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L'INTERVENTO DEL CARDINALE
DARÍO CASTRILLÓN HOYOS, 
PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE PER IL CLERO, 
DURANTE LA CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE 
DELLA LETTERA DEL SANTO PADRE, GIOVANNI PAOLO II 
AI SACERDOTI PER IL GIOVEDÍ SANTO 2000

Giovedì, 30 Marzo 2000

1. La Lettera che il Santo Padre ormai da circa vent'anni indirizza ad ogni Sacerdote, in questo Grande Giubileo si impreziosisce di un gesto profondamente significativo e squisitamente delicato:  è stata firmata nel luogo santissimo dove, secondo la più accreditata tradizione, Gesù si è riunito con i Dodici ed ha istituito l'Eucaristia.

Il Cenacolo è la culla del sacerdozio ministeriale. È il luogo dove è stata istituita l'Eucaristia. È la culla del sacerdozio ministeriale. Di noi (Sacerdoti) rispetto al Cenacolo, scrive il Santo Padre, "si potrebbe dire quello che il Salmista dice dei popoli rispetto a Gerusalemme:  "Il Signore scriverà nel libro dei popoli:  là costui è nato" (Sal 87[86], 6)" (Lettera, n.3).

Ogni Sacerdote cattolico è tale perché celebra il memoriale sacrificale "in persona Christi", Cristo ha voluto che il sacerdote agisca come Lui stesso, unito alla stessa azione di Cristo, Sacerdote ed Intercessore.

Non si può entrare nella comprensione di Cristo e del suo Vangelo a partire dalle semplici categorie storiche, per cui non si potrebbero neppure capire l'Eucaristia e il Sacerdozio ordinato se non proprio dove sgorgano e dalla autentica iniziativa che li genera. Siamo nell'ambito del mistero di Dio:  sua imperscrutabile decisione.

Il Santo Padre ci ha riportati al Cenacolo e, pertanto, ci ha riportati al tempo e ai fatti della realtà della Cena Pasquale in cui è nata l'Eucaristia ed è nato il Sacerdozio:  due sacramenti uniti in modo assolutamente indissolubile per cui l'esistenza dell'uno è condizionata all'esistenza dell'altro. E l'aspetto sacrificale dell'Eucaristia, aspetto peraltro prioritario, è pure dimensione costitutiva del Sacerdozio (cfr Lettera, n. 8).

Sono immense le conseguenze e le implicanze della dimensione sacrificale dell'Eucaristia che innerva la connotazione di colui che è "Sacerdos et Hostia", Cristo Sacerdote e Vittima. Il Sacerdote non si appartiene costitutivamente; in Cristo, il suo essere è puro dono di salvezza, per sé e per gli altri. Non esercita una "funzione". Egli "è"!

Giovedì scorso (23 marzo) abbiamo visto nel Cenacolo, nella venerata figura del Santo Padre, l'icona del Sacerdote, Offerente e Vittima. Celebrava il divino Sacrificio e diceva "Prendete e mangiatene tutti:  questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi". "Prendete e bevetene tutti:  questo è il calice del mio sangue versato per voi e per tutti in remissione dei peccati".

Curvo sotto il peso dei peccati dell'umanità intera il Sacerdote con il Corpo e il Sangue di Cristo, nel Corpo e nel Sangue di Cristo, pone tutto se stesso, fino all'immolazione affinché la Redenzione scorra e arrivi in ogni cuore.

Il Sommo Pontefice, sotto gli occhi di tutto il mondo, ci ha mostrato tutto questo, ha illustrato una pagina fondamentale del catechismo.

Forse ora è più facile capire qualcosa della grandezza e dell'insostituibilità del Sacerdozio ministeriale.

2. Con tratto di squisita delicatezza che, penso, scenderà come balsamo nell'intimo di ogni Sacerdote e che, credo, gioverà molto anche alla fede dell'intera comunità dei credenti, il Santo Padre, al n. 3 della Lettera dice che, da quell'"Aula santa" (il Cenacolo), ha pensato a ciascun Sacerdote, ha immaginato ciascuno, con le diverse caratteristiche, nei più diversi luoghi, nelle più variegate situazioni:  "In tutti vengo ad onorare quell'immagine del Cristo che avete ricevuto con la consacrazione, quel "carattere" che connota in modo indelebile ciascuno di voi"!

Pietro, Colui che è costituito "roccia", Colui che è chiamato da Cristo per confermare la fede, Colui che per volontà dello stesso Cristo è criterio ultimo di garanzia per la verità, compie un atto quanto mai provvido, in questo momento, nei confronti della struttura fondamentale, costitutiva, per la Chiesa nel tempo e nella storia:  la conferma della fede nel sacerdozio ministeriale, con tutte le sue caratteristiche essenziali.

Al momento dell'ordinazione, un uomo concreto riceve un nuovo "essere", una nuova esistenza di tipo mistico:  quella sacerdotale.

In virtù di tale ordinazione il sacerdote è contrassegnato con il carattere sacerdotale, che è un segno spirituale incancellabile (cfr pure Conc. Vat. II, P.O., n. 2). Tale "carattere" fa sì che il soggetto che lo ha ricevuto rassomigli a Cristo Sacerdote, nel nome e nella persona del quale opera.

Per meglio comprendere, forse, può essere utile ricordare il discorso eucaristico di Gesù:  "Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo" (Gv 6, 51). Cristo fece però osservare che la promessa si sarebbe compiuta in virtù del sigillo con cui era contrassegnato dal Padre. Perciò a quanti lo ascoltavano stupiti disse ancora:  "Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà, perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo" (Gv 6, 27). Questo sigillo del sacerdozio Cristo l'ha condiviso con tutti i Sacerdoti, di tutti i tempi, che vengano validamente ordinati, fino alla consumazione dei secoli. In virtù di tale "carattere", ogni Sacerdote è sempre, in qualsiasi condizione, un "altro Cristo"!

3. È questa l'immagine di Cristo che il suo Vicario è venuto ad onorare in ogni Sacerdote!

È la dottrina costante, è la fede della Chiesa di sempre e che sempre sarà, in quanto ci viene dalla Rivelazione, dalla Tradizione, dal Magistero, dal senso della fede dei cristiani, dalla testimonianza dei Santi. È tutto questo ma è importantissimo che Pietro ce lo ripeta adesso, a 2000 anni dall'evento del Cenacolo.

Infatti, talvolta, non mancano anche oggi linguaggi e prassi che tendono, almeno di fatto, a convergere verso un oblìo della dottrina sul carattere sacerdotale.

L'insegnamento del Santo Padre costituisce il migliore slancio per la pastorale vocazionale specifica all'inizio di questo Terzo Millennio.

4. Affinché le parole e l'affetto del Santo Padre fruttifichino, come è doveroso, credo sia urgente trarre tutte le dovute conseguenze esistenziali, organizzative, pastorali, ai contenuti del n. 10 della Costituzione dogmatica Lumen gentium del Concilio Vaticano II per la quale sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ordinato "differiscono essenzialmente e non solo di grado".

Noi sacerdoti dobbiamo credere nel "carattere sacerdotale" per poter essere noi stessi, per conservare la nostra specificità, per non perdere la nostra carta d'identità e per poter davvero servire in questo mondo. Fra l'altro, ciò è il modo più concreto per poter promuovere la piena vitalità dei laici.

Ed è pure gratificante e doveroso ricordare a tutti e ai sacerdoti che la presenza e il ministero dei sacerdoti sono "unici, necessari e insostituibili" (Lettera, n. 5). Con la grazia di Dio, dobbiamo conservare nitida l'identità sacerdotale, illustrarne la bellezza e la dignità, tenerne alto il tono. Tutti i generosi sono attratti dalle vette elevate ed immacolate.

5. Su questa linea, nel contesto della natività sacerdotale, nel clima del divino amore ("Avendo amato i suoi - li amò sino alla fine"), sullo sfondo del gesto emblematico della lavanda dei piedi, il Santo Padre evidenzia la "radicalità della condiscendenza di Dio verso di noi" (Lettera, n.4). "In Cristo, infatti, è Dio che ha "spogliato se stesso", ha assunto la "forma di servo" fino all'estrema umiliazione della Croce (cfr Fil 2, 7), per aprire all'umanità l'accesso all'intimità della vita divina" (Lettera, n. 4).

Viene qui evocata quella radicalità - segreto di felicità personale e di fruttuosità ministeriale - entro la cui logica evangelica va colto lo stile di vita che la fede della Chiesa e la sua conseguente disciplina richiedono al Sacerdote. Si comprende, sempre in questa logica, quanto ciò che chiede la Chiesa, prima ancora sia liberamente voluto, come urgenza personale, dal Sacerdote innamorato, "sedotto" - mi si consenta il termine - dal Sacerdozio di Cristo a lui partecipato.

Radicalità - e la vedo come esigenza di rinnovamento nell'ottica del Giubileo dei Sacerdoti - perché come Cristo è totalmente appartenuto al Padre, così il sacerdote appartiene totalmente a Cristo.

Nella proiezione luminosa di questa radicalità, il Sacerdote è cosciente del fatto che il mistero di Cristo costituisce il punto di riferimento unico della propria esistenza, il punto di consistenza della propria personalità, il punto dei criteri ultimi di giudizio di comportamento, il punto "genetico" del proprio muoversi, del proprio dire, del proprio agire.

Sempre in questa ottica si comprende la quotidiana celebrazione della Santa Messa come gesto supremo di offerta di sé a Cristo affinché Lui non cessi di essere presente.

Con intensa commozione, negli scorsi giorni, abbiamo visto il venerando Successore di Pietro, genuflesso davanti al luogo della natività, intento a pregare con il suo breviario come un qualsiasi buon Sacerdote; piccolo gesto dall'enorme portata.

Abbiamo meglio compreso come la celebrazione quotidiana del divino Sacrificio e della Liturgia delle Ore (il breviario) non sia tanto un obbligo quanto, piuttosto, un'esigenza di immedesimazione con Cristo Redentore. È l'essere intimo sacerdotale del Presbitero che così si esplica. Sullo stesso filo logico-affettivo di esigenza emerge la castità, considerata sommamente conveniente, perché mantiene il cuore totalmente libero per Dio e per i fratelli. Emerge l'importanza di vivere la povertà. È un'esigenza di non essere condizionati da nulla e di potersi servire di tutto ciò che è onesto con sobrietà e distacco, in nobile libertà.

Sempre in questa logica di radicalità è inscritta come insopprimibile esigenza l'obbedienza. Essa allora realizza in pienezza la propria vocazione.

Sono tutte esigenze che crescono dalla radice cristologica e che permettono al Sacerdote di non anteporre nulla all'amore di Cristo per poter compiere così esistenzialmente la lavanda dei piedi nei confronti di ogni creatura umana e di correre speditamente fino agli estremi confini della terra per annunciare, celebrare, testimoniare, piantare la Chiesa, generare civiltà cristiana - la civiltà dell'amore -, illuminare quindi di speranza pasquale ogni situazione.

Nell'avviarmi a conclusione vorrei sottolineare alcuni fra i significativi richiami del Santo Padre: 

a) richiamo al ricordo dei tanti e tanti Sacerdoti santi e martiri che hanno illustrato 2000 anni di cristianesimo, che costituiscono altrettanti preziosi intercessori ed esempi stimolanti. È stata una fioritura rigogliosissima di santità, che ancora oggi è in atto. Non si possono non ricordare, al proposito, con simpatia e viva partecipazione, gli attuali sacerdoti che, in talune parti del mondo, soffrono condizioni di martirio e tutti coloro che, in situazioni di frontiera o di ministero quotidiano, vivono la difficoltà di dover remare contro corrente per essere fedeli a Dio nell'autentico servizio dell'uomo (cfr Lettera, n. 5).

b) Richiamo alla consapevolezza di avere, con il Sacerdozio, un tesoro "in vasi di creta" (2 Cor 4, 7).

Ciò è occasione propizia per il proprio salutare esame di coscienza e per aumentare la fede nel sacerdozio stesso. Il Santo Padre scrive:  "Per questo, nonostante tutte le fragilità dei suoi sacerdoti, il popolo di Dio ha continuato a credere alla forza di Cristo operante attraverso il loro ministero".

Come non ricordare - si chiede il Papa - san Francesco di Assisi che, per umiltà, non volle essere sacerdote. Nel suo testamento egli si dichiara pronto a ricorrere ai sacerdoti, persino se lo avessero perseguitato, senza tener conto del loro peccato (Cfr Lettera, n. 6).

6. C'è poi la consegna del Cenacolo che il Santo Padre fa ad ogni Sacerdote: 

a) "celebriamo sempre con fervore la Santa Eucaristia";

b) "sostiamo di frequente e prolungatamente in adorazione davanti a Cristo eucaristico";

c) troviamo nell'Eucaristia il segreto per vincere le difficoltà, l'alimento per riprendere il cammino dopo ogni scoraggiamento (cfr Lettera, n. 14);

d) facciamo riscoprire anche ai fedeli il tesoro della Santa Messa e della presenza del Signore nei tabernacoli:  "Molto dipende dalla nostra relazione personale con l'Eucaristia" (Lettera, n. 14).

7. Con commovente vicinanza e comprensione il Santo Padre abbraccia ed incoraggia ogni Sacerdote ed intende tutti mobilitare con entusiasmo per l'impresa della nuova evangelizzazione del Terzo Millennio, all'insegna dell'Eucaristia.

Per rinnovarsi si va sempre alle fonti e l'Eucaristia nata nel Cenacolo è la fonte. E siamo avvertiti:  "Solo i santi, con l'intensità del loro amore, possono penetrare nella profondità di questo mistero, quasi poggiando come Giovanni il capo sul petto del Signore (cfr Gv 13, 25)" (Lettera, n.15). Qui siamo infatti al vertice dell'amore:  "Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine".

Che tutti i Confratelli Sacerdoti, nell'intenso clima ecclesiale del Cenacolo, possano fare l'esperienza di poggiare, come l'Apostolo Giovanni, il loro capo sul petto di Gesù ed abbiano la gioia di irradiare quell'amore divino nei loro campi di ministero!

Grazie.

 

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