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OMELIA

dell'Em.mo Card. Darío Castrillón Hoyos


IL SACERDOTE: UNA VITA RADICATA

E CENTRATA NELL'EUCARESTIA

 

 

Istituto San Giovanni Damasceno

Sia lodato Gesù Cristo!

 

Carissimi sacerdoti concelebranti e carissimi fratelli,

 

1) Sono lieto di poter presiedere questa Concelebrazione eucaristica nel vostro Istituto dedicato a uno dei maggiori rappresentanti della sapienza teologica orientale, San Giovanni Damasceno, esemplare nella vita monastica, fedele sacerdote e grande dottore della Chiesa.

Il giovane di Damasco, ritiratosi come è noto nella Laura di San Saba in Palestina, mise a frutto la solida formazione letteraria e filosofica ricevuta nella corte dei Califfi arabi; dall'essere, come sembra, esattore delle imposte dell'amministrazione califfale, Giovanni divenne presto strenuo difensore della fede ortodossa cristiana contro l'eresia iconoclasta e maestro di letteratura liturgica: le immagini, diceva, sono segno tangibile della incarnazione del Verbo; i canti e gli inni liturgici manifestazione di adorazione gioiosa dell'Eucarestia (cf Discorsi apologetici contro coloro che rigettano le sacre immagini - Damasco, 726).

Da quella seconda metà del VII secolo, riportiamoci ora alle soglie del Grande Giubileo dell'Anno Duemila.

 

2) Siamo all'inizio dell'anno accademico, anno di preparazione e di crescita nello studio della sana dottrina teologica; la verità conosciuta deve diventare vita della vostra vita, tradursi in opere di servizio, di testimonianza, in definitiva, di santità. Così è avvenuto nella vita di San Giovanni Damasceno, così accade nella vita di ognuno di noi se rinnoviamo la nostra disponibilità, che è insieme docilità e collaborazione, all'azione instancabile dello Spirito Santo.

Ogni cristiano, e in modo peculiare il sacerdote, viene trasformato dal divino Paraclito in Aalter Christus, in Aipse Christus (Lett. enc. Redemptor Hominis, n. 20). Ma non possiamo, non dobbiamo, dimenticare che tale identificazione costituisce un compito, una responsabilità personale per realizzare in ciascuno di noi ciò che diceva San Paolo: Aper me vivere, è Cristo (Fil 1,21); ANon sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me (Gal 2,20), come abbiamo letto nel Canto di Ingresso.

Pertanto oggi, come ieri e come sempre, di fronte alle nuove sfide del Terzo Millennio, la domanda Acome potrà avvenire la nostra trasformazione in Cristo? ha una risposta che incomincia necessariamente così: ASe il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore produce molto frutto (Gv 12,24) come abbiamo letto poco fa nel Vangelo di San Giovanni; cioè, se noi non moriamo a noi stessi - al nostro egoismo, sensualità, vanità - non potremmo identificarci con Cristo, rimarremmo soli, infecondi, inefficaci.

Per rispondere a questa istanza di unione con Dio e di dedizione al servizio degli uomini, il sacerdote trova il centro e la radice di tutta la sua vita nel Sacrificio Eucaristico; lui stesso, in unione con Cristo, si offre interamente a Dio in sacrificio di adorazione per essere a sua volta colmo della carità del Verbo divino per la vita del mondo. Il sacerdote deve farsi ostia, che si offre a Dio Padre e, nello stesso tempo, Ahostia quae traditur in cibum hominibus pro amore Dei (cf testo della Commissione preparatoria del decr. Presbyterorum Ordinis), ostia che si dona in cibo agli uomini per amore di Dio. Questa dottrina fu inscritta nel testo del Decreto conciliare Presbyterorum Ordinis, con la seguente affermazione: ACosì i presbiteri, unendosi con l'atto di Cristo Sacerdote, si offrono ogni giorno totalmente a Dio, e nutrendosi del Corpo di Cristo partecipano nell'anima della carità di Colui che si dà come cibo ai fedeli (n. 13).

 

3) È il momento dei propositi: facciamoci guidare da Sant'Ignazio, di cui oggi ricorre la memoria, il grande Vescovo di Antiochia, martire qui a Roma; le sue parole, tratte dalla Lettera ai Romani che abbiamo recitato nel canto al Vangelo: ASono frumento di Dio e devo essere macinato, per divenire puro pane di Cristo (Ant. al Vangelo della memoria di Sant'Iganzio di Antiochia) ci esortano a rinnovare la nostra fede nella fecondità del Sacrificio Eucaristico, incoraggiandoci alla celebrazione quotidiana della Messa, che è sempre un'azione di Cristo e della Chiesa anche quando i fedeli non possono esservi fisicamente presenti; ad essere uomini di preghiera, a coltivare la pietà personale servendoci soprattutto del Sacramento della Penitenza e provare così vivamente in noi stessi quella medesima necessità di adorazione e di servizio tanto palesi nella vita di Sant'Ignazio.

La Chiesa che vogliamo vedere rifiorire e dare nuovi frutti, Ala Chiesa del nuovo avvento, la Chiesa che si prepara di continuo alla venuta del Signore, deve essere la Chiesa dell'Eucarestia e della Penitenza. Soltanto sotto questo profilo spirituale della sua vitalità e della sua attività, essa è la Chiesa della missione divina, la Chiesa in statu missionis, così come ne ha rivelato il volto il Concilio Vaticano II (Lett. enc. Redemptor Hominis n. 20).

Ricordiamoci dunque che la nuova evangelizzazione dipende in modo essenziale dal fatto che ci siano ministri che dispensino generosamentre, con fame di santità propria e altrui, la Parola di Dio e i Sacramenti, uomini formati dalla Chiesa, sempre in sintonia con la Chiesa, per essere pienamente sacerdoti alla misura della donazione di Cristo, sempre ben uniti al loro Ordinario, in modo peculiare con il Romano Pontefice e in comunione con tutta la Chiesa.

 

Ci aiuti Maria, serva fedele ed obbediente del Signore ed esempio eccellente di fedeltà all'impegno apostolico; unita in preghiera ai Discepoli nel Cenacolo di Gerusalemme nell'attesa del dono dello Spirito Santo, Ella ci offre l'esempio di preghiera incessante, di disponibilità e di impegno attivo nella missione della Chiesa. Grazie alla Sua materna intercessione, Dio rinnovi in voi e nel vostro Istituto e Collegio i prodigi della Pentecoste!

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