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CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO
E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI
 

PRESENTAZIONE DELLA
“REDEMPTIONIS SACRAMENTUM”

(Certi punti da osservare o da evitare
nei confronti della Ss.ma Eucaristia)

 


 

INTERVENTO DI S.E. MONS. ANGELO AMATO

 

1. Armonia tra la lex orandi e la lex credendi

Da un punto di vista dottrinale, l'Istruzione si pone in continuità con l’enciclica Ecclesia de Eucharistia (RS n. 2).1 Nell'enciclica il Santo Padre, oltre a consegnarci con autorevolezza una lezione di altissimo magistero sull'Eucaristia, come mistero della fede, che nutre ed edifica continuamente la Chiesa nella storia, non manca di segnalare più volte le ombre e gli abusi che oscurano la retta fede e la dottrina cattolica su questo sacramento (EE n. 10; RS n. 6).

Una attuazione arbitraria della Liturgia non solo deforma la celebrazione, ma provoca insicurezza dottrinale, perplessità e scandalo nel popolo di Dio (RS n. 11). In realtà gli abusi, più che espressione di libertà, manifestano, invece, una conoscenza superficiale o anche ignoranza della grande tradizione biblica ed ecclesiale relativa all'Eucaristia. L'Istruzione, invece, intende promuovere la vera libertà, che è quella di fare ciò che è degno e giusto nella celebrazione di questo Sacramento.

Essendo l'azione liturgica intrinsecamente collegata con la dottrina, l'uso di testi e riti non approvati comporta inevitabilmente l'affievolimento e poi la perdita del legame necessario tra la lex orandi e la lex credendi, secondo l'antica espressione dell'Indiculus: «Legem credendi lex statuat supplicandi» («La regola del pregare stabilisca la maniera del credere»).2

Per questo intrinseco legame tra professione e celebrazione della fede, i fedeli hanno il diritto di esigere dai pastori «che si celebri per essi in modo integro il sacrificio della Santa Messa, in piena conformità con la dottrina del Magistero della Chiesa» (RS n. 12).

Infine, è forse utile ricordare qui che nel 1996, la Congregazione per le Chiese Orientali pubblicò una Istruzione simile, molto bene accolta del resto, sull'applicazione delle prescrizioni liturgiche del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, intesa a tutelare il valore inalienabile del patrimonio proprio della tradizione orientale e l'urgenza di una sua fioritura.3

2. L'autentica ecclesialità dell'Eucaristia

Nell'enciclica Ecclesia de Eucharistia il Santo Padre aveva affermato:

«Sento [...] il dovere di fare un caldo appello perché, nella Celebrazione eucaristica, le norme liturgiche siano osservate con grande fedeltà. Esse sono un'espressione concreta dell'autentica ecclesialità dell'Eucaristia; questo è il loro senso più profondo. La liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante né della comunità nella quale si celebrano i Misteri [...].

Anche nei nostri tempi, l'obbedienza alle norme liturgiche dovrebbe essere riscoperta e valorizzata come riflesso e testimonianza della Chiesa una e universale, resa presente in ogni celebrazione dell'Eucaristia. Il sacerdote che celebra fedelmente la Messa secondo le norme liturgiche e la comunità che a queste si conforma dimostrano, in un modo silenzioso ma eloquente, il loro amore per la Chiesa [...].

A nessuno è concesso di sottovalutare il Mistero affidato alle nostre mani: esso è troppo grande perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale» (EE n. 52). 

In queste affermazioni è riassunto al meglio il significato dottrinale della presente Istruzione: le norme liturgiche sono espressione concreta dell’ecclesialità dell’Eucaristia.

L’unicità e indivisibilità del Corpo eucaristico del Signore implica l’unicità del suo Corpo mistico, che è la Chiesa una ed indivisibile:

«Dal centro eucaristico sorge la necessaria apertura di ogni comunità celebrante, di ogni Chiesa particolare: dal lasciarsi attirare nelle braccia aperte del Signore consegue l’inserimento nel suo Corpo, unico ed indiviso. Anche per questo, l’esistenza del ministero Petrino, fondamento dell’unità dell’Episcopato e della Chiesa universale, è in corrispondenza profonda con l’indole eucaristica della Chiesa».4

L’ecclesialità dell’Eucaristia non è qualcosa che esiste solo a livello ideale, essa richiede anche un’espressione concreta nella vita di ogni comunità orante. È proprio questa ‘corrispondenza’ fra il ministero Petrino e l’indole eucaristica della Chiesa che esige la sollecitudine del Santo Padre nei confronti sia della dottrina sia del modo concreto con cui questo mistero è celebrato nella Chiesa.

Così come esiste reciprocità fra l’autentica ecclesialità dell’Eucaristia e le norme liturgiche, così c’è reciprocità fra idee erronee sull’Eucaristia e disobbedienza alle norme liturgiche. Per fare solo un esempio: in alcune nazioni del mondo si è verificato l’abuso secondo il quale il sacerdote celebrante (o i sacerdoti concelebranti) distribuiscono la Santa Comunione ai fedeli prima di comunicarsi. Come giustificazione di questa prassi (che viene vietata nel numero 97 dell’Istruzione) si è offerta la spiegazione che quando uno invita gli ospiti a casa sua, gli ospiti devono mangiare prima del padrone di casa! Ma è proprio vero che la Chiesa è la casa solo del sacerdote e che i fedeli laici siano sono degli ospiti?

3. La recezione dell'Istruzione come evento ecclesiale

Una conseguenza concreta dell'ecclesialità dell'Eucaristia è anche la recezione di questa Istruzione. In genere, tre sembrano essere le difficoltà maggiori per una corretta accoglienza dei documenti e per la loro carente assimilazione: il loro numero, la loro ampiezza, il problema della comunicazione massmediale.

Per quanto riguarda il numero esso risponde ai molti eventi e alle innumerevoli domande di luce avanzate al magistero da parte del popolo di Dio. Inoltre, il numero può rivelarsi anche occasione e strumento di formazione permanente sia del clero sia dei fedeli laici.

Per quanto riguarda l'ampiezza - e in concreto l'ampiezza della presente Istruzione - essa è abbastanza estesa, perché in realtà le norme da ribadire e gli abusi da evitare sono numerosissimi.

Per quanto riguarda la comunicazione, il Santo Padre alla plenaria della Congregazione per la Dottrina della fede nel febbraio scorso ha offerto delle importanti indicazioni al riguardo:

«Un tema già altre volte richiamato è quello della recezione dei documenti magisteriali da parte dei fedeli cattolici, spesso disorientati più che informati dalle immediate reazioni e interpretazioni dei mezzi di comunicazione sociale.

In realtà, la recezione di un documento, più che un fatto mediatico, deve essere visto soprattutto come un evento ecclesiale di accoglienza del magistero nella comunione e nella condivisione più cordiale della dottrina della Chiesa.

Si tratta, infatti, di una parola autorevole che fa luce su una verità di fede o su alcuni aspetti della dottrina cattolica contestati o travisati da particolari correnti di pensiero e di azione.

Ed è proprio in questa sua valenza dottrinale che risiede il carattere altamente pastorale del documento, la cui accoglienza diventa quindi occasione propizia di formazione, di catechesi e di evangelizzazione»5

L'accoglienza quindi dell'Istruzione non deve fermarsi quindi alla notizia immediata che comunica e informa, ma deve diventare evento ecclesiale di comunione e di formazione.

I Vescovi, i sacerdoti, i fedeli laici non dovrebbero quindi soffermarsi su opinioni immediate "in prima battuta". Dovrebbero avere la pazienza e il tempo di leggere, di assimilare e di vivere in profondità i contenuti dell'Istruzione.

L'Istruzione, insomma, dovrebbe suscitare nella Chiesa sana curiosità e generosa accoglienza, per contemplare con rinnovato stupore questo grande mistero della nostra fede e incentivare comportamenti e atteggiamenti eucaristici appropriati.

_______________________________

1 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003 (sigla: EE); Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, Istruzione Redemptionis Sacramentum, 25 marzo 2004 (sigla: RS).

2 Indiculus, cap. 8: Denz n. 246 [ex n. 139]. Cf. anche Prospero di Aquitania, De vocatione omnium gentium, 1,12: PL 51,664C.

3 Congregazione per le Chiese Orientali, Istruzione Il Padre incomprensibile per l'applicazione delle prescrizioni liturgiche del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, 6 gennaio 1996.

4 Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Communionis Notio su alcuni aspetti della Chiesa come comunione, 28 maggio 1992, n. 11.

5 Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla Sessione Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, 6 febbraio 2004, n. 4.

 

***

INTERVENTO DI S.E. MONS. DOMENICO SORRENTINO

 

Desidero offrire alcune chiavi di lettura dell’Istruzione Redemptionis Sacramentum perché se ne possa cogliere soprattutto l’afflato spirituale che la anima.

L’Istruzione, come essa stessa ricorda al n. 2, dipende dall’Enciclica Ecclesia de Eucharistia e ne porta l’ispirazione di fondo. Il fatto che abbia lo stile proprio di un discorso a valenza anche disciplinare, non toglie che il suo cuore pulsante sia un cuore "contemplativo". E’ un Documento che, a modo suo, risponde all’urgenza additata dal Papa nella Lettera Apostolica Spiritus et Sponsa, ossia l’esigenza di una "spiritualità liturgica" (Spiritus et Sponsa n.16). E’ significativo leggere la presente Istruzione anche alla luce di questo recente pronunciamento papale, che ripropone con forza l’attualità della Sacrosanctum Concilium, la Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia, di cui abbiamo appena celebrato il XL anniversario.

Sotto il profilo contenutistico, l’Istruzione non fa che ribadire la normativa liturgica vigente. Ma non lo fa in maniera arida. Sia nel proemio che lungo il percorso, pur in modo stringato, richiama le motivazioni che danno senso alla normativa. Ne emerge un’immagine della liturgia eucaristica, e della corrispondente normativa, che si può sintetizzare in queste tre prospettive:

a. espressione di fede;
b. esperienza del mistero;
c. vissuto di comunione.

a. Espressione di fede

La liturgia, e in modo speciale l’Eucaristia, è il luogo privilegiato in cui la Chiesa confessa la sua fede. La confessa nel modo più alto, cioè nel dialogo di amore con il suo Signore. Dialogo che, nella sua espressione liturgica, si caratterizza per il fatto che non è in gioco un solo credente o un gruppo di credenti, ma la Chiesa stessa. Si tratta della preghiera "pubblica", che proprio per questo suo carattere, supera la portata delle altre preghiere, ed anzi, al dire del Concilio, "nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado" (cf Sacrosanctum Concilium 7). Preghiera intrinsecamente determinata dalla professione di fede, ed al tempo stesso capace di proiettare sempre nuova luce sui contenuti della fede, in un rapporto circolare tra la lex orandi e la lex credendi, principio fondamentale a cui anche il Documento si richiama, quando afferma: "La sacra Liturgia, infatti, è intimamente collegata con i principi della dottrina e l’uso di testi e riti non approvati comporta, di conseguenza, che si affievolisca o si perda il nesso necessario tra la lex orandi e la lex credendi ( n. 10). E’ almeno un rischio che si corre, e che spiega perché nella liturgia nulla possa essere lasciato all’arbitrio: la posta in gioco è troppo grande! Al n.9 l’Istruzione ricorda che attraverso i riti e le preghiere della liturgia passa l’intero flusso della fede e della tradizione. Gli abusi rivelano talvolta ignoranza del significato stesso delle norme, per mancanza di conoscenza del loro senso profondo e della loro antichità. Considerazione, questa, che richiama l’esigenza di una più approfondita e sistematica opera di formazione liturgica del popolo di Dio, alla quale il Santo Padre ci ha anche recentemente richiamati: "Rimane più che mai necessario incrementare la vita liturgica all’interno delle nostre comunità, attraverso una formazione adeguata dei ministri e di tutti i fedeli, in vista di quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche che è auspicata dal Concilio" (Spiritus et Sponsa, 7).

b. Esperienza del mistero

Il documento ricorda, al n. 5, che le norme liturgiche, al di là del loro carattere funzionale, hanno un’anima, ossia un senso profondo, spirituale, che fa appello a una osservanza non solo esteriore, ma interiore. Questa interiorità, in ultima analisi, è il rapporto con Cristo, che nella liturgia esercita il suo sacerdozio associando a sé la Chiesa. Le norme, in quanto espressione della coscienza ecclesiale orientata dallo Spirito di Dio soprattutto attraverso il discernimento e la guida dei Pastori, garantiscono la validità e la dignità dell’azione liturgica, e con essa anche il "rendersi presente" di Cristo. Una presenza non astratta o semplicemente simbolica, ma tanto viva da consentire che Cristo giunga alla nostra portata, come avviene in massimo grado nella celebrazione eucaristica. Se l’Eucaristia è ben celebrata, i tratti del volto di Cristo delineati nel Vangelo divengono, in qualche modo, percepibili al cuore credente, come avvenne per i discepoli di Emmaus che "lo riconobbero nello spezzare il pane" (Lc 24, 31). Non a caso il documento al n. 6 ricorda questo significativo episodio pasquale. La liturgia appare così come via al mistero, e la normativa come segnaletica che consente di percorrerla con sicurezza. Dice a tal proposito l’Istruzione che le parole e i riti della Liturgia, "espressione fedele maturata nei secoli dei sentimenti di Cristo",  "ci insegnano a sentire come lui"(n. 5). E’ additato anzi in questo il fine ultimo che il Documento persegue: "…condurre a tale conformità dei sentimenti nostri con quelli di Cristo, espressi nelle parole e nei riti della Liturgia" (ivi).

c. Vissuto di comunione

Un’altra cifra dell’Istruzione è la logica di comunione che essa intende promuovere. L’immagine di Chiesa che emerge dal Documento è quella di una comunità gerarchicamente ordinata, in cui l’uguaglianza fondamentale di ogni battezzato si coniuga con la diversità dei carismi e dei ministeri. La liturgia, e in particolare l’eucaristia, è epifania della Chiesa, nella sua unità e nella sua varietà.

Questo è sottolineato innanzitutto dall’insistenza sulla legittima autorità deputata a regolamentare l’ambito liturgico. In conformità con il dettato del Vaticano II, è posto in chiara luce il ruolo del Vescovo, coordinato e subordinato a quello del Successore di Pietro. Si precisano, in ambito celebrativo, i ruoli dei presbiteri, dei diaconi, dei laici. L’enfasi del Documento sulla distinzione tra sacerdoti e laici va letta in questa chiave di rispetto dei doni propri di ciascuno. Sarebbe perciò fuorviante valutare tale distinzione con logiche proprie della società civile. La comunità liturgica ha l’identità della "ecclesìa", parola che – si ricorda al n. 42 - dal greco "klesis", "chiamata", indica l’essere convocati dall’alto, come popolo in cui Dio si rende presente e in cui Cristo agisce nello Spirito, attraverso le vocazioni ministeriali che sovranamente stabilisce. L’esigenza di un sacerdote ordinato, che celebri l’Eucaristia "in persona Christi", sta dentro questa logica. E questa certo non oscura la partecipazione liturgica viva e operosa che, regolata da adeguate norme, spetta a tutti i battezzati. Infine, ancora nella prospettiva della comunione, è da intendere l’affermazione del "diritto" dei fedeli ad una celebrazione degna, e pertanto anche del loro diritto ad esigerla, quando si verificassero inadempienze ed abusi, ricorrendo alla legittima autorità, purché tutto avvenga coniugando verità e carità (cf n. 184). La liturgia non può diventare un "campo di battaglia".

Una domanda potrebbe sorgere a questo punto: certo, espressione di fede, esperienza del mistero, servizio di comunione, questo è la liturgia e la normativa che la regola! Ma non è troppo dire tutto questo a proposito di una serie di norme di diverso tenore, senza distinguere tra ciò che è essenziale e immutabile e ciò che invece è di sua natura riformabile? Non c’è il rischio così di irrigidire la normativa, "blindandola", escludendo per principio possibili miglioramenti o adattamenti? Non ci sono, nella liturgia, norme che di loro natura sono soggette al cambiamento, come dimostra la storia di duemila anni, fino alla riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II?

Chi legge attentamente l’Istruzione vi troverà la risposta. Se essa, infatti, raccoglie e ribadisce tante norme, non tralascia di distinguere il loro peso. Al n. 7, ad esempio, distingue tra i precetti derivati direttamente da Dio e le leggi promulgate dalla Chiesa, invitando a "considerare convenientemente l’indole di ciascuna norma". Al n.13 sono richiamati i vari "gradi" con cui le singole norme si raccordano con la legge suprema della salvezza delle anime. Nell’ultimo capitolo vengono distinti gli abusi in rapporto alla loro gravità, non senza tuttavia ricordare che anche i meno gravi non vanno trattati con leggerezza.

Ma pur facendo doverose distinzioni, va detto che sempre, nell’osservanza di tutte le norme, quelle di maggiore e quelle di minor rilievo, si esplicita l’autentico senso ecclesiale. Né si potrebbero motivare gli abusi in nome dell’adattamento pastorale, tacciando l’attuale normativa di rigidità. Per dirla con le parole del Papa, "il rinnovamento liturgico realizzato in questi decenni ha dimostrato come sia possibile coniugare una normativa che assicuri alla Liturgia la sua identità e il suo decoro, con spazi di creatività e di adattamento che la rendano vicina alle esigenze espressive delle varie regioni, situazioni e culture" (Spiritus et Sponsa n. 15). Si potrebbe aggiungere che la richiesta di osservanza, che dà il tono a questo documento, non comporta alcun divieto di approfondire e proporre, come accadde nella storia del "movimento liturgico" e anche oggi normalmente avviene nell’ambito degli studi teologici, liturgici e pastorali. Quello che è assolutamente escluso è fare della liturgia una zona franca di sperimentazioni e di arbitri personali, non giustificati da nessuna buona intenzione.

In conclusione, fornendo questo strumento di indirizzo - teologico-pastorale e giuridico insieme -, la Santa Sede si pone sulla linea di quell’opera di discernimento che la Chiesa ha sempre operato nel corso dei secoli. Significativamente, più di una volta, in linea con l’Enciclica Ecclesia de eucharistia, si ricorda la pagina di 1 Cor 11, quella in cui Paolo riprende aspramente i Corinzi per una celebrazione eucaristica fatta in spregio della carità verso i poveri: il primo documento "contro gli abusi". L’odierna Istruzione è tutt’altro che una novità.

Ma ritengo importante che se ne colga, al di là del senso correttivo, l’intimo senso promozionale. Pur in filigrana, traspaiono le linee di una spiritualità liturgica e di una pastorale liturgica. E’ qui indubbiamente l’antidoto radicale agli abusi. Letta così, l’Istruzione elaborata dalla Congregazione del Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, d’intesa con la Congregazione per la Dottrina della fede, mi pare possa essere accolta come uno strumento utile, e spero efficace, perché, a quarant’anni dalla Sacrosanctum Concilium, e mentre ci si avvia a un altro momento importante come l’annunciato Sinodo sull’Eucaristia, la liturgia sia sempre meglio vissuta come fonte e culmine della vita ecclesiale.

23 aprile 2004

 

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