccogliere almeno qualcuno degli insegnamenti di Mons. Nicola Monterisi che tuttora si manifestano attuali, pur nelle mutate circostanze dei tempi.

Credo di interpretare il sentimento di tutti se ringrazio vivamente l'Ecc.mo Mons. Gerardo Pierro, degno Successore di Mons. Monterisi in questa gloriosa Sede Primaziale, che ha voluto ed organizzato questa celebrazione. Lo faccio in particolar modo a nome mio e dei miei familiari, che siamo fortemente legati al ricordo dello "Zio Nicola". E sono riconoscente di cuore verso quanti hanno voluto con la loro presenza onorare questo incontro di preghiera.

Nel breve spazio di questa Omelia vorrei accennare ad alcuni tratti della personalità dell'Arcivescovo Monterisi che forse non sono stati messi finora in piena evidenza.

1) Comincerei con la consapevolezza che Mons. Monterisi ha mostrato di avere, per fede e spirito soprannaturale profondamente sentito, di essere Vescovo nella Chiesa di Dio. Cos'era per lui essere Vescovo? Non certo un "manager" o un "uomo di potere".

Nominato Pastore della Chiesa di Monopoli si era introdotto con queste parole: "Fidente nella parola di Gesù Cristo, mi presento a voi come Egli stesso desidera, senza borsa, né sacca, né calzari (Lc. X, 4), cioè non certo disprezzando ma diffidando di ogni mezzo umano.

Mi presento senza altre credenziali che quelle che Egli stesso mi ha dato per mezzo di Pietro, vivente oggi nella sua Chiesa. In verità mi manda a voi non altri che Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, giacché Egli disse agli Apostoli ed ai loro successori:  Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a tutte le creature... E perciò, non guardate, fratelli e figlioli carissimi, alla mia povera persona. Finché io sarò unito agli altri Fratelli nell'Episcopato e soprattutto a Pietro, sedente anche oggi a Roma, voi, accogliendo me, accoglierete Gesù Cristo; ascoltando me, voi ascolterete Gesù Cristo" (op. cit., p. 4).

Nella lettera inviata all'Arcidiocesi di Salerno dopo la sua nomina, Mons. Monterisi dà profondità al suo pensiero:  "Il successo benefico della mia missione a Salerno - scrive - dipende in gran parte da voi; vorrei dire in massima parte, anzi forse tutto da voi". Perché "la Chiesa gerarchica e visibile, a capo della quale c'è il Romano Pontefice - mentre a capo delle singole diocesi c'è il Vescovo -, è solo l'organizzazione esterna e sensibile di quell'altra realtà interiore e ben più profonda, che appartiene al Corpo Mistico. Il Corpo Mistico è principalmente la misteriosa estensione di Gesù negli uomini, ... (Essa forma) di Gesù e dei suoi credenti realmente un essere solo. La quale unità ... è l'effetto sostanziale dell'Eucarestia. Il successo della Gerarchia esterna della Chiesa dipende dalla vitalità intrinseca del Corpo Mistico. Se in diocesi ci sono santi, molti santi, grandi santi, il successo è assicurato; altrimenti, qualunque sia l'opera o l'intelligenza o la prudenza o l'esperienza umana del Vescovo, egli forse lavora invano" (op. cit., p. 163).

Di fatto, in tutti i suoi atti ed i suoi scritti Mons. Monterisi si manifesta autenticamente come Vescovo in tale visione di fede. Molti suoi atti coraggiosi sono stati riferiti dagli storici:  il rifiuto alla benedizione dei gagliardetti e delle sedi del partito fascista, il divieto di unire feste religiose e divertimenti organizzati dai civili, la resistenza alla cessione del Seminario al Governo Badoglio. Se cerchiamo le motivazioni di questi gesti, vediamo che esse furono tutte ispirate dal suo senso soprannaturale della funzione del Vescovo, in difesa cioè della Chiesa, della sua morale e dei suoi diritti. Vorrei ricordare l'episodio della sua opposizione alle leggi razziali; sulla base di un documento della Santa Sede, aveva pubblicato un'energica condanna di tali leggi, tanto da provocare un intervento del Ministero degli Interni, con minacce di sequestro ed altro; il Prefetto, preoccupato delle conseguenze, gli aveva raccomandato prudenza:  Mons. Monterisi non esitò a rispondergli che egli trattava questi argomenti non da politico ma da Vescovo, "nel modo difficile di essere banditore delle dottrine di Cristo". Queste sue parole sono rivelatrici:  un Vescovo ha il dovere di usare, quando necessario, "il modo difficile di essere banditore delle dottrine di Cristo" (A. DI LEO, Chiesa e pastoralità di Mons. Monterisi a Salerno, Salerno 1986, p. 28).

"La meraviglia dei suoi scritti sta per l'appunto in questo - rilevava Mons. De Luca - , che Mons. Monterisi da un capo all'altro vi parla dentro come un Vescovo... Egli mira all'essenziale, colpisce in pieno e fa centro:  per lui l'essenziale, il pieno ed il centro è il Cristo; ... quel che lo tocca, lo fa trasalire non è l'intelligenza della storia, della teologia, del diritto, ma la conoscenza di Dio attraverso suo Figlio, è la vita di Dio nelle anime attraverso suo Figlio" (N. Monterisi, op. cit. P. XI)

2) Vescovo, ma con il Papa e con gli altri fratelli dell'Episcopato. A prima vista, lo stile di Mons. Monterisi potrebbe apparire quello di un condottiero che "non guarda in faccia a nessuno" per andare avanti solo e sicuro. In realtà, egli è stato estremamente attento a tenersi in comunione con il Santo Padre ed i Vescovi, a cominciare da quelli più vicini.

Non v'è certo bisogno di sottolineare la fede di Mons. Monterisi nel Successore di Pietro e nel vincolo gerarchico e spirituale che lo legava come Vescovo al Primato di Pietro. Trasferito da Chieti a Salerno scriveva ai Teatini:  "Venni a Chieti perché fui mandato da un Papa; vado via da Chieti perché un altro Papa mi destina altrove. Non vi è altra ragione" (op cit. P. 159). "Mi manda a voi il Sommo Pontefice" (op. cit. 161): così comincia la sua Lettera ai Salernitani prima dell'ingresso in Archidiocesi.

Mons. Monterisi si teneva aggiornato sui pronunciamenti del Papa su tutti gli argomenti e ne faceva il riferimento essenziale dei suoi insegnamenti. In una delle sue Lettere Pastorali più famose ("Siamo noi Cristiani?") esortava i suoi sacerdoti: "Poiché il centro dell'unità visibile (della Chiesa) è il Romano Pontefice, parliamo spesso al nostro popolo della Chiesa e del suo Capo, della missione affidatagli da Gesù, dell'amore e dell'obbedienza che gli vogliamo. Quando il Papa parla, facciamo arrivare la sua augusta parola, sia con la propaganda orale, sia con la stampa, in mezzo a tutte le classi della nostra società. La parola del Papa in genere è poco conosciuta o per lo più arriva attraverso i sunti travisati che ne fa la stampa liberale; e cade dunque nel vuoto o arriva inquinata. No! Essa deve arrivare integra e limpida e deve essere largamente sparsa ... Così si alimenta l'unità della nostra Santa Chiesa" (op. cit. p. 30).

Mi pare interessante sottolineare anche la comunione che Mons. Monterisi sentiva con l'Episcopato. Quando egli era a Salerno non esisteva la Conferenza Episcopale Italiana; c'erano, però, le Conferenze Regionali, e, per la zona, c'era la Regione Ecclesiastica Salernitano-Lucana, che comprendeva le Sedi delle province civili di Salerno, Potenza e Matera. Ci sono testimonianze secondo cui "i temi discussi (nelle riunioni o Conferenze della Regione Salernitano-Lucana) erano concordati tra i Presuli partecipanti in base alle proposte inviate dall'Arcivescovo di Salerno. Mons. Monterisi usava poi pubblicare sul suo Bollettino le "Notificazioni al clero ed al popolo" che concludevano le sessioni dei lavori, dopo che i Vescovi avevano discusso insieme i problemi delle diocesi" (A. DI LEO, op. cit. P. 27). Uno dei momenti più alti dell'Episcopato di Mons. Monterisi fu il Sinodo Salernitano del 1941. Ebbene, nel codificare tale Sinodo egli volle seguire la traccia del Primo Concilio Plenario Salernitano-Lucano.

Nel 1935 prescrive che i sacerdoti non facciano e nemmeno assistano agli elogi funebri che si usavano pronunciare sulla personalità defunte, dopo i funerali; e ricorda che così ordina non solo un Decreto del Concilio Plenario Salernitano Lucano, ma anche il Concilio Plenario Siculo del 1920, quello Pugliese del '28, quello Campano del '32. "Finché io sarò unito agli altri Fratelli nell'Episcopato e soprattutto a Pietro sedente anche oggi a Roma, voi, accogliendo me, accoglierete Gesù Cristo". Per Mons. Monterisi, la coscienza di dover essere in sintonia e comunione con il Papa e con l'Episcopato della Regione e della Chiesa intera era una condizione essenziale per il suo ministero episcopale.

3) Fecero scalpore due articoli pubblicati da Mons. Monterisi sul Bollettino Diocesano di Salerno nel 1933:  "Si è fatto sempre così!" e ""Monsignore non vuole, così vuole Monsignore" (N. MONTERISI, op. cit. P. 354 e p. 365). Il senso è comprensibile già dai titoli. Mons. Monterisi in tali articoli invitava il Clero ed i fedeli a spogliarsi di un falso senso della tradizione e dell'autorità nella Chiesa, per impegnarsi piuttosto a dare a sé stessi ed agli altri le ragioni di disposizioni e di iniziative pastorali e, più in genere, dei comportamenti e delle pratiche del popolo cristiano.

Era stato un "chiodo fisso" per lui, in tutti gli anni di Episcopato, quello di insistere nel far rinascere in ogni credente il "pensiero cristiano", cioè le convinzioni e le motivazioni della fede. Era per lui anche un'esigenza dei tempi, ma molto più una condizione permanente di ogni membro della Chiesa, di non rimanere ligi ad una religiosità puramente tradizionale, di dare sostanza di "pensiero" a quanto i Pastori comandano.

Era anche ed è tuttora un'esigenza attuale del nostro Meridione, dove la religiosità ricca, fondamentalmente sana e fortemente sentita della popolazione si è caricata di forme barocche e pletoriche ed ha quindi costante bisogno di affinarsi e purificarsi.

Mons. Monterisi si rese famoso per l'azione di riforma delle Confraternite, che fece rientrare sotto la guida dei Pastori con nuovi Statuti, ma soprattutto con l'azione di convincimento su clero e fedeli. E si diede grande pena per sviluppare in ogni parrocchia, accanto alle Confraternite, le più moderne associazioni di azione cattolica.

Altrettanto si adoperò per riformare le parrocchie e dare loro nuova linfa vitale. L'art. 73 del Sinodo diocesano di Salerno recita:  "La Parrocchia non è soltanto un ufficio burocratico, ma deve essere centro irradiatore di pensiero cristiano ed animatore di vita soprannaturale sia individuale che collettiva" (SINODO DIOCESANO SALERNITANO, Salerno 1942, p. 38).

Mons. Balducci attesta che l'Arcivescovo Monterisi ottenne dal clero una generale adesione alle sue iniziative. "I sacerdoti, specie quelli in cura d'anime, dopo aver superata la barriera che fra Vescovo e sacerdote poteva essere costituita da una certa sostenutezza e rigidità di contegno, finivano col comprendere il Vescovo, apprezzarlo ed amarlo. Lo provano - continua Mons. Balducci - i successi riportati in moltissime iniziative da lui prese e caldeggiate, che imponevano ai sacerdoti sacrificio e maggior lavoro. Apprezzava molto il consiglio dei parroci e del clero in generale e ... volle intorno a sé, ogni anno, almeno i vicari foranei (ma intervenivano anche i parroci ed i sacerdoti non impediti) per trattare con essi i vari problemi della diocesi e della cura pastorale. Usanza che venne codificata tanto nel Sinodo di Chieti che in quello di Salerno" (N. MONTERISI, op. cit. P. XXII).

Appare, come si vede, di grande importanza, questa preoccupazione di Mons. Monterisi di guadagnare il consenso e l'adesione alle iniziative pastorali da parte dei fedeli e specialmente del clero a lui affidati, con opera di convinzione e di approfondimento e non perché "Si è fatto sempre così!" né perché "Così vuole Monsignore"; questo favorì molto l'unità della diocesi, chiamata ad essere "casa e scuola di comunione".

Vorrei giungere rapidamente alla conclusione. L'Arcivescovo Nicola Monterisi, a 60 anni dalla sua dipartita, ci ricorda che "non tre Mitre e due Pallii" gli bastarono per nutrire la speranza dell'incontro con Dio, ma la misericordia dell'Altissimo, che premia la fede, non i titoli, dei suoi servi. Così vedeva il suo Episcopato Mons. Monterisi, alla luce dell'eternità. Questa sera preghiamo perché si avveri la sua speranza; ma anche che il suo esempio ed i suoi insegnamenti di Vescovo e Successore degli Apostoli continuino ad illuminare Pastori e fedeli della Chiesa di Dio.

       

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