The Holy See
back up
Search
riga

CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA
E LE SOCIETÁ DI VITA APOSTOLICA

Giornata della vita consacrata
Basilica di San Pietro, 2 febbraio 2008

Omelia di Sua Eminenza Rev.ma il Signor Cardinale Franc Rodé, C.M.
Prefetto
della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata
e le Società di vita apostolica

 

Testimoni della grande speranza

Il Servo di Dio Giovanni Paolo II, fissando al 2 febbraio la celebrazione della Giornata della vita consacrata, e ne ha indicati i motivi: il bisogno di lodare e ringraziare il Signore per questo “stupendo dono”; di promuoverne la conoscenza e la stima nel popolo di Dio; e infine di aiutare le persone consacrate a prendere sempre più coscienza della bellezza della loro vocazione e della loro insostituibile missione nella Chiesa e nel mondo. Cari fratelli e sorelle, queste ragioni sono oggi presenti nella nostra mente e nel nostro cuore, ma è soprattutto l’inno di lode e di ringraziamento che, in questa solenne celebrazione, eleviamo al Signore in unione di spirito con tutte le persone consacrate del mondo e tutto il popolo di Dio

Giovanni Paolo II spiegava anche la ragione che lo spinse a scegliere questa data. La Presentazione al Tempio - che manifesta l’atteggiamento profondo del Figlio, permanentemente rivolto e totalmente donato al Padre - è la perfetta icona della vostra vita, fratelli e sorelle consacrati; mette chiaramente in luce l’ispirazione, il fondamento e, direi, l’atteggiamento di oblazione costante che avete assunto con la professione dei consigli, quando avete accettato di condividere i “tratti caratteristici di Gesù” (VC 1) e, come Lui, vi siete messi incondizionatamente nelle mani del Padre (LG 44a) diventando, in certo qual modo, prolungamento, vivente nella storia, del modo di esistere e di agire del Signore (VC 22).

La crisi di speranza che la umanità sta attraversando, dopo il fallimento del mito del progresso e delle pretese delle ideologie materialiste, sollecita noi credenti a tenere viva e alta la fiaccola della speranza che in Cristo trova il suo indistruttibile fondamento. Il Santo Padre Benedetto XVI ha colto questa esigenza e, con il dono della splendida enciclica Spe Salvi, ci aiuta ad approfondirne la natura, il fondamento, le dimensioni e, insieme, i luoghi di apprendimento e di esercizio.

In forza della sua scelta, che ha Cristo come contenuto centrale, la vita consacrata diventa espressione significativa della speranza cristiana e, perciò, particolarmente abilitata a testimoniarla. L’icona evangelica della Presentazione al Tempio ci ricorda come il vecchio Simeone vede nel Bambino il Messia, oggetto di tutte le speranze dei popoli e compimento della salvezza di Israele. Gesù è il compimento della speranza; è il dono di salvezza. Con questa intuizione, il santo vegliardo porta a piena conclusione il cammino di fede di tutto l’Antico Testamento. Andando ben oltre le attese dei suoi contemporanei che ponevano la salvezza nella restaurazione del regno di Davide e, dunque, nel semplice prolungamento o ampliamento delle aspettative o speranze terrene, egli, illuminato dallo Spirito, capisce e vede che la speranza e la salvezza di Israele non sta nelle imprese attribuite al Messia, ma nella sua persona, e questa persona è il Bambino che egli stringe tra le braccia. Gesù è il vero contenuto della speranza, Gesù è il dono della salvezza. È lui, dunque, il “regno” predetto dai profeti. Chi accoglie Gesù corona tutte le sue speranze, raggiunge la pienezza della vita, diventa egli stesso regno di Dio e vive con Lui la vita eterna. In Lui l’amore di Dio, l’Amore che è Dio, ci viene donato e offerto; nell’accoglienza e nella comunione con Lui raggiungiamo la vita piena e partecipiamo la gioia senza fine.

Anche oggi, questa suprema rivelazione non viene accolta. L’uomo pone la sua speranza nei beni di questo mondo, nei progressi della scienza e nell’evoluzione automatica della umanità. Si tratta, però, di “piccole speranze” che, certamente, ognuno può coltivare perché lo incoraggiano nei suo impegno e lo aiutano a procedere nel cammino, ma non possono costituire la “grande speranza”, quella che risponde al bisogno di vita perenne e di amore indistruttibile. Chi vuol vivere per sempre non può essere soddisfatto da ciò che è destinato a morire. Eppure gli uomini continuano a porre la loro speranza nell’ampliamento dei propri orizzonti e nel prolungamento delle proprie aspettative terrene. Il salto di qualità che caratterizza la speranza cristiana, che consiste nel passaggio dall’incontro e dal possesso dei beni terreni all’incontro e al possesso di Dio, molto spesso non viene recepito: gli stessi credenti continuano a confondere, non di rado, il regno di Davide (beni terreni) con il regno di Dio (comunione con Dio).

Negli ultimi tempi abbiamo assistito ad una rivalutazione costante dei valori mondani soprattutto umani, fino a renderli assoluti e a pretenderli definitivi. Forse è l’ultimo sforzo della “modernità” che, con la pretesa di assolutizzare l’uomo, lo ha reso incomprensibile a se stesso, lasciando in eredità un “pensiero debole”, incapace di conoscere la verità.

Il credente non solo aspetta la pienezza della vita, ma la pregusta in Cristo che, risorto, «ci ha ormai comunicato la ‘sostanza’ delle cose future» (SS 11). Questo anticipato possesso di vita eterna, libera il credente dalla paura e lo rende capace di affrontare anche le avversità più grandi che, prima o poi, dimostrano caduche tutte le aspirazioni che restano racchiuse dentro orizzonti terreni. Nemmeno la morte può vincere la speranza cristiana, perché Colui che la fonda e la realizza ha definitivamente vinto tutti i nemici, morte compresa.

Il Santo Padre ricorda esplicitamente come la suprema libertà, che la speranza cristiana infonde nel credente, si è in modo particolare rivelata nel martirio, ma anche in tutti coloro che, durante la storia, hanno rinunciato a tutto per seguire Cristo, «a partire dai monaci dell’antichità fino a Francesco di Assisi e alle persone del nostro tempo che, nei moderni Istituti e movimenti religiosi, per amore di Cristo hanno lasciato tutto per portare agli uomini la fede e l’amore di Cristo» (SS 8). Il Papa, poi, aggiunge: «per noi che guardiamo queste figure, questo loro agire e vivere è di fatto una ‘prova’ che le cose future, la promessa di Cristo non è soltanto una realtà attesa, ma una vera presenza» (SS 8). Le persone alle quali il Papa fa riferimento siamo noi consacrati. Siamo noi ad essere chiamati ad una testimonianza visibile e credibile della “grande speranza” di cui la Chiesa è portatrice e di cui gli uomini hanno bisogno per non restare imprigionati nel proprio piccolo orizzonte e rassegnarsi, alla fine, al fallimento della morte.

Il periodo di difficoltà che sta attraversando la vita consacrata non ci può far dimenticare che, dopo Gesù, l’incomprensione, la debolezza, l’emarginazione e la morte stessa, diventano luoghi in cui fermenta la vita. Sono questi i momenti in cui siamo chiamati a rendere più trasparenti gli atteggiamenti che costituiscono le strutture portanti della sequela evangelica: la fiducia in Dio e il dono di sé. È nella prova che siamo chiamati a rendere più evidente la scelta radicale che abbiamo fatto. Già Giovanni Paolo II aveva ricordato «che a ciascuno è richiesto non tanto il successo, quanto l’impegno della fedeltà... La sconfitta della vita consacrata, non sta nel declino numerico, ma nel venir meno dell’adesione spirituale al Signore e alla propria vocazione e missione» (VC 63). Per il resto sappiamo che «la Chiesa non può assolutamente rinunciare alla via consacrata» (VC 105) e al suo «insostituibile contributo alla trasfigurazione del mondo» (VC 110), perché, come diceva Paolo VI, è la missione stessa della Chiesa che verrebbe ad essere compromessa (ET 3). Già Santa Teresa, edotta dallo stesso Signore e pur prendendo atto che gli Istituti non erano affatto fiorenti, aveva scritto: «Che sarebbe del mondo se non vi fossero i religiosi?» (Vita 32, 1i). Benedetto XVI, riportando un pensiero di San Bernardo e di un antico scrittore ecclesiastico sulla responsabilità dei monaci per l’intero organismo della Chiesa, afferma: «Il genere umano vive grazie a pochi; se non ci fossero quelli il mondo perirebbe» (SS 15). Il Concilio, a sua volta, ha solennemente affermato che la vita consacrata «appartiene irremovibilmente (inconcusse) alla vita e alla santità della Chiesa» (LG 44 ). Questo significa, aggiunge Giovanni Paolo II, che essa «non potrà, mai mancare alla Chiesa come un suo elemento irrinunciabile e qualificante» (VC 29). Per questo la vocazione alla vita consacrata... nonostante le sue rinunce e le sue prove, ed anzi in forza di esse, è cammino “di luce”, sul quale veglia lo sguardo del Redentore: “Alzatevi e non temete” (VC 40).

Lasciando tutto per seguire Cristo, voi consacrati e consacrate, in modo particolare, siete chiamati a diventare parabola concreta e profezia esistenziale dell’impotente onnipotenza di un «amore eterno ed infinito che tocca le radici dell’essere» e conquista le persone (VC 18b), dimostrazione e prova della «preminente grandezza della virtù di Cristo regnante e della infinita potenza dello Spirito Santo mirabilmente operante» (LG 44c). La Chiesa ha costante bisogno di questi testimoni, perché il messaggio che annuncia la certezza assoluta dell’amore che salva sia reso “visibile”. I consacrati, proprio perché hanno scelto Dio come loro unica eredità e spendono la vita a cercarne il volto, rendono palese testimonianza della grande speranza e diventano ministri della speranza degli altri (cfr. VC, 34).

La testimonianza profetica della vita consacrata e, forse, la più necessaria per la Chiesa di oggi, è proprio quella di proclamare il primato assoluto dell’amore di Dio e, insieme, mantenere vivo e visibile il desiderio dell’incontro definitivo con Lui. Un desiderio che esprime il dinamismo più intimo della Chiesa-Sposa che cerca il suo Signore e, allo stesso tempo, dà la misura del suo amore e della sua fedeltà. S. Paolo scrive: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù. Dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 3,1). Egli non fa una esortazione, esprime piuttosto una constatazione: chi è risorto, cerca le cose di lassù. Il segno che si è entrati nella vita nuova e la si vive è tenere viva come una fiamma la “grande speranza”. Ebbene, sono i consacrati che, in forza delle loro rinunce radicali per “vivere di Dio solo”, sono chiamati non solo a tenere accesa questa fiamma, ma anche a renderla manifesta. È un servizio che la Chiesa si aspetta da loro e di cui i cristiani, continuamente assillati dalle preoccupazioni di questo mondo, hanno particolarmente bisogno per non rischiare di disperdersi e restare prigionieri di beni che periscono.

Concludiamo queste riflessioni ispirate alla enciclica sulla speranza, elevando la mente e il cuore a Colei che la Chiesa invoca come “Stella del mare”. «La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ce ne indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine, di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata. Ebbene, quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza...?» (SS 49).

«Santa Maria, Madre di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare ed amare con te. Indicaci la via verso il suo regno, Stella dei mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino!» (SS 50).

         

top