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CONGREGAZIONE PER IL CLERO

DIRETTORIO
PER IL MINISTERO E LA VITA
DEI PRESBITERI

LIBRERIA EDITRICE VATICANA


INTRODUZIONE

La ricca esperienza della Chiesa sul ministero e la vita dei presbiteri, condensata in diversi documenti del Magistero,(1) ha ricevuto ai nostri giorni un nuovo impulso grazie agli insegnamenti contenuti nell'Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis.(2)

La pubblicazione di tale documento - in cui il Sommo Pontefice ha voluto unire la sua voce di Vescovo di Roma e Successore di Pietro a quella dei Padri sinodali - ha significato per i presbiteri e per tutta la Chiesa, l'inizio di un fedele e fecondo cammino di approfondimento e di applicazione dei suoi contenuti.

« Oggi, in particolare, il prioritario compito pastorale della nuova evangelizzazione, che investe tutto il Popolo di Dio e postula un nuovo ardore, nuovi metodi e una nuova espressione per l'annuncio e la testimonianza del Vangelo, esige dei sacerdoti radicalmente e integralmente immersi nel mistero di Cristo e capaci di realizzare un nuovo stile di vita pastorale ».(3)

I primi responsabili di questa nuova evangelizzazione del terzo Millennio sono i presbiteri, i quali, però, per poter realizzare la loro missione, hanno bisogno di alimentare in se stessi una vita che sia pura trasparenza della propria identità, e di vivere una unione di amore con Gesù Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote, Capo e Maestro, Sposo e Pastore della sua Chiesa, nutrendo la propria spiritualità e il proprio ministero con una formazione permanente e completa.

Per rispondere a tali esigenze, è nato questo Direttorio, richiesto da numerosi Vescovi, sia durante del Sinodo del 1990, sia in occasione della consultazione generale dell'Episcopato promossa da questo Dicastero.

Nel delineare i diversi contenuti, si sono tenuti presenti sia i suggerimenti dell'intero Episcopato mondiale, appositamente consultato, sia guanto emerso nel corso dei lavori della Congregazione plenaria, svoltasi in Vaticano nell'ottobre 1993; sia, infine, le riflessioni di non pochi teologi, canonisti ed esperti in materia, provenienti da diverse aree geografiche e inseriti nelle attuali situazioni pastorali.

Si è cercato di offrire elementi pratici che possano servire per iniziative, il più possibile unitarie, evitando tuttavia di entrare in quei dettagli che soltanto le legittime prassi locali e le condizioni reali di ciascuna Diocesi e Conferenza episcopale potranno utilmente suggerire alla prudenza e allo zelo dei pastori. Data, poi, la natura di Direttorio del presente documento è sembrato opportuno, nelle circostanze attuali, richiamare solo quegli elementi dottrinali che sono a fondamento dell'identità, della spiritualità e della formazione permanente dei presbiteri.

Il documento, pertanto, non intende offrire una esposizione esaustiva sul sacerdozio, né essere una pura e semplice ripetizione di guanto già autenticamente dichiarato dal Magistero della Chiesa; esso vuole piuttosto rispondere ai principali interrogativi di ordine sia dottrinale che disciplinare e pastorale, posti ai sacerdoti dall'impegno della nuova evangelizzazione.

Così, per esempio, si è voluto chiarire che la vera identità sacerdotale, come il Divino Maestro l'ha voluta e la Chiesa l'ha sempre vissuta, non è conciliabile con quelle tendenze che vorrebbero svuotare o annullare la realtà del sacerdozio ministeriale. Particolare enfasi si è voluto dare al tema specifico della comunione, esigenza oggi particolarmente sentita, attesa la sua incidenza sulla vita del sacerdote. Lo stesso può dirsi della spiritualità presbiterale che, nei nostri tempi, ha subito non pochi contraccolpi a causa, soprattutto, del secolarismo e di un errato antropologismo. È apparso, infine, necessario offrire alcuni consigli per una adeguata formazione permanente che aiuti i sacerdoti a vivere con gioia e responsabilità la loro vocazione.

Il testo è naturalmente destinato, attraverso i Vescovi, a tutti i presbiteri della Chiesa di Rito Latino. Le direttive in esso contenute riguardano, in particolare, i presbiteri del clero secolare diocesano, sebbene di molte di esse, con i dovuti adattamenti, debbano tener conto anche i presbiteri membri di Istituti religiosi e di Società di vita apostolica. Ci si augura che questo Direttorio possa essere, per ogni sacerdote, un aiuto nell'approfondimento della propria identità e per incrementare la propria spiritualità; un incoraggiamento nel ministero e nella realizzazione della propria formazione permanente, della quale ciascuno è il primo agente; un punto di riferimento per un apostolato ricco e autentico, a vantaggio della Chiesa e del mondo intero.

Dalla Congregazione per il Clero, Giovedì Santo 1994.

JOSÉ T. Card. SANTCHEZ

Prefetto

+ CRESCENZIO SEPE

Arcivescovo titolare di Grado

Segretario


Capitolo I

IDENTITÀ DEL PRESBITERO

1. Il sacerdozio come dono

L'intera Chiesa è stata resa partecipe dell'unzione sacerdotale di Cristo nello Spirito Santo. Nella Chiesa, infatti, « tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale, offrono a Dio ostie spirituali per mezzo di Gesù Cristo e annunziano le grandezze di colui che li ha chiamati per trarli dalle tenebre e accoglierli nella sua luce meravigliosa (cf 1 Pt 2, 5.9) ».(4) In Cristo, tutto il suo Corpo mistico è unito al Padre per lo Spirito Santo, in vista della salvezza di tutti gli uomini.

La Chiesa però non può condurre da sola tale missione: L'intera sua attività necessita intrinsecamente della comunione con Cristo, Capo del suo Corpo. Essa, indissolubilmente unita al suo Signore, da Egli stesso ne riceve costantemente l'influsso di grazia e di verità, di guida e di sostegno, perché possa essere per tutti e per ciascuno « il segno e lo strumento dell'intima unione dell'uomo con Dio e dell'unità di tutto il genere umano ».(5)

Il sacerdozio ministeriale trova la sua ragione d'essere in questa prospettiva dell'unione vitale e operativa della Chiesa con Cristo. In effetti, mediante tale ministero, il Signore continua a esercitare in mezzo al suo Popolo quella attività che soltanto a Lui appartiene in quanto Capo del suo Corpo. Pertanto, il sacerdozio ministeriale rende tangibile l'azione propria di Cristo Capo e testimonia che Cristo non si è allontanato dalla sua Chiesa, ma continua a vivificarla col suo perenne sacerdozio. Per questo motivo, la Chiesa considera il sacerdozio ministeriale come un dono a Lei elargito nel ministero di alcuni suoi fedeli.

Tale dono, istituito da Cristo per continuare la sua propria missione di salvezza, fu conferito inizialmente agli Apostoli e continua nella Chiesa, attraverso i Vescovi loro successori.

2. Radice sacramentale

Mediante l'ordinazione sacramentale, fatta per mezzo dell'imposizione delle mani e della preghiera consacratoria da parte del Vescovo, si determina nel presbitero « un legame ontologico specifico che unisce il sacerdote a Cristo Sommo Sacerdote e Buon Pastore ».(6)

L'identità del sacerdote, quindi, deriva dalla partecipazione specifica al Sacerdozio di Cristo, per cui l'ordinato diventa, nella Chiesa e per la Chiesa, immagine reale, vivente e trasparente di Cristo Sacerdote, « una ripresentazione sacramentale di Cristo Capo e Pastore ».(7) Attraverso la consacrazione, il sacerdote « riceve in dono un "potere spirituale" che è partecipazione all'autorità con la quale Gesù Cristo, mediante il Suo Spirito, guida la Chiesa ».(8)

Questa sacramentale identificazione con il Sommo ed Eterno Sacerdote inserisce specificamente il presbitero nel mistero trinitario e, attraverso il mistero di Cristo, nella comunione ministeriale della Chiesa per servire il Popolo di Dio.(9)

Dimensione trinitaria

3. In comunione col Padre, col Figlio e con lo Spirito

Se è vero che ogni cristiano, per mezzo del Battesimo, è in comunione con Dio Uno e Trino, è altrettanto vero che, in forza della consacrazione ricevuta col sacramento dell'Ordine, il sacerdote è posto in una particolare e specifica relazione col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo. Infatti, « la nostra identità ha la sua sorgente ultima nella carità del Padre. Al Figlio da lui mandato, Sacerdote Sommo e Buon Pastore, siamo uniti sacramentalmente con il sacerdozio ministeriale per l'azione dello Spirito Santo. La vita e il ministero del sacerdote sono continuazione della vita e dell'azione dello stesso Cristo. Questa è la nostra identità, la nostra vera dignità, la sorgente della nostra gioia, la certezza della nostra vita ».(10)

L'identità, il ministero e l'esistenza del presbitero sono, dunque, essenzialmente relazionate alle Tre Persone divine, in vista del servizio sacerdotale alla Chiesa.

4. Nella dinamica trinitaria della salvezza

Il sacerdote, « come prolungamento visibile e segno sacramentale di Cristo nel suo stesso stare di fronte alla Chiesa e al mondo come origine permanente e sempre nuova della salvezza »,(11) si trova inserito nella dinamica trinitaria della salvezza con una particolare responsabilità. La sua identità scaturisce dal ministerium verbi et sacramentorum, il quale è in relazione essenziale al mistero dell'amore salvifico del Padre (cf Gv 17, 6-9.24; 1 Cor 1, 1; 2 Cor 1, 1), all'essere sacerdotale di Cristo che sceglie e chiama personalmente il suo ministro a stare con Lui (cf Mc 3, 15), e al dono dello Spirito (cfGv 20, 21), che comunica al sacerdote la forza necessaria per dar vita ad una moltitudine di figli di Dio, convocati nel suo unico Popolo e incamminati verso il Regno del Padre.

5. Intima relazione con la Trinità

Da ciò si percepisce la caratteristica essenzialmente relazionale (cfGv 17, 11.21)(12) dell'identità del sacerdote.

La grazia e il carattere indelebile conferiti con la sacramentale unzione dello Spirito Santo13 pongono il sacerdote in relazione personale con la Trinità, giacché costituiscono la sorgente dell'essere e dell'agire sacerdotale. Tale relazione, pertanto, deve essere necessariamente vissuta dal sacerdote in maniera intima e personale, in dialogo di adorazione e di amore con le Tre Persone divine, consapevole che il dono ricevuto gli è stato dato per il servizio di tutti.

Dimensione cristologica

6. Identità specifica

La dimensione cristologica, come quella trinitaria, scaturisce direttamente dal sacramento che configura ontologicamente a Cristo Sacerdote, Maestro, Santificatore e Pastore del suo Popolo.(14)

Ai fedeli che, rimanendo innestati nel sacerdozio comune, sono eletti e costituiti nel sacerdozio ministeriale, è data una partecipazione indelebile allo stesso ed unico sacerdozio di Cristo, riguardo alla santificazione, all'insegnamento e alla guida di tutto il Popolo di Dio. Così, se da una parte, il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico sono necessariamente ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo, dall'altra parte, essi differiscono essenzialmente tra di loro.(15)

In questo senso, l'identità del sacerdote è nuova rispetto a quella di tutti i cristiani che, mediante il Battesimo, partecipano, nel loro insieme, all'unico sacerdozio di Cristo e sono chiamati a dargli testimonianza su tutta la terra.(16) La specificità del sacerdozio ministeriale si situa di fronte al bisogno che tutti i fedeli hanno di aderire alla mediazione e alla signoria di Cristo, resa visibile dall'esercizio del sacerdozio ministeriale.

In questa sua peculiare identità cristologica, il sacerdote deve aver coscienza che la sua vita è un mistero inserito totalmente nel mistero di Cristo e della Chiesa in un modo nuovo e specifico e che questo lo impegna totalmente nell'attività pastorale e lo gratifica.(17)

7. In seno al Popolo di Dio

Cristo associa gli Apostoli alla sua stessa missione. « Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi » (Gv 20, 21). Nella stessa sacra Ordinazione, è ontologicamente presente la dimensione missionaria. n sacerdote è scelto, consacrato ed inviato per rendere efficacemente attuale questa missione eterna di Cristo, di cui diventa autentico rappresentante e messaggero: «Chi ascolta voi, ascolta me, chi disprezza voi, disprezza me e chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato» (Lc 10, 16).

Si può quindi dire che la configurazione a Cristo, tramite la consacrazione sacramentale, definisce il sacerdote in seno al Popolo di Dio, facendolo partecipare in modo suo proprio alla potestà santificatrice, magisteriale e pastorale dello stesso Gesù Cristo, Capo e Pastore della Chiesa.(18)

Agendo in persona Christi Capitis, il presbitero diventa il ministro delle azioni salvifiche essenziali, trasmette le verità necessarie alla salvezza e pasce il Popolo di Dio, conducendolo verso la santità.(19)

Dimensione pneumatologica

8. Carattere sacramentale

Nell'ordinazione presbiterale, il sacerdote ha ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che ha fatto di lui un uomo segnato dal carattere sacramentale per essere per sempre ministro di Cristo e della Chiesa. Assicurato dalla promessa per cui il Consolatore rimarrà « con lui per sempre » (Gv 14, 16-17), il sacerdote sa che non perderà mai la presenza e il potere efficace dello Spirito Santo, per poter esercitare il suo ministero e vivere la carità pastorale come dono totale di sè per la salvezza dei propri fratelli.

9. Comunione personale con lo Spirito Santo

È ancora lo Spirito Santo che, nell'Ordinazione, conferisce al sacerdote il compito profetico di annunciare e spiegare, con autorità, la Parola di Dio. Inserito nella comunione della Chiesa con tutto l'ordine sacerdotale, il presbitero verrà guidato dallo Spirito di Verità, che il Padre ha mandato per mezzo di Cristo, e che gli insegna ogni cosa, ricordando tutto ciò che Gesù ha detto agli Apostoli. Pertanto il presbitero, con l'aiuto dello Spirito Santo e con lo studio della Parola di Dio nelle Scritture, alla luce della Tradizione e del Magistero,(20) scopre la ricchezza della Parola da annunciare alla comunità ecclesiale a lui affidata.

10. Invocazione dello Spirito

Mediante il carattere sacramentale e identificando la sua intenzione con quella della Chiesa, il sacerdote è sempre in comunione con lo Spirito Santo nella celebrazione della liturgia, soprattutto dell'Eucaristia e degli altri sacramenti.

In ogni sacramento, infatti, è Cristo che agisce a favore della Chiesa, per mezzo dello Spirito Santo invocato nella sua potenza efficace dal sacerdote celebrante in persona Christi.(21)

La celebrazione sacramentale, pertanto, trae la sua efficacia dalla parola di Cristo che l'ha istituita e dalla potenza dello Spirito che spesso la Chiesa invoca mediante l'epiclesi.

Questo è particolarmente evidente nella Preghiera eucaristica nella quale il sacerdote, invocando la potenza dello Spirito Santo sul pane e sul vino, pronunzia le parole di Gesù e attualizza il mistero del Corpo e del Sangue di Cristo realmente presente.

11. Forza per guidare la comunità

È, infine, nella comunione dello Spirito Santo che il sacerdote trova la forza per guidare la comunità a lui affidata e per mantenerla nell'unità voluta dal Signore.(22) La preghiera del sacerdote nello Spirito Santo può modellarsi sulla preghiera sacerdotale di Gesù Cristo (cf Gv 17). Egli, pertanto, deve pregare per l'unità dei fedeli affinché siano una cosa sola perché il mondo creda che il Padre ha mandato il Figlio per la salvezza di tutti.

Dimensione ecclesiologica

12. « Nella » e « di fronte » alla Chiesa

Cristo, origine permanente e sempre nuova della salvezza, è il mistero fontale da cui deriva il mistero della Chiesa, suo Corpo e sua Sposa, chiamata dal suo Sposo ad essere segno e strumento di redenzione. Per mezzo dell'opera affidata agli Apostoli e ai loro Successori, Cristo continua a dare vita alla sua Chiesa.

Attraverso il mistero di Cristo, il sacerdote, esercitando il suo molteplice ministero, è inserito anche nel mistero della Chiesa, la quale « prende coscienza, nella fede, di non essere da se stessa, ma dalla grazia di Cristo nello Spirito Santo ».(23) In tal modo, il sacerdote, mentre è nella Chiesa, si trova anche di fronte ad essa.(24)

13. Partecipe, in qualche modo, della sponsalità di Cristo

Il sacramento dell'Ordine, infatti, fa partecipe il sacerdote non solo del mistero di Cristo Sacerdote, Maestro, Capo e Pastore ma, in qualche modo, anche di Cristo « Servo e Sposo della Chiesa » (25) Questa è il « Corpo » di Lui, che l'ha amata e l'ama al punto da dare se stesso per lei (cf Ef 5, 25); la rigenera e la purifica continuamente per mezzo della parola di Dio e dei sacramenti (cf ibid. 5, 26); si adopera per renderla sempre più bella (cf ibid. 5, 27) e, infine, la nutre e la tratta con cura (cf ibid. 5, 29).

I presbiteri che - collaboratori dell'Ordine Episcopale - costituiscono con il loro Vescovo un unico presbiterio26 e partecipano, in grado subordinato, dell'unico sacerdozio di Cristo, in qualche modo partecipano pure, a somiglianza del Vescovo, di quella dimensione sponsale nei riguardi della Chiesa che è bene significata nel rito dell'ordinazione episcopale con la consegna dell'anello.(27)

I presbiteri, che « nelle singole comunità locali di fedeli rendono, per così dire, presente il Vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e grande »,(28) dovranno essere fedeli alla Sposa e, quasi icone viventi del Cristo Sposo, rendere operante la multiforme donazione di Cristo alla sua Chiesa.

Per questa comunione con Cristo Sposo, anche il sacerdozio ministeriale è costituito - come Cristo, con Cristo e in Cristo - in quel mistero d'amore salvifico di cui il matrimonio tra cristiani è una partecipazione.

Chiamato con atto d'amore soprannaturale, assolutamente gratuito, il sacerdote deve amare la Chiesa come Cristo l'ha amata, consacrando ad essa tutte le sue energie e donandosi con carità pastorale fino a dare quotidianamente la sua stessa vita.

14. Universalità del sacerdozio

Il comando del Signore di andare a tutte le genti (Mt 28, 18-20) costituisce un'altra modalità dello stare del sacerdote di fronte alla Chiesa.(29) Inviato - missus - dal Padre per mezzo di Cristo, il sacerdote appartiene « in modo immediato » alla Chiesa universale30 che ha la missione di annunziare la Buona Novella fino agli ff estremi confini della terra » (Atti 1, 8).(31)

« Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione, li prepara ad una vastissima e universale missione di salvezza ».(32) Per l'Ordine e il ministero ricevuto, infatti, tutti i sacerdoti sono associati al Corpo Episcopale e, in comunione gerarchica con esso, secondo la loro vocazione e grazia, servono al bene di tutta la Chiesa.(33) L'appartenenza, quindi, ad una Chiesa particolare mediante l'incardinazione34 non deve rinchiudere il sacerdote in una mentalità ristretta e particolaristica, ma aprirlo al servizio anche di altre Chiese, perché ogni Chiesa è la realizzazione particolare dell'unica Chiesa di Gesù Cristo, tanto che la Chiesa universale vive e compie la sua missione nelle e dalle Chiese particolari in comunione effettiva con essa. Tutti i sacerdoti, quindi, debbono avere cuore e mentalità missionaria, essendo aperti ai bisogni della Chiesa e del mondo.(35)

15. Missionarietà del sacerdozio

E' importante che il presbitero abbia piena coscienza e viva profondamente questa realtà missionaria del suo sacerdozio, in piena sintonia con la Chiesa che, oggi come ieri, sente il bisogno di inviare i suoi ministri nei luoghi dove più urgente è la loro missione e di impegnarsi a realizzare una più equa distribuzione del clero,(36)

Questa esigenza della vita della Chiesa nel mondo contemporaneo, dev'essere sentita e vissuta da ogni sacerdote innanzitutto ed essenzialmente come il dono da vivere dentro la sua istituzione e al suo servizio.

Non sono, pertanto, ammissibili tutte quelle opinioni che, in nome di un malinteso rispetto delle culture particolari, tendono a snaturare l'azione missionaria della Chiesa, chiamata a compiere lo stesso ministero universale di salvezza, che trascende e deve vivificare tutte le culture.(37)

Bisogna anche dire che la dilatazione universale intrinseca al ministero sacerdotale, e pertanto sempre irrinunciabile, trova una corrispondenza nelle caratteristiche socio-culturali del mondo contemporaneo nel quale si sente l'esigenza di eliminare le barriere che dividono i popoli e le nazioni e che, soprattutto attraverso la comunicazione delle culture, vuole affratellare le genti, nonostante le distanze geografiche che le dividono.

Mai come oggi, perciò, il clero deve sentirsi apostolicamente impegnato a unire tutti gli uomini in Cristo, nella sua Chiesa.

16. Autorità come «amoris officium»

Un'ulteriore manifestazione del porsi del sacerdote di fronte alla Chiesa è il suo essere guida che conduce alla santificazione dei fedeli affidati al suo ministero, che è essenzialmente pastorale.

Questa realtà, da vivere con umiltà e coerenza, può essere soggetta a due opposte tentazioni.

La prima è quella di esercitare il proprio ministero spadroneggiando sul gregge (cf Lc 22, 24-27; 1 Pt 5, 1-4), mentre la seconda è quella di vanificare, in una non corretta accezione di comunità, la propria configurazione a Cristo Capo e Pastore.

La prima tentazione è stata forte anche per gli stessi discepoli ed ha ricevuto da Gesù una puntuale e ripetuta correzione: ogni autorità va esercitata in spirito di servizio, come amoris officium38 e dedizione disinteressata per il bene del gregge (cf Gv 13, 14; 10, 11).

Il sacerdote dovrà sempre ricordare che il Signore e Maestro « non è venuto per essere servito ma per servire » (Mc 10, 45); che si è chinato a lavare i piedi ai suoi discepoli (cf Gv 13, 5) prima di morire in Croce e prima di mandarli in tutto il mondo (cf Gv 20, 21).

I sacerdoti daranno autentica testimonianza al Signore Risorto, al quale è stato dato « ogni potere in cielo e sulla terra » (cf Mt 28, 18), se eserciteranno il proprio potere spendendolo nell'umile quanto autorevole servizio al proprio gregge39 e nel rispetto dei compiti che Cristo e la Chiesa affidano ai fedeli laici40 e ai fedeli consacrati per la professione dei consigli evangelici.(41)

17. Tentazione del democraticismo

Spesso succede che, per evitare questa prima deviazione, si cada nella seconda, tendente ad eliminare ogni differenza di ruolo fra i membri del Corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa, negando in pratica la dottrina certa della Chiesa circa la distinzione fra il sacerdozio comune e quello ministeriale.(42)

Tra le diverse insidie che oggi si notano, si trova il cosiddetto « democraticismo ». Giova ricordare a questo proposito che la Chiesa riconosce tutti quei meriti e valori che la cultura democratica ha portato con sé nella società civile. D'altra parte, la Chiesa si è sempre battuta con tutti i mezzi a sua disposizione per il riconoscimento dell'uguale dignità di tutti gli uomini. Forte di questa tradizione ecclesiale, il Concilio Vaticano II si è espresso apertamente circa la comune dignità di tutti i battezzati nella Chiesa.(43)

Tuttavia è anche necessario affermare che non sono trasferibili automaticamente alla Chiesa stessa la mentalità e la prassi esistenti in alcune correnti culturali socio-politiche del nostro tempo. La Chiesa, infatti, deve il suo esistere e la sua struttura al disegno salvifico di Dio. Essa contempla se stessa come dono della benevolenza di un Padre, che l'ha liberata mediante l'umiliazione del suo Figlio sulla croce. La Chiesa, pertanto, vuole essere - nello Spirito Santo - totalmente conforme e fedele alla volontà libera e liberante del suo Signore Gesù Cristo. Questo mistero di salvezza fa sì che la Chiesa sia, per sua propria natura, una realtà diversa dalle semplici società umane.

Costituisce perciò una tentazione gravissima il cosiddetto « democraticismo », giacché esso porta a non riconoscere l'autorità e la grazia capitale di Cristo e a snaturare la Chiesa, quasi che questa altro non fosse se non una società umana. Una tale concezione ne intacca la stessa costituzione gerarchica, come è stata voluta dal suo Divino Fondatore, come il Magistero ha sempre chiaramente insegnato e come la Chiesa stessa ha ininterrottamente vissuto.

La partecipazione nella Chiesa è basata sul mistero della comunione che, di natura sua, contempla in se stessa la presenza e l'azione della Gerarchia ecclesiastica.

Di conseguenza, non è ammissibile nella Chiesa una certa mentalità, che si manifesta talvolta soprattutto in alcuni organismi di partecipazione ecclesiale, e che tende sia a confondere i compiti dei presbiteri e quelli dei fedeli laici, sia a non distinguere l'autorità propria del Vescovo da quella dei presbiteri come collaboratori dei Vescovi, sia a negare la specificità del ministero petrino nel Collegio Episcopale.

Bisogna ricordare a questo proposito che il presbiterio e il Consiglio Presbiterale non sono espressioni del diritto di associazione dei chierici, e tanto meno possono essere intesi secondo visioni di stampo sindacalistico che comportano rivendicazioni e interessi di parte, alieni dalla comunione ecclesiale.(44)

18. Distinzione tra sacerdozio comune e ministeriale

La distinzione tra il sacerdozio comune e quello ministeriale, lungi dal comportare separazione o divisione tra i membri della comunità cristiana, armonizza e unifica la vita della Chiesa. Questa, infatti, in quanto Corpo di Cristo, è comunione organica tra tutte le membra, in cui ciascuno serve alla vita dell'insieme se vive pienamente il proprio distinto ruolo e la propria specifica vocazione (1 Cor 12, 12ss.).(45)

A nessuno, pertanto, è lecito cambiare ciò che Cristo ha voluto per la sua Chiesa. Essa è indissolubilmente legata al suo Fondatore e Capo che è l'unico a donarle, tramite la potenza dello Spirito Santo, ministri al servizio dei suoi fedeli. Al Cristo che chiama, consacra ed invia, tramite i legittimi Pastori, non può sostituirsi alcuna comunità che, pur in situazione di particolare necessità, volesse darsi il proprio sacerdote in modo difforme dalle disposizioni della Chiesa.(46) La risposta per risolvere i casi di necessità è la preghiera di Gesù: « pregate il padrone della messe che mandi operai alla sua messe » (Mt 9, 38). Se a questa preghiera fatta con fede si unirà l'intensa vita di carità della comunità, allora saremo sicuri che il Signore non mancherà di dare pastori secondo il suo cuore (cf Ger 3, 15).(47)

19. Solo i sacerdoti sono pastori

Un modo per non cadere nella tentazione « democraticistica » è quello di evitare la cosiddetta « clericalizzazione » del laicato48 che tende a comprimere il sacerdozio ministeriale del presbitero al quale, solo, dopo il Vescovo, in virtù del ministero sacerdotale ricevuto con l ordinazione, si può attribuire in modo proprio e univoco il termine di « pastore ». La qualifica di « pastorale », infatti, si riferisce sia alla potestas docendi et sanctificandi, sia alla potestas regendi.(49)

Del resto, va ricordato che tali tendenze non favoriscono la vera promozione del laicato giacché esse portano spesso a dimenticare l'autentica vocazione e missione ecclesiale dei laici nel mondo.

Comunione sacerdotale

20. Comunione con la Trinità e con Cristo

Alla luce di quanto già detto sulla identità, la comunione del sacerdote si realizza innanzitutto con il Padre, origine ultima di ogni potestà; con il Figlio, alla cui missione redentrice partecipa; e con lo Spirito Santo, che gli dona la forza per vivere e realizzare quella carità pastorale che lo qualifica sacerdotalmente.

Infatti, « non si può definire la natura e la missione del sacerdozio ministeriale se non in questa molteplice e ricca trama di relazioni che sgorgano dalla SS. Trinità e Si prolungano nella comunione della Chiesa come segno, in Cristo, dell'unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano ».(50)

21. Comunione con la Chiesa

Da questa fondamentale unione-comunione con Cristo e con la Trinità deriva, per il presbitero, la sua comunione-relazione con la Chiesa nei suoi aspetti di mistero e di comunità ecclesiale.(51) Infatti è all'interno del mistero della Chiesa, come mistero di comunione trinitaria in tensione missionaria, che si rivela ogni identità cristiana e, quindi, anche la specifica e personale identità del presbitero e del suo ministero.

Concretamente, la comunione ecclesiale del presbitero si realizza in diversi modi. Con l'ordinazione sacramentale, infatti, egli entra in speciali legami con il Papa, con il Corpo episcopale, con il proprio Vescovo, con gli altri presbiteri, con i fedeli laici.

22. Comunione gerarchica

La comunione come caratteristica del sacerdozio si fonda sull'unicità del Capo, Pastore e Sposo della Chiesa, che è Cristo.(52)

In tale comunione ministeriale prendono forma anche alcuni precisi vincoli in relazione anzitutto con il Papa, con il Collegio episcopale e con il proprio Vescovo. « Non si dà ministero sacerdotale se non nella comunione con il Sommo Pontefice e con il Collegio episcopale, in particolare con il proprio Vescovo diocesano, ai quali sono da riservarsi "il filiale rispetto e l'obbedienza" promessi nel rito dell'ordinazione ».(53) Si tratta, dunque, di una comunione gerarchica, cioè di una comunione in quella gerarchia così come questa è strutturata al suo interno.

In virtù della partecipazione in grado subordinato ai Vescovi nell'unico sacerdozio ministeriale, tale comunione implica anche il vincolo spirituale ed organico-strutturale dei presbiteri con tutto l'ordine dei Vescovi, con il proprio Vescovo,(54) e col Romano Pontefice, in quanto Pastore della Chiesa universale55 e di ciascuna Chiesa particolare. Ciò viene rafforzato dal fatto che tutto l'ordine dei Vescovi nel suo insieme e ogni singolo Vescovo debbono essere nella comunione gerarchica con il Capo del Collegio.(56) Tale Collegio, infatti, è costituito solo dai Vescovi consacrati che sono nella comunione gerarchica col Capo e con i membri di esso.

23. Comunione nella celebrazione eucaristica

La comunione gerarchica si trova espressa significativamente nella Prece eucaristica, quando il sacerdote, nel pregare per il Papa, per il Collegio episcopale e per il proprio Vescovo, non esprime soltanto un sentimento di devozione, ma testimonia l'autenticità della sua celebrazione.(57)

La stessa concelebrazione eucaristica, nelle circostanze e condizioni previste,(58) soprattutto quando è presieduta dal Vescovo e con la partecipazione dei fedeli, bene manifesta l'unità del sacerdozio di Cristo nella pluralità dei suoi ministri, nonché l'unità del sacrificio e del Popolo di Dio.(59) Essa, inoltre, concorre a consolidare la fraternità ministeriale esistente tra i presbiteri.(60)

24. Comunione nell'attività ministeriale

Ogni presbitero abbia un profondo, umile e filiale legame di carità con la persona del Santo Padre ed aderisca al suo ministero petrino di magistero, di santificazione e di governo, con docilità esemplare.(61)

Nella fedeltà poi e nel servizio all'autorità del proprio Vescovo, egli realizzerà la comunione richiesta per l'esercizio del suo ministero sacerdotale. Per i pastori più esperti è facile constatare la necessità di evitare ogni forma di soggettivismo nell'esercizio del ministero e di aderire corresponsabilmente ai programmi pastorali. Tale adesione, oltre ad essere espressione di maturità, contribuisce ad edificare quell'unità nella comunione che è indispensabile all'opera di evangelizzazione.(62)

Nel pieno rispetto della subordinazione gerarchica, il presbitero si farà promotore di un rapporto schietto con il proprio Vescovo, connotato da sincera fiducia, da cordiale amicizia, da vero sforzo di consonanza e convergenza ideale e programmatica, che nulla toglie all'intelligente capacità di iniziativa personale e all'intraprendenza pastorale.(63)

25. Comunione nel presbiterio

In forza del sacramento dell'Ordine « ciascun sacerdote è unito agli altri membri del presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità »,(64) Egli, infatti, è inserito nell'Ordo Presbyterorum costituendo quell'unità che può definirsi una vera famiglia nella quale i legami non vengono dalla carne o dal sangue ma dalla grazia dell'Ordine.(65)

L'appartenenza ad un concreto presbiterio66 avviene sempre nell'ambito di una Chiesa particolare, di un Ordinariato o di una Prelatura personale. A differenza, infatti, del Collegio Episcopale, sembra che non ci siano le basi teologiche per affermare l'esistenza di un presbiterio universale.

Fraternità sacerdotale e appartenenza al presbiterio sono, pertanto, elementi caratterizzanti il sacerdote. Particolarmente significativo, in merito, è, nell'ordinazione presbiterale, il rito dell'imposizione delle mani da parte del Vescovo, al quale prendono parte tutti i presbiteri presenti, a indicare sia la partecipazione allo stesso grado del ministero, sia che il sacerdote non può agire da solo, ma sempre all'interno del presbiterio, divenendo confratello di tutti coloro che lo costituiscono.(67)

26. Incardinazione in una Chiesa particolare

L'incardinazione in una determinata Chiesa particolare68 costituisce un autentico vincolo giuridico69 che ha anche valore spirituale, giacché da essa scaturisce « il rapporto con il Vescovo nell'unico presbiterio, la condivisione della sollecitudine ecclesiale, la dedicazione alla cura evangelica del Popolo di Dio nelle con crete condizioni storiche e ambientali ».(70) In questa prospettiva, il legame con la Chiesa particolare è fonte di significati anche per l'azione pastorale.

Non va dimenticato, a tale proposito, che i sacerdoti secolari non incardinati nella Diocesi e i sacerdoti membri di un Istituto religioso o di una Società di vita apostolica, i quali dimorano nella Diocesi ed esercitano, per il suo bene, qualche ufficio, sebbene siano sottoposti ai loro legittimi Ordinari, appartengono a pieno o a diverso titolo al presbiterio di tale Diocesi71 dove « hanno voce sia attiva che passiva per costituire il consiglio presbiterale ».(72) I sacerdoti religiosi, in particolare, in unità di forze, condividono la sollecitudine pastorale offrendo il contributo di specifici carismi e « stimolando con la loro presenza la Chiesa particolare a vivere più intensamente la sua apertura universale »(73)

I presbiteri, poi, incardinati in una Diocesi, ma per il servizio di qualche movimento ecclesiale approvato dalla competente Autorità ecclesiastica,(74) siano consapevoli di essere membri del presbiterio della Diocesi in cui svolgono il loro ministero e di dover sinceramente collaborare con esso. Il Vescovo di incardinazione, a sua volta, rispetti lo stile di vita richiesto dall'appartenenza al movimento e sia pronto, a norma del diritto, a permettere che il presbitero possa prestare il suo servizio in altre Chiese, se questo fa parte del carisma del movimento stesso.(75)

27. Presbiterio luogo di santificazione

Il presbiterio è il luogo privilegiato nel quale il sacerdote dovrebbe poter trovare i mezzi specifici di santificazione e di evangelizzazione ed essere aiutato a superare i limiti e le debolezze che sono propri della natura umana e che oggi sono particolarmente sentiti.

Egli, pertanto, farà ogni sforzo per evitare di vivere il proprio sacerdozio in modo isolato e soggettivistico, e cercherà di favorire la comunione fraterna dando e ricevendo - da sacerdote a sacerdote - il calore dell'amicizia, dell'assistenza affettuosa, dell'accoglienza, della correzione fraterna, ben consapevole che la grazia dell'Ordine « assume ed eleva i rapporti umani, psicologici, affettivi, amicali e spirituali... e si concretizza nelle più varie forme di aiuto reciproco, non solo quelle spirituali, ma anche quelle materiali ».(76)

Tutto questo è bene espresso nella liturgia della Messa In Cena Domini del Giovedì Santo la quale mostra come dalla comunione eucaristica - nata nell'Ultima Cena - i sacerdoti ricevono la capacità di amarsi gli uni gli altri, come il Maestro li ama.(77)

28. Amicizia sacerdotale

Il profondo ed ecclesiale senso del presbiterio, non solo non impedisce ma agevola le responsabilità personali di ogni presbitero nell'espletamento del ministero particolare affidatogli dal Vescovo.(78) La capacità di coltivare e vivere mature e profonde amicizie sacerdotali si rivela fonte di serenità e di gioia nell'esercizio del ministero, sostegno decisivo nelle difficoltà e aiuto prezioso per l'incremento della carità pastorale, che il presbitero deve esercitare in modo particolare proprio verso quei confratelli in difficoltà che hanno bisogno di comprensione, aiuto e sostegno.(79)

29. Vita comune

Una manifestazione di questa comunione è anche la vita comune da sempre favorita dalla Chiesa,(80) di recente caldeggiata dagli stessi documenti del Concilio Vaticano II81 e del Magistero successivo,(82) ed applicata positivamente in non poche diocesi.

Tra le diverse forme di essa (casa comune, comunità di mensa, ecc. ) si deve ritenere come sovraeminente il partecipare comunitariamente alla preghiera liturgica.(83) Le diverse modalità devono essere favorite secondo le possibilità e le convenienze pratiche, senza necessariamente ricalcare lodevoli modelli propri della vita religiosa. In modo particolare sono da lodare quelle associazioni che favoriscono la fraternità sacerdotale, la santità nell'esercizio del ministero, la comunione col Vescovo e con tutta la Chiesa.(84)

Si auspica che i parroci siano disponibili a favorire la vita comune nella casa parrocchiale con i loro vicari,(85) stimandoli effettivamente come loro cooperatori e partecipi della sollecitudine pastorale; da parte loro i vicari, per costruire la comunione sacerdotale, debbono riconoscere e rispettare l'autorità del parroco.(86)

30. Comunione con i fedeli laici

Uomo di comunione, il sacerdote non potrà esprimere il suo amore per il Signore e per la Chiesa senza tradurlo in amore fattivo e incondizionato per il popolo cristiano, oggetto della sua cura pastorale.(87)

Come Cristo, egli deve farsi a quasi sua trasparenza in mezzo al gregge » che gli è affidato,(88) ponendosi in relazione positiva e promovente con i fedeli laici. Riconoscendone la dignità di figli di Dio, ne promuove il ruolo proprio nella Chiesa, e al loro servizio mette tutto il suo ministero sacerdotale e la sua carità pastorale.(89) Nella consapevolezza della profonda comunione che lo lega ai fedeli laici e ai religiosi, il sacerdote compirà ogni sforzo per « suscitare e sviluppare la corresponsabilità nella comune e unica missione di salvezza, con la pronta e cordiale valorizzazione di tutti i carismi e i compiti che lo Spirito offre ai credenti per l'edificazione della Chiesa ».(90)

Più concretamente, il parroco, ricercando sempre il bene comune nella Chiesa, favorirà le associazioni di fedeli e i movimenti che si propongono finalità religiose,(91) accogliendole tutte ed aiutandole a trovare tra di loro unità di intenti, nella preghiera e nell'azione apostolica.

In quanto riunisce la famiglia di Dio e realizza la Chiesa - comunione, il presbitero diventa il pontefice, colui che unisce l'uomo a Dio, facendosi fratello degli uomini nell'atto stesso con cui vuole essere loro pastore, padre e maestro.(92) All'uomo di oggi che cerca il senso del suo esistere, egli è guida che porta all'incontro con Cristo, incontro che si realizza come annuncio e come realtà già presente, anche se in modo non definitivo nella Chiesa. In tale modo il presbitero, posto al servizio del Popolo di Dio, si presenterà come esperto in umanità, uomo di verità e di comunione, testimone della sollecitudine dell'Unico Pastore per tutte e per ciascuna delle sue pecorelle. La comunità potrà contare con sicurezza sulla sua dedizione, sulla sua disponibilità, sulla sua infaticabile opera di evangelizzazione e, soprattutto, sul suo amore fedele e incondizionato.

Egli, pertanto, eserciterà la sua missione spirituale con amabilità e fermezza, con umiltà e spirito di servizio,(93) piegandosi alla compassione, partecipando alle sofferenze che derivano agli uomini dalle varie forme di povertà, spirituale e materiale, vecchie e nuove. Saprà anche chinarsi con misericordia sul difficile ed incerto cammino di conversione dei peccatori, ai quali riserverà il dono della verità e la paziente e incoraggiante benevolenza del Buon Pastore, che non rimprovera la pecora smarrita, ma la carica sulle spalle e fa festa per il suo ritorno all'ovile (cf Lc 15, 4-7).(94)

31. Comunione con i membri degli Istituti di vita consacrata

Particolare attenzione riserverà alle relazioni con i fratelli e le sorelle impegnati nella vita di speciale consacrazione a Dio in tutte le sue forme, mostrando loro apprezzamento sincero e fattivo spirito di collaborazione apostolica, rispettando e promuovendo i carismi specifici. Coopererà, inoltre, affinché la vita consacrata appaia sempre più luminosa a vantaggio della Chiesa intera e sempre più persuasiva e attraente per le nuove generazioni.

In tale spirito di stima per la vita consacrata, il sacerdote, porrà particolare cura per quelle comunità che, per diversi motivi, sono maggiormente bisognose di buona dottrina, di assistenza e di incoraggiamento nella fedeltà.

32. Pastorale vocazionale

Ogni sacerdote riserverà particolare cura alla pastorale vocazionale, non mancando di incentivare la preghiera per le vocazioni, di prodigarsi nella catechesi, di curare la formazione dei ministranti, di favorire appropriate iniziative mediante un rapporto personale che faccia scoprire i talenti e sappia individuare la volontà di Dio per una scelta coraggiosa nella sequela di Cristo.(95)

Certamente la chiara coscienza della propria identità, la coerenza di vita, la trasparente gioia e l'ardore missionario costituiscono altrettanti imprescindibili elementi di quella pastorale delle vocazioni che deve integrarsi nella pastorale organica e ordinaria.

Con il seminario, culla della propria vocazione e palestra di prima esperienza di vita comunionale, il sacerdote manterrà sempre rapporti di cordiale collaborazione e di sincero affetto.

È « esigenza insopprimibile della carità pastorale »(96) che ogni presbitero - assecondando la grazia dello Spirito Santo - si preoccupi di suscitare almeno una vocazione sacerdotale che ne possa continuare il ministero.

33. Impegno politico e sociale

Il sacerdote, servitore della Chiesa che per la sua universalità e cattolicità non può legarsi ad alcuna contingenza storica, starà al di sopra di qualsiasi parte politica. Egli non può aver parte attiva in partiti politici o nella conduzione di associazioni sindacali, a meno che, a giudizio dell'autorità ecclesiastica competente, lo richiedano la difesa dei diritti della Chiesa e la promozione del bene comune.(97) Infatti, pur essendo queste cose buone in se stesse, tuttavia sono aliene dallo stato clericale, in quanto possono costituire un grave pericolo di rottura della comunione ecclesiale.(98)

Come Gesù (cf Gv 6, 15 ss), il presbitero « deve rinunciare ad impegnarsi in forme di politica attiva, specialmente quando essa è di parte, come quasi inevitabilmente avviene, per rimanere l'uomo di tutti in chiave di fraternità spirituale ».(99) Ogni fedele, perciò, deve sempre poter accedere al sacerdote senza sentirsi escluso per alcuna ragione.

Il presbitero ricorderà che « non spetta ai Pastori della Chiesa intervenire direttamente nell'azione politica e nell'organizzazione sociale. Questo compito, infatti, fa parte della vocazione dei fedeli laici, i quali operano di propria iniziativa insieme con i loro concittadini ».(100) Egli, tuttavia, non mancherà di applicarsi « nello sforzo di formare rettamente la loro coscienza».(101)

La riduzione della sua missione a compiti temporali, puramente sociali o politici o comunque alieni dalla sua identità, non è una conquista ma una perdita gravissima per la fecondità evangelica della Chiesa intera.


Capitolo II

SPIRITUALITA' SACERDOTALE

Contesto storico attuale

34. Interpretare i segni dei tempi

La vita e il ministero dei sacerdoti si sviluppano sempre nel contesto storico, di volta in volta carico di nuovi problemi e di inedite risorse, nel quale si trova a vivere la Chiesa pellegrina nel mondo.

Il sacerdozio non nasce dalla storia, ma dalla immutabile volontà del Signore. Tuttavia esso si confronta con le circostanze storiche e - pur rimanendo sempre fedele a se stesso - si configura, nella concretezza delle scelte, anche attraverso una relazione critica e una ricerca di evangelica risposta ai « segni dei tempi ». Per tale motivo, i presbiteri hanno il dovere di interpretare tali « segni » alla luce della fede e di sottoporli a prudente discernimento. In ogni caso non potranno ignorarli, soprattutto se si vuole orientare in modo efficace e pertinente la propria vita in modo che il loro servizio e la loro testimonianza siano sempre più fecondi per il regno di Dio.

Nell'attuale fase della vita della Chiesa e della società, i presbiteri sono chiamati a vivere con profondità il loro ministero, attese le sempre più profonde, numerose e delicate esigenze di ordine non solo pastorale ma anche sociale e culturale, alle quali devono far fronte. (102)

Essi, pertanto, sono oggi impegnati nei diversi campi di apostolato che richiedono generosità e dedizione completa, preparazione intellettuale e, soprattutto, una vita spirituale matura e profonda radicata nella carità pastorale, che è la loro specifica via alla santità e che costituisce anche un autentico servizio ai fedeli nel ministero pastorale.

35. L'esigenza della nuova evangelizzazione

Da ciò deriva che il sacerdote è coinvolto, in maniera del tutto speciale, nell'impegno dell'intera Chiesa per la nuova evangelizzazione. Partendo dalla fede in Gesù Cristo, Redentore dell'uomo, ha la certezza che in Lui vi è una « imperscrutabile ricchezza » (Ef 3, 8) che nessuna cultura, nessuna epoca può esaurire e alla quale possono attingere sempre gli uomini per arricchirsi.(103)

È questa, pertanto, l'ora di un rinnovamento della nostra fede in Gesù Cristo, che è lo stesso « ieri, oggi e sempre » (Ebr 13, 8). Pertanto, « la chiamata alla nuova evangelizzazione è innanzitutto una chiamata alla conversione ». (104) Al tempo stesso, è una chiamata a quella speranza, « che poggia sulle promesse di Dio, sulla fedeltà alla sua Parola, e che ha come certezza incrollabile la risurrezione di Cristo, la sua vittoria definitiva sul peccato e sulla morte, primo annuncio e radice di ogni evangelizzazione, fondamento di ogni promozione umana, principio di ogni autentica cultura cristiana ». (105)

In tale contesto, il sacerdote deve anzittutto ravvivare la sua fede, la sua speranza e il suo amore sincero al Signore, in modo tale da poterlo offrire alla contemplazione dei fedeli e di tutti gli uomini come veramente è: una Persona viva, affascinante, che ci ama più di tutti perché ha dato la sua vita per noi; « nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici » (Gv 15, 13).

Nello stesso tempo, il sacerdote, consapevole che ogni persona è, in diverso modo, alla ricerca di un amore capace di portarla oltre gli angusti confini della sua debolezza, del proprio egoismo e, soprattutto, della stessa morte, proclamerà che Gesù Cristo è la risposta a tutte queste ansie.

Nella nuova evangelizzazione, il sacerdote è chiamato ad essere l'araldo della speranza.(106)

36. La sfida delle sette e dei nuovi culti

Il proliferare delle sette e dei nuovi culti, nonché la loro diffusione anche fra i fedeli cattolici, costituisce una particolare sfida al ministero pastorale.

Alla base di un tale fenomeno ci sono motivazioni complesse. In ogni caso, il ministero dei presbiteri viene sollecitato a rispondere con prontezza e incisività alla ricerca del sacro e dell'autentica spiritualità che oggi emerge in modo particolare.

In questi ultimi anni, infatti, si è reso evidente che sono eminentemente pastorali le motivazioni che richiedono il sacerdote come uomo di Dio e maestro di preghiera.

Al tempo stesso, si impone la necessità di far sì che la comunità affidata alle sue cure pastorali sia realmente accogliente in modo che nessuno appartenente ad essa possa sentirsi anonimo o oggetto di indifferenza.

Si tratta di una responsabilità che ricade certamente su ogni fedele ma, in modo del tutto particolare, sul presbitero, che è l'uomo di comunione.

Se egli saprà accogliere con stima e rispetto chiunque lo avvicini, valorizzandone la personalità, allora creerà uno stile di autentica carità che diventerà contagioso e si estenderà gradualmente all'intera comunità.

Per vincere la sfida delle sette e dei nuovi culti, è particolarmente importante una catechesi matura e completa, la quale richiede oggi uno speciale sforzo da parte del sacerdote affinché tutti i suoi fedeli conoscano realmente il significato della vocazione cristiana e della fede cattolica. In modo particolare, i fedeli devono essere educati a conoscere bene il rapporto che intercorre tra la loro specifica vocazione in Cristo e l'appartenenza alla sua Chiesa, che devono imparare ad amare filialmente e tenacemente.

Tutto questo si realizzerà se il sacerdote, nella sua vita e nel suo ministero, eviterà quanto potrebbe provocare tiepidezza, freddezza o identificazione selettiva nei confronti della Chiesa.

37. Luci e ombre dell'attività ministeriale

È motivo di grande conforto rilevare che oggi i presbiteri di tutte le età e nella stragrande maggioranza svolgono con gioioso impegno, spesso frutto di silenzioso eroismo, il loro ministero, lavorando fino al limite delle proprie forze senza vedere, alle volte, i frutti del loro lavoro.

Per questo loro impegno, essi costituiscono oggi un annuncio vivente di quella grazia divina che, elargita al momento dell'ordinazione, continua a donare forza sempre nuova per il sacro ministero.

Assieme a queste luci, che illuminano la vita del sacerdote, non mancano ombre che tendono ad indebolirne la bellezza e a renderne meno efficace l'esercizio del ministero.

Il ministero pastorale è impresa affascinante ma ardua, sempre esposta all'incomprensione e all'emarginazione, e, oggi soprattutto, alla stanchezza, alla sfiducia, all'isolamento e, qualche volta, alla solitudine.

Per vincere le sfide che la mentalità secolaristica continuamente gli pone, il sacerdote avrà cura di riservare il primato assoluto alla vita spirituale, allo stare sempre con Cristo e a vivere con generosità la carità pastorale, intensificando la comunione con tutti e, in primo luogo, con gli altri presbiteri.

Stare con Cristo nella preghiera

38. Primato della sita spirituale

Il sacerdote è stato, per così dire, concepito in quella lunga preghiera durante la quale il Signore Gesù ha parlato al Padre dei suoi Apostoli e, certamente, di tutti coloro che nel corso dei secoli sarebbero stati fatti partecipi della Sua stessa missione (cf Lc 6, 12; Gv 17, 15-20). La stessa orazione di Gesù nel Getsemani (cf Mt 26, 36-44 par.), tutta protesa verso il sacrificio sacerdotale del Golgota, manifesta in modo paradigmatico « come il nostro sacerdozio debba essere profondamente vincolato alla preghiera: radicato nella preghiera »,(107)

Nati da queste preghiere e chiamati a rinnovare un Sacrificio che da esse è inseparabile, i presbiteri manterranno vivo il loro ministero con una vita spirituale, alla quale daranno l'assoluta preminenza, evitando di trascurarla a motivo delle diverse attività. Proprio per poter svolgere fruttuosamente il ministero pastorale, il sacerdote ha bisogno di entrare in una particolare e profonda sintonia con Cristo buon Pastore, il quale, solo, resta il protagonista principale di ogni azione pastorale.

39. Mezzi per la sita spirituale

Tale vita spirituale dev'essere incarnata nell'esistenza di ogni presbitero attraverso la liturgia, la preghiera personale, lo stile di vita e la pratica delle virtù cristiane, che contribuiscono alla fecondità dell'azione ministeriale. La stessa conformazione a Cristo esige, per così dire, di respirare un clima di amicizia e di incontro personale con il Signore Gesù e di servizio alla Chiesa, suo Corpo, che il sacerdote dimostrerà di amare attraverso l'adempimento fedele e indefesso dei doveri del ministero pastorale.(108)

È necessario, pertanto, che il presbitero programmi la sua vita di preghiera in modo da comprendere: la celebrazione eucaristica quotidiana,(109) con adeguata preparazione e ringraziamento; la confessione frequente110 e la direzione spirituale già praticata in seminario;(111) la celebrazione integra e fervorosa della liturgia delle ore,(112) alla quale è quotidianamente tenuto;(113) l'esame della propria coscienza;(114) l'orazione mentale propriamente detta;(115) la lectio divina;(116) i prolungati momenti di silenzio e di colloquio, soprattutto negli Esercizi e Ritiri Spirituali periodici;(117) le preziose espressioni della devozione mariana, come il Rosario;(118) la Via Crucis e gli altri pii esercizi;(119) la fruttuosa lettura agiografica.(120)

Ogni anno, come segno di duraturo desiderio di fedeltà, durante la Messa crismale, i presbiteri rinnovino, davanti al Vescovo e insieme con lui, le promesse fatte nel momento dell'ordinazione.(121)

La cura della vita spirituale deve essere sentita come un gioioso dovere da parte dello stesso sacerdote, ma anche come un diritto dei fedeli che cercano in lui consciamente o inconsciamente, l'uomo di Dio, il consigliere, il mediatore di pace, l'amico fedele e prudente, la guida sicura a cui affidarsi nei momenti più duri della vita per trovare conforto e sicurezza.(122)

40. Imitare Cristo che prega

A causa di numerosi impegni provenienti in larga misura dall'attività pastorale, la vita dei presbiteri è esposta, oggi più che mai, ad una serie di sollecitazioni che potrebbero condurla verso un crescente attivismo esteriore, sottomettendola ad un ritmo, alle volte, frenetico e travolgente.

Contro tale tentazione, non bisogna dimenticare che la prima intenzione di Gesù fu quella di convocare intorno a sé degli Apostoli che anzitutto « stessero con lui » (Mc 3, 14).

Lo stesso Figlio di Dio ha voluto anche lasciarci testimonianza della sua preghiera.

Con grande frequenza, infatti, i Vangeli ci presentano Cristo in preghiera: nella rivelazione della sua missione da parte del Padre (cf Lc 3, 21-22), prima della chiamata degli Apostoli (cf Lc 6, 12), nel rendere grazie a Dio nella moltiplicazione dei pani (cf Mt 14, 19; 15, 36;Mc 6, 41; 8, 7; Lc 9, 16; Gv 6, 11), nella trasfigurazione sul monte (cf Lc 9, 28-29), quando risana il sordomuto (cf Mc 7, 34) e risuscita Lazzaro (cf Gv 11, 41 ss), prima della confessione di Pietro (cf Lc 9, 18), quando insegna ai discepoli a pregare (cf Lc 11, 1), e quando questi ritornano dall'aver compiuto la loro missione (cfMt 11, 25 ss.; Lc 10, 21 ss.), nel benedire i fanciulli (cf Mt 19, 13) e nel pregare per Pietro (cf Lc 22, 32).

Tutta la sua attività quotidiana derivava dalla preghiera. Così egli si ritirava nel deserto o sul monte a pregare (cf Mc 1, 35; 6, 46;Lc 5, 16; Mt 4, 1; Mt 14, 23), si alzava al mattino presto (cfMc 1, 35) e passava la notte intera in orazione a Dio (cf Mt 14, 23.25; Mc 6, 46.48; Lc 6, 12). Fino al termine della sua vita, nell'ultima Cena (cf Gv 17, 1-26), nell'agonia (cf Mt 26, 36-44 par.) e sulla Croce (cf Lc 23, 34.46; Mt 27, 46; Mc 15, 34), il Maestro divino dimostrò che la preghiera animava il suo ministero messianico e il suo esodo pasquale. Risuscitato da morte, vive per sempre e prega per noi (cf Eb 7, 25).(123)

Sull'esempio di Cristo, il sacerdote deve saper mantenere la vivacità e l'abbondanza dei momenti di silenzio e di preghiera nei quali coltivare e approfondire il proprio rapporto esistenziale con la persona vivente del Signore Gesù.

41. Imitare la Chiesa che prega

Per rimanere fedele all'impegno di « stare con Gesù », occorre che il presbitero sappia imitare la Chiesa che prega.

Nel dispensare la Parola di Dio, che lui stesso ha ricevuto con gioia, il sacerdote sia memore dell'esortazione rivoltagli dal Vescovo il giorno della sua ordinazione: « Per questo, facendo della Parola l'oggetto della tua continua riflessione, credi sempre quel che leggi, insegna quel che credi, realizza nella vita quel che insegni. In questo modo, mentre con la dottrina darai nutrimento al Popolo di Dio e con la buona testimonianza della vita gli sarai di conforto e sostegno, diventerai costruttore del tempio di Dio, che è la Chiesa ». Similmente riguardo alla celebrazione dei sacramenti e, in particolare dell'Eucaristia: « Sii dunque consapevole di quel che fai, imita ciò che compi e poiché celebri il mistero della morte e della risurrezione del Signore, porta la morte di Cristo nel tuo corpo e cammina nella sua novità di vita ». E, infine, riguardo alla guida pastorale del Popolo di Dio perché lo conduca fino al Padre: « Per questo non cessare mai di tenere lo sguardo rivolto a Cristo, Pastore buono, che è venuto non per essere servito, ma per servire, e per cercare e salvare quelli che si sono perduti ».(124)

42. Preghiera come comunione

Forte dello speciale legame con il Signore, il presbitero saprà affrontare i momenti in cui potrebbe sentirsi solo in mezzo agli uomini; rinnovando con forza il suo stare con Cristo che nell'Eucaristia è suo rifugio e suo miglior riposo.

Come Gesù, che mentre era solo stava continuamente con il Padre (cfLc 3, 21; Mc 1, 35), anche il presbitero deve essere l'uomo che nella solitudine trova la comunione con Dio,(125) per cui potrà dire con S. Ambrogio: « Io non sono mai così poco solo come quando sono solo » (126)

Accanto al Signore, il presbitero troverà la forza e gli strumenti per riavvicinare gli uomini a Dio, per accendere la loro fede, per suscitare impegno e condivisione.

Carità pastorale

43. Manifestazione della carità di Cristo

La carità pastorale costituisce il principio interiore e dinamico capace di unificare le molteplici e diverse attività pastorali del presbitero e, dato il contesto socio-culturale e religioso nel quale egli vive, è strumento indispensabile per portare gli uomini alla vita della Grazia.

Plasmata da tale carità, l'attività ministeriale deve essere una manifestazione della carità di Cristo, di cui il presbitero saprà esprimere atteggiamenti e comportamenti, fino alla donazione totale di sé a favore del gregge che gli è stato affidato.(127)

Assimilare la carità pastorale di Cristo in modo da farla diventare forma della propria vita, è una meta che richiede dal sacerdote impegni e sacrifici continui, giacché essa non si improvvisa, non conosce soste né può essere raggiunta una volta per sempre. Il ministro di Cristo si sentirà obbligato a vivere e a testimoniare questa realtà sempre e dovunque, anche quando, a ragione dell'età, fosse sgravato da incarichi pastorali concreti.

44. Funzionalismo

La carità pastorale corre, oggi soprattutto, il pericolo di essere svuotata del suo significato dal cosiddetto funzionalismo. Non è raro, infatti, percepire, anche in alcuni sacerdoti, l'influsso di una mentalità che tende erroneamente a ridurre il sacerdozio ministeriale ai soli aspetti funzionali. « Fare » il prete, svolgere singoli servizi e garantire alcune prestazioni d'opera sarebbe il tutto dell'esistenza sacerdotale. Tale concezione riduttiva dell'identità e del ministero del sacerdote, rischia di spingere la vita di questi verso un vuoto, che viene spesso riempito da forme di vita non consone al proprio ministero.

Il sacerdote, che sa di essere ministro di Cristo e della sua Sposa, troverà nella preghiera, nello studio e nella lettura spirituale la forza necessaria per vincere anche questo pericolo.(128)

Predicazione della Parola

45. Fedeltà alla Parola

Cristo ha affidato agli Apostoli e alla Chiesa la missione di predicare la Buona Novella a tutti gli uomini.

Trasmettere la fede è svelare, annunziare e approfondire la vocazione cristiana; cioè la chiamata che Dio rivolge ad ogni uomo nel manifestargli il mistero della salvezza e, contemporaneamente, il posto che egli deve occupare in riferimento a tale mistero, come figlio di adozione nel Figlio.(129) Questo duplice aspetto si evidenzia sinteticamente nel Simbolo della Fede, una delle espressioni più autorevoli di quella fede con cui la Chiesa ha sempre risposto all'appello di Dio.(130)

Si pongono, allora, al ministero presbiterale due esigenze che sono quasi le due facce della stessa medaglia. Vi è, in primo luogo, il carattere missionario della trasmissione della fede. Il ministero della parola non può essere astratto o lontano dalla vita della gente; al contrario, esso deve far diretto riferimento al senso della vita dell'uomo, di ogni uomo e, quindi, dovrà entrare nelle questioni più vive che si pongono alla coscienza umana.

D'altra parte vi è una esigenza di autenticità e di conformità con la fede della Chiesa, custode della verità su Dio e sull'uomo. Ciò deve essere fatto con senso di estrema responsabilità, nella consapevolezza che si tratta di una questione della massima importanza in quanto é in gioco la vita dell'uomo e il senso della sua esistenza.

Per un fruttuoso ministero della Parola, tenendo presente tale contesto, il presbitero darà il primato alla testimonianza della vita, che fa scoprire la potenza dell'amore di Dio e rende persuasiva la sua parola. Inoltre, terrà conto della predicazione esplicita del mistero di Cristo ai credenti, ai non credenti e ai non cristiani; della catechesi, che é l'esposizione ordinata e organica della dottrina della Chiesa; dell'applicazione della verità rivelata alla soluzione dei casi concreti.(131)

La consapevolezza dell'assoluta necessità di « rimanere » fedeli e ancorati alla Parola di Dio e alla Tradizione per essere veramente discepoli di Cristo e conoscere la verità (cf Gv 8, 31-32) ha sempre accompagnato la storia della spiritualità sacerdotale ed è stata autorevolmente ribadita anche dal Concilio Ecumenico Vaticano II.(132)

Soprattutto per la società contemporanea, contrassegnata dal materialismo teorico e pratico, dal soggettivismo e dal problematicismo, è necessario che il Vangelo sia presentato come « la potenza di Dio per salvare coloro che credono » (Rm 1, 16). I presbiteri, ricordando che « la fede dipende dalla predicazione e la predicazione, a sua volta, si attua per la Parola di Cristo » (Ibid. 10, 17), impegneranno tutte le loro energie per corrispondere a questa missione che è primaria nel loro ministero. Essi, infatti, sono non soltanto i testimoni, ma anche gli annunciatori e i trasmettitori della fede.(133)

Tale ministero - svolto nella comunione gerarchica - li abilita ad esprimere con autorità la fede cattolica e a dare testimonianza ufficiale della fede della Chiesa. Il Popolo di Dio, in effetti, « viene adunato innanzitutto per mezzo della parola del Dio vivente, che tutti hanno il diritto di cercare sulle labbra dei sacerdoti ». (134)

Per essere autentica, la Parola deve essere trasmessa « senza doppiezza e senza alcuna falsificazione, ma manifestando con franchezza la verità davanti a Dio » (2 Cor 4, 2). Il presbitero eviterà con responsabile maturità di contraffare, ridurre, distorcere o diluire i contenuti del messaggio divino. Suo compito, infatti, « non è di insegnare una propria sapienza, bensì di insegnare la parola di Dio e di invitare tutti insistentemente alla conversione e alla santità ».(135)

La predicazione, pertanto, non può ridursi alla comunicazione di pensieri propri, alla manifestazione dell'esperienza personale, a semplici spiegazioni di carattere psicologico,(136) sociologico o filantropico; neppure può indulgere eccessivamente al fascino della retorica, così spesso presente nella comunicazione di massa. Si tratta di annunciare una Parola di cui non si può disporre, in quanto è stata data alla Chiesa, affinché la custodisca, la scruti e fedelmente la trasmetta.(137)

46. Parola e vita

La coscienza della propria missione di annunciatore del Vangelo dovrà sempre più concretizzarsi pastoralmente in modo che il presbitero possa vivificare, alla luce della Parola di Dio, le diverse situazioni e i diversi ambienti nei quali svolge il suo ministero.

Per essere efficace e credibile è, perciò, importante che il presbitero - nella prospettiva della fede e del suo ministero - conosca, con costruttivo senso critico, le ideologie, il linguaggio, gli intrecci culturali, le tipologie diffuse attraverso i mezzi di comunicazione e che, in larga parte, condizionano le mentalità.

Stimolato dall'Apostolo che esclamava: « Guai a me se non predicassi il Vangelo! » (1 Cor 9, 16), egli saprà utilizzare tutti quei mezzi di trasmissione che le scienze e la tecnologia moderna gli offrono.

Certamente non tutto dipende da tali mezzi o dalle capacità umane, giacché la grazia divina può raggiungere il suo effetto indipendentemente dall'opera degli uomini. Ma, nel piano di Dio, la predicazione della Parola è, normalmente, il canale privilegiato per la trasmissione della fede e per la missione evangelizzatrice.

Per i tanti che oggi sono fuori o lontani dall'annuncio di Cristo, il presbitero sentirà come particolarmente urgente ed attuale l'angoscioso interrogativo: « come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che annunzi? » (Rm 10, 14).

Per rispondere a tali interrogativi, egli si sentirà personalmente impegnato a coltivare in maniera particolare la Sacra Scrittura con lo studio di una sana esegesi, soprattutto patristica, e con la meditazione fatta secondo i diversi metodi comprovati dalla tradizione spirituale della Chiesa, in modo da ottenerne una comprensione animata dall'amore.(138) A tale scopo, il presbitero sentirà il dovere di riservare particolare attenzione alla preparazione, sia remota che prossima, dell'omelia liturgica, ai suoi contenuti, all'equilibrio tra parte espositiva e applicativa, alla pedagogia e alla tecnica del porgere, fino alla buona dizione, rispettosa della dignità dell'atto e dei destinatari.(139)

47. Parola e catechesi

La catechesi è parte rilevante di questa missione evangelizzatrice, essendo strumento privilegiato dell'insegnamento e della maturazione della fede.(140)

Il presbitero, in quanto collaboratore e per mandato del Vescovo, ha la responsabilità di animare, coordinare e dirigere l'attività catechistica della comunità che gli è affidata. È importante che egli sappia integrare tale attività in un progetto organico di evangelizzazione garantendo, innanzitutto, la comunione della catechesi della propria comunità con la persona del Vescovo, con la Chiesa particolare e con la Chiesa universale.(141)

In particolare, egli saprà suscitare la giusta e opportuna responsabilità e collaborazione nei riguardi della catechesi, sia dei membri degli Istituti di Vita consacrata e delle Società di vita apostolica, sia dei fedeli laici,(142) adeguatamente preparati, mostrando ad essi il riconoscimento e la stima per il compito catechistico.

Singolare premura egli porrà nella cura della formazione iniziale e permanente dei catechisti, delle associazioni e dei movimenti. Nella misura del possibile, il sacerdote dovrà essere il catechista dei catechisti, formando con questi una vera comunità di discepoli del Signore che serva come punto di riferimento per i catechizzandi.

Maestro143 ed educatore della fede,(144) il presbitero farà sì che la catechesi sia parte privilegiata nella educazione cristiana in famiglia, nell'insegnamento religioso, nella formazione dei movimenti apostolici, ecc., e che essa sia rivolta a tutte le categorie dei fedeli: fanciulli e giovani, adolescenti, adulti, anziani. Egli, inoltre, saprà trasmettere l'insegnamento catechistico facendo uso di tutti quegli aiuti, sussidi didattici e strumenti di comunicazione che possano essere efficaci affinché i fedeli, in modo adatto alla loro indole, capacità, età e alle condizioni pratiche di vita, siano in grado di apprendere più pienamente la dottrina cristiana e di tradurla in pratica nel modo più conveniente.(145)

A tale scopo, il presbitero non mancherà di avere come principale punto di riferimento, il Catechismo della Chiesa Cattolica. Tale testo, infatti, costituisce norma sicura e autentica dell'insegnamento della Chiesa.(146)

Il sacramento dell'Eucaristia

48. Il mistero eucaristico

Se il servizio della Parola è elemento fondamentale del ministero presbiterale, il cuore e il centro vitale di esso è costituito, senza dubbio, dall'Eucaristia, che è, soprattutto, la presenza reale nel tempo dell'unico ed eterno sacrificio di Cristo.(147)

Memoriale sacramentale della morte e risurrezione di Cristo, ripresentazione reale ed efficace dell'unico Sacrificio redentore, fonte e culmine della vita cristiana e di tutta l'evangelizzazione,(148) l'Eucaristia è principio mezzo e fine del ministero sacerdotale, giacché « tutti i ministeri ecclesiastici e le opere d'apostolato sono strettamente uniti alla sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati ».(149) Consacrato per perpetuare il santo Sacrificio, il presbitero manifesta così, nel modo più evidente, la sua identità.

Esiste, infatti, un'intima connessione tra la centralità dell'Eucaristia, la carità pastorale e l'unità di vita del presbitero,(150) il quale trova in essa le indicazioni decisive per l'itinerario di santità al quale è specificamente chiamato.

Se il presbitero presta a Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, l'intelligenza, la volontà, la voce e le mani perché, mediante il proprio ministero, possa offrire al Padre il sacrificio sacramentale della redenzione, dovrà fare proprie le disposizioni del Maestro e, come Lui, vivere quale dono per i propri fratelli. Egli dovrà perciò imparare ad unirsi intimamente all'offerta, deponendo sull'altare del sacrificio l'intera vita come segno manifestativo dell'amore gratuito e preveniente di Dio.

49. Celebrazione dell'Eucaristia

È necessario richiamare il valore insostituibile che per il sacerdote ha la celebrazione quotidiana della Santa Messa, anche quando non vi fosse concorso di alcun fedele.(151) Egli la vivrà come il momento centrale della giornata e del ministero quotidiano, frutto di sincero desiderio e occasione di incontro profondo ed efficace con Cristo, e porrà la massima cura nel celebrarla con devozione ed intima partecipazione della mente e del cuore.

In una civiltà sempre più sensibile alla comunicazione mediante i segni e le immagini, il sacerdote darà adeguata attenzione a tutto ciò che può esaltare il decoro e la sacralità della celebrazione eucaristica. È importante che, in tale celebrazione, si pongano in giusto risalto la proprietà e la pulizia del luogo, l'architettura dell'altare e del tabernacolo,(152) la nobiltà dei vasi sacri dei paramenti,(153) del canto,(154) della musica,(155) il sacro silenzio,(156) ecc. Questi sono tutti elementi che possono contribuire ad una migliore partecipazione al Sacrificio eucaristico. Infatti, la scarsa attenzione agli aspetti simbolici della liturgia e, ancor più, la trascuratezza e la fretta, la superficialità e il disordine, ne svuotano il significato e indeboliscono la funzione di incremento della fede.(157) Chi celebra male manifesta la debolezza della sua fede e non educa gli altri alla fede. Celebrare bene, invece, costituisce una prima importante catechesi sul santo Sacrificio.

Il sacerdote, allora, pur mettendo a servizio della celebrazione eucaristica tutte le sue doti per renderla viva nella partecipazione di tutti i fedeli, deve attenersi al rito stabilito nei libri liturgici approvati dalla competente autorità, senza aggiungere, togliere o mutare alcunché.(158)

Tutti gli Ordinari, i Superiori degli Istituti di vita consacrata e i Moderatori delle Società di vita apostolica hanno il grave dovere, oltre che di precedere nell'esempio, di vigilare affinché le norme liturgiche riguardanti la celebrazione dell'Eucaristia vengano fedelmente osservate in tutti i luoghi.

I sacerdoti che celebrano o anche concelebrano sono tenuti ad indossare le vesti sacre prescritte dalle rubriche.(159)

50. Adorazione eucaristica

La centralità dell'Eucaristia dovrà apparire non solo dalla degna e sentita celebrazione del Sacrificio, ma altresì dalla frequente adorazione del Sacramento in modo che il presbitero appaia modello del gregge anche nell'attenzione devota e nell'assidua meditazione fatta - sempre che ciò sia possibile - alla presenza del Signore nel tabernacolo. È da auspicarsi che i presbiteri incaricati della guida di comunità dedichino larghi spazi all'adorazione comunitaria e riservino al Santissimo Sacramento dell'altare, anche fuori della Santa Messa, attenzioni e onori superiori a qualsiasi altro rito e gesto. a La fede e l'amore per l'Eucaristia non possono permettere che la presenza di Cristo nel Tabernacolo rimanga solitaria ».(160)

Momento privilegiato dell'adorazione eucaristica può essere la celebrazione della Liturgia delle Ore, la quale costituisce il vero prolungamento, durante la giornata, del sacrificio di lode e di ringraziamento che ha nella santa Messa il centro e la fonte sacramentale. La Liturgia delle Ore, nella quale il sacerdote, unito a Cristo, è voce della Chiesa per il mondo intero, sarà celebrata, anche comunitariamente, quando ciò è possibile e nelle forme opportune, in modo da essere « interprete e veicolo della voce universale che canta la gloria di Dio e chiede la salvezza dell'uomo »,(161) Esemplare solennità a tale celebrazione sarà riservata dai Capitoli canonicali. Si dovrà comunque sempre evitare, sia nella celebrazione comunitaria che in quella individuale, di ridurla ad un puro « dovere » da eseguire meccanicamente come semplice e affrettata lettura senza la necessaria attenzione al senso del testo.

Il Sacramento della Penitenza

51. Ministro della Riconciliazione

Dono della risurrezione agli Apostoli è lo Spirito Santo per la remissione dei peccati: « Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi » (Gv 20, 21-23). Cristo ha affidato l'opera di riconciliazione dell'uomo con Dio esclusivamente ai suoi Apostoli e a coloro che succedono loro nella stessa missione. I sacerdoti, allora, per volontà di Cristo, sono gli unici ministri del sacramento della riconciliazione.(162) Come Cristo, sono inviati a chiamare i peccatori alla conversione e a riportarli al Padre, mediante il giudizio di misericordia.

La Riconciliazione sacramentale ristabilisce l'amicizia con Dio Padre e con tutti i suoi figli nella sua famiglia che è la Chiesa, la quale, pertanto, ringiovanisce e viene edificata in tutte le sue dimensioni: universale, diocesana, parrocchiale.(163)

Nonostante la triste constatazione della perdita del senso del peccato, che è largamente presente nelle culture del nostro tempo, il sacerdote deve praticare, con gioia e dedizione, il ministero della formazione delle coscienze, del perdono e della pace.

Occorre, pertanto, che egli sappia identificarsi, in un certo senso, con questo sacramento e, assumendo l'atteggiamento di Cristo, sappia chinarsi con misericordia, come buon samaritano, sull'umanità ferita, facendo trasparire la novità cristiana della dimensione medicinale della Penitenza, che è in vista della guarigione e del perdono.(164)

52. Dedizione al ministero della Riconciliazione

Sia a motivo del suo ufficio,(165) sia anche a motivo dell'ordinazione sacramentale, il presbitero dovrà dedicare tempo ed energie all'ascolto delle confessioni dei fedeli, i quali, come dimostra l'esperienza, si recano volentieri a ricevere questo sacramento laddove sanno che vi sono sacerdoti disponibili. Ciò vale ovunque ma, soprattutto, per le chiese delle zone maggiormente frequentate e per i Santuari, dove è possibile una fraterna e responsabile collaborazione con i sacerdoti religiosi e con quelli anziani.

Ogni sacerdote si atterrà alla normativa ecclesiale che difende e promuove il valore della confessione individuale e della personale, integra accusa dei peccati nel colloquio diretto con il confessore,(166) riservando l'uso della confessione e della assoluzione comunitaria ai soli casi straordinari e con le condizioni richieste, contemplate dalle disposizioni vigenti.(167) Il confessore avrà modo di illuminare la coscienza del penitente con una parola che, per quanto breve, sia appropriata alla sua situazione concreta, in modo da favorire un rinnovato orientamento personale verso la conversione ed incidere profondamente sul suo cammino spirituale, anche attraverso l'imposizione di un'opportuna soddisfazione.(168)

In ogni caso, il presbitero saprà mantenere la celebrazione della Riconciliazione a livello sacramentale, superando il pericolo di ridurla ad una attività puramente psicologica o semplicemente formalistica.

Ciò si manifesterà, fra l'altro, nel vivere fedelmente la disciplina vigente anche circa il luogo e la sede per le confessioni.(169)

53. Necessità di confessarsi

Come ogni buon fedele, anche il presbitero ha necessità di confessare i propri peccati e le proprie debolezze. Egli è il primo a sapere che la pratica di questo sacramento lo rafforza nella fede e nella carità verso Dio e i fratelli.

Per trovarsi nelle migliori condizioni di mostrare con efficacia la bellezza della Penitenza, è essenziale che il ministro del sacramento offra una testimonianza personale precedendo gli altri fedeli nel fare l'esperienza del perdono. Ciò costituisce anche la prima condizione per la rivalutazione pastorale del sacramento della Riconciliazione. In questo senso, è buona cosa che i fedeli sappiano e vedano che anche i loro sacerdoti si confessano con regolarità:(170) « tutta l'esistenza sacerdotale subisce un inesorabile scadimento, se viene a mancarle, per negligenza o per qualsiasi altro motivo, il ricorso, periodico e ispirato da autentica fede e devozione, al sacramento della Penitenza. In un prete che non si confessasse più o si confessasse male, il suo essere prete e il suo fare il prete ne risentirebbero molto presto, e se ne accorgerebbe anche la comunità, di cui egli è pastore ».(171)

54. Direzione spirituale per sé e per gli altri

Parallelamente al sacramento della Riconciliazione, il presbitero non mancherà di esercitare il ministero della direzione spirituale. La riscoperta e la diffusione di questa pratica, anche in momenti diversi dall'amministrazione della Penitenza, è un grande beneficio per la Chiesa nel tempo presente.(172) L'atteggiamento generoso e attivo dei presbiteri nel praticarla costituisce anche un'occasione importante per individuare e sostenere le vocazioni al sacerdozio e alle varie forme di vita consacrata.

Per contribuire al miglioramento della loro spiritualità è necessario che i presbiteri pratichino essi stessi la direzione spirituale. Ponendo nelle mani di un saggio confratello la formazione della loro anima, matureranno la coscienza, fin dai primi passi del ministero, dell'importanza di non camminare da soli per le vie della vita spirituale e dell'impegno pastorale. Nel far uso di questo efficace mezzo di formazione, tanto sperimentato nella Chiesa, i presbiteri avranno piena libertà nella scelta della persona che li deve guidare.

Guida della comunità

55. Sacerdote per la comunità

Il sacerdote è chiamato a misurarsi con le esigenze tipiche di un altro aspetto del suo ministero, oltre a quelli esaminati. Si tratta della cura per la vita della comunità che gli è affidata e che si esprime soprattutto nella testimonianza della carità.

Pastore della comunità, il sacerdote esiste e vive per essa; per essa prega, studia, lavora e si sacrifica; per essa è disposto a dare la vita, amandola come Cristo, riversando su di essa tutto il suo amore e la sua stima,(173) prodigandosi con tutte le forze e senza limiti di tempo per renderla, a immagine della Chiesa Sposa di Cristo, sempre più bella e degna della compiacenza del Padre e dell'amore dello Spirito Santo.

Questa dimensione sponsale della vita del presbitero come pastore, farà sì che egli guiderà la sua comunità servendo con dedizione tutti e ciascuno dei suoi membri, illuminando le loro coscienze con la luce della verità rivelata, custodendo autorevolmente l'autenticità evangelica della vita cristiana, correggendo gli errori, perdonando, sanando le ferite, consolando le afflizioni, promuovendo la fraternità.(174)

Questo insieme di attenzioni, delicate e complesse, oltre a garantire una testimonianza di carità sempre più trasparente ed efficace, manifesterà anche la profonda comunione che deve realizzarsi tra il presbitero e la sua comunità, come prolungamento e attualizzazione della comunione con Dio, con Cristo e con la Chiesa.(175)

56. Sentire con la Chiesa

Per essere buona guida del suo Popolo, il presbitero sarà anche attento a conoscere i segni dei tempi: da quelli più vasti e profondi che riguardano la Chiesa universale e il suo cammino nella storia degli uomini, a quelli più vicini alla situazione concreta della singola comunità.

Questo discernimento richiede il costante e corretto aggiornamento nello studio dei problemi teologici e pastorali, l'esercizio di una sapiente riflessione sui dati sociali, culturali e scientifici che connotano il nostro tempo.

Nello svolgimento del loro ministero, i presbiteri sapranno tradurre questa esigenza in una costante e sincera attitudine a sentire con la Chiesa, cosicché lavoreranno sempre nel vincolo della comunione con il Papa, con i Vescovi, con gli altri confratelli nel sacerdozio, nonché con i fedeli consacrati per la professione dei consigli evangelici e con i fedeli laici.

Essi, inoltre, non mancheranno di richiedere, nelle forme legittime e tenendo conto delle capacità di ciascuno, la cooperazione dei fedeli consacrati e dei fedeli laici, nell'esercizio della loro attività.

Il celibato sacerdotale

57. Ferma volontà della Chiesa

Convinta delle profonde motivazioni teologiche e pastorali che sostengono il rapporto tra celibato e sacerdozio e illuminata dalla testimonianza che ne conferma anche oggi, nonostante dolorosi casi negativi, la validità spirituale ed evangelica in tante esistenze sacerdotali, la Chiesa ha ribadito nel Concilio Vaticano II e ripetutamente nel successivo Magistero Pontificio la « ferma volontà di mantenere la legge che esige il celibato liberamente scelto e perpetuo per i candidati all'ordinazione sacerdotale nel rito latino».(176)

Il celibato, infatti, é un dono che la Chiesa ha ricevuto e vuole custodire, convinta che esso è un bene per se stessa e per il mondo.

58. Motivazione teologico-spirituale del celibato

Come ogni valore evangelico, anche il celibato deve essere vissuto quale novità liberante, come particolare testimonianza di radicalismo nella sequela di Cristo e segno della realtà escatologica. « Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono, infatti, eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca » (Mt 19,10-12).(177)

Per vivere con amore e generosità il dono ricevuto, è particolarmente importante che il sacerdote comprenda fin dalla formazione seminaristica la motivazione teologica e spirituale della disciplina ecclesiastica sul celibato.(178) Questo, quale dono e carisma particolare di Dio, richiede l'osservanza della continenza perfetta e perpetua per il Regno dei cieli, perché i ministri sacri possano aderire con maggior facilità a Cristo con cuore indiviso e dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini.(179) La disciplina ecclesiastica manifesta, prima ancora che la volontà del soggetto espressa dalla sua disponibilità, la volontà della Chiesa e trova la sua ultima ragione nel legame stretto che il celibato ha con l'ordinazione sacra, che configura il sacerdote a Gesù Cristo Capo e Sposo della Chiesa.(180)

La Lettera agli Efesini (cf 5, 25-27) pone in stretto rapporto l'oblazione sacerdotale di Cristo (cf 5, 25) con la santificazione della Chiesa (cf 5, 26), amata con amore sponsale. Inserito sacramentalmente in questo sacerdozio d'amore esclusivo di Cristo per la Chiesa, sua Sposa fedele, il presbitero esprime con il suo impegno celibatario tale amore, che diventa anche sorgente feconda di efficacia pastorale.

Il celibato, pertanto, non è un influsso che dall'esterno ricade sul ministero sacerdotale, né può essere considerato semplicemente un'istituzione imposta per legge, anche perché chi riceve il sacramento dell'Ordine vi si impegna con piena coscienza e libertà,(181) dopo una preparazione pluriennale, una profonda riflessione e l'assidua preghiera. Giunto alla ferma convinzione che Cristo gli concede questo dono per il bene della Chiesa e per il servizio degli altri, il sacerdote lo assume per tutta la vita, rafforzando questa sua volontà nella promessa già fatta durante il rito dell'ordinazione diaconale.(182)

Per queste ragioni, la legge ecclesiastica, da una parte conferma il carisma del celibato, mostrando come esso sia in intima connessione col ministero sacro nella sua duplice dimensione di relazione a Cristo e alla Chiesa; dall'altra tutela la libertà di colui che lo assume.(183) Il presbitero, allora, consacrato a Cristo con un nuovo ed eccelso titolo,(184) deve essere ben conscio che ha ricevuto un dono sancito da un preciso vincolo giuridico, da cui deriva l'obbligo morale dell'osservanza. Tale vincolo, assunto liberamente, ha carattere teologale ed è segno di quella realtà sponsale che si attua nell'ordinazione sacramentale. Con esso il presbitero acquista anche quella paternità spirituale, ma reale, che ha dimensione universale e si concretizza, in modo particolare, nei confronti della comunità che gli è affidata.(185)

59. Esempio di Gesù

Il celibato allora, è dono di sé « in » e « con » Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa « in » e « con » il Signore.(186)

Si rimarrebbe in una permanente immaturità se il celibato fosse vissuto come a un tributo che si paga al Signore » per accedere agli Ordini sacri e non, piuttosto, come « un dono che si riceve dalla sua misericordia »,(187) come scelta di libertà e accoglienza grata di una particolare vocazione di amore per Dio e per gli uomini.

L'esempio è il Signore stesso il quale, andando contro quella che si può considerare la cultura dominante del suo tempo, ha scelto liberamente di vivere celibe. Alla sua sequela i discepoli hanno lasciato « tutto » per compiere la missione loro affidata (cf Lc 18, 28-30).

Per tale motivo la Chiesa, fin dai tempi apostolici, ha voluto conservare il dono della continenza perpetua dei chierici e si è orientata a scegliere i candidati all'Ordine sacro tra i celibi (cf 2 Ts 2, 15; 1 Cor 7, 5; 9, 5; 1 Tm 3, 2.12; 5, 9; Tt 1, 6.8).(188)

60. Difficoltà e obiezioni

Nell'attuale clima culturale, condizionato spesso da una visione dell'uomo carente di valori e, soprattutto, incapace di dare un senso pieno, positivo e liberante alla sessualità umana, si ripresenta spesso la domanda sul valore e sul significato del celibato sacerdotale o, quanto meno, sull'opportunità di affermare il suo stretto legame e la sua profonda sintonia con il sacerdozio ministeriale.

Difficoltà e obiezioni hanno sempre accompagnato, lungo i secoli, la scelta della Chiesa Latina e di alcune Chiese Orientali di conferire il sacerdozio ministeriale solo a quegli uomini che hanno ricevuto da Dio il dono della castità nel celibato. La disciplina delle altre Chiese Orientali che ammettono il sacerdozio uxorato, non è contrapposta a quella della Chiesa Latina. Infatti, le stesse Chiese orientali esigono comunque il celibato dai Vescovi. Inoltre, non consentono il matrimonio dei sacerdoti e non permettono successive nozze a quelli rimasti vedovi. Si tratta comunque sempre e soltanto dell'ordinazione di uomini già sposati.

Le difficoltà che alcuni anche oggi presentano,(189) si fondano spesso su argomenti pretestuosi, come per esempio l'accusa di spiritualismo disincarnato o che la continenza comporti diffidenza o disprezzo della sessualità, oppure prendono le mossa dalla considerazione di casi difficili e dolorosi, o anche generalizzano casi particolari. Si dimentica, invece, la testimonianza offerta dalla stragrande maggioranza dei sacerdoti, che vivono il proprio celibato con libertà interiore, con ricche motivazioni evangeliche, con fecondità spirituale, in un orizzonte di fedeltà convinta e gioiosa alla propria vocazione e missione.

È chiaro che, per garantire e custodire questo dono m un clima di sereno equilibrio e di spirituale progresso, devono essere praticate tutte quelle misure che allontanano il sacerdote da possibili difficoltà.(190)

È necessario, pertanto, che i presbiteri si comportino con la dovuta prudenza nei rapporti con le persone la cui familiarità può mettere in pericolo la fedeltà al dono oppure suscitare lo scandalo dei fedeli.(191) Nei casi particolari si deve sottostare al giudizio del Vescovo, che ha l'obbligo di impartire norme precise in materia.(192)

I sacerdoti, poi, non trascurino di seguire quelle regole ascetiche che sono garantite dall'esperienza della Chiesa e che sono ancor più richieste dalle circostanze odierne, per cui prudentemente evitino di frequentare luoghi e assistere a spettacoli o praticare letture che costituiscono un'insidia all'osservanza della castità celibataria.(193) Nel fare uso, come agenti o come fruitori, dei mezzi di comunicazione sociale, osservino la necessaria discrezione ed evitino tutto quanto può nuocere alla vocazione.

Per custodire con amore il dono ricevuto, in un clima di esasperato permissivismo sessuale, essi dovranno trovare nella comunione con Cristo e con la Chiesa, nella devozione alla Beata Vergine Maria e nella considerazione degli esempi dei sacerdoti santi di tutti i tempi, la forza necessaria per superare le difficoltà che incontrano nel loro cammino ed agire con quella maturità che li rende credibili innanzi al mondo.(194)

L'obbedienza

61. Fondamento dell'obbedienza

L'obbedienza è un valore sacerdotale di primaria importanza. Lo stesso sacrificio di Gesù sulla Croce acquistò valore e significato salvifico a causa della sua obbedienza e della sua fedeltà alla volontà del Padre. Egli fu « obbediente fino alla morte, alla morte di Croce » (Fil 2, 8). La Lettera agli Ebrei sottolinea anche che Gesù « imparò per esperienza l'obbedienza dalle cose che patì » (Eb 5, 8). Si può dire, allora, che l'obbedienza al Padre è nel cuore stesso del Sacerdozio di Cristo.

Come per Cristo, anche per il presbitero, l'obbedienza esprime la volontà di Dio che gli viene manifestata attraverso i legittimi Superiori. Questa disponibilità deve essere intesa come vera attuazione della libertà personale, conseguenza di una scelta maturata costantemente al cospetto di Dio nella preghiera. La virtù dell'obbedienza, intrinsecamente richiesta dal sacramento e dalla struttura gerarchica della Chiesa, è chiaramente promessa dal chierico, prima nel rito di ordinazione diaconale, e poi in quello di ordinazione presbiterale. Con essa il presbitero rafforza la sua volontà di sottomissione, entrando, così, nella dinamica dell'obbedienza di Cristo fattosi Servo obbediente fino alla morte di Croce (cf Fil 2, 7-8).(195)

Nella cultura contemporanea viene sottolineato il valore della soggettività e dell'autonomia della singola persona, come intrinseco alla sua dignità. Questo valore, in se stesso positivo, se assolutizzato e rivendicato al di fuori del suo giusto contesto, assume una valenza negativa.(196) Ciò può manifestarsi anche nell'ambito ecclesiale e nella stessa vita del sacerdote qualora le attività che egli svolge a favore della comunità, venissero ridotte ad un fatto puramente soggettivo.

In realtà il presbitero è, per la natura stessa del suo ministero, a servizio di Cristo e della Chiesa. Egli, pertanto, si renderà disponibile ad accogliere quanto gli è giustamente indicato dai Superiori e, in modo particolare, se non è legittimamente impedito, deve accettare ed adempiere fedelmente l'incarico che gli è affidato dal suo Ordinario.(197)

62. Obbedienza gerarchica

Il presbitero è tenuto ad un « obbligo speciale di rispetto e obbedienza » nei confronti del Sommo Pontefice e del proprio Ordinario.(198) In virtù dell'appartenenza ad un determinato presbiterio, egli è addetto al servizio di una Chiesa particolare, il cui principio e fondamento di unità è il Vescovo199 che ha su di essa tutta la potestà ordinaria, propria e immediata, necessaria per l'esercizio del suo ufficio pastorale.(200) La subordinazione gerarchica, richiesta dal sacramento dell'Ordine, trova la sua attuazione ecclesiologico-strutturale in riferimento al proprio Vescovo e al Romano Pontefice, il quale detiene il primato (principatus) della potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari.(201)

L'obbligo dell'adesione al Magistero in materia di fede e di morale è intrinsecamente legato a tutte le funzioni che il sacerdote deve svolgere nella Chiesa. n dissenso in questo campo è da considerarsi grave, in quanto produce scandalo e disorientamento tra i fedeli.

Nessuno più del presbitero è consapevole del fatto che la Chiesa ha bisogno di norme. Poiché, infatti, la sua struttura gerarchica ed organica è visibile, l'esercizio delle funzioni a lei divinamente affidate, specialmente quella della guida e della celebrazione dei sacramenti, deve essere adeguatamente organizzato.(202)

In quanto ministro di Cristo e della sua Chiesa, il presbitero si assume generosamente l'impegno di osservare fedelmente tutte e singole le norme, evitando quelle forme di adesione parziale, secondo criteri soggettivi, che creano divisione e si ribaltano, con notevole danno pastorale, anche sui fedeli laici e sulla pubblica opinione. Infatti « le leggi canoniche, per loro stessa natura, esigono l'osservanza » e richiedono « che quanto viene comandato dal capo venga osservato nelle membra».(203)

Ubbidendo all'Autorità costituita, il sacerdote, fra l'altro, favorirà la mutua carità all'interno del presbiterio e quell'unità, che ha il suo fondamento nella verità.

63. Autorità esercitata con carità

Affinché l'osservanza dell'obbedienza sia reale e possa alimentare la comunione ecclesiale, quanti sono costituiti in autorità - gli Ordinari, i Superiori religiosi, i Moderatori di Società di vita apostolica -, oltre ad offrire il necessario e costante esempio personale, devono esercitare con carità il proprio carisma istituzionale, sia prevenendo, sia richiedendo, nei modi e nei tempi dovuti, l'adesione ad ogni disposizione nell'ambito magisteriale e disciplinare.(204)

Tale adesione è fonte di libertà, in quanto non impedisce, ma stimola la matura spontaneità del presbitero, che saprà assumere un atteggiamento pastorale sereno ed equilibrato, creando l'armonia nella quale la genialità personale si fonde in una superiore unità.

64. Rispetto delle norme liturgiche

Tra i vari aspetti del problema, oggi maggiormente avvertiti, merita di essere posto in evidenza quello del convinto rispetto delle norme liturgiche.

La liturgia è l'esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo,(205) « il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù ».(206) Essa costituisce un ambito dove il sacerdote deve avere particolare consapevolezza di essere ministro e di ubbidire fedelmente alla Chiesa. « Regolare la sacra liturgia compete unicamente all'autorità della Chiesa, che risiede nella Sede Apostolica e, a norma del diritto, nel Vescovo »,(207) n sacerdote, pertanto, in tale materia, non aggiungerà, toglierà o muterà alcunché di sua iniziativa.(208)

Questo vale in particolar modo per la celebrazione dei sacramenti, che sono per eccellenza atti di Cristo e della Chiesa, e che il sacerdote amministra in persona di Cristo e a nome della Chiesa per il bene dei fedeli.(209) Questi hanno un vero diritto a partecipare alle celebrazioni liturgiche così come le vuole la Chiesa e non secondo i gusti personali del singolo ministro e neppure secondo particolarismi rituali non approvati, espressioni di singoli gruppi che tendono a chiudersi all'universalità del Popolo di Dio.

65. Unità nei piani pastorali

E' necessario che i sacerdoti, nell'esercizio del loro ministero, non solo partecipino responsabilmente alla definizione dei piani pastorali che il Vescovo - con la collaborazione del Consiglio Presbiterale210 - determina, ma anche armonizzino con essi le realizzazioni pratiche nella propria comunità.

La sapiente creatività, lo spirito di iniziativa propri della maturità dei presbiteri, non solo non verranno mortificati ma potranno essere adeguatamente valorizzati a tutto vantaggio della fecondità pastorale. Intraprendere strade separate in questo campo può significare infatti indebolimento della stessa opera di evangelizzazione.

66. Obbligo dell'abito ecclesiastico

In una società secolarizzata e tendenzialmente materialista, dove anche i segni esterni delle realtà sacre e soprannaturali tendono a scomparire, è particolarmente sentita la necessità che il presbitero - uomo di Dio, dispensatore dei suoi misteri - sia riconoscibile agli occhi della comunità, anche per l'abito che porta, come segno inequivocabile della sua dedizione e della sua identità di detentore di un ministero pubblico.(211) Il presbitero dev'essere riconoscibile anzitutto per il suo comportamento, ma anche per il suo vestire in modo da rendere immediatamente percepibile ad ogni fedele, anzi ad ogni uomo,(212) la sua identità e la sua appartenenza a Dio e alla Chiesa.

Per questa ragione, il chierico deve portare « un abito ecclesiastico decoroso, secondo le norme emanate dalla Conferenza episcopale e secondo le legittime consuetudini locali »,(213) Ciò significa che tale abito, quando non è quello talare, deve essere diverso dalla maniera di vestire dei laici, e conforme alla dignità e alla sacralità del ministero. La foggia e il colore debbono essere stabiliti dalla Conferenza dei Vescovi, sempre in armonia con le disposizioni del diritto universale.

Per la loro incoerenza con lo spirito di tale disciplina, le prassi contrarie non si possono considerare legittime consuetudini e devono essere rimosse dalla competente autorità.(214)

Fatte salve situazioni del tutto eccezionali, il non uso dell'abito ecclesiastico da parte del chierico può manifestare un debole senso della propria identità di pastore interamente dedicato al servizio della Chiesa.(215)

Spirito sacerdotale di povertà

67. Povertà come disponibilità

La povertà di Gesù ha uno scopo salvifico. Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (cf 2 Cor 8, 9).

La Lettera ai Filippesi mostra il rapporto tra la spogliazione di sé e lo spirito di servizio che deve animare il ministero pastorale. Dice, infatti, san Paolo che Gesù non considerò a un bene prezioso l'essere uguale a Dio, ma umiliò se stesso assumendo la forma di servo » (Fil 2, 6-7). In verità, difficilmente il sacerdote si renderà vero servo e ministro dei suoi fratelli, se sarà preoccupato delle sue comodità e di un eccessivo benessere.

Attraverso la condizione di povero, Cristo manifesta che tutto ha ricevuto fin dall'eternità dal Padre e tutto a Lui restituisce fino all'offerta totale della sua vita.

L'esempio di Cristo povero deve portare il presbitero a conformarsi a Lui, nella libertà interiore rispetto a tutti i beni e le ricchezze del mondo.(216) Il Signore ci insegna che il vero bene è Dio e che la vera ricchezza è guadagnare la vita eterna: « Che giova, infatti, all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima? » (Mc 8, 36-37).

Il sacerdote, la cui parte di eredità è il Signore (cf Nm 18, 20), sa che la sua missione, come quella della Chiesa, si svolge in mezzo al mondo e che i beni creati sono necessari per lo sviluppo personale dell'uomo. Egli però userà tali beni con senso di responsabilità, moderazione, retta intenzione e distacco, proprio di chi ha il suo tesoro nei cieli e sa che tutto deve essere usato per l'edificazione del Regno di Dio (Lc 10, 7; Mt 10, 9-10; 1 Cor 9, 14; Gal 6, 6).(217) Pertanto, si asterrà da quelle attività lucrative, che non sono consone al suo ministero.(218)

Ricordando, inoltre, che il dono che ha ricevuto è gratuito, sia disposto a dare gratuitamente (Mt 10, 8; At 8, 18-25),(219) e ad impiegare per il bene della Chiesa e per opere di carità quanto riceve in occasione dell'esercizio del suo ufficio, dopo aver provveduto al proprio onesto sostentamento e all'adempimento di tutti i doveri del proprio stato.(220)

Il presbitero, infine, pur non assumendo la povertà con una promessa pubblica, è tenuto a condurre una vita semplice e ad astenersi da quanto può avere sapore di vanità,(221) abbracciando così la povertà volontaria per seguire più da vicino Cristo.(222) In tutto (abitazione, mezzi di trasporto, vacanze, ecc.), il presbitero elimini ogni tipo di ricercatezza e di lusso.(223)

Amico dei più poveri, egli riserverà a questi le più delicate attenzioni della sua carità pastorale, con una opzione preferenziale, non esclusiva e non escludente, per tutte le povertà vecchie e nuove, tragicamente presenti nel mondo, ricordando sempre che la prima miseria da cui deve essere liberato l'uomo è il peccato, radice ultima di ogni male.

Devozione a Maria

68. Le virtù della Madre

Esiste una « relazione essenziale... tra la Madre di Gesù e il sacerdozio dei ministri del Figlio », derivante da quella che c'è tra la divina maternità di Maria e il sacerdozio di Cristo.(224)

In tale relazione è radicata la spiritualità mariana di ogni presbitero. La spiritualità sacerdotale non può dirsi completa se non prende seriamente in considerazione il testamento di Cristo crocifisso, che volle consegnare la Madre al discepolo prediletto e, tramite lui, a tutti i sacerdoti chiamati a continuare la Sua opera di redenzione.

Come a Giovanni ai piedi della Croce, così ad ogni presbitero è affidata, in modo speciale, Maria come Madre (cf Gv 19, 26-27).

I sacerdoti, che sono tra i discepoli più amati da Gesù crocifisso e risorto, devono accogliere Maria come loro Madre nella propria vita, facendola oggetto di continua attenzione e preghiera. La sempre Vergine diventa allora la Madre che li conduce a Cristo, che fa loro amare autenticamente la Chiesa, che intercede per essi e che li guida verso il Regno dei cieli.

Ogni presbitero sa che Maria, perché Madre, è anche la più eminente formatrice del suo sacerdozio, giacché è Lei che sa modellare il suo cuore sacerdotale, proteggerlo dai pericoli, dalle stanchezze, dagli scoraggiamenti e vegliare, con materna sollecitudine, affinché egli possa crescere in sapienza e grazia, davanti a Dio e agli uomini (cf Lc 2, 40).

Ma non si è figli devoti se non si sanno imitare le virtù della Madre. A Maria, quindi, il presbitero guarderà per essere ministro umile, obbediente, casto e per testimoniare la carità nella donazione totale al Signore e alla Chiesa.(225)

Capolavoro del Sacrificio sacerdotale di Cristo, la Madonna rappresenta la Chiesa nel modo più puro, « senza macchia né ruga », tutta « santa e immacolata » (Ef 5, 27). Questa contemplazione della beata Vergine pone dinanzi al presbitero l'ideale a cui tendere nel ministero della propria comunità, affinché pure questa sia « Chiesa tutta gloriosa » (ibid.) mediante il dono sacerdotale della propria vita.


Capitolo III

FORMAZIONE PERMANENTE

Principi

69. Necessità della formazione permanente, oggi

La formazione permanente è esigenza che nasce e si sviluppa a partire dalla recezione del sacramento dell'Ordine, con il quale il sacerdote viene non solo « consacrato » dal Padre, « inviato » dal Figlio, ma anche » animato » dallo Spirito Santo. Essa, quindi, scaturisce da una grazia che sprigiona una forza soprannaturale, destinata ad assimilare progressivamente, e in termini sempre più ampi e profondi, tutta la vita e l'azione del presbitero nella fedeltà al dono ricevuto: « Ti ricordo - scrive san Paolo a Timoteo - di ravvivare il dono di Dio che è in te » (2 Tm 1, 6).

Si tratta di una necessità intrinseca allo stesso dono divino226 che va continuamente « vivificato » perché il presbitero possa rispondere adeguatamente alla sua vocazione. Egli, infatti, in quanto uomo storicamente situato, ha bisogno di perfezionarsi in tutti gli aspetti della sua esistenza umana e spirituale per poter giungere a quella conformazione a Cristo che è il principio unificante di tutto.

Le rapide e diffuse trasformazioni e un tessuto sociale spesso secolarizzato, tipici del mondo contemporaneo, sono altrettanti fattori che rendono assolutamente ineludibile il dovere del presbitero di essere adeguatamente preparato per non disperdere la propria identità e per rispondere alle necessità della nuova evangelizzazione. A questo già grave dovere corrisponde un preciso diritto da parte dei fedeli sui quali ricadono positivamente gli effetti della buona formazione e della santità dei sacerdoti.(227)

70. Continuo lavoro sa se stessi

La vita spirituale del sacerdote e il suo ministero pastorale vanno uniti a quel continuo lavoro su se stessi in modo da approfondire e raccogliere in armonica sintesi sia la formazione spirituale, sia quella umana, intellettuale e pastorale. Questo lavoro, che deve iniziare fin dal tempo del seminario, deve essere favorito dai Vescovi ai vari livelli: nazionale, regionale e, soprattutto, diocesano.

È motivo di incoraggiamento poter constatare che sono già molte le Diocesi e le Conferenze episcopali attualmente coinvolte con promettenti iniziative per attuare una vera formazione permanente dei propri sacerdoti. Si auspica che tutte le Diocesi possano rispondere a questa necessità. Tuttavia, dove ciò non fosse momentaneamente possibile, è consigliabile che esse si accordino tra di loro o prendano contatto con quelle istituzioni o persone, particolarmente preparate a svolgere un compito tanto delicato.(228)

71. Strumento di santificazione

La formazione permanente si presenta come un mezzo necessario al presbitero di oggi per raggiungere il fine della sua vocazione, che è il servizio di Dio e del suo Popolo.

Essa, in pratica, consiste nell'aiutare tutti i sacerdoti a rispondere generosamente all'impegno richiesto dalla dignità e dalla responsabilità che Dio ha conferito loro per mezzo del sacramento dell'Ordine; nel custodire, difendere e sviluppare la loro specifica identità e vocazione; nel santificare se stessi e gli altri mediante l'esercizio del ministero.

Ciò significa che il presbitero deve evitare qualsiasi dualismo tra spiritualità e ministerialità, origine profonda di talune crisi.

È chiaro che per raggiungere queste finalità di ordine soprannaturale, devono essere scoperti ed analizzati i criteri generali sui quali si deve strutturare la formazione permanente dei presbiteri.

Tali criteri o principi generali di organizzazione devono essere pensati a partire dalla finalità che ci si è proposti o, per meglio dire, vanno ricercati in essa.

72. Impartita dalla Chiesa

La formazione permanente è un diritto - dovere del presbitero e impartirla è un diritto - dovere della Chiesa, stabilito nella legge universale.(229) Infatti, come la vocazione al ministero sacro si riceve nella Chiesa, così, solo alla Chiesa compete impartire la specifica formazione secondo la responsabilità propria di tale ministero. La formazione permanente, pertanto, essendo un'attività legata all'esercizio del sacerdozio ministeriale, appartiene alla responsabilità del Papa e dei Vescovi. La Chiesa ha quindi il dovere e il diritto di continuare a formare i suoi ministri, aiutandoli a progredire nella risposta generosa al dono che Dio ha loro concesso.

A sua volta, il ministro ha ricevuto anche, come esigenza del dono connesso con l'ordinazione, il diritto di avere l'aiuto necessario da parte della Chiesa per realizzare efficacemente e santamente il suo servizio.

73. Formazione permanente

L'attività di formazione si basa su un'esigenza dinamica, intrinseca al carisma ministeriale, che è in sé stesso permanente ed irreversibile. Essa, pertanto, non può mai essere considerata terminata, né da parte della Chiesa che la impartisce, né da parte del ministro che la riceve. È necessario, quindi, che essa sia pensata e sviluppata in modo che tutti i presbiteri possano riceverla sempre, tenendo conto di quelle possibilità e caratteristiche che si collegano al variare dell'età, della condizione di vita e dei compiti affidati.(230)

74. Completa:

Tale formazione deve comprendere e armonizzare tutte le dimensioni della formazione sacerdotale; deve cioè tendere ad aiutare ogni presbitero: a raggiungere lo sviluppo di una personalità umana maturata nello spirito di servizio agli altri, qualunque sia l'incarico ricevuto; ad essere intellettualmente preparato nelle scienze teologiche e anche in quelle umane in quanto connesse con il proprio ministero, in modo da svolgere con maggiore efficacia la sua funzione di testimone della fede; a possedere una vita spirituale profonda, nutrita dall'intimità con Gesù Cristo e dall'amore per la Chiesa; a svolgere il suo ministero pastorale con impegno e dedizione.

In pratica, tale formazione dev'essere completa: umana, spirituale, intellettuale, pastorale, sistematica e personalizzata.

75. Umana

La formazione umana è estremamente importante nel mondo d'oggi, come del resto lo è sempre stato. Il presbitero non deve dimenticare di essere un uomo scelto tra gli uomini per essere al servizio dell'uomo.

Per santificarsi e per riuscire nella sua missione sacerdotale, egli dovrà presentarsi con un bagaglio di virtù umane che lo rendano degno della stima dei suo fratelli.

In particolare dovrà praticare la bontà del cuore, la pazienza, l'amabilità, la forza d'animo, l'amore per la giustizia, l'equilibrio, la fedeltà alla parola data, la coerenza con gli impegni liberamente assunti, ecc.(231)

È altresì importante che il sacerdote rifletta sul suo comportamento sociale, sulla correttezza delle varie forme di relazioni umane, sui valori dell'amicizia, sulla signorilità del tratto, ecc.

76. Spirituale

Tenendo presente quanto già ampiamente esposto circa la vita spirituale, ci si limita qui a presentare alcuni mezzi pratici di formazione.

Sarebbe necessario innanzitutto approfondire gli aspetti principali dell'esistenza sacerdotale facendo riferimento, in particolare, all'insegnamento biblico, patristico e agiografico, nel quale il presbitero deve continuamente aggiornarsi, non solo tramite le letture di buoni libri, ma anche partecipando a corsi di studio, congressi, ecc.(232)

Sessioni particolari potrebbero essere dedicate alla cura della celebrazione dei sacramenti, come anche allo studio di questioni di spiritualità, quali le virtù cristiane e umane, il modo di pregare, il rapporto tra la vita spirituale e il ministero liturgico, pastorale, ecc.

Più concretamente, è auspicabile che ogni presbitero, magari in concomitanza ai periodici esercizi spirituali, elabori un concreto progetto di vita personale, concordato possibilmente col proprio direttore spirituale, per il quale si segnalano, alcuni punti: 1. meditazione quotidiana sulla Parola o su un mistero della fede; 2. quotidiano incontro personale con Gesù nell'Eucaristia, oltre alla devota celebrazione della Santa Messa; 3. devozione mariana (rosario, consacrazione o affidamento, intimo colloquio); 4. momento formativo dottrinale e agiografico; 5. doveroso riposo; 6. rinnovato impegno sulla messa in pratica degli indirizzi del proprio Vescovo e di verifica della propria convinta adesione al Magistero e alla disciplina ecclesiastica; 7. cura della comunione e dell'amicizia sacerdotale.

77. Intellettuale

Atteso l'enorme influsso che le correnti umanistico-filosofiche hanno nella cultura moderna, nonché il fatto che alcuni presbiteri non hanno ricevuto adeguata preparazione in tali discipline, anche perché provenienti da indirizzi scolastici diversi, si rende necessario che, negli incontri, siano tenute presenti le più rilevanti tematiche di carattere umanistico e filosofico o che comunque « hanno un rapporto con le scienze sacre, particolarmente in quanto possono essere utili nell'esercizio del ministero pastorale ».(233) Tali tematiche costituiscono anche un valido aiuto per trattare correttamente i principali argomenti di teologia fondamentale, dogmatica e morale, di Sacra Scrittura, di liturgia, di diritto canonico, di ecumenismo, ecc., tenendo presente che l'insegnamento di queste materie non dev'essere problematico né solo teorico o informativo, ma deve portare all'autentica formazione, cioè alla preghiera, alla comunione e all'azione pastorale.

Si faccia in modo che negli incontri sacerdotali i documenti del Magistero siano approfonditi comunitariamente, sotto autorevole guida, in modo da facilitare, nella pastorale diocesana, quell'unità di interpretazione e di prassi che tanto giova all'opera di evangelizzazione.

Particolare importanza, nella formazione intellettuale, va data alla trattazione di temi che hanno oggi maggior rilievo nel dibattito culturale e nella prassi pastorale, come, ad esempio, quelli relativi all'etica sociale, alla bioetica, ecc.

Una trattazione speciale deve essere riservata alle questioni poste dal progresso scientifico, particolarmente influente sulla mentalità e sulla vita degli uomini contemporanei. I presbiteri non dovranno esimersi dal tenersi adeguatamente aggiornati e pronti nel rispondere agli interrogativi che la scienza può porre nel suo progredire, non mancando di consultare esperti preparati e sicuri.

È del massimo interesse studiare, approfondire e diffondere la dottrina sociale della Chiesa. Seguendo la spinta dell'insegnamento magisteriale, bisogna che l'interesse di tutti i sacerdoti e, per mezzo di essi, di tutti i fedeli a favore dei bisognosi, non rimanga al livello di pio desiderio, ma si converta in un concreto impegno di vita. « Oggi più che mai la Chiesa è cosciente che il suo messaggio sociale troverà credibilità nella testimonianza delle opere, prima che nella sua coerenza e logica interna ».(234)

Un'esigenza imprescindibile per la formazione intellettuale dei sacerdoti è la conoscenza e l'utilizzazione, nella loro attività ministeriale, dei mezzi di comunicazione sociale. Questi, se bene adoperati, costituiscono un provvidenziale strumento di evangelizzazione, potendo raggiungere non solo una massa enorme di fedeli e di lontani, ma anche incidere profondamente sulla loro mentalità e sul loro modo di agire.

A tal proposito, sarebbe opportuno che il Vescovo o la stessa Conferenza Episcopale preparassero programmi e strumenti tecnici atti allo scopo.

78. Pastorale

Per una adeguata formazione pastorale, è necessario realizzare incontri aventi come obiettivo principale la riflessione sul piano pastorale della Diocesi. In essi, non dovrebbe mancare anche la trattazione di tutte le questioni attinenti alla vita e alla pratica pastorale dei presbiteri come, per esempio, la morale fondamentale, l'etica nella vita professionale e sociale, ecc.

Particolare cura dovrà essere data alla conoscenza della vita e della spiritualità dei diaconi permanenti - laddove esistono -, dei religiosi e delle religiose, nonché dei fedeli laici.

Altri temi, particolarmente utili da trattare, possono essere quelli riguardanti la catechesi, la famiglia, le vocazioni sacerdotali e religiose, i giovani, gli anziani, gli infermi, l'ecumenismo, i « lontani », ecc.

È molto importante per la pastorale, nelle attuali circostanze, organizzare cicli speciali per approfondire ed assimilare il Catechismo della Chiesa Cattolica che, soprattutto per i sacerdoti, costituisce un prezioso strumento di formazione sia per la predicazione, sia, in genere, per l'opera di evangelizzazione.

79. Sistematica

Perché la formazione permanente sia completa, bisogna che essa sia strutturata « non come qualcosa di episodico, ma come una proposta sistematica di contenuti, che si snoda per tappe e si riveste di modalità precise ».(235) Questo comporta la necessità di creare una certa struttura organizzativa che stabilisca opportunamente strumenti, tempi e contenuti per la sua concreta e adeguata realizzazione. A tale organizzazione, deve accompagnarsi l'abitudine dello studio personale, giacché anche i corsi periodici risulterebbero di scarsa utilità se non fossero accompagnati dall'applicazione nello studio.(236)

80. Personalizzata

Sebbene si impartisca a tutti, la formazione permanente ha come obiettivo diretto il servizio a ciascuno di coloro che la ricevono. Così, accanto a mezzi collettivi o comuni, devono esistere tutti quegli altri mezzi che tendono a personalizzare la formazione di ognuno.

Per questa ragione va favorita, soprattutto tra i responsabili, la coscienza di dover raggiungere ogni sacerdote personalmente, prendendosi cura di ciascuno, non accontentandosi di mettere a disposizione di tutti le diverse opportunità.

A sua volta, ogni presbitero deve sentirsi incoraggiato, con la parola e con l'esempio del suo Vescovo e dei suoi fratelli nel sacerdozio, ad assumersi la responsabilità della propria formazione, essendo egli il primo formatore di se stesso.(237)

Organizzazione e mezzi

81. Incontri sacerdotali

L'itinerario degli incontri sacerdotali deve avere la caratteristica dell'unitarietà e della progressione per tappe.

Tale unitarietà deve convergere nella conformazione a Cristo, di modo che le verità di fede, la vita spirituale e l'attività ministeriale portino alla progressiva maturazione di tutto il presbiterio.

Il cammino formativo unitario è scandito da tappe ben definite. Ciò esigerà una specifica attenzione alle diverse fasce di età dei presbiteri, non trascurandone alcuna, come pure una verifica delle tappe compiute, con l'avvertenza di accordare tra loro i cammini formativi comunitari con quelli personali, senza dei quali i primi non potrebbero sortire effetto.

Gli incontri dei sacerdoti sono da ritenersi necessari per crescere nella comunione, per una sempre maggiore presa di coscienza e per una adeguata disamina dei problemi propri di ciascuna fascia di età.

Circa i contenuti di tali riunioni, ci si può rifare ai temi eventualmente proposti dalle Conferenze episcopali nazionali e regionali. In ogni caso, è necessario che essi siano stabiliti in un preciso piano di formazione della Diocesi, possibilmente aggiornato ogni anno.(238)

La loro organizzazione e il loro svolgimento potranno essere prudentemente affidati dal Vescovo a Facoltà o Istituti teologici e pastorali, al Seminario, a organismi o federazioni impegnati nella formazione sacerdotale,(239) a qualche altro Centro o Istituto specializzato che, a seconda delle possibilità e opportunità, potrà essere diocesano, regionale o nazionale, purché sia accertata la rispondenza alle esigenze di ortodossia dottrinale, di fedeltà al Magistero e alla disciplina ecclesiastica, nonché la competenza scientifica e l'adeguata conoscenza delle reali situazioni pastorali.

82. Armo Pastorale

Sarà cura del Vescovo, anche attraverso eventuali cooperazioni prudentemente scelte, provvedere affinché nell'anno successivo alla ordinazione presbiterale o a quella diaconale, venga programmato un anno cosiddetto pastorale che faciliti il passaggio dalla indispensabile vita di seminario all'esercizio del sacro ministero, procedendo per gradi, facilitando una progressiva, armonica maturazione umana e specificamente sacerdotale.(240)

Durante il corso di questo anno, occorrerà evitare che i neo-ordinati siano immessi in situazioni eccessivamente gravose o delicate, così come si dovranno evitare destinazioni nelle quali essi si trovino ad agire lontani dai confratelli. Sarà bene, anzi, nei modi possibili, favorire qualche opportuna forma di vita comune.

Questo periodo di formazione potrebbe essere trascorso in una residenza appositamente destinata allo scopo (Casa del aero) o in un luogo che possa costituire un preciso e sereno punto di riferimento per tutti i sacerdoti che sono alle prime esperienze pastorali. Ciò faciliterà il colloquio e il confronto con il Vescovo e con i confratelli, la preghiera comune (Liturgia delle Ore, concelebrazione e adorazione eucaristica, santo Rosario, ecc. ), lo scambio di esperienze, il reciproco incitamento, il fiorire di buoni rapporti di amicizia.

Sarebbe opportuno che il Vescovo indirizzasse i neo-sacerdoti a confratelli di vita esemplare e zelo pastorale. La prima destinazione, nonostante le spesso gravi urgenze pastorali, dovrebbe rispondere soprattutto all'esigenza di instradare correttamente i giovani presbiteri. Il sacrificio di un anno potrà allora fruttificare largamente per l'avvenire.

Non è superfluo sottolineare il fatto che questo anno, delicato e prezioso, dovrà favorire la maturazione piena della conoscenza fra il presbitero e il suo Vescovo, che, iniziata in Seminario, deve diventare un vero rapporto da figlio a padre.

Per quanto attiene alla parte intellettuale, questo anno non dovrà essere tanto un periodo di apprendimento di nuove materie, quanto piuttosto di profonda assimilazione e interiorizzazione di ciò che è stato studiato nei corsi istituzionali, in modo da favorire la formazione di una mentalità capace di valutare i particolari alla luce del disegno di Dio.(241)

In tale contesto, potranno opportunamente strutturarsi lezioni e seminari di prassi della confessione, di liturgia, di catechesi e di predicazione, di diritto canonico, di spiritualità sacerdotale, laicale e religiosa, di dottrina sociale, della comunicazione e dei suoi mezzi, di conoscenza delle sette e delle nuove religiosità, ecc.

In pratica, l'opera di sintesi deve costituire la via sulla quale passa l'anno pastorale. Ogni elemento deve corrispondere al progetto fondamentale di maturazione della vita spirituale.

La riuscita dell'anno pastorale è comunque e sempre condizionata dall'impegno personale dello stesso interessato che deve tendere ogni giorno alla santità, nella continua ricerca dei mezzi di santificazione che lo hanno aiutato fin dal seminario.

83. Tempi « sabatici »

Il pericolo dell'abitudine, la stanchezza fisica dovuta al superlavoro al quale, oggi soprattutto, sono sottoposti i presbiteri a causa delle fatiche pastorali, la stessa stanchezza psicologica causata, spesso, dal dover lottare continuamente contro l'incomprensione, il fraintendimento, i pregiudizi, l'andare contro forze organizzate e potenti che tendono a dare l'impressione che oggi il sacerdote appartenga ad una minoranza culturalmente obsoleta, sono altrettanti fattori che possono insinuare disagio nell'animo del pastore.

Nonostante le urgenze pastorali, anzi proprio per far fronte ad esse in modo adeguato, è conveniente che ai presbiteri siano concessi tempi più o meno ampi - a seconda delle reali possibilità - per poter sostare più lungamente e intensamente con il Signore Gesù, riprendendo forza e coraggio per continuare il cammino di santificazione.

Per rispondere a questa particolare esigenza, in molte diocesi già sono state sperimentate, spesso con promettenti risultati, diverse iniziative.

Queste esperienze sono valide e possono essere prese in considerazione, nonostante le difficoltà che si incontrano in alcune zone dove maggiormente si soffre la carenza numerica dei presbiteri.

Allo scopo, potrebbero avere una funzione notevole i monasteri, i santuari o altri luoghi di spiritualità, possibilmente fuori dei grandi centri, lasciando il presbitero libero da responsabilità pastorali dirette.

In alcuni casi potrà essere utile che queste soste abbiano finalità di studio o di aggiornamento nelle scienze sacre, senza dimenticare, nel contempo, lo scopo del rinvigorimento spirituale ed apostolico.

In ogni caso, sia accuratamente evitato il pericolo di considerare il periodo sabatico come un tempo di vacanza o di rivendicarlo come un diritto.

84. Casa del Clero

È da auspicare, dove è possibile, la erezione di una « Casa del Clero » che potrebbe costituire anche luogo di ritrovo per tenere gli accennati incontri di formazione e di riferimento per numerose altre circostanze. Tale casa dovrebbe offrire tutte quelle strutture organizzative che possano renderla confortevole e attraente.

Laddove ancora non esistesse e le necessità lo suggerissero, è consigliabile creare, a livello nazionale o regionale, strutture adatte per il recupero fisico-psichico-spirituale di sacerdoti in particolari necessità.

85. Ritiri ed Esercizi Spirituali

Come dimostra la lunga esperienza spirituale della Chiesa, i Ritiri e gli Esercizi Spirituali sono uno strumento idoneo ed efficace per un'adeguata formazione permanente del clero. Essi conservano anche oggi tutta la loro necessità ed attualità. Contro una prassi che tende a svuotare l'uomo di tutto ciò che è interiorità, il sacerdote deve trovare Dio e se stesso facendo delle soste spirituali per immergersi nella meditazione e nella preghiera.

Per questo la legislazione canonica stabilisce che i chierici « sono tenuti a partecipare ai ritiri spirituali, secondo le disposizioni del diritto particolare ».(242) Le due modalità più usuali, che potrebbero essere prescritte dal Vescovo nella propria diocesi, sono il ritiro spirituale di un giorno, possibilmente mensile, e gli Esercizi Spirituali annuali.

È molto opportuno che il Vescovo programmi ed organizzi i Ritiri e gli Esercizi Spirituali in modo che ogni sacerdote abbia la possibilità di sceglierli tra quelli che normalmente vengono fatti, nella Diocesi o fuori, da sacerdoti esemplari o da Istituti religiosi particolarmente sperimentati per il loro stesso carisma nella formazione spirituale o presso monasteri.

È anche consigliabile l'organizzazione di un ritiro speciale per sacerdoti ordinati negli ultimi anni, nel quale abbia parte attiva lo stesso Vescovo.(243)

Durante tali incontri, è importante che si focalizzino temi spirituali, si offrano larghi spazi di silenzio e di preghiera e siano particolarmente curate le celebrazioni liturgiche, il sacramento della Penitenza, l'adorazione eucaristica, la direzione spirituale e gli atti di venerazione e di culto alla Beata Vergine Maria.

Per conferire maggiore importanza ed efficacia a questi strumenti di formazione, il Vescovo potrebbe nominare appositamente un sacerdote col compito di organizzare i tempi e i modi del loro svolgimento.

In ogni caso, bisogna che i Ritiri e specialmente gli Esercizi Spirituali annuali siano vissuti come tempi di preghiera e non come corsi di aggiornamento teologico-pastorale.

86. Necessità della programmazione

Pur riconoscendo le difficoltà che la formazione permanente suole incontrare, a causa soprattutto dei numerosi e gravosi compiti a cui sono chiamati i sacerdoti, bisogna dire che tutte le difficoltà sono superabili se ci si impegna a condurla con responsabilità.

Per mantenersi all'altezza delle circostanze ed affrontare le esigenze dell'urgente lavoro di evangelizzazione, si rende necessaria - tra gli altri strumenti - una coraggiosa azione di governo pastorale finalizzata a prendersi cura dei sacerdoti in modo del tutto particolare. È indispensabile che i Vescovi esigano, con la forza della carità, che i loro sacerdoti eseguano generosamente le legittime disposizioni emanate in questa materia.

L'esistenza di un « piano di formazione permanente » comporta che esso sia, non solo concepito o programmato, ma anche realizzato. Per questo, è necessaria una chiara strutturazione del lavoro, con obiettivi, contenuti, e strumenti per realizzarlo.

Responsabili

87. Il presbitero

Il primo e principale responsabile della propria formazione permanente è il presbitero stesso. In realtà, su ciascun sacerdote incombe il dovere di essere fedele al dono di Dio e al dinamismo di conversione quotidiana che viene dal dono stesso.(244)

Tale dovere deriva dal fatto che nessuno può sostituire il singolo presbitero nel vigilare su se stesso (cf 1 Tm 4, 16). Egli, infatti, partecipando all'unico sacerdozio di Cristo, è chiamato a rivelarne e attuarne, secondo una sua vocazione unica e irripetibile, qualche aspetto della straordinaria ricchezza di grazia che ha ricevuto.

D'altra parte, le condizioni e le situazioni di vita di ogni singolo sacerdote sono tali che, anche dal punto di vista semplicemente umano, esigono che egli si coinvolga personalmente nella sua formazione, in modo da mettere a frutto le proprie capacità e possibilità.

Egli, pertanto, parteciperà attivamente agli incontri di formazione, dando il proprio contributo in base alle sue competenze e alle possibilità concrete e provvederà a fornirsi e a leggere libri e riviste che siano di sicura dottrina e di sperimentata utilità per la sua vita spirituale e per il fruttuoso svolgimento del suo ministero.

Tra le letture, il primo posto dev'essere occupato dalla Sacra Scrittura; quindi dagli scritti dei Padri, dei Maestri di spiritualità antichi e moderni, e dai Documenti del Magistero ecclesiastico, i quali costituiscono la fonte più autorevole e aggiornata della formazione permanente. I presbiteri, pertanto, li studieranno e approfondiranno in modo diretto e personale per poterli adeguatamente presentare ai fedeli laici.

88. Aiuto dei confratelli

In tutti gli aspetti dell'esistenza sacerdotale emergeranno i « particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità »,(245) sui quali si fonda l'aiuto reciproco che i presbiteri si presteranno.(246) È auspicabile che cresca e si sviluppi la cooperazione di tutti i presbiteri nella cura della loro vita spirituale ed umana, nonché del servizio ministeriale. L'aiuto che in questo campo deve essere fornito ai sacerdoti, può trovare un solido sostegno nelle diverse Associazioni sacerdotali, che tendono a formare una spiritualità veramente diocesana. Si tratta di Associazioni che « avendo gli statuti approvati dall'autorità competente, mediante una regola di vita adatta e convenientemente approvata e mediante l'aiuto fraterno, stimolano alla santità nell'esercizio del ministero e favoriscono l'unità dei chierici fra di loro e col proprio Vescovo ».(247)

In quest'ottica, occorre rispettare, con ogni cura, il diritto di ciascun sacerdote diocesano ad impostare la propria vita spirituale nel modo che ritiene maggiormente opportuno, sempre conformemente - come è ovvio - alle caratteristiche della propria vocazione e dei vincoli che da essa derivano.

Il lavoro che queste Associazioni, come anche i Movimenti approvati, compiono in favore dei sacerdoti è tenuto in grande considerazione dalla Chiesa,(248) che lo riconosce oggi come un segno della vitalità con la quale lo Spirito Santo la rinnova continuamente.

89. Il Vescovo

Per quanto ampia e difficile possa essere la porzione del Popolo di Dio che gli è affidata, il Vescovo deve riservare una sollecitudine del tutto particolare nei riguardi della formazione permanente dei suoi presbiteri.(249)

Esiste, infatti, un rapporto speciale tra questi e il Vescovo, dovuto al « fatto che i presbiteri ricevono attraverso di lui il loro sacerdozio e condividono con lui la sollecitudine pastorale verso il Popolo di Dio ».(250) Ciò determina anche specifiche responsabilità del Vescovo nel campo della formazione sacerdotale.

Tali responsabilità si esprimono sia nei riguardi dei singoli presbiteri, per cui la formazione deve essere il più possibile personalizzata, sia nei riguardi di tutti, in quanto formanti il presbiterio diocesano. In tal senso, il Vescovo non mancherà di coltivare premurosamente la comunicazione e la comunione tra i presbiteri, avendo cura, in particolare, di custodire e promuovere la vera indole della formazione permanente, educare la loro coscienza circa la sua importanza e necessità e, infine, programmarla e organizzarla stabilendo un piano di formazione, le strutture necessarie e le persone adatte per attuarlo.(251)

Nel provvedere alla formazione dei suoi sacerdoti, bisogna che il Vescovo si coinvolga con la propria e personale formazione permanente. L'esperienza insegna che quanto più il Vescovo, per primo, è convinto e impegnato nella propria formazione, tanto più saprà stimolare e sostenere quella del suo presbiterio.

In questa delicata opera, il Vescovo, pur svolgendo un ruolo insostituibile e indelegabile, saprà chiedere la collaborazione del Consiglio presbiterale il quale, per la sua natura e le sue finalità, sembra organismo idoneo a coadiuvarlo specialmente per quanto riguarda, ad esempio, l'elaborazione del piano di formazione.

Ogni Vescovo, poi, si sentirà sostenuto e aiutato nel suo compito dagli altri confratelli Vescovi, riuniti in Conferenza.(252)

90. La formazione dei formatori

Nessuna formazione è possibile se non c'è, oltre al soggetto che si deve formare, anche il soggetto che forma, il formatore. La bontà e l'efficacia di un piano di formazione dipendono in parte dalle strutture ma, principalmente, dalle persone dei formatori.

È evidente che nei riguardi di tali formatori si fa particolarmente delicata e importante la responsabilità del Vescovo.

È necessario, pertanto, che lo stesso Vescovo nomini un gruppo di formatori e che le persone siano scelte tra quei sacerdoti altamente qualificati e stimati per la loro preparazione e maturità umana, spirituale, culturale e pastorale. I formatori, infatti, devono essere anzitutto uomini di preghiera, docenti con forte senso del soprannaturale, di profonda vita spirituale, di condotta esemplare, con adeguata esperienza nel ministero sacerdotale, capaci di coniugare, come i Padri della Chiesa e i santi maestri di tutti i tempi, le esigenze spirituali con quelle più propriamente umane del sacerdote. Essi possono essere scelti anche tra i membri dei Seminari, dei Centri o Istituzioni accademiche approvate dall'Autorità ecclesiastica, nonché entro quegli Istituti il cui carisma riguarda proprio la vita e la spiritualità sacerdotale. In ogni caso devono essere garantite l'ortodossia della dottrina e la fedeltà alla disciplina ecclesiastica. I formatori, inoltre, devono essere collaboratori di fiducia del Vescovo, che rimane l'ultimo responsabile della formazione dei suoi più preziosi collaboratori.

È opportuno che si crei anche un gruppo di programmazione e di realizzazione con lo scopo di aiutare il Vescovo a fissare i contenuti da sviluppare ogni anno in ciascuno degli ambiti della formazione permanente; preparare i sussidi necessari; predisporre i corsi, le sessioni, gli incontri e i ritiri; organizzare opportunamente i calendari, in modo da prevedere le assenze e le sostituzioni dei presbiteri, ecc. Per una buona programmazione si può anche utilizzare la consulenza di qualche specialista in temi particolari.

Mentre è sufficiente un solo gruppo di formatori, è invece possibile che esistano, se le necessità lo richiedono, vari gruppi di programmazione e di realizzazione.

91. Collaborazione tra le Chiese

Per quanto riguarda soprattutto i mezzi collettivi, la programmazione dei differenti mezzi di formazione permanente e dei loro contenuti concreti può essere stabilita di comune accordo tra varie Chiese particolari, sia a livello nazionale e regionale - tramite le rispettive Conferenze dei Vescovi - sia, principalmente, tra Diocesi confinanti o viciniori. Così, per esempio, si potrebbero utilizzare, se ritenute adatte, le strutture interdiocesane, come le Facoltà e gli Istituti teologici e pastorali, nonché gli organismi o le federazioni impegnati nella formazione presbiterale. Tale unione di forze, oltre a realizzare un'autentica comunione tra le Chiese particolari, potrebbe offrire a tutti più qualificate e stimolanti possibilità per la formazione permanente.(253)

92. Collaborazione di centri accademici e di spiritualità

Inoltre, gli Istituti di studio e di ricerca, i Centri di spiritualità, così come i Monasteri di esemplare osservanza e i Santuari costituiscono altrettanti punti di riferimento per l'aggiornamento teologico e pastorale, per oasi di silenzio, orazione, confessione sacramentale e direzione spirituale, salutare riposo anche fisico, momenti di fraternità sacerdotale. In questo modo anche le famiglie religiose potrebbero collaborare alla formazione permanente e contribuire a quel rinnovamento del clero che è esigito dalla nuova evangelizzazione del Terzo Millennio.

Necessità in ordine alle età e a speciali situazioni

93. Primi anni di sacerdozio

Durante i primi anni dopo l'ordinazione, i sacerdoti dovrebbero essere sommamente favoriti nel trovare quelle condizioni di vita e di ministero che permettano loro di poter tradurre in prassi gli ideali appresi durante il periodo di formazione in seminario.(254) Questi primi anni, che costituiscono una necessaria verifica della formazione iniziale dopo il primo delicato impatto con la realtà, sono i più decisivi per il futuro. Essi richiedono, perciò, armonica maturazione per far fronte, con fede e fortezza, ai momenti di difficoltà. A questo scopo i giovani sacerdoti dovranno poter fruire del rapporto personale con il proprio Vescovo e con un saggio padre spirituale; di momenti di riposo, di meditazione, di ritiro mensile.

Tenendo presente quanto già detto per l'anno pastorale, è necessario organizzare, nei primi anni di sacerdozio, incontri annuali di formazione nei quali si elaborano e si approfondiscono adeguati temi teologici, giuridici, spirituali e culturali, sessioni speciali dedicate a problemi di morale, di pastorale, di liturgia, ecc. Tali incontri possono essere anche l'occasione per rinnovare la facoltà di confessare, secondo quanto stabilito dal Codice di Diritto Canonico e dal Vescovo.(255) Sarebbe anche utile che nei giovani presbiteri fosse favorita la convivenza familiare tra loro e con quelli più maturi, in modo da consentire lo scambio di esperienze, la conoscenza reciproca ed anche la delicata pratica evangelica della correzione fraterna.

Occorre, infine, che il giovane clero cresca in un ambiente spirituale di vera fraternità e delicatezza, che si manifesta nell'attenzione personale, anche per quanto riguarda la salute fisica e i diversi aspetti materiali della vita.

94. Dopo un certo numero di anni

Dopo un certo numero di anni di ministero, i presbiteri acquistano una forte esperienza e il grande merito di spendere tutti se stessi per la dilatazione del Regno di Dio nel lavoro quotidiano. Questa fascia di sacerdoti costituisce una grande risorsa spirituale e pastorale.

Essi hanno bisogno di incoraggiamento, di intelligente valorizzazione, di riapprofondimento della formazione in tutte le sue dimensioni, allo scopo di revisionare se stessi e il proprio agire; di ravvivare le motivazioni del sacro ministero; di riflettere sulle metodologie pastorali alla luce dell'essenziale; della comunionalità presbiterale; dell'amicizia del proprio Vescovo; del superamento di eventuali sensi di stanchezza, di frustrazione, di solitudine; di riscoperta, infine, delle vene sorgive della spiritualità sacerdotale.(256)

È importante, perciò, che questi presbiteri beneficino di speciali e approfondite sessioni di formazione nelle quali, oltre ai contenuti teologico-pastorali, si esaminino tutte quelle difficoltà psicologiche e affettive che possono nascere in tale periodo. È consigliabile, quindi, che a tali incontri prendano parte non solo il Vescovo ma anche quegli esperti che possono dare un valido e sicuro contributo alla soluzione dei problemi accennati.

95. Età avanzata

I presbiteri anziani o di avanzata età, ai quali deve andare ogni delicato segno di considerazione, entrano pure nel circuito vitale della formazione permanente, non tanto come impegno di studio approfondito e di dibattito culturale, quanto per « la conferma serena e rassicurante del ruolo che ancora sono chiamati a svolgere nel Presbiterio ».(257)

Oltre che alla formazione organizzata per i preti di mezza età, essi potranno convenientemente fruire di momenti, ambienti e incontri speciali per approfondire il senso contemplativo della vita sacerdotale, per riscoprire e gustare le ricchezze dottrinali di quanto già studiato, per sentirsi - come sono - utili, potendo essere valorizzati in adatte forme di vero e proprio ministero, soprattutto come esperti confessori e direttori spirituali. In modo particolare, essi potranno condividere con altri le proprie esperienze, dare incoraggiamento, accoglienza, ascolto e serenità ai confratelli, essere disponibili qualora si chieda ad essi il servizio di « diventare loro stessi, validi maestri e formatori di altri sacerdoti ».(258)

96. Sacerdoti in situazioni speciali

Indipendentemente dall'età, i presbiteri si possono trovare in « una condizione di debilitazione fisica o di stanchezza morale ».(259) Essi, con l'offerta della loro sofferenza, contribuiscono in modo eminente all'opera della redenzione, dando « una testimonianza segnata dalla scelta della croce accolta nella speranza e nella gioia pasquale ».(260)

A questa categoria di presbiteri, la formazione permanente deve offrire stimoli per « proseguire in modo sereno e forte il loro servizio alla Chiesa »,(261) e per essere segno eloquente del primato dell'essere sull'agire, dei contenuti sulle tecniche, della grazia sull'efficienza esteriore. In questo modo, essi potranno vivere l'esperienza di san Paolo: « Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo Corpo che è la Chiesa » (Col 1, 24).

Il Vescovo e i confratelli non dovranno mai far mancare visite periodiche a questi fratelli ammalati, che potranno essere informati, soprattutto, sugli avvenimenti della diocesi, in modo da farli sentire membri vivi del presbiterio e della Chiesa universale, che edificano con la loro sofferenza.

Da particolare ed affettuosa cura dovranno essere circondati i presbiteri prossimi a concludere la loro giornata terrena, spesa al servizio di Dio per la salvezza dei fratelli.

Al continuo conforto della fede, alla premura nell'amministrazione dei sacramenti, farà seguito il suffragio da parte dell'intero presbiterio.

97. Solitudine del sacerdote

Il sacerdote può sperimentare a qualsiasi età e in qualsiasi situazione, il senso della solitudine.(262) Questa, lungi da intendersi come isolamento psicologico, può essere del tutto normale e conseguente alla sincera sequela evangelica e costituire una dimensione preziosa della propria vita. In alcuni casi, però, potrebbe essere dovuta a speciali difficoltà, quali emarginazioni, incomprensioni, deviazioni, abbandoni, imprudenze, limiti caratteriali propri e altrui, calunnie, umiliazioni, ecc. Ne può derivare un pungente senso di frustrazione che sarebbe estremamente deleterio.

Tuttavia, anche questi momenti di difficoltà possono diventare, con l'aiuto del Signore, occasioni privilegiate per una crescita nel cammino della santità e dell'apostolato. In essi, infatti, il presbitero può scoprire che « si tratta di una solitudine abitata dalla presenza del Signore »,(263) Ovviamente ciò non deve far dimenticare la grave responsabilità del Vescovo e dell'intero presbiterio di evitare ogni solitudine prodotta da trascuratezza nella comunione sacerdotale.

Non bisogna dimenticarsi neanche di quei confratelli che hanno lasciato il ministero, al fine di offrire loro gli aiuti necessari, soprattutto della preghiera e della penitenza. n doveroso atteggiamento di carità nei loro confronti non deve tuttavia indurre in alcun modo alla considerazione di affidare loro mansioni ecclesiali che possono creare confusione e sconcerto, soprattutto fra i fedeli, proprio a ragione della loro situazione.


CONCLUSIONE

Il Padrone della messe, che chiama e invia gli operai che devono lavorare nel suo campo (cf Mt 9, 38), ha promesso con fedeltà eterna: « vi darò pastori secondo il mio cuore » (Ger 3, 15). Su questa fedeltà divina, sempre viva ed operante nella Chiesa,(264) riposa la speranza di ricevere abbondanti e sante vocazioni sacerdotali, peraltro già constatabile in molti Paesi, così come la certezza che il Signore non farà mancare alla sua Chiesa la luce necessaria per affrontare l'appassionante avventura del gettare le reti al largo.

Al dono di Dio la Chiesa risponde con il rendimento di grazie, la fedeltà, la docilità allo Spirito, l'umile e insistente orazione.

Per realizzare la sua missione apostolica, ogni sacerdote porterà scolpite nel proprio cuore le parole del Signore: « Padre, io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l'opera che tu mi hai dato da fare, dare la vita eterna agli uomini » (cf Gv 17, 2-4). Per questo, egli spenderà la propria vita per i fratelli vivendo come segno di carità soprannaturale, nell'obbedienza, nella castità celibataria, nella semplicità di vita e nel rispetto della disciplina comunionale della Chiesa.

Nella sua opera evangelizzatrice il presbitero trascende l'ordine naturale per fissarsi « nelle cose che riguardano Dio » (Eb 5, 1). Egli, infatti, è chiamato ad elevare l'uomo generandolo alla vita divina e facendolo crescere in essa fino alla pienezza di Cristo. È per questo che un autentico sacerdote, motivato nella sua fedeltà a Cristo e alla Chiesa, costituisce, in realtà un'impareggiabile forza di vero progresso per il mondo intero.

« La nuova evangelizzazione ha bisogno di nuovi evangelizzatori, e questi sono i sacerdoti che si impegnano a vivere il loro sacerdozio come cammino specifico verso la santità ».(265) Le opere di Dio le compiono gli uomini di Dio!

Come Cristo, il sacerdote deve presentarsi al mondo quale modello di vita soprannaturale: « Vi ho dato l'esempio perché come ho fatto io facciate anche voi » (Gv 13, 15).

La testimonianza resa con la vita qualifica il presbitero e ne costituisce la più convincente predicazione. La stessa disciplina ecclesiastica, vissuta con autentiche motivazioni interiori, si rivela come un provvido servizio per vivere la propria identità, per fomentare la carità e per far brillare la testimonianza senza la quale qualsiasi preparazione culturale o rigorosa programmazione, sarebbe solo illusione. A nulla serve il fare se manca l'essere con Cristo.

Qui l'orizzonte dell'identità, della vita, del ministero, della formazione permanente del sacerdote si apre alle urgenze della nuova evangelizzazione. Un compito di lavoro immenso, aperto, coraggioso, illuminato dalla fede, sostenuto dalla speranza, radicato nella carità.

In quest'opera tanto necessaria quanto urgente, nessuno è solo. È necessario che i presbiteri siano aiutati da una esemplare, autorevole e vigorosa azione di governo pastorale dei propri Vescovi, in trasparente comunione con la Sede Apostolica, nonché dalla fraterna collaborazione dell'intero presbiterio e da tutto il Popolo di Dio.

A Maria, Madre della Fiducia, si affidi ogni sacerdote. In Lei, che « fu il modello di quell'amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini »,(266) i sacerdoti troveranno costante protezione e aiuto per il rinnovamento della loro vita e per far scaturire dal loro sacerdozio una più intensa e rinnovata spinta evangelizzatrice, alle soglie del terzo millennio della Redenzione.

Sua Santità il Papa Giovanni Paolo II, il 31 gennaio 1994, ha approvato il presente Direttorio e ne ha autorizzato la pubblicazione.

JOSÉ T. Card. SANCHEZ

Prefetto

+ CRESCENZIO SEPE

Arciv. tit. di Grado

Segretario


PREGHIERA

A MARIA SANTISSIMA

MARIA,

Madre di Gesù Cristo e Madre dei sacerdoti,

ricevi questo titolo che noi tributiamo a te

per celebrare la tua maternità

e contemplare presso di te il Sacerdozio

del tuo Figlio e dei tuoi figli,

Santa Genitrice di Dio.

Madre di Cristo,

al Messia Sacerdote hai dato il corpo di carne

per l'unzione del Santo Spirito

a salvezza dei poveri e contriti di cuore,

custodisci nel tuo cuore e nella Chiesa i sacerdoti,

Madre del Salvatore.

Madre della fede,

hai accompagnato al tempio il Figlio dell'uomo,

compimento delle promesse date ai Padri,

consegna al Padre per la sua gloria

i sacerdoti del Figlio tuo,

Arca dell'Alleanza.

Madre della Chiesa,

tra i discepoli nel Cenacolo pregavi lo Spirito

per il Popolo nuovo ed i suoi Pastori,

ottieni all'ordine dei presbiteri

la pienezza dei doni,

Regina degli Apostoli.

Madre di Gesù Cristo,

eri con Lui agli inizi della sua vita

e della sua missione,

lo hai cercato Maestro tra la folla,

lo hai assistito innalzato da terra,

consumato per il sacrificio unico eterno,

e avevi Giovanni vicino, tuo figlio,

accogli fin dall'inizio i chiamati,

proteggi la loro crescita,

accompagna nella vita e nel ministero

i tuoi figli,

Madre dei Sacerdoti.

Amen!(267)


NOTE

(1) Tra i documenti più recenti, cf. CONC. ECUM. VAT. II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium 28; Decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius 22; Decreto sull'ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus 16; Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum Ordinis; PAOLO VI, Lett. enc. Sacerdotalis caelibatus (24 giugno 1967): AAS 59 (1967), 657-697; S. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Lettera circolare Inter ea (4 novembre 1969): AAS 62 (1970), 123- 134; SINODO DEI VESCOVI, Documento sul sacerdozio ministeriale Ultimis temporibus (30 novembre 1971): AAS 63 (1971), 898-922; Codex Iuris Canonici (25 gennaio 1983), cann. 273-289; 232-264; 1008-1054; CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (19 marzo 1985), 101; GIOVANNI PAOLO II, Lettere ai Sacerdoti in occasione del Giovedì Santo; Catechesi sui presbiteri, nelle Udienze generali dal 31 marzo al 22 settembre 1993.

(2) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992): AAS 84 (1992), 657-804.

(3) Ibid 18: l.c., 685.

(4) CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 2.

(5) CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1.

(6) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 11: l.c., 675.

(7) Ibid., 15: l.c., 680.

(8) Ibid., 21: l.c., 688; Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 2; 12

(9) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 12C: l.c., 676.

(10) Ibid., 18, l.c.. 685-686; Messaggio dei Padri sinodali al Popolo di Dio (28 ottobre 1990), III: «L'Osservatore Romano» 29-30 ottobre 1990.

(11) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 16: l.c., 682.

(12) Cf. Ibid., 12: l.c., 675-677.

(13) Cf. CONC. ECUM. TRIDENT., Sessio XXIII De sacramento Ordinis: DS, 1763-1778; GIOVANNI PAOLO II Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis 11-18: l.c., 673-686; Catechesi nell'Udienza generale del 31 marzo 1993: «L'Osservatore Romano», 1· aprile 1993.

(14) Cf. CONC. ECUM. VAT. II Cost. dogm. Lumen gentium, 18-31; Decr. Presbyterorum Ordinis, 2; C.I.C., can. 1008.

(15) Cf. CONC. ECUM. VAT. II Cost. dogm. Lumen gentium, 10; Decr. Presbyterorum Ordinis, 2

(16) Cf. CONC. ECUM. VAT. II., Decr. Apostolicam actuositatem, 3; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 14: AAS 81(1989), 409-413.

(17) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 13-14: l.c.., 677-679; Catechesi nell'Udienza Generale del 31 marzo 1993:«L'Osservatore Romano», 1· aprile 1993.

(18) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 18: l.c., 684-686.

(19) Cf. Ibid., 15: l.c. 679-681.

(20) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost.. dogm. Dei Verbum, 10; Decr. Presbyterorum Ordinis, 4.

(21) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 5; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1120.

(22) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 6.

(23) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 16: l.c., 681.

(24) Cf. ibid.

(25) Ibid., 3: l.c., 661.

(26) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 28; Decr. Presbyterorum Ordinis, 7; Decr. Christus Dominus, 28; Decr. Ad gentes, 19; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 17: l.c., 683.

(27) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium 28; Pontificale Romanum, Ordinatio Episcoporum, Presbyterorum et Diaconorum, cap. 1., n. 51, Ed. typica altera, 1990, p. 26.

(28) CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 28.

(29) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 16: l.c., 681.

(30) Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera sulla Chiesa come comunione Communionis notio (28 maggio 1992), 10: AAS 85 (1993), 844.

(31) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Redemptoris missio, 23a: AAS 83 (1991), 269.

(32) CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 10; Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 32: l.c., 709-710.

(33) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 28; Decr. Presbyterorum Ordinis, 7.

(34) Cf. C.I.C., can. 266, § 1.

(35) Cf. CONC. ECUM VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium 23; 26; S. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Note direttive Postquam Apostoli (25 marzo 1980) 5; 14; 23 AAS 72 (1980) 346-347; 353-354; 360-361; TERTULLIANO, Le praescriptione 20 5-9: CCL 1, 201-202.

(36) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium 23; Decr. Presbyterorum Ordinis 10; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis 32: l.c 709-710; S. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Note direttive Postquam Apostoli (25 marzo 1980) AAS 72 (1980) 343-364; CONGREGAZIONE PER L'EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (1· ottobre 1989) 4; C.I.C. can. 271

(37) Cf. CONGREGAZIONE PER L'EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (1· ottobre 1989); GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), 54; 67: AAS 83 (1991), 301-302; 315-316.

(38) Cf. S. AGOSTINO, In Iohannis Evangelium Tractatus 123 5: CCL 36 678.

(39) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis 21: l.c.., 688-690; C.I.C. can. 274.

(40) Cf. C.I.C. cann. 275, § 2; 529, § 1.

(41) Cf. ibid. can. 574, § 1.

(42) Cf. CONC. ECUM. TRIDENT., Sessio XXIII, De sacramento Ordinis cap. 1 e 4, cann. 3, 4, 6: DS 1763-1776; CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium 10; SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcune questioni concernenti il ministro dell'EucaristiaSacerdotium ministeriale (6 agosto 1983), 1: MS 75 (1983), 1001.

(43) Cf. CONC. ECUM.. VAT. II, Cost. dogm. Lumen Gentium 9.

(44) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis 7.

(45) Cf. CONGREGAZIONE PER L EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (1· ottobre 1989), 3.

(46) Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcune questioni concernenti il ministro dell'Eucaristia Sacerdotium ministeriale (6 agosto 1983), II. 3, III. 2: AAS 75 (1983), 1001 - 1009; Catechismo della Chiesa Cattolica n. 875.

(47) Cf. CONC. ECUM.. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis 11.

(48) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso all'Episcopato della Svizzera (15 giugno 1984): Insegnamenti VII/1 (1984), 1784.

(49) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti al Simposio internazionale su «Il sacerdote oggi»: «L'Osservatore Romano», 29 maggio 1993; Discorso ai partecipanti al Symposium internationale «Ius in vita et in missione Ecclesiae» Vaticano 23 aprile 1993, in «L'Osservatore Romano», 25 aprile 1993.

(50) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis 12: l.c., 676; Cf. CONC. ECUM.. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium 1.

(51) Cf. CONC. ECUM.. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium 8.

(52) Cf. S. AGOSTINO, Sermo 46, 30: CCL 41, 555 557.

(53) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis 28: l.c., 701-702.

(54) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium 28; Decr. Presbyterorum Ordinis 7; 15.

(55) Cf. C.I.C. Cann. 331; 333, § 1.

(56) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium 22; Decr. Christus Dominus 4; C.I.C Can 336.

(57) Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera sulla Chiesa come comunione Communionis notio (28 maggio 1992), 14: AAS 85 (1993), 847.

(58) Cf. C.I.C Can. 902; S. CONGREGAZIONE PER I SACRAMENTI E IL CULTO DIVINO, Decr. Part. Promulgato Codice (12 Settembre 1983), II, I, 153: Notitiae 19 (1983), 542.

(59) Cf. S. TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae III, q. 82, a. 2 ad 2; Sent. IV d. 13, q. 1, a 2, q. 2; CONC. ECUM. VAT. II, Cost. Sacrosanctum Concilium 41, 57; S. CONGREGAZIONE DEI RITI, Decreto generale Ecclesiae semper (7 marzo 1965): AAS 57 (1965), 410-412; Istruzione Eucharisticum Mysterium (25 maggio 1965), 47: AAS 59 (1967), 565-566.

(60) Cf. S. CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Eucharisticum Mysterium (25 maggio 1967), 47: AAS 59 (1967), 565-566.

(61) Cf. C.I.C. can. 273.

(62) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis 15; GIOVANNI PAOLO II, Esort . ap . post-sinodale Pastores dabo vobis 65; 79: l.c. 770-772; 796-798.

(63) S. IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Ad Ephesios XX 1-2: «... Se il Signore mi rivelerà che, ognuno in proprio e tutti insieme... voi siete uniti con il cuore in una incrollabile sottomissione al Vescovo e al presbiterio, spezzando l'unico pane che è rimedio d'immortalità, antidoto per non morire, ma per vivere sempre in Gesù Cristo»: Patres Apostolici ed. F.X. FUNK, II, 203-205.

(64) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis 17: l.c., 683; Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium 28; Decr. Presbyterorum Ordinis 8; C.I.C can 275, § 1.

(65) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis 74: l.c., 790; CONGREGAZIONE PER L'EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (1· ottobre 1989), 6.

(66) Cf. CONC. ECUM.. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis 8; C.I.C, cann. 369; 498; 499.

(67) Cf. Pontificale Romanum De Ordinatione Episcopi, Presbyterorum et Diaconorum cap. II, nn. 105; 130, editio typica altera, 1990, pp. 54; 66-67; CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 8.

(68) Cf. C.I.C can. 265.

(69) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso nella Cattedrale di Quito ai Vescovi, ai Sacerdoti, ai Religiosi e ai Seminaristi (29 gennaio 1985): Insegnamenti VIII/1 (1985), 247-253.

(70) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 31; l.c., 708.

(71) Cf. ibid., 17; 74: l.c., 683; 790.

(72) C.I.C, can. 498, § 1, 2·.

(73) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis., 31: l.c., 708-709.

(74) Cf. ibid., 31, 41- 68: l.c., 708; 728-729; 775-777.

(75) Cf. C.I.C., can. 271.

(76) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 74:l.c.., 790.

(77) GIOVANNI PAOLO II, Catechesi nell'Udienza Generale del 4 agosto 1993, n. 4: «L'Osservatore Romano», 5 agosto 1993.

(78) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 12-14.

(79) Cf. ibid., 8.

(80) Cf. S. AGOSTINO, Sermones 355, 356, De vita et moribus clericorum: PL 39, 1568-1581.

(81) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 28c; Decr. Presbyterorum Ordinis, 8; Decr. Christus Dominus, 30a.

(82) Cf. S. CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Direttorio Ecclessiae Imago (22 febbraio 1973), n. 112; C.I.C, cann. 280; 245, § 2; 550, § 1; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 81:l.c., 799-800.

(83) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 26; 99; Liturgia Horarum, Institutio Generalis, n. 25.

(84) Cf. C.I.C, can. 278, 2; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 31; 68; 81: l.c., 708; 777; 799.

(85) Cf. C.I.C, can 550, § 2.

(86) Cf. ibid., can. 545, § 1.

(87) GIOVANNI PAOLO II, Catechesi nell'Udienza generale del 7 luglio 1993: «L'Osservatore Romano», 8 luglio 1993, pp. 5-6; CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 15b.

(88) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 15: l.c., 679-680.

(89) Cf. CONC. ECUM VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 9; C.I.C., cann. 275, § 2; 529, § 2.

(90) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis., 74: l.c., 788.

(91) Cf. C.I.C., can 529, § 2.

(92) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 74: l.c., 788; PAOLO VI, Lett. enc. Ecclesiam suam (6 agosto 1964), III: AAS 56 (1964), 647.

(93) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Catechesi nell'Udienza Generale del 7 luglio 1993: «L'Osservatore Romano», 8 luglio 1993.

(94) Cf. C.I.C., can 529, § 1.

(95) Cf. CONC. ECUM VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 11; C.I.C, can 233, § 1.

(96) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 74c: l.c., 789.

(97) Cf. C.I.C can 287, § 2; CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Decr. Quidam Episcopi (8 marzo 1982): AAS 74 (1982), 642-645.

(98) Cf. CONGREGAZIONE PER L'EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Guida pastorale per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti dalla Congregazione per I Evangelizzazione dei Popoli (1· ottobre 1989), 9; CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Decr. Quidam Episcopi (8 marzo 1982): AAS 74 (1982), 642-645.

(99) GIOVANNI PAOLO II, Catechesi nell'Udienza Generale del 28 luglio 1993, n. 3: «L'Osservatore Romano», 29 luglio 1993; Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. Gaudium et spes 43; SINODO DEI VESCOVI, Documento sul sacerdozio ministeriale Ultimis temporibus (30 novembre 1971), II, I, 2b: AAS 63 (1971), 912-913; C.I.C. cann. 285, § 3; 287, § 1.

(100) Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2442; Cf. C.I.C., can. 227.

(101) SINODO DEI VESCOVI, Documento sul sacerdozio ministeriale Ultimis temporibus (30 novembre 1971), II, I, 2b: AAS 63 (1971), 913.

(102) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis 5: l.c., 663-665.

(103) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso inaugurale alla IV. Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano (Santo Domingo, 12-28 ottobre 1992), n. 24: AAS85 (1993), 826.

(104) Ibid., 1: l.c., 808-809.

(105) Ibid., 25: l.c., 827.

(106) Cf. Ibid.

(107) GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo (13 aprile 1987): AAS 79 (1987), 1285-1295.

(108) Cf. C.I.C, cann. 276, § 2, 1·.

(109) Cf. CONC. ECUM.. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 5; 18; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 23; 26; 38; 46; 48: l.c., 691-694; 697-700; 720-723; 738-740; 742-745; C.I.C, cann. 246, § 1; 276, § 2, 2·.

(110) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 5; 18; C.I.C., cann. 246, § 4; 276, § 2, 5; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 26; 48: l.c., 697-700; 742-745.

(111) Cf. CONC. ECUM. VAT. II Decr. Presbyterorum Ordinis, 18; C.I.C, can. 239; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 40; 50; 81: l.c. 724-726; 746-748; 799-800.

(112) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 18; C.I.C., cann. 246, § 2; 276, § 2, 3·; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 26; 72: l.c., 697-700; 783-797.

(113) Cf. C.I.C. 1174, §1.

(114) CONC. ECUM. VATIC. II Decr. Presbyterorum Ordinis, 18; GIOVANNI PAOLO II, Esort. Ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 26; 37-38; 47; 51; 53; 72: l.c., 697-700; 718-723; 740-742; 748-750; 751-753; 783-787.

(115) Cf. C.I.C, can. 276, § 2, 5·.

(116) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 4; 13; 18; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 26; 47; 53; 70; 72: l.c., 697-700; 740-742; 751-753; 778-782; 783-787.

(117) Cf. CONC. ECUM. VATIC. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 18; C.I.C, can. 276, § 2, 4; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 80: l.c., 798-800.

(118) Cf. CONC. ECUM. VATIC II Decr. Presbyterorum Ordinis 18; C.I.C, cann. 246, § 3; 276, § 2, 5· GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 36; 38; 45; 82: l.c., 715-718; 720-723; 736-738; 800-804.

(119) Cf. CONC. ECUM. VATIC II Decr. Presbyterorum Ordinis, 18; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 26; 37 38; 47; 51; 53; 72: l.c., 697-700; 718-723; 740-742; 748-750; 751-753- 783-787.

(120) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 18c.

(121) GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 1979 Novo incipiente (8 aprile 1979), 1: AAS 71 (1979), 394; Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 80: l.c., 798-799.

(122) Cf. POSSIDIO, Vita Sancti Aurelii Augustini, 31: PL 32, 63-66.

(123) Cf. Liturgia Horarum, Institutio Generalis, nn. 3-4.

(124) Pontificale Romanum, Deordinatione Episcopi, Presbyterorum et Diaconorum, cap. II, n. 151, Ed. typica altera, 1990, pp. 87-88.

(125) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 18; SINODO DEI VESCOVI, Documento sul sacerdozio ministeriale Ultimis temporibus (30 novembre 1971), II, I, 3: AAS 63 (1971), 913-915; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 46-47: l.c., 738-742- Catechesi nell'Udienza Generale del 2 giugno 1993, n. 3: «L'Osservatore Romano», 3 giugno 1993.

(126) «Numquam enim minus solus sum, quam cum solus esse videor»: Epist. 33 (Maur. 49), 1: CSEL, 82, 229.

(127) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 14; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 23: l.c., 691-694.

(128) Cf. C.I.C, can. 279, § 1

(129) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 5; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1-2, 142.

(130) Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 150-152, 185-187.

(131) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Catechesi nell'Udienza Generale del 21 aprile 1993, n. 6: «L'Osservatore Romano», 22 aprile 1993.

(132) Cf. CONC. ECUM VAT. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 25.

(133) Cf. C.I.C., cann. 757, 762, 776.

(134) CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 4.

(135) Ibid.; Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 26: l.c., 697-700.

(136) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Catechesi nell'Udienza generale del 21 aprile 1993: «L'Osservatore Romano», 22 aprile 1993.

(137) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 10; GIOVANNI PAOLO II, Catechesi nell'Udienza generale del 21 aprile 1993: «L'Osservatore Romano», 22 aprile 1993.

(138) Cf. S. TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae, 1, q. 43, a. 5.

(139) Cf. C.I.C., can. 769.

(140) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Catechesi tradendae, (16 ottobre 1979), 18: AAS 71 (1979), 1291-1292.

(141) Cf. C.I.C., can. 768.

(142) Cf. C.I.C., can. 776.

(143) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 9.

(144) Cf. Ibid., 6.

(145) Cf. C.I.C., can. 779.

(146) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Fidei Depositum (11 ottobre 1992), 4.

(147) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Catechesi nell'Udienza generale del 12 maggio 1993, n. 3: «L'Osservatore Romano», 14 maggio 1993.

(148) Cf. CONC. ECUM VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 5.

(149) Ibid.

(150) Cf. ibid., 5; 13; S. GIUSTINO, Apologia I, 67: PG 6, 429-432; S. AGOSTINO, In Iohannis Evagelium Tractatus, 26, 13-15: CCL 36, 266-268.

(151) Cf. C.I.C., can. 904.

(152) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 128.

(153) Cf. ibid., 122-124.

(154) Cf. ibid., 112, 114, 116.

(155) Cf. ibid., 120.

(156) Cf. Ibid., 30.

(157) Cf. C.I.C., can. 899, 3.

(158) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. Sacrosanctum Concilium 22; C.I.C., can. 846, § 1.

(159) Cf. C.I.C., can. 929; Missale Romanum, Instituto Generalis, nn. 81; 298; S. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Istruzione Liturgicae instaurationes (5 settembre 1970), 8c: AAS 62 (1970), 701.

(160) GIOVANNI PAOLO II, Catechesi nell'Udienza Generale del 9 giugno 1993, n. 6: «L'Osservatore Romano», 10 giugno 1993; Cf. Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 48: l.c., 744; S. CONGREGAZIONE DEI RITI, Istr. Eucharisticum Mysterium (25 maggio 1967), 50: AAS 59 (1967), 539-573; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1418.

(161) GIOVANNI PAOLO II, Catechesi nell'Udienza Generale del 2 giugno 1993, n. 5: «L'Osservatore Romano», 3 giugno 1993; Cf. CONC. ECUM . VAT. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 99- 100.

(162) Cf. CONC. ECUM. TRIDENT., sess. VI, de iustificatione, c. 14; sess. XIV, de poenitentia, c. 1, 2, 5-7, can. 410; sess. XXIII, de ordine, c. 1; CONC. ECUM VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 2, 5; C.I.C., can. 965.

(163) Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1443-1445.

(164) Cf. C.I.C., cann. 966, § 1; 978, § 1; 981; GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Penitenzieria Apostolica del 27 marzo 1993: «L'Osservatore Romano», 28 marzo 1993.

(165) Cf. C.I.C., can. 986.

(166) Cf. ibid., can. 960; GIOVANNI PAOLO II, Litt. enc. Redemptor hominis, 20: AAS 71 (1979), 309-316.

(167) Cf. C.I.C., cann. 961-963; PAOLO VI, Allocuzione (20 marzo 1978), AAS 70 (1978), 328-332; GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione (30 gennaio 1981): AAS 73 (1981), 201-204; Esort. ap. post-sinodale Reconciliatio et paenitentia (2 dicembre 1984), 33: AAS 77 (1985), 269-271.

(168) Cf. C.I.C., cann. 978, § 1, 981

(169) Cf. ibid., can. 964.

(170) Cf. ibid. can. 276, § 2, 5·; CONC. ECUM VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 18b.

(171) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Reconciliatio et Paenitentia (2 dicembre 1984), 31: AAS 77 (1985), 266; Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis 26: l.c., 699.

(172) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Reconciliatio et paenitentia (2 dicembre 1984), 32: AAS 77 (1985), 267-269.

(173) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis 22-23: l.c., 690-694; Cf. Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 26: AAS 80 (1988), 1715-1716.

(174) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 6; C.I.C., can. 529, § 1.

(175) S. GIOVANNI CRISOSTOMO, De sacerdotio, III, 6: PG 48, 643-644:

«La nascita spirituale delle anime è privilegio dei sacerdoti: essi le fanno nascere alla vita della grazia per mezzo del battesimo; per mezzo loro noi ci rivestiamo di Cristo, siamo consepolti con il Figlio di Dio e diventiamo membra di quel beato capo (Cf. Rm 6, 1; Gal 3, 27). Quindi noi dobbiamo non solamente rispettarli più che principi e re, ma venerarli più dei nostri genitori. Questi infarti ci hanno generati dal sangue e dalla volontà della carne (Cf. Gv 1, 13); quelli invece ci fanno nascere figli di Dio; essi sono gli strumenti della nostra beata rigenerazione, della nostra libertà e della nostra adozione nell'ordine della grazia».

(176) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 29: l.c., 704; Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 16; PAOLO VI, Lett. Enc. Sacerdotalis coelibatus (24 giugno 1967), 14: AAS 59 (1967), 662; C.I.C., can. 277, § 1.

(177) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett enc. Veritatis splendor (6 agosto 1993), 22b.c.: AAS 85 (1993), 1151.

(178) Cf. CONC. ECUM. VAT. II Decr. Optatam totius, 10; C.I.C, can. 247, § 1; CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (19 marzo 1985), 48; Orientamenti educativi per la formazione al celibato sacerdotale (11 aprile 1974), n. 16.

(179) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 16; GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 1979 Novo incipiente (8 aprile 1979), 8: AAS 71 (1979) 405-409; Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 29: l.c., 703-705; C.I.C., can. 277, § 1.

(180) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 16a; PAOLO VI, Lett. enc. Sacerdotalis caelibatus (24 giugno 1967) 14: AAS 59 (1967), 662.

(181) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 16c; C.I.C., cann. 1036; 1037.

(182) Cf. Pontificale Romanum - De ordinatione Episcopi; Presbyterorum et Diaconorum, cap. III, n. 228, Ed. typica altera, 1990, p. 134; GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 1979 Novo incipiente (8 aprile 1979), 9: AAS 71 (1979), 409-411.

(183) Cf. SINODO DEI VESCOVI, Documento Ultimis temporibus, (30 novembre 1971), II, I, 4c: AAS 63 (1971), 916-917.

(184) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 16b.

(185) Cf. Ibid.

(186) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 29: l.c., 703-705

(187) S. CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi per la formazione al celibato sacerdotale, (11 aprile 1974), n. 16.

(188) Per l'interpretazione di questi testi, Cf. CONC. DI ELVIRA, (a. 300-305) cann. 27, 33: BRUNS HERM., Canones Apostolorum et Conciliorum saec. IV-VII II, 5-6; CONC. DI NEOCESAREA (a. 314), can. 1: Pont. Commissio ad redigendum CIC Orientalis, IX, 1/2, 74-82; CONC. ECUM. NICENO I (a. 325), can. 3: Conc. Oecum. Decr., 6; SINODO ROMANO (a. 386): ibid., (in Conc. di Telepte), 58-63; CONC. DI CARTAGINE (a. 390): Concilia Africae a. 345-525, CCL 149, 13. 133ss; CONC. TRULLANO (a. 691), cann. 3, 6, 12, 13, 26, 30, 48: Pont Commissio ad redigendum CIC Orientalis, IX, I/1, 125-186; SIRICIO, decretale Directa (a. 386): PL 13, 1131-1147; INNOCENZIO I, lett. Dominus inter (a. 405): BRUNS cit. 274-277; S. LEONE MAGNO, lett. a Rusticus (a. 456): PL 54, 1191. EUSEBIO DI CESAREA, Demonstratio Evangelica, 1 9: PG 22, 82 (78-83) - EPIFANIO DI SALAMINA, Panarion, PG 41, 868. 1024; Expositio Fidei, PG 42, 822-826.

(189) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera a tutti i sacerdoti della Chiesa in occasione del Giovedì Santo 1993 (8 aprile 1993): AAS 85 (1993), 880-883; per ulteriori approfondimenti, Cf. Solo per amore, riflessioni sul celibato sacerdotale, a cura della Congregazione per il Clero, Ed. Paoline, 1993; Identità e missione del Sacerdote, a cura di G. PITTAU - C. SEPE, Ed. Città Nuova 1994.

(190) S. GIOVANNI CRISOSTOMO, De Sacerdotio, VI, 2: PG 48, 679: «L'anima del sacerdote deve essere più pura dei raggi del sole, affinché lo Spirito Santo non lo abbandoni e affinché possa dire: Vivo non già io, ma vive in me Cristo (Gal 2, 20). Se gli anacoreti del deserto, lontani dalla città e dai pubblici ritrovi e da ogni strepito proprio di quei luoghi, godendo pienamente il porto e la bonaccia, non s'inducono a confidare nella sicurezza di quella loro vita, ma aggiungono infinite altre attenzioni, munendosi da ogni parte e studiandosi di fare o dire ogni cosa con grande diligenza, per potersi presentare al cospetto di Dio con fiducia e intatta purezza, per quanto è possibile alle umane facoltà; qual forza e violenza ti pare che sarà necessaria al sacerdote, per sottrarre l'anima sua ad ogni macchia e serbarne intatta la spirituale bellezza? A lui occorre certamente purezza maggiore che ai monaci. E tuttavia, proprio lui, che ne ha maggior bisogno, è esposto a maggiori occasioni inevitabili, nelle quali può essere contaminato, se con assidua sobrietà e vigilanza non renda l'anima sua inaccessibile a quelle insidie».

(191) Cf. C.I.C., Can. 277, § 2.

(192) Cf. ibid., can. 277, § 3.

(193) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 16c.

(194) Cf. PAOLO VI, Lett. enc. Sacerdotalis caelibatus (24 giugno 1967), 79-81: AAS 59 ( 1967) 688-689; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 29: l.c., 703-705.

(195) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 15c; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 27:l.c., 700-701.

(196) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Veritatis splendor (6 agosto 1993), 31, 32, 106: AAS 85 (1993), 1159-1160; 1216.

(197) Cf. C.I.C., can. 274, § 2

(198) Cf. C.I.C., can. 273.

(199) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 23a.

(200) Cf. Ibid., 27a; C.I.C., can. 381, § 1.

(201) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Christus Dominus, 2a; Cost. dogm. Lumen gentium, 22b; C.I.C., can. 333, § 1.

(202) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Sacrae disciplinae leges (25 gennaio 1983): AAS 75 (1983) Pars II, XIII; Discorso ai partecipanti al Symposium internationale «Ius in vita et in missione Ecclesiae», (Vaticano 23 aprile 1993), in «L'Osservatore Romano», 25 aprile 1993, p. 4.

(203) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Sacrae disciplinae leges (25 gennaio 1983): AAS 75 (1983) Pars II, XIII.

(204) Cf. C.I.C., cann. 392.

(205) Cf. CONC. ECUM.. VAT. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 7.

(206) Ibid., 10.

(207) C.I.C., cann. 838.

(208) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 22.

(209) Cf. C.I.C., can. 846, § 1.

(210) Cf. S. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Lettera circolare Omnis Christifideles (25 gennaio 1973), 9.

(211) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera al Card. Vicario di Roma (8 settembre 1982): «L'Osservatore Romano», 18-19 ottobre 1982.

(212) Cf. PAOLO VI, Allocuzioni al clero (17 febbraio 1969; 17 febbraio 1972; 10 febbraio 1978): AAS 61 (1969), 190; 64 (1972), 223; 70 (1978), 191; GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai sacerdoti in occasione del Giovedì Santo 1979 Novo incipiente (7 aprile 1979), 7: AAS 71, 403-405; Allocuzioni al clero (9 novembre 1978; 19 aprile 1979): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, I (1978), 116; II (1979), 929.

(213) C.I.C., can 284.

(214) Cf. PAOLO VI, Motu Proprio Ecclesiae Sanctae, 1, 25, 2d: AAS 58 (1966), 770; S. CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Lettera circolare a tutti i Rappresentanti Pontifici Per venire incontro (27 gennaio 1976); S. CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Lettera circolare The document (6 gennaio 1980): «L'Osservatore Romano» suppl., 12 aprile 1980.

(215) Cf. PAOLO VI, Catechesi nell'Udienza generale del 17 settembre 1969, Allocuzione al clero (1 marzo 1973): Insegnamenti di Paolo VI, VII (1969), 1065; XI (1973), 176.

(216) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 17a.d; 20-21.

(217) Cf. Ibid., 17a.c; GIOVANNI PAOLO II, Catechesi nell'Udienza generale del 21 luglio 1993, n. 3: «L'Osservatore Romano», 22 luglio 1993.

(218) Cf. C.I.C., can. 286; 1392.

(219) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 17d.

(220) Cf. Ibid., 17c; C.I.C., cann. 282; 222, § 2; 529, § 1.

(221) Cf. C.I.C., can. 282, § 1.

(222) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 17d.

(223) Cf. ibid., 17e.

(224) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Catechesi nell'Udienza generale del 30 giugno 1993: «L'Osservatore Romano», 30 giugno - 1· luglio 1993.

(225) Cf. CONC. ECUM. VAT II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 18b.

(226) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 70: l.c., 778-782.

(227) Cf. ibid.

(228) Cf. ibid., 79: l.c., 797.

(229) Cf. C.I.C., can. 279.

(230) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 76: l.c., 793-794.

(231) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 3.

(232) Cf. CONC. ECUM VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 19; Decr. Optatam totius, 22; C.I.C., can. 279, § 2; CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (19 marzo 1985), 101.

(233) C.I.C., can. 279, § 3.

(234) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991), 57: AAS 83 (1991), 862-863.

(235) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 79: l.c., 797.

(236) Cf. ibid.

(237) Cf. ibid.

(238) Cf. ibid.

(239) Cf. ibid.; CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Optatam totius 22; Decr. Presbyterorum Ordinis, 19C.

(240) Cf. PAOLO VI, Lett. ap. Ecclesiae Sanctae (6 agosto 1966), I, 7: AAS 58 (1966), 761; S. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Lett. circolare ai Presidenti delle Conferenze episcopali Inter ea (4 novembre 1969), 16: AAS 62 (1970), 130-131; CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (19 marzo 1985), 63; 101; C.I.C., can. 1032, § 2.

(241) Cf. CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Ratio Fondamentalis Institutionis Sacerdotalis (19 marzo 1985), 63.

(242) C.I.C., Can. 276, § 2, 4·, Cf. Cann. 533, § 2; 550, § 3.

(243) Cf. CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (19 marzo 1985), 101.

(244) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 70: l.c., 778-782.

(245) CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 8.

(246) Cf. ibid.

(247) C.I.C., can. 278, § 2; Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 8.

(248) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 8; C.I.C., can. 278, § 2; GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis, 81: l.c., 799-800.

(249) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Christus Dominus, 16d.

(250) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 79: l.c., 797.

(251) Cf. ibid.: l.c., 797-798.

(252) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. Optatam totius, 22; CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis, (19 marzo 1985), 101.

(253) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 79: l.c., 796-798.

(254) Cf. ibid., 76: l.c., 793-794.

(255) Cf. C.I.C., Cann. 972, 972.

(256) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 77: l.c., 794 795.

(257) Ibid.: l.c., 794.

(258) Ibid.

(259) Ibid.

(260) Ibid., 41: l.c., 727.

(261) Ibid., 77: l.c., 794.

(262) Cf. ibid., 74: l.c., 791.

(263) Ibid.

(264) Cf. ibid., 82: l.c., 800.

(265) Ibid., 82: l.c., 801.

(266) CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 65.

(267) GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, 82: l.c., 803-804.

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