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3° Incontro Internazionale dei Sacerdoti

in preparazione al Grande Giubileo del Duemila

(Guadalupe, Mexico, 7-12 luglio 1998)

 

CONVERTIRSI PER CONVERTIRE

 

CONFERENZA di S. Em. Rev.ma il Signor Cardinale

Darío Castrillón Hoyos

Prefetto della Congregazione per il Clero

 

Giovedì, 7 luglio 1998

 

 

 

PREMESSA

 

Vorrei avere le braccia ampie come i lati di questo santuario per abbracciarvi tutti e dirvi così la mia felicità di trovarmi con voi, moralmente rappresentanti di tutti i presbiterii del mondo e per dirvi così il mio Agrazie per essere qui, dimostrando di aver ben compreso i motivi profondi per i quali la Congregazione per il Clero desidera accompagnare l'intero Ordo sacerdotale, con un significativo pellegrinaggio, fino a varcare, nelle giuste disposizioni, la porta santa del Grande Giubileo.

Dobbiamo varcare quella porta in profondo atteggiamento di conversione personale per poter credibilmente ed efficacemente divenire, nelle mani del Redentore, strumenti di conversione.

Sarà proprio in questo Avertere contra, in questo spossessamento volontario ed amoroso che quel Signore, che ci ha chiamati e non ci abbandona mai, riverserà i suoi carismi e le sue consolazioni.

Nell'aprirci allo Spirito Santo, alla sua azione di conversione vogliamo lasciare emergere la dimensione oblativo-sacrificale alla quale siamo chiamati.

Abbiamo ricevuto la missione di pronunciare le parole: *questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue+. Pertanto dobbiamo essere pronti ad offrire noi stessi, anima e corpo, a tutti: ad espiare i loro peccati. Siamo chiamati ad essere sacerdoti e vittime. Così come è Gesù: *Sacerdos et Hostia+!

In questi giorni, sotto il patrocinio della Vergine Maria, vogliamo aiutarci ad essere più vitalmente consapevoli di tutto ciò, in una atmosfera di famiglia.

 

Mi rallegro per la presenza di così numerosi Fratelli Cardinali e Vescovi, che ringrazio di tutto cuore. Queste presenze sono un atto di amore verso il Sacerdozio di Cristo e verso ciascuno di voi, verso ogni sacerdote.

Ma c'è una presenza spirituale altissima e che garantisce l'affetto comunionale che ci lega: mediante il suo messaggio lo stesso Sommo Pontefice ha inteso raggiungerci!

Così si manifesta eloquentemente, in modo sacramentale, l'amore fraterno, si rende visibile la comunione vissuta dal Signore con gli Apostoli, facendo da fermento alla comunione della Chiesa.

Godendo di questa sacra Afamiliarità entriamo allora, nel tema di questa conferenza.

 

1) Di cosa abbiamo bisogno noi tutti che, in diverso grado, viviamo in questo tempo l'identità di altri Cristi ed esercitiamo il conseguente ministero pastorale?

Abbiamo bisogno di riflessione, silenzio, meditazione.

Il grande profeta Geremia individuò la causa delle disgrazie dell'uomo sulla terra nella mancanza di riflessione. Ecco come esprime la lagnanza di Dio: *Numerosi pastori hanno devastato la mia vigna, hanno calpestato il mio campo. Hanno fatto del mio campo prediletto un deserto desolato ... È devastato tutto il paese e nessuno se ne dà pensiero ... Essi hanno seminato grano e mietuto spine, si sono stancati senza alcun vantaggio; restano confusi per il loro raccolto (Ger. 12, 10-13). Perché? Perché nessuno se ne dà pensiero+. La mancanza di riflessione è il motivo per cui è devastato tutto il paese.

Questo quadro delineato da Geremia 2600 anni fa, non presenta forse delle analogie con il mondo odierno, desolato spiritualmente e materialmente - nonostante chi ha l'intelligenza della fede sa vedere Aoltre motivi di fondata speranza - pieno di tensioni e di ansie?

Già Pio XI di immortale memoria, nella sua Enciclica Mens nostra (20 XII 1929), sugli esercizi spirituali, osserva che *la più grande malattia dell'epoca moderna è la mancanza di riflessione+. E la sintomatologia di tale infermità si manifesterebbe, sempre secondo il grande Pontefice, come *perpetua et vehemens ad exteriora effusio + e come *inexplebilis divitiarum atque voluptatum cupiditas+. L'uomo, *raptus externis atque fluxis rebus+, non esamina il suo interno e non pensa a Dio, il quale è invece nostro principio e fine (Pio XI, Enc. Mens nostra, AAS 12, 1929, pp. 691-692).

La diagnosi di mezzo secolo fa è molto più valida oggi che allora.

Oggi, guardandoci dentro, Auomini del sacro e Amissionari per costituzione ontologica, dediti sempre alle cose di Dio, simultaneamente ci ritroviamo tutti, purtroppo mossi da mille cose che passano, connesse anche a lodevoli attività, che accorciamo il tempo per guardare dentro a noi stessi e per riconoscere permanentemente il mormorio dello Spirito Santo.

Lo schermo della coscienza, su cui l'uomo intravede se stesso, non può essere sostituito dallo schermo televisivo o da qualsiasi altro. La voce di Dio, portata sulle onde dell'anima, non può essere sostituita dalle onde ultramagnetiche. Ecco perché la malattia dell'uomo contemporaneo - e noi non siamo esclusi - sta, in larga misura, nella mancanza di riflessione ed è *fecundus malorum fons+.

Quando, trent'anni fa, nel luglio del 1969, l'uomo pose per la prima volta i piedi sulla superficie lunare, uno dei più noti filosofi contemporanei, Bertrand Russell, dichiarò: *Il male esiste, perché siamo divorati dalla febbre di agire, l'umanità ha più bisogno innanzitutto del silenzio, della riflessione e della meditazione+.

Il male provocato dalla mancanza di silenzio, di riflessione, di meditazione, minaccia fortemente anche noi presbiteri e Vescovi di oggi.

L'ordinaria amministrazione, la vita di ogni giorno ci fa muovere nell'intricata giungla di adunanze, uffici e snervanti burocrazie che, non di rado, risultano a scapito dei necessari rapporti personali.

Ognuno di noi è esposto, si può dire, al pericolo della *perpetua et vehemens ad exteriora effusio+, al pericolo di smarrirsi nell'esteriorità trascurando la propria interiorità. Eppure è dal nostro intimo rapporto con Dio, che dipende la perfezione delle nostre azioni esterne.

Nell'Apocalisse troviamo un insistente ammonimento: *all'Angelo della Chiesa di Sardi scrivi ... Conosco le tue opere, ti si crede vivo e invece sei morto; perché non ho trovato le tue opere perfette davanti a Dio. Ricorda dunque come hai accolto la parola, osservala e ravvediti+ (Ap. 3,1-3). Ricorda, ripensa, medita quanto hai ricevuto da Dio.

A tutti è necessaria la riflessione, la meditazione, il silenzio. Perciò sono particolarmente preziosi questi giorni, soprattutto questi primi tre, tutti concentrati sui temi fondamentali della conversione, della comunione e della missione. Il tutto nell'ideale clima del Cenacolo, congregati attorno alla Santissima nostra Madre di Guadalupe, in un fervido clima di comunione ecclesiale e fraternità, in fiduciosa attesa dell'effusione dello Spirito Santo, che ci anima per la nuova evangelizzazione.

 

2) Nuova evangelizzazione! Non è uno Aslogan ma è una esigenza postaci provvidenzialmente innanzi dal Santo Padre, soprattutto in relazione al Grande Giubileo del Duemila, nell'ampia prospettiva del Terzo Millennio. Non si tratta di una frase magica ma di una ardua quanto affascinante e doverosa missione da compiere e che deve mobilitare tutti i battezzati ma, sopra tutti il sacerdote che, dell'evangelizzazione, è protagonista principale ed autorevole.

I primi responsabili di questa nuova evangelizzazione del Terzo Millennio dall'Incarnazione del Verbo, siamo noi sacerdoti! Deve, pertanto, esserci chiaro che per poter realizzare la nostra missione abbiamo bisogno di alimentare in noi stessi una vita che sia pura trasparenza della nostra identità e di vivere una unione d'amore con Gesù Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote, Capo e Maestro, Sposo e Pastore della sua Chiesa, nutrendo la nostra spiritualità e il nostro ministero con una formazione permanente e completa. Credo che il costante riferimento, come quadro orientativo personale e di ogni presbiterio, sarà sempre e solo il Cristo. Per il nostro cammino sacerdotale la Chiesa ci ha consegnato un sussidio, come punto pratico di riferimento, il Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, che è davvero indispensabile, anche per la garanzia della necessaria ed effettiva comunionalità ecclesiale.

 

3) *Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi+ (Gv. 20,21). Nella stessa sacra Ordinazione è ontologicamente presente la dimensione missionaria. Noi siamo stati scelti, consacrati e inviati per rendere efficacemente e sempre attuale questa missione eterna di Cristo.

Noi, pur essendo nati nel grembo di una Chiesa particolare - non dimentichiamolo mai! -, apparteniamo *in modo immediato+ alla Chiesa universale (Cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla Chiesa come comunione, Communionis notio, 28 maggio 1992, 10: AAS 85, 1993, p. 844) e, con essa, condividiamo, nelle modalità proprie a ciascuno di noi, la missione di annunziare la Buona Novella fino agli *estremi confini della terra+ (atti 1,8) (Cf. Giovanni Paolo II, Lettera enc. Redemptoris missio, 23a: AAS 83, 1991, p. 269). Ormai, talvolta nel panorama di Dio, risultano essere confni lontani i più vicini e viceversa. La missione più ardua, in alcune circostanze, potrebbe risultare quella della propria stessa famiglia.

Si tratta della missione di annunciare la conversione e di fare discepole di Cristo tutte le genti, affinché conoscano la salvezza. Convertire sì, ma per convertire dobbiamo convertirci. E questo non già perché la parola e i Sacramenti non abbiano forza in sé, ma perché noi dobbiamo essere canali tersi affinché la grazia possa scorrere con speditezza ed irrigare salutarmente il mondo intero.

Il nostro ministero è insostituibile, è insurrogabile per divina volontà di Colui che ha fondato la Chiesa con una struttura gerarchico-comunionale. Da ciò discendono responsabilità gravi per noi. Tanta dignità si accompagna a tanta responsabilità, resa possibile dalla grazia del nostro stato.

 

4) Ogni Giubileo ha sempre avuto una necessaria indole propedeutica penitenziale, muove alla conversione, alla sincerità del Acor semper poenitens. Su questa linea, sempre in funzione della nuova evangelizzazione, vorrei proporre a me stesso e a voi tutti, cari confratelli nel sacerdozio, un esame di coscienza su una particolare categoria di peccati, che definirei Aintellettuali, che però si ripercuotono sulle impostazioni pastorali. Da essi possono derivare danni all'opera missionaria e all'immagine stessa della Chiesa. In questo ambiente di carità fraternavi invito a condividere una analisi che mi pare doveroso fare con intenti costruttivi. Pieni di fiducia nell'opera dello Spirito Santo e nell'amore profondo per la Chiesa, che è radicato nel nostro essere, direi quasi nei nostri cromosomi sacerdotali, entriamo in questo argomento.

Premetto ora che le situazioni alle quali accennerò non sonouniversalmente diffuse, né sono amggioritarie e neppure sono presenti fra noi, poiché diversamente non sarmmo qui in questi giorni. Si tratta tuttavia di idee che circolano e, se anche inavvertitamente accolte, potrebbero arrecare gravi danni ai tanti sacrifici apostolici, alle tante eroicità nascoste, alla diuturna fedeltà, che connota il vostro quotidiano sacro ministero.

La pastoralità ci obbliga alla prudenza e alla lungimiranza.

 

La perfezione sacerdotale esige la conformità dell'intelligenza con il pensiero di Cristo e la forma storica di tale conformazione è la effettiva, cordiale comunione con la Chiesa e con il Vicario di Cristo. Questa pefezione dell'essere, si rifrange conseguentemente nell'azione, a duplice livello ovvero:

 

A a livello di studio, che nel campo intellettuale approfondisce il pensiero;

 

B a livello di diffusione del pensiero, sia sul piano magisteriale, sia su quello genericamente culturale, che si svolge negli ambiti della scuola e dell'opinione pubblica.

 

La comunità deve essere arricchita con la presentazione degli sviluppi del pensiero, ma sarebbe un peccato contro la fede, specialmente contro la fede semplice degli umili, la diffusione di conclusioni non accettate, se non addirittura respinte, dal Magistero autentico.

 

A

 

5) Fra i Apeccati più diffusamente commessi, in genere, ricorre quello di richiamarsi ad un preteso Aspirito del Concilio Vaticano II, che non sarebbe stato ancora assimilato, soprattutto dalla Chiesa istituzionale.

Il Cardinal Ratzinger ha detto - se non ricordo male - che si tratta piuttosto di un *anti-spirito del Concilio+. E questo lo si vede già dal fatto che la richiesta di rifarsi allo Aspirito del Concilio non si riferisce tanto, come dovrebbe, a quello Spirito Santo che nel Concilio ha guidato e ammaestrato la Chiesa *prendendo da Gesù+ (Cf. Gv. 16,13) e conducendoci ancora più addentro nella Sua verità, ma si riferisce ad una lettura dei testi conciliari che insegue di fatto un'antica eresia; quella che aspetta appunto la definitiva Aera dello spirito nella quale sia superato il riferimento alla concreta Incarnazione di Cristo, al suo concreto Corpo ecclesiale, ai suoi concreti doni istituzionali.

L'influsso di questo (*anti+) spirito del Concilio si documenta, a mio parere, in questo atteggiamento di fondo: i problemi della vita ecclesiale sono affrontati come se non ci dovesse essere nulla di definitivamente normativo. E se anche si ammette qualcosa di normativo, esso non è però percepito e descritto come ricchezza, ma come un limite fastidioso. Di conseguenza, la fermezza con cui la Chiesa vuole rifarsi ad un suo *depositum fidei+ (in campo dogmatico e morale) la si considera facilmente come indebita volontà di restaurazione. In particolare:

 

Si tende a separare lo Spirito Santo da ciò che è Acorpo: dalla vicenda storica di Gesù, dalla istituzione ecclesiastica, dai sacramenti, dal magistero e, soprattutto, dal diritto canonico, il tutto in base ad un pregiudizio generalizzato che vede lo Spirito Asoffrire ogni volta che è costretto ad Aincarnarsi.

 

Si usa la tradizionale terminologia teologica (Apopolo di Dio, Aregno di Dio ...) mutuando però i significati più dall'idealismo che dalla Rivelazione.

 

Può accadere che si consideri valida per principio ogni forma di sperimentazione tesa ad inculturare ed indigenizzare il Vangelo, e ogni nuova Ateologia. Si tende a parlare di inculturazione, ma la stessa enfasi dovremmo impiegarla parallelamente nella evangelizzazione della cultura, poiché le due realtà sono assolutamente inscindibili.

 

Non manca chi cerca una soluzione del problema ecumenico sulla base di una progressiva deconfessionalizzazione (considerando cioè le diverse Aconfessioni cristiane come legittime forme di pluralismo); si cerca altresì la strada di un ecumenismo tra le religioni, di un Aauspicato ritorno al teocentrismo, riducendo con vari accorgimenti le caratteristiche universalistiche del cristianesimo e l'unica centralità salvifica di Cristo.

 

Può accadere che la storia della Chiesa non venga tanto rilevata come un deposito di santità (di vita e di dottrina) a cui attingere con gioia a piene mani, ma come un deposito di pesanti problematiche da spiegare e da sopportare.

 

Non è raro un atteggiamento impegnato ad erodere o sminuire (considerandole opinabili o non definitive) certe dottrine, peraltro molto chiare, come ad esempio quella sulla differenza essenziale tra sacerdozio ministeriale e comune, quella sulla impossibilità dell'ordinazione femminile; quella sulla definitività dei pronunciamenti in temi di etica sessuale, ecc.. Talora il Magistero del Sommo Pontefice è considerato anticipatamente con sospetto, ed è oggetto più di una accurata esegesi che di cordiale e fedele trasmissione. Così pure molti documenti della Santa Sede sui quali talora si stende il velo dell'oblío e dell'indifferenza, come se non esistessero.

 

I cedimenti e i tentennamenti sull'ortodossia sono considerati meno gravi dei cedimenti morali, e magari, sono guardati anche con una celata simpatia. Appaiono comunque Ainteressanti, Aaperti e segno di libertà intelletuale.

 

Il relativismo circa la verità, che non manca di avere un certo numero di proseliti, viene veicolato come un dovere imposto dalla carità. In tale senso, diventano consuete talune espressioni apparentemente Acaritatevoli e pregne di saggezza: *ognuno cerca la verità+, *Ognuno può vedere la verità soltanto da un punto di vista particolare+, ecc.. Non si pensa che espressioni come queste finiscono con l'ingenerare un pratico ed universale scetticismo. La responsabilità catechistica del pastore, anche nel corrente modo di parlare, è notevole.

 

Il dovere della Apresenza cristiana è esteso all'intera esperienza e la presenza nel sociale ne è un segmento importante. L'evangelizzazione della verità, con tutta la lotta che inevitabilmente esige, viene facilmente nascosta dietro l'evangelizzazione della carità Apratica, che il mondo più facilmente riconosce ed accetta, ma anche fagocita, dati i suoi immensi bisogni.

 

6) In sintesi, si tende a separare lo Spirito Santo dalla vicenda storica di Gesù di Nazaret, dal suo essere la Verità e la Salvezza in Persona. E, ancor più, si tende a separarlo da tutte le dimensioni concrete ed esistenziali della Chiesa.

Al massimo si considera accettabile solo una Chiesa che, senza vincolo alcuno, si lasci plasmare continuamente dallo Spirito, e con un riferimento il più possibile ideale a Cristo.

Lo Spirito, insomma, dovrebbe liberare la Chiesa dallo scandalo dell' *incarnazione singolare+: il dogma del *Dio fatto quest'Uomo Gesù+ tende a sfumare - recuperando antiche e molteplici sottigliezze eretiche - nel dogma del *Dio fatto ogni uomo+, o *dell'uomo incarnazione di Dio+.

Evidentemente nessuno di noi sarebbe disposto a riconoscere come proprie tutte queste posizioni che ho ora elencato, ma l'accettazione, anche sfumata, di una o l'altra di esse, dice l'orientamento e il sapore che assumono anche gli altri insegnamenti formalmente ineccepibili.

 

B

 

7) La stragrande maggioranza dei chierici, in verità e per grazia di Dio, non è coinvolta nelle problematiche che ho appena descritto, ma esse sono una specie di pseudo-deposito a cui è facile attingere in momenti di difficoltà o in momenti di superficialità.

Sul piano pratico si fa strada un altro macroscopico cedimento che, per taluni aspetti, si riallaccia alle dottrine alle quali ho accennato. Anzi, a me sembra che quello che esporrò adesso sia come il bacino collettore in cui possono versarsi ed essere recepiti anche gli altri elementi più Aintellettuali.

Si tratta di una versione aggiornata dell'antico pelagianesimo.

Si sa che nella visione pelagiana l'uomo era considerato naturalemente buono e capace di salvarsi da sé, anche se la grazia di Dio e, soprattutto, l'illuminazione di Cristo, erano strumenti di grande aiuto. Era comunque una visione che esigeva dall'uomo un forte impegno morale e una ascesi non indifferente.

Cosa è accaduto? Taluni, di fatto, impiegano le proprie energie in un annuncio, quindi in una predicazione, una catechesi, una visione globale del cristianesimo che è sostanzialmente pelagiana, per quanto attiene alla riduzione di Cristo a *buon esempio+. Basta prestare attenzione alla predicazione di confratelli, anche virtuosi ed ortodossi, in occasione di battesimi, matrimoni, prime comunioni, ecc., ma anche alla consueta omiletica festiva. Quasi l'intero annuncio riguarda gli impegni che il cristiano si assume o dovrebbe assumersi; si dice quasi esclusivamente ciò che l'uomo dovrebbe fare. Si arriva così, senza accorgersene, a formulazioni che, a ben riflettere, sotto il profilo materiale, di per sé, arebbero eretiche, in quanto prive di riferimento all'Aex opere operato, al Acarattere, alla Agrazia.

 

8) Inoltre, non di rado, trascuriamo l'esperienza mistica possibile ad ogni cristiano perché la si confonde con i fenomeni mistici straordinari e, di conseguenza, non si spingono i credenti verso le profondità mistiche del loro essere.

Nessun errore è nuove e l'attuale forma di pelagianesimo come polverizzata nell'aria che respiriamo. In forza di esso si rischia di ridurre tutto a vaghe ricette psicologiche e Abuoni sentimenti.

Ecco l'attuale tipologia di pelagianesimo, che potrebbe inquinare anche la nostra predicazione, le nostre comunità ed associazioni, le nostre parrocchie, le nostre diocesi e snervare la nuova evangelizzazione.

Da un lato, pochi rimandi alla sconfinata ricchezza dei doni cristiani, poca descrizione del progetto di Dio già sostanzialmente realizzato; e dall'altro lato pochissimi rimandi alla vera ascesi e alla vera moralità.

In cambio, il nuovo pelagianesimo offre molte analisi e ricette psicologiche e moltissimi appelli ai buoni sentimenti.

Il fatto che, eventualmente, ci siano tante Aopere, tanti Agruppi, tante Acelebrazioni, tanti Aincontri, non cambia le cose di molto, dato che l'annuncio che ultimamente passa, giunge sempre a quelle conclusioni di cui si diceva. L'evangelizzazione ne esce estenuata, perché non può contare sulla sua forza originaria: la bellezza e l'unicità dell'Evento dell'Incarnazione in cui siamo stati afferrati e la persuasione di una Vita a cui si può rispondere soltanto con tutta la vita.

Cos'è, cosa dovrebbe essere la Chiesa se non la vita intera dei cristiani che aderisce alla Vita intera di Cristo sotto la guida personale dello Spirito Santo?

 

9) Cari amici, quello splendido esempio sacerdotale che è San Giovanni Maria Vianney diceva che ad un parroco ottimo corrisponde una comunità buona, ad un parroco buono una comunità discreta, ad un parroco discreto una comunità cattiva. Ecco perché, in funzione dell'evangelizzazione per la quale siamo costituiti sacerdoti, ho voluto condurre questo esame di coscienza. Il sacerdozio nel quale siamo costituiti è per il ministero, per cui la nostra conversione personale deve specchiarsi nelle esigenze pastorali. Noi saremo santi soltanto se saremo pastori, in qualsiasi posto il Signore ci abbia chiamati, tanto in una parrocchia quanto fra i giovani o su una cattedra o in una curia o altrove. Ovunque ma con il cuore e lo stile dei pastori.

Convertirci per convertire! E convertirci da autentici pastori.

L'uomo nuovo al quale l'Arcipastore affida la cura del gregge è chiamato a vivere in modo singolare e specifico la carità pastorale.

Su quest'ultima si è parlato e scritto molto, anche in tempi recenti, con il consueto rischio della retorica che, come succede, tende a trasformare una formula teologicamente corretta ed espressiva in un luogo comune dal significato piuttosto vago.

Eppure la fisionomia della carità pastorale è descritta nel Nuovo Testamento con tratti precisi e marcati ed è essa che costringe alla conversione costante.

Il mercenario fugge e abbandona le pecore quando vede venire il lupo e questi le rapisce e le disperde (cf. Gv 10,12). Il mercenario è pavido e la paura e il calcolo della propria convenienza dominano la sua vita. Mai dire come stanno le cose davvero se non si è disposti a subirne le conseguenze: la verità genera l'odio di chi non è da essa!

Al buon pastore, si richiede il tratto definitivo del coraggio. Dobbiammo avere coraggio. Il coraggio di guardarci dentro, il coraggio di confrontarci con la verità del nostro essere, del nostro agire sacerdotale e il coraggio pastorale di affrontare qualsiasi contraddizione ed incomprensione del mondo per vero amore delle anime. Come San Giovanni Bosco dovremmo poter dire in verità: *da mihi animas, cetera tolle!+

Questo atteggiamento del cuore non si improvvisa e non si mantiene a lungo se non viene messo al riparo dagli agenti che lo corrodono, dal degrado dell'abitudine, dallo stare in ascolto del mondo anziché di Dio, dallo stare aprioristicamente con le maggioranze anziché con la verità e dalla deriva della *burocrazia+ pastorale.

Questo atteggiamento del cuore è mosso dalla ammirazione della maestà di Dio, dall'amore per le anime viste attraverso le ferite del Salvatore Crocifisso.

Allora meglio si scorgono le nostre carenze, le nostre fragilità innanzi alle esigenze della carità pastorale. Lo Spirito Santo si serve anche di questo per muoverci alla conversione personale e farci altresì diventare più credibili per essere strumenti di Dio per la conversione dei fratelli.

Sappiamo che Sant'Antonio Abate piangeva spesso, considerando le proprie manchevolezze. Ed a causa di ciò scrive Atanasio: *il volto di Sant'Antonio aveva una grazia sorprendente ... non si turbava mai, talmente la sua anima era pacificata+. *Un volto lavato dalle lacrime - dice Sant'Efrem - è di una bellezza imperitura+.

È bene ricordare questo aspetto consolante della penitenza cristiana, del convertirsi.

Il giubileo, secondo la Sacra Scrittura, comportava altresì il condono dei debiti.

Imploriamo, pertanto, Dio misericordioso perché ci rimetta i debiti contratti nel corso della vita e nell'esercizio del sacro ministero.

Consideriamo il cammino, lungo, medio o breve che sia, fino ad ora percorso, durante il quale la nostra vita si è confermata, approfondita, consolidata. Consideriamolo per assumere più chiara coscienza dell'azione amorevole di Dio nella nostra vita. È in questa prospettiva, carissimi Confratelli nel sacerdozio, che desidero invitarvi ad unirvi a me nel mio rendimento di grazie per il dono della vocazione e del sacerdozio, espresso attraverso la ferma volontà di lasciarci convertire.

Ricordiamo questo: faremo molto più con quello che realmente saremo, che con quello che faremo. E anche quando faremo, ben altra sarà la eco della della nostra voce, della nostra convinzione, quando eromperà da un'anima che è costantemente in Dio.

Pertanto viviamo il sacerdozio con la convinzione che il primo strumento di esso per il ministero, sarà sempre la nostra vita interiore, ossia lo stato in cui ci troveremo davanti al Signore, pieno di Grazia e di Verità, nell'intimo della nostra anima!

 

Grazie!

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