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LA VITA RELIGIOSA NELL'INSEGNAMENTO DELLA CHIESA
I SUOI ELEMENTI ESSENZIALI NEGLI ISTITUTI DEDITI ALLE OPERE DI APOSTOLATO

INTRODUZIONE

1.Il rinnovamento della vita religiosa in questi ultimi venti anni, sotto molti aspetti è stato un'esperienza di fede. Sono stati fatti tentativi coraggiosi e generosi per ricercare con profondo spirito di preghiera che cosa significhi vivere una vita consacrata in sintonia con il vangelo, con il carisma originario di un istituto religioso e con i segni del nostro tempo.

Gli istituti religiosi dediti alle opere di apostolato hanno cercato inoltre di adeguarsi ai mutamenti dovuti a varie cause. Si pensi, ad esempio, al rapido evolversi della società alla quale si rivolge l'azione dei religiosi e allo sviluppo dei mezzi di comunicazione sociale che condizionano, in modo positivo o negativo, la loro opera evangelizzatrice.

Al tempo stesso, gli istituti si sono trovati nella necessità di fronteggiare repentini mutamenti all'interno delle proprie comunità: l'elevarsi dell'età media, la scarsità delle vocazioni il progressivo diminuire dei membri, il pluralismo nello stile di vita e nelle opere e, spesso, l'incertezza sulla propria identità. Tutti questi elementi hanno creato una situazione complessa che presenta molti aspetti positivi, ma anche non trascurabili problemi.

2.Attualmente, al termine del periodo delle sperimentazioni straordinarie previste dal Motu Proprio «Ecclesiae Sanctae» (II), molti istituti religiosi dediti alle opere di apostolato stanno verificando la propria esperienza. Approvato il nuovo testo delle Costituzioni ed entrato in vigore il nuovo Codice di Diritto Canonico, essi si avviano verso una nuova fase della loro storia.

In questo momento di rilancio, sentono rivolto a se stessi l'appello pastorale ribadito più volte dal Santo Padre Giovanni Paolo II «a valutare, con umile obiettività, gli anni di sperimentazione, riconoscendone gli elementi positivi e le deviazioni» (discorso all'Unione Internazionale delle Superiore Generali 1979; ai Superiori Maggiori dei Religiosi e delle Religiose in Francia, 1980).

Superiori religiosi e Capitoli hanno chiesto a questa Sacra Congregazione alcune direttive per valutare il recente passato e guardare al futuro. La stessa richiesta è stata inoltrata anche da Vescovi in quanto particolarmente responsabili della promozione della vita religiosa.

Di fronte ai molti e importanti sviluppi della situazione, per mandato del Santo Padre, la Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari ha redatto il presente testo che raccoglie principi e norme fondamentali. Suo intento è di offrire, in un momento particolarmente significativo e opportuno, una sintesi chiara dell'insegnamento della Chiesa sulla vita religiosa.

3.Questo insegnamento è già stato formulato di recente nei grandi documenti del Concilio Vaticano II, soprattutto « Lumen Gentium », « Perfectae Caritatis », « Ad Gentes ». Successivamente è stato sviluppato nell'Esortazione Apostolica «Evangelica Testificatio» di Paolo VI, nelle allocuzioni del Pontefice Giovanni Paolo II e, ancora, nei documenti di questa Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari. Si possono ricordare al riguardo, in modo particolare: «Mutuae Relatíones», «Religiosi e Promozione Umana», «La dimensione contemplativa della vita religiosa». Infine, le ricchezze dottrinali si trovano riassunte ed espresse nel nuovo Codice di Diritto Canonico.

Tutti questi testi affondano le radici nel ricco patrimonio dell'insegnamento preconciliare, approfondiscono e perfezionano una teologia della vita religiosa elaborata con coerenza nel decorso dei secoli.

4.La vita religiosa è una realtà sia storica che teologica. La esperienza vissuta, oggi come nel passato, è varia, e ciò costituisce un dato importante. Al tempo stesso, l'esperienza è una realtà che necessita di essere sempre verificata in rapporto al fondamento evangelico, al magistero della Chiesa e alle costituzioni approvate di un istituto.

La Chiesa ritiene essenziali alcuni elementi, senza i quali non si dà la vita religiosa: la chiamata di Dio e la consacrazione a lui mediante la professione dei consigli evangelici con voti pubblici; una forma stabile di vita comunitaria. Per gli istituti dediti alle opere di apostolato si aggiunge pure una partecipazione alla missione di Cristo mediante un apostolato comunitario, fedele al particolare carisma originario e alla sana tradizione. Essenziali per la vita di tutti i religiosi sono ancora: la preghiera comunitaria e personale, la pratica ascetica; la testimonianza pubblica; un rapporto specifico con la Chiesa; la formazione permanente; una forma di governo che esiga un'autorità religiosa basata sulla fede.

Mutamenti sia storici che culturali possono determinare una evoluzione nella realtà vissuta; ma le forme e l'orientamento di tale evoluzione sono determinati dagli elementi essenziali. Privata di questi ultimi la vita religiosa perde la propria identità.

Con il presente testo, la Sacra Congregazione si limita a chiarire e a ribadire questi elementi essenziali per gli istituti dediti alle opere di apostolato.

I.

LA VITA RELIGIOSA: UNA FORMA PARTICOLARE DI CONSACRAZIONE A DIO

5.Alla base della vita religiosa c'è la consacrazione. Insistendo su questo principio, la Chiesa pone l'accento sull'iniziativa di Dio e sul diverso e nuovo rapporto con Lui che la vita religiosa comporta.

La consacrazione è un'azione divina: Dio chiama una persona, la riserva per se affinché si dedichi a lui in modo particolare. Al tempo stesso egli conferisce la grazia in modo che nella consacrazione la risposta dell'uomo si esprima mediante un profondo e libero abbandono di tutto se stesso.

Il nuovo rapporto che ne deriva è puro dono. E' un'alleanza di mutuo amore e fedeltà, di comunione e missione stabilita per la gloria di Dio, la gioia della persona consacrata e la salvezza del mondo.

6.Gesù è colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo in modo supremo (cfr. Gv 10, 36). In lui si riassumono tutte le consacrazioni dell'antica Legge, nelle quali era prefigurata la sua, e in lui è consacrato il nuovo popolo di Dio, d'ora innanzi misteriosamente unito a lui.

Mediante il battesimo Gesù fa partecipe della sua vita ogni cristiano. Ognuno è santificato nel Figlia Ognuno è chiamato alta santità. Ognuno è inviato per continuare la missione di Cristo ed è reso capace di crescere nell'amore e nel servizio del Signore. Questo dono battesimale è la consacrazione cristiana fondamentale in cui affondano le radici di ogni altra consacrazione.

7.Gesù visse la sua consacrazione come Figlio di Dio: dipendente dal Padre, amandolo al di sopra di tutto, nell'oblazione totale alla sua volontà.

Questi aspetti della sua vita di Figlio sono partecipati a tutti i cristiani. Ad alcuni, tuttavia, per il bene di tutti, Dio dà il dono di una più intima sequela di Cristo nella sua povertà, castità e obbedienza. Ciò avviene mediante una professione pubblica dei consigli evangelici di cui è mediatrice la Chiesa.

Questa professione, a imitazione di Cristo, riflette una «consacrazione del tutto speciale che ha le sue profonde radici nella consacrazione battesimale e ne è un'espressione più piena» (PC 5). Il termine «più piena» richiama l'assunzione della natura umana da parte della persona divina del Verbo e postula una risposta conforme a quella di Gesù: una dedizione di se stesso a Dio secondo un modo che egli solo rende possibile e che testimonia la sua santità e il suo assoluto.

Una tale consacrazione è un dono di Dio: una grazia liberamente elargita.

8.Tale consacrazione mediante la professione dei consigli evangelici, qualora sia affermata come una risposta definitiva a Dio in un impegno pubblico assunto davanti alla Chiesa, appartiene indiscutibilmente alla vita e alla santità della Chiesa (cfr. LG 44). E' la Chiesa che autentica il dono ed è mediatrice della consacrazione.

Il cristiano, così consacrato, cerca di vivere ora quello che sarà nella vita futura e « manifesta meglio a tutti i credenti i beni celesti già presenti in questo mondo» (LG 44). In tale maniera i religiosi «testimoniano in modo splendido e singolare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini» (LG 31).

9.L'unione con Cristo, mediante la consacrazione vissuta secondo i consigli evangelici, può essere realizzata nel cuore del mondo, tradotta nelle opere del mondo, espressa con i mezzi del mondo. È questa, la particolare vocazione degli istituti secolari, definiti da Pio XII «consacrati a Dio e agli altri» nel mondo «mediante i mezzi del mondo» (Primo Feliciter, V e II).

Di per se i consigli evangelici non separano necessariamente dal mondo. Di fatto è un dono di Dio alla Chiesa che la consacrazione mediante la professione dei consigli possa essere vissuta anche nella forma di lievito nascosto nella massa. I cristiani che abbracciano tale consacrazione, continuano l'opera di salvezza comunicando l'amore di Cristo con la loro presenza nel mondo e operando la sua santificazione con il viverci al suo interno.

Il loro stile di vita e di presenza non differisce da quello degli altri cristiani. La loro testimonianza è data nell'ambiente ordinario di vita. Questa forma discreta di testimonianza emana dalla natura stessa della loro vocazione e fa parte del modo specifico con cui la loro consacrazione dev'essere vissuta (cfr. PC 11).

10. Non è tuttavia questa la condizione di coloro che sono costituiti religiosi dalla consacrazione mediante la professione dei consigli evangelici. La natura stessa della vocazione religiosa comporta una testimonianza pubblica sia a Cristo che alla Chiesa.

La professione religiosa si attua tramite voti che la Chiesa riceve come pubblici. Una forma stabile di vita comunitaria in un istituto eretto canonicamente dalla competente autorità ecclesiastica manifesta in modo aperto l'alleanza e la comunione che la vita religiosa vuole esprimere. Un certo distacco dalla famiglia e dalla vita professionale, con l'inizio del noviziato, evidenzia l'assoluto di Dio.

Allo stesso tempo, questo distacco dà vita a un nuovo e più profondo vincolo, in Cristo, con la famiglia che si è lasciata. Questo vincolo tanto più si rafforza, quanto più il distacco da relazioni occupazioni e diversivi, altrimenti legittimi, continua a riflettere in modo pubblico l'assoluto di Dio per tutta la vita.

Un altro aspetto della natura pubblica della consacrazione lo abbiamo nell'apostolato: in un certo senso esso è sempre comunitario, corporativo. La presenza dei religiosi, inoltre, è visibile: si manifesta nel loro modo di agire, di vestire e nello stile di vita.

11. La consacrazione religiosa è vissuta in un dato istituto, in conformità alle costituzioni che la Chiesa, con la sua autorità, accetta e approva: in accordo, pertanto, con particolari disposizioni che riflettono e approfondiscono un'identità specifica. Tale identità emana da quell'azione dello Spirito Santo che costituisce il dono originario dell'istituto: il carisma che determina un particolare tipo di spiritualità, vita, apostolato, tradizione (cfr. MR 11).

Osservando le numerose famiglie religiose, si è colpiti dalla grande varietà di doni originari. Il Concilio ha posto in rilievo la necessità di incrementare tali carismi originari in quanto doni di Dio alla Chiesa (cfr. PC 2b).

Questi doni determinano la natura, lo spirito, la finalità, il carattere proprio di ogni istituto, cioè il suo patrimonio spirituale; costituiscono il fondamento del senso di identità che è un elemento chiave per salvaguardare la fedeltà di ogni religioso (cfr. ET 51).

12. Nel caso di istituti dediti alle opere di apostolato, la consacrazione religiosa ha una ulteriore caratteristica: una partecipazione specifica e concreta alla missione di Cristo. Perfectae Caritatis ricorda che la loro stessa natura richiede «l'attività apostolica e i servizi di carità» (PC 8). Per la loro stessa consacrazione, i membri di questi istituti sono dediti a Dio e disponibili alla loro missione.

La loro vocazione comporta la proclamazione attiva del vangelo tramite le «opere di carità affidate all'istituto dalla Chiesa, opere che devono essere esercitate in suo nome» (PC 8). Per questo motivo, l'attività apostolica di tali istituti non è semplicemente un impegno umano a fare del bene. Essa costituisce una azione profondamente ecclesiale» (EN 60), radicalmente fondata nel Cristo che fu inviato dal Padre per fare la «sua opera».

E' un'azione, perciò, che esprime una consacrazione da parte di Dio. Egli manda il religioso a servire Cristo nelle sue membra, in modi concreti (EN 69) e in conformità al dono originario dell'istituto (cfr. MR 15). «Tutta la vita religiosa dei membri di questi istituti sia compenetrata di spirito apostolico e tutta la loro azione apostolica sia animata da spirito religioso» (PC 8).

II.

NOTE CARATTERISTICHE

1. La Consacrazione mediante voti pubblici

13. È proprio della vita religiosa, benché non esclusivo, professare i consigli evangelici mediante voti accolti dalla Chiesa. I voti sono una risposta a un dono precedente di Dio, un dono di amore che non può essere spiegato razionalmente in modo adeguato.

E' qualcosa, infatti, che Dio stesso opera nella persona che ha scelto.

14. Come risposta al dono di Dio, i voti sono la triplice espressione di un unico «sì» al rapporto particolare di totale consacrazione. Costituiscono l'atto mediante il quale il religioso «si dona totalmente a Dio con un nuovo e speciale titolo» (LG 44). Mediante questo atto il religioso dedica gioiosamente la sua vita intera al servizio di Dio, considerando la sequela di Cristo «l'unica cosa necessaria e cercando Dio prima e al di sopra di tutto» (PC 5).

Due motivi sollecitano questa dedizione: il desiderio di essere libero da ogni impedimento che potrebbe ostacolare l'amore ardente e l'adorazione perfetta di Dio (cfr. ET 7); desiderio di una consacrazione totale per prestargli un più intimo servizio (cfr. LG 44). I voti di per sé «esprimono, d'ora innanzi, l'unione indissolubile tra Cristo e la sua sposa, la Chiesa. Più stabili e solidi sono questi vincoli, tanto più perfetta è la consacrazione religiosa del cristiano» (LG 44).

15. I singoli voti hanno una loro dimensione specifica. Essi sono, infatti, tre moli di impegnare se stesso a vivere come Cristo ha vissuto negli ambiti che abbracciano la vita intera: il possesso di beni, gli affetti, l'autonomia.

Ogni voto sottolinea un rapporto con Gesù consacrato e inviato. Egli era ricco, ma divenne povero per amore nostro annientando se stesso e non avendo dove appoggiare il capo. Egli amò con cuore indiviso, universalmente, sino alla fine. Venne a fare la volontà del Padre che lo aveva mandato e la fece costantemente, «imparando l'obbedienza attraverso la sofferenza» e divenendo causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono.

16. Il segno peculiare degli istituti religiosi si riflette nei modi con cui questi valori di Cristo sono espressi visibilmente. Pertanto, il contenuto dei voti, puntualizzato nelle costituzioni di ogni istituto, deve essere chiaro, non ambiguo.

Il religioso rinuncia a usare liberamente e a disporre dei suoi beni; dipende dal legittimo superiore dell'istituto per le sue necessità materiali; mette in comune doni e salario in quanto appartengono all'intera comunità; accetta un tenore di vita semplice e contribuisce a realizzarlo.

S'impegna a vivere la castità a nuovo titolo, quello del voto, e a viverla in un celibato consacrato per la causa del Regno. Ciò implica uno stile di vita che sia testimonianza persuasiva e palese di una castità radicalmente vissuta, con la rinuncia, pertanto, a ogni comportamento, relazione personale e diversivo incompatibili con essa.

Il religioso è impegnato a obbedire alle direttive dei legittimi superiori secondo le costituzioni dell'istituto. In virtù del voto di obbedienza, accetta pure una particolare obbedienza al Santo Padre. Gli obblighi contratti con l'istituto, compresi nei voti, includono implicitamente l'impegno a condurre la vita comune con i membri della comunità. Il religioso promette, inoltre, di conformarsi fedelmente alla natura, finalità, spirito e al carattere dell'istituto quali sono espressi nelle costituzioni, nel diritto proprio e nelle sane tradizioni. Egli si impegna infine con buona volontà á una vita di conversione radicale e permanente, quale è richiesta dal vangelo e come è specificata ulteriormente dal contenuto dei singoli voti.

17. La consacrazione mediante i consigli evangelici nella vita religiosa ispira necessariamente un sistema di vita che ha un risvolto sociale. La protesta sociale non è nel fine dei voti, ma, senza dubbio, la vita religiosa ha sempre offerto testimonianza di alcuni valori che sono una sfida per la società e che, d'altra parte, sfidano pure i religiosi.

La povertà religiosa, la castità consacrata e l'obbedienza possono parlare oggi in modo forte e chiaro al mondo, sofferente a motivo di così grande consumismo e discriminazione, erotismo e odio, violenza e oppressione (cfr RPU 15).

2. La Comunione nella Comunità

18. La consacrazione religiosa stabilisce una particolare comunione tra il religioso e Dio e, in lui, tra i membri di uno stesso istituto. Questa comunione è l'elemento basilare che costituisce l'unità della famiglia religiosa. Una tradizione condivisa da tutti; attività comuni, strutture ben ponderate, risorse messe a disposizione di tutti, costituzioni comuni e un unico spirito; tutto ciò contribuisce a costruire e a rafforzare l'unità.

Suo fondamento, tuttavia, è la comunione in Cristo stabilita dall'unico carisma originario. La comunione affonda le sue radici nella stessa consacrazione religiosa, si anima dello spirito evangelico, si nutre della preghiera, si manifesta nella generosa mortificazione e si caratterizza a motivo della gioia e della speranza che emanano dalla fecondità della croce (cfr. ET 41).

19. Per i religiosi la comunione in Cristo si esprime in un modo stabile e visibile nella vita comunitaria. È, questa, un elemento tanto importante per la consacrazione religiosa, che ogni religioso, qualunque sia il suo impegno apostolico, è obbligato a essa in forza della professione. Normalmente egli deve quindi vivere sotto l'autorità di un superiore locale in una comunità dell'istituto a cui appartiene. La vita comunitaria comporta ordinariamente anche una condivisione quotidiana di vita in conformità alle strutture specifiche e alle norme previste dalle costituzioni.

Condivisione di preghiera, lavoro, pasti e tempi di riposo, «spirito di gruppo, rapporti di amicizia, collaborazione in un medesimo apostolato, sostegno vicendevole in una comunanza di vita, scelta per un migliore servizio del Cristo, sono altrettanti coefficienti preziosi di questo cammino quotidiano» (ET 39). Una comunità unita come una vera famiglia nel nome del Signore, gode della sua presenza (cfr. Mt 18, 25) tramite l'amore di Dio elargito dallo Spirito Santo (cfr. Rm 5, 5). La sua unità è segno della venuta di Cristo ed è fonte di grande energia apostolica (cfr. PC 15).

In una simile comunità la vita consacrata può prosperare nelle condizioni ottimali (cfr. ET 38) e vi è assicurata la formazione permanente dei membri. La capacità di vivere la vita comunitaria con le sue gioie e i suoi limiti è una qualità che distingue una vocazione religiosa per un dato istituto ed è un importante elemento di giudizio per riconoscere l'opportunità di accettare un candidato.

20. La comunità locale è il luogo dove la vita religiosa è vissuta in prevalenza; essa deve perciò essere organizzata in modo tale da rendere evidenti i valori religiosi.

Suo centro è l'Eucaristia. I membri della comunità vi partecipano, per quanto possibile, ogni giorno. Essa è venerata in un oratorio dove possa aver luogo la celebrazione eucaristica e dove venga pure conservato il Santissimo (cfr. ET 48). La preghiera quotidiana in comune, basata sulla parola di Dio, in unione con la preghiera della Chiesa, soprattutto la liturgia delle Ore, è un sostegno ulteriore della vita comune. A questa contribuisce pure una più intensa preghiera a ritmo fisso settimanale e mensile, nonché il ritiro annuale.

Per la vita religiosa è anche importante ricevere frequentemente il sacramento della riconciliazione. Oltre all'aspetto personale del perdono di Dio e del suo amore rinnovante da parte del singolo, il sacramento rafforza lo spirito di comunione mediante il suo potere di riconciliazione ed esprime pure un vincolo speciale con la Chiesa.

In conformità al diritto proprio dell'istituto, sia riservato ogni giorno uno spazio per la preghiera del singolo e per una buona lettura spirituale. Così pure siano offerti mezzi per un approfondimento delle devozioni particolari dell'istituto, in modo speciale a Maria, Madre di Dio.

I religiosi portino nella preghiera tutte le necessità dell'istituto e abbiano un particolare ricordo affettuoso per i membri che il Padre ha già chiamato da questa vita. Incrementare questi valori essenziali alla vita comunitaria e assicurare le condizioni indispensabili per promuoverli, è responsabilità di tutti i membri, ma in modo particolare del superiore locale (cfr. ET 26).

21. Lo stile della vita comunitaria corrisponderà alla forma di apostolato in cui i membri sono impiegati, alla cultura e alla società in cui si svolge tale impegno. Il genere stesso di apostolato potrà determinare l'entità e il luogo d'insediamento della comunità, le sue esigenze particolari, il suo tenore di vita. Ma, qualunque esso sia, la famiglia religiosa cercherà di vivere in semplicità e in sintonia con le norme stabilite a livello di istituto e di provincia, applicate alle sue esigenze peculiari.

Sarà importante integrare, nel suo tenore di vita, l'ascesi propria della consacrazione religiosa. La comunità provvederà alle necessità dei suoi membri secondo le sue risorse, sempre considerando le responsabilità nei riguardi dell'intero istituto e dei poveri.

22. Di fronte all'importanza cruciale della vita comunitaria, va notato che la sua qualità è condizionata, in modo positivo o negativo, da due fattori: la diversità dei membri e la diversità delle opere. Si allude con ciò alla diversità del Corpo di Cristo, per riprendere un'immagine di San Paolo, o a quella del popolo peregrinante di Dio, secondo un'immagine del Concilio. In entrambi i casi, la diversità costituisce una varietà di doni che deve arricchire un'unica realtà. Il criterio per accettare in un istituto religioso sia i futuri membri che eventuali opere è, pertanto, ciò che costituisce unità (ME 12).

Il problema, sul piano pratico è il seguente: i doni di Dio in questa persona o progetto o gruppo, producono unità e approfondiscono la comunione? Se sì, possono essere bene accolti. In caso contrario, quantunque buoni possano apparire in se stessi e quantunque desiderabili possano sembrare ad alcuni membri, essi non sono adatti per questo particolare istituto.

E' un errore il cercare di far rientrare ogni cosa nel carisma originario. Un dono che verrebbe virtualmente a separare un membro dalla comunione di vita della comunità non può essere incoraggiato. Come pure non è saggio tollerare linee di sviluppo molto divergenti che non offrano un saldo fondamento di unità nell'istituto.

La diversità che non genera divisione e l'unità aliena da uniformità sono una ricchezza e una sfida che incrementano la comunione e la preghiera, la gioia e il servizio quale testimonianza della realtà di Cristo. E' una particolare responsabilità dei superiori e di quanti sono preposti alla formazione, assicurare che le differenze generanti disgregazione non siano erroneamente scambiate per il valore autentico della diversità.

3. La Missione Evangelica

23. Quando il Signore consacra una persona, le dona una grazia speciale affinché possa compiere la sua volontà d'amore: la riconciliazione e la salvezza del genere umano. Dio non soltanto sceglie, mette in disparte e dedica a se stesso la persona, ma la impegna nella sua propria opera divina. La consacrazione inevitabilmente comporta la missione. Sono due aspetti, questi, di una unica realtà.

La scelta di una persona, da parte di Dio, è per il bene degli altri: la persona consacrata è un «inviato» per l'opera di Dio, nella potenza di Dio. Gesù stesso fu chiaramente consapevole di ciò. Consacrato e inviato a portare la salvezza di Dio, egli fu pienamente votato al Padre in adorazione, amore, abbandono, e totalmente dedito all'opera del Padre: la salvezza del mondo!

24. I religiosi, in forza della loro particolare forma di consacrazione, sono necessariamente e profondamente impegnati nella missione di Cristo. Come lui, essi sono chiamati per gli altri: pienamente rivolti al Padre nell'amore, per questo stesso fatto sono interamente dediti al servizio salvifico di Cristo in favore dei loro fratelli. Questo vale per la vita religiosa in tutte le sue forme.

La vita claustrale contemplativa ha una sua propria fecondità apostolica nascosta (cfr. PC 7): a tutti proclama che Dio esiste e che Dio è amore.

Il religioso dedito alle opere di apostolato prolunga nel nostro tempo la presenza di Cristo «che annuncia il Regno di Dio alle moltitudini, risana i malati e i feriti, converte i peccatori a una vita migliore, benedice i fanciulli e fa del bene a tutti, sempre obbediente alla volontà del Padre che lo ha mandato» (LG 46). Questa opera salvifica di Cristo è condivisa con opere concrete di servizio che la Chiesa affida agli istituti mediante l'approvazione delle costituzioni. Ed è questa approvazione, appunto, che qualifica il genere di servizio che viene assunto purché sia compiuto nella fedeltà al vangelo, alla Chiesa e all'istituto.

Ciò stabilisce anche dei limiti, poiché la missione del religioso è, al tempo stesso, rafforzata e ristretta dalle conseguenze della consacrazione in un particolare istituto. La natura del servizio religioso, inoltre, determina in quale modo la missione debba essere effettuata: in una profonda unione con il Signore e un'attenta sensibilità nei confronti dei tempi. A queste condizioni il religioso è in grado di «trasmettere il messaggio del Verbo incarnato in termini che il mondo sia in grado di comprendere» (ET 9).

25. Qualunque siano le opere mediante le quali la parola di Dio è trasmessa, la missione è intrapresa come una responsabilità comunitaria. E' a tutto l'istituto che la Chiesa affida questa partecipazione alla missione di Cristo che la caratterizza e che si esprime nelle opere ispirate dal carisma originario.

Questa missione corporativa non comporta che tutti i membri dell'istituto siano chiamati a fare la stessa cosa o che i doni e le qualità individuali non siano rispettati. Significa, invece, che le opere di tutti sono direttamente orientate all'apostolato comune che la Chiesa ha riconosciuto quale espressione concreta delle finalità dell'istituto. Questo apostolato comune e costante è parte delle sane tradizioni. Esso è così strettamente attinente alla sua identità, che non può essere mutato senza compromettere il carattere dell'istituto. E', pertanto, termine di confronto nella valutazione dell'autenticità delle nuove opere, sia che queste siano effettuate da un gruppo, sia da un singolo religioso.

L'integrità dell'apostolato comunitario rientra nella particolare responsabilità dei superiori maggiori. Essi devono vegliare perché l'istituto sia fedele alla sua missione tradizionale nella Chiesa e, al tempo stesso, sia aperto alle nuove possibilità di attuarla. Le opere devono essere rinnovate e rivitalizzate. Ma ciò si attui sempre nella fedeltà all'apostolato ufficialmente riconosciuto e in collaborazione con le rispettive autorità ecclesiastiche.

Tale rinnovamento sarà contrassegnato dalle quattro grandi «fedeltà» cui è dato particolare rilievo nel documento «Religiosi e promozione umana»: la fedeltà all'uomo e al nostro tempo; la fedeltà a Cristo e al vangelo; la fedeltà alla Chiesa e alla sua missione nel mondo; la fedeltà alla vita religiosa e al carisma dell'istituto (RPU 13).

26. Il singolo religioso attua la sua azione apostolica personale nell'ambito della missione ecclesiale dell'istituto. Fondamentalmente il suo sarà un apostolato di evangelizzazione: operando nella Chiesa e, in sintonia con la missione dell'istituto, collaborando a diffondere la buona Novella a «tutti gli strati dell'umanità e, con il suo influsso, a trasformare l'umanità stessa dal di dentro » (EN 18, RPU Intr.). In pratica, ciò si esplicherà in qualche forma di servizio in armonia con il fine dell'istituto e sarà normalmente adempiuto con i membri della stessa Famiglia religiosa. Nel caso di alcuni istituti clericali o missionari, è talvolta possibile che il religioso si trovi solo a svolgere la sua attività Nel caso di altri istituti, questa condizione può avverarsi soltanto con il permesso dei superiori, al fine di far fronte a una necessità eccezionale e per un tempo limitato.

Al termine della vita, per molti l'apostolato consisterà in una missione di preghiera e di sofferenza. A qualunque stadio, tuttavia, l'attività apostolica del singolo è quella di un religioso inviato in comunione con l'istituto investito di una missione ecclesiale. Tale attività ha la sua origine nell'obbedienza religiosa (cfr. PC 8, 10). E', pertanto, distinta nel suo carattere dall'apostolato proprio dei laici (cfr. RPU 22; AA 2, 7, 13, 25). E' in forza dell'obbedienza nelle attività comunitarie ed ecclesiali di evangelizzazione che i religiosi esprimono uno dei più importanti aspetti della loro vita. Essi sono autenticamente apostolici non perché esercitano un « apostolato», ma perché vivono come vissero gli apostoli: seguendo Cristo nel servizio e nella comunità in sintonia con l'insegnamento del vangelo nella Chiesa che egli ha fondato.

27. Non vi è dubbio che attualmente in molte regioni del mondo vari istituti dediti alle opere di apostolato si trovino di fronte a difficili e delicati problemi nello svolgimento dell'apostolato. Il numero ridotto dei religiosi, la scarsità dei giovani che abbracciano la vita religiosa, l'avanzare dell'età media, le pressioni sociali esercitate da movimenti contemporanei, si trovano a coincidere con la consapevolezza di una più vasta serie di necessità, una grande attenzione alla promozione personale del singolo, una maggiore sensibilità verso i problemi della giustizia, della pace e della promozione umana.

C'è la tentazione di voler fare ogni cosa. Si è tentati altrettanto di abbandonare opere che sono stabili e costituiscono un'espressione autentica del carisma dell'istituto a favore di altri impegni, considerati più immediatamente attinenti alle necessità sociali. Di fatto, però, questi impegni sono molto meno espressivi dell'identità dell'istituto.

Vi è una terza tentazione: a disperdere, cioè, risorse dell'istituto in diverse opere «a breve termine» che hanno una relazione molto vaga con il carisma originario. In tutti questi casi gli effetti non sono immediati; ma, a lungo andare, ne soffriranno l'unità e l'identità dell'istituto stesso. E ciò sarà pure un danno per la Chiesa e la sua missione.

4. La Preghiera

28. La vita religiosa non può sostenersi senza una profonda vita di preghiera individuale, comunitaria, liturgica. Il religioso - che abbraccia concretamente una vita di totale consacrazione - è chiamato a conoscere il Signore risorto in una fervida esperienza personale, a conoscerlo come una persona con la quale si è in profonda comunione: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17, 3).

La conoscenza del Signore nella fede genera amore: «Voi lo amate pur senza averlo visto, e ora, senza vederlo, esultate di gioia indicibile e gloriosa» (1 Pt 1, 8). Questa gioia fatta di amore e di conoscenza si concretizza in molte forme, ma, fondamentalmente, in modo essenziale e necessario nell'incontro individuale e comunitario con Dio nella preghiera. Qui il religioso trova «la concentrazione del cuore in Dio» (DmC 1) che unifica l'intera vita e la sua missione.

29. Come Gesù - per il quale la preghiera, in quanto atto distinto, ebbe un posto grande ed essenziale nella vita -, così il religioso ha bisogno di pregare per approfondire l'unione con Dio (Lc 5, 16). La preghiera è anche una condizione necessaria per proclamare il vangelo (Mc 1, 35-38). E' il contesto di tutte le decisioni e degli eventi importanti (Le 6, 12-13). Sull'esempio del Signore, inoltre, l'atteggiamento permanente di preghiera è necessario al religioso per avere la visione contemplativa delle cose, in virtù della quale nella fede Dio si rivela negli eventi ordinari della vita (cfr. DmC 1).

Questa è la dimensione contemplativa che la Chiesa e il mondo hanno il diritto di attendere dai religiosi in forza della loro consacrazione. Deve rafforzarsi in prolungati spazi di tempo dedicato esclusivamente all'adorazione del Padre, all'amore verso di lui, in silenzioso ascolto davanti a lui. per questa ragione Paolo VI insisteva: «La fedeltà alla preghiera quotidiana è sempre, per ogni religioso, una necessità basilare. La preghiera deve avere un posto primario nelle vostre costituzioni e nelle vostre vite» (ET 45).

30. Dicendo «nelle vostre costituzioni», Paolo VI ricordava che per i religiosi la preghiera non è soltanto un gesto personale di amore a Dio, ma anche una risposta comunitaria di adorazione, intercessione, lode, rendimento di grazie, che richiede di essere assicurata in modo stabile (cfr. ET 43).

Ciò non può ottenersi casualmente. Provvedimenti concreti a livello di ogni istituto, di ogni provincia o comunità locale, sono necessari affinché la preghiera si approfondisca e alimenti la vita religiosa sia individuale che comunitaria. Solo in forza della preghiera il religioso, infine, sarà in grado di rispondere alla sua consacrazione. La preghiera comunitaria tuttavia svolge una funzione importante per questo aiuto spirituale indispensabile. Ogni religioso ha il diritto di essere sostenuto dalla presenza e dall'esempio degli altri membri della comunità in preghiera. Ognuno ha il privilegio e il dovere di pregare con i confratelli e di partecipare insieme alla liturgia, centro unificante della loro vita. Tale aiuto reciproco incoraggia lo sforzo a vivere la vita di unione con il Signore a cui i religiosi sono chiamati.

«Il popolo di Dio deve avvertire che tramite voi qualcun altro è all'opera. Dalla dimensione in cui voi vivete la vostra totale consacrazione al Signore, comunicate qualcosa di lui e, fondamentalmente, è lui al quale il cuore umano aspira ardentemente» (Papa Giovanni Paolo II, Altötting).

5. L' Ascesi

31. La disciplina e il silenzio necessari alla preghiera ricordano che la consacrazione mediante i voti religiosi esige una certa ascesi di vita che «coinvolga tutto l'essere» (ET 46). La risposta di povertà, amore e obbedienza data da Cristo, lo condusse alla solitudine del deserto, alla sofferenza della contraddizione, all'abbandono sulla croce.

La consacrazione introduce il religioso in questa stessa via. Essa non può riflettere la consacrazione del Signore, se lo stile di vita del religioso non offre un elemento di rinnegamento. La vita religiosa stessa è un'espressione pubblica, permanente e visibile di conversione cristiana. Richiede di abbandonare tutto e di prendere la propria croce per seguire Cristo tutta la vita. Occorre, pertanto, l'ascesi necessaria per vivere in povertà di spirito e di fatto, amare come Cristo ama; rinunciare alla propria volontà per amore di Cristo nel sottostare alla volontà di un altro che lo rappresenta, per quanto imperfettamente. Ciò richiede una rinuncia di se stesso, senza la quale non è neppure possibile vivere una buona vita comunitaria e una missione feconda.

L'affermazione di Gesù: è necessario che il chicco di frumento affondi nel terreno e muoia se vuoi portare frutto, si applica in modo particolare ai religiosi a causa del carattere pubblico della loro professione. E' vero che gran parte della penitenza di oggi è costituita dalle stesse condizioni di vita e dal doverle accettare. Ma se i religiosi non edificano la loro vita su «un'austerità gioiosa ed equilibrata» (ET 30) e su concrete rinunce volontarie, rischiano di perdere la libertà spirituale necessaria per vivere i consigli evangelici. La loro stessa consacrazione, senza austerità e rinunce, potrebbe essere compromessa. Senza ascesi, infatti, non può esserci una testimonianza pubblica a Cristo povero, casto e obbediente. Inoltre, con la professione dei consigli evangelici mediante i voti, i religiosi s'impegnano in tutto quanto è necessario per approfondire e accrescere quanto hanno promesso con voto. ciò significa la libera scelta della croce che potrà essere allora «ciò che è stato per Cristo: la prova dell'amore più grande» (ET 29).

6. La testimonianza pubblica

32. Per la sua stessa natura, la vita religiosa è una testimonianza che deve manifestare chiaramente il primato dell'amore di Dio, con una forza che deriva dallo Spirito Santo (cfr. ET 1). Gesù stesso ha vissuto questo nel modo più eminente: testimone del Padre «con la forza dello Spirito» (Lc 4, 14) nella vita, nella morte, nella risurrezione, rimanendo per sempre il testimone fedele.

A sua volta egli mandò i suoi apostoli, nella forza del medesimo Spirito, perché fossero suoi testimoni in Gerusalemme, attraverso la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra (cfr. At 1, 8). Il soggetto della loro testimonianza era sempre lo stesso: a ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e le nostre mani hanno toccato, il Verbo della vita» (Gv 1, 1): Gesù Cristo «il Figlio di Dio, costituito con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti» (Rm 1, 5).

33. Anche i religiosi sono chiamati a testimoniare nel loro tempo una simile, profonda esperienza personale di Cristo, a diffondere la fede, la speranza, l'amore e la gioia che questa esperienza continuamente infonde.

Il loro permanente rinnovamento personale di vita deve originare nuovo fermento nell'istituto a cui appartengono, rievocando in tal modo le parole del Santo Padre Giovanni Paolo II: «Ciò che più ha importanza, non è quello che i religiosi fanno, bensì ciò che essi sono come persone consacrate al Signore» (Messaggio all'Assemblea Plenaria della SCRIS, marzo 1980).

Non soltanto nelle opere che annunciano direttamente il vangelo, ma più fortemente ancora nel loro stesso modo di vivere, essi devono essere voce che afferma con fiducia e convinzione: Noi abbiamo visto il Signore. Egli è risorto. Abbiamo udito la sua parola.

34. Il carattere totalizzante della consacrazione dei religiosi richiede che la testimonianza del vangelo sia data pubblicamente attraverso la globalità della propria vita. Valori, atteggiamenti, stile di vita: tutto indicherà con forza il posto che Cristo ha preso nell'esistenza. La visibilità di questa testimonianza comporta la rinunzia ad agiatezze e comodità che, in situazioni diverse, sarebbero pure legittime; richiede anche la limitazione di certe forme di distensione e divertimento (cfr. ES I § 2; CD 33-35).

Per assicurare questa testimonianza pubblica, i religiosi accettano di buon grado una condotta non permissiva, ma determinata in larga misura nelle loro regole. Essi indossano un abito religioso che li distingue in quanto persone consacrate; abitano in case stabilite dal loro istituto in conformità con il diritto comune e le costituzioni. Così pure viaggi, contatti sociali e altre forme di comunicazione devono conformarsi allo spirito e all'indole del proprio istituto e all'obbedienza religiosa.

Queste disposizioni da sole non sono sufficienti ad assicurare la dovuta testimonianza pubblica della gioia, della speranza e dell'amore di Gesù Cristo. Offrono, tuttavia, importanti mezzi per rendere questa testimonianza ed è certo che senza di essi non è possibile raggiungere l'autentica finalità della testimonianza religiosa.

35. Il modo di lavorare è altresì importante per la testimonianza pubblica. Che cosa si faccia e come venga fatto devono riflettere Cristo attraverso un'essenziale povertà interiore di colui che non cerca la sua soddisfazione personale.

Ai nostri giorni una delle maggiori povertà è l'insufficienza. Il religioso accetta di condividerla intimamente con la generosità della sua obbedienza: si fa uno con il povero e il debole in un modo del tutto particolare, come Cristo nella sua passione.

Si comprende, allora, che cosa significhi trovarsi in necessità davanti a Dio, amare come Gesù amava, collaborare all'opera di Dio e alle condizioni di Dio. Inoltre, fedele alla sua consacrazione, il religioso vive le disposizioni concrete offerte dall'istituto per ravvivare questi atteggiamenti.

36. La fedeltà all'apostolato affidato al proprio istituto è pure essenziale per una testimonianza autentica. Dedicarsi individualmente e in modo arbitrario a degli impegni a scapito delle opere proprie dell'istituto può essere soltanto dannoso. Vi sono, tuttavia, modi di vivere e di lavorare che nella situazione contemporanea offrono una chiara testimonianza a Cristo. Una verifica costante dell'uso dei beni, dello stile di vita e dei rapporti, costituisce per i religiosi un mezzo efficace per promuovere la giustizia di Cristo nel mondo di oggi (cfr. RPU 4 e).

Essere voce per quanti sono incapaci a parlare da soli è anche un'ulteriore forma di testimonianza religiosa, qualora venga fatta in sintonia con le direttive della gerarchia locale e il diritto del proprio istituto. Il dramma dei profughi, dei perseguitati a causa delle loro idee politiche e religiose (cfr. EN 39), le violazioni del diritto alla vita e alla nascita, le coartazioni ingiustificate della libertà umana, le carenze sociali che accrescono il disagio degli anziani, dei malati, degli emarginati: queste sofferenze costituiscono l'attuale prolungamento della passione e provocano in modo particolare i religiosi dediti alle opere di apostolato (cfr. RPU 4 d).

37. La risposta sarà varia, conforme alla missione, tradizione e identità di ciascun istituto. Alcuni possono trovarsi nella necessità di chiedere l'approvazione per attuare una nuova missione nella Chiesa. In altri casi, nuovi istituti sono riconosciuti per far fronte a particolari necessità. Il più delle volte, l'animazione creativa di opere tradizionali per rispondere a nuove esigenze, sarà una chiara testimonianza a Cristo ieri, oggi e sempre. Può essere una chiara eco del vangelo e della voce della Chiesa anche la testimonianza di religiosi che, fedeli alla Chiesa e alla tradizione del loro istituto, con coraggio e amore si impegnano per la difesa dei diritti dell'uomo e per l'avvento del Regno nell'ordine sociale (cfr. RPU 3). Questa testimonianza è tanto più efficace, quanto più chiaramente rivela agli uomini del nostro tempo la forza trasformatrice di Cristo nella Chiesa e la vitalità del carisma dell'istituto. Infine, la perseveranza dei religiosi - anch'essa un dono del Dio dell'alleanza - è la testimonianza eloquente, ancorché senza parole, del Dio fedele il cui amore è senza fine.

7. Il rapporto con la Chiesa

38. La vita religiosa occupa un proprio posto nella struttura divina e gerarchica della Chiesa. Non è un qualcosa di intermedio tra la condizione clericale e quella laicale, ma proviene da entrambe, quasi come dono speciale per tutta la Chiesa (cfr. LG 43; MR 10). La vita religiosa partecipa della natura sacramentale del popolo di Dio in modo del tutto particolare. Ciò dipende dal fatto che essa è parte della Chiesa, sia come mistero che come realtà sociale, e non può quindi esistere senza i due aspetti ricordati. La vita religiosa è, infatti, un segno sociale ed esterno del mistero dell'azione consacrante di Dio che investe tutta la vita, ed è tale segno grazie alla mediazione della Chiesa per il bene dell'intero Corpo mistico.

39. Questa duplice realtà, il Concilio Vaticano II l'ha sottolineata quando ha insistito sulla natura sacramentale della Chiesa: necessariamente un mistero invisibile, una comunione divina nella nuova vita dello Spirito; e altrettanto necessariamente una realtà sociale visibile, una comunità umana sotto un unico capo che rappresenta Cristo.

Come mistero (cfr. LG 1), la Chiesa è la nuova creazione vivificata dallo Spirito e riunita in Cristo, per accostarsi con sicurezza al trono della grazia del Padre (cfr. Eb 4, 16). In quanto realtà sociale, essa presuppone l'iniziativa storica di Gesù Cristo, il suo passaggio pasquale al Padre, la sua autorità oggettiva quale capo della Chiesa che egli ha fondato, e il carattere gerarchico che procede da questa autorità di Cristo: l'istituzione di una «varietà» di ministeri che servono al bene dell'intero Corpo mistico (LG 18; cfr. MR 1-5).

Il duplice aspetto di «organismo sociale visibile e di presenza divina invisibile, in intima connessione tra di loro» (MR 3), è ciò che conferisce alla Chiesa quella «sua particolare natura sacramentale, in virtù della quale essa è sacramento visibile di unità salvifica» (LG 9).

Al tempo stesso, essa è soggetto e oggetto di fede che trascende completamente i parametri di una qualsivoglia prospettiva sociologica, persino quando rinnova le sue strutture umane alla luce di evoluzioni storiche e mutamenti culturali (cfr. MR 3). La sua natura la rende parimenti «sacramento universale di salvezza» (LG 48): segno visibile del mistero di Dio è realtà gerarchica; una concreta disposizione divina, mediante la quale questo segno può essere autenticato e reso efficace.

40. La vita religiosa comprende quindi entrambi gli aspetti. Fondatori e fondatrici di istituti religiosi chiedono alla Chiesa gerarchica di autenticare pubblicamente il dono di Dio da cui dipende l'esistenza del loro istituto. In questo modo i fondatori e i loro seguaci danno testimonianza al mistero della Chiesa, poiché ogni istituto esiste in quanto edifica il Corpo di Cristo nell'unità delle sue diverse funzioni e attività.

41. Al loro costituirsi, gli istituti religiosi sono subordinati in modo speciale alla gerarchia. I vescovi, in comunione con il successore di Pietro, formano un collegio che unitamente esprime ed effettua, nella Chiesa-sacramento, le funzioni di Cristo capo (cfr. MR 36; LG 21; CD 2).

Essi non hanno soltanto l'incarico pastorale di alimentare la vita di Cristo nei credenti, ma anche il dovere di verificare carismi e competenze. I vescovi sono responsabili di coordinare le energie della Chiesa e di guidare l'intero popolo di Dio a vivere nel mondo come segno e strumento di salvezza. Loro compete, pertanto, in modo speciale, di discernere i molteplici doni e le iniziative esistenti nel popolo di Dio. Ogni istituto religioso, - esempio particolarmente prezioso e significativo di questi molteplici doni - per l'autentico riconoscimento del suo carisma originario è subordinato al ministero affidato da Dio alla gerarchia.

42. Questa dipendenza vale non soltanto per il primo riconoscimento di un istituto religioso, ma anche per il suo successivo sviluppo. L'intervento della Chiesa non si limita alla nascita di un istituto. Essa lo accompagna, lo guida, lo corregge, lo incoraggia nella sua fedeltà al carisma originario (cfr. LG 45). Ogni istituto, infatti, è una parte vitale della sua vita e della sua crescita.

La Chiesa riceve i voti emessi nell'istituto come voti di religione. Ciò comporta conseguenze ecclesiali: essa diviene mediatrice di una consacrazione di cui Dio è artefice (cfr. MR 8). Essa consente pure all'istituto di partecipare pubblicamente alla sua propria missione, concreta e corporativa (cfr. LG 17; AG 40).

In conformità al diritto comune e alle costituzioni che essa stessa ha approvato, la Chiesa conferisce all'istituto l'autorità religiosa necessaria per vivere il voto di obbedienza. In breve, la Chiesa continua a essere in modo specifico mediatrice dell'azione consacratrice di Dio, riconoscendo e alimentando questa particolare forma di vita consacrata.

43. Nella vita quotidiana questo rapporto permanente tra i religiosi e la Chiesa ha la sua applicazione prevalente a livello diocesano o locale. Il documento « Mutuae Relationes» è dedicato interamente a questo tema nella prospettiva della sua applicazione attuale.

Sarà sufficiente qui dire che la vita e la missione del popolo di Dio costituiscono un'unità. Esse sono sostenute e alimentate da tutti secondo i ruoli e le funzioni specifiche di ciascuno. Il particolare servizio reso dai religiosi a questa vita e a questa missione, consiste nella natura totale e pubblica della loro esistenza cristiana vissuta secondo i voti, in conformità a un carisma originario e comunitario, approvato dall'autorità ecclesiale.

8. La formazione

44. La formazione religiosa alimenta la crescita della vita di consacrazione al Signore, dai primi momenti in cui cominciano a manifestarsi i segni di un vivo interesse vocazionale fino alla consumazione finale, quando il religioso incontra definitivamente il Signore nella morte. Il consacrato vive una particolare forma di vita, e la vita stessa segue uno sviluppo costante e progressivo. Essa non si ferma mai.

Il religioso non è chiamato e consacrato una volta sola. La chiamata di Dio e la sua consacrazione continuano lungo tutta la vita, in una capacità permanente di crescita e di approfondimento che va oltre ogni nostra comprensione. Discernere la particolare attitudine a vivere una vita che vuole realizzare questa crescita in accordo con il patrimonio spirituale e le disposizioni di un dato istituto, e accompagnarla nell'evoluzione personale di ciascun membro di una comunità, sono i due aspetti principali della formazione.

45. Per ogni religioso la formazione consiste nel divenire sempre più un discepolo di Cristo, nel crescere nell'unione con lui e nella configurazione a lui. Il religioso assume sempre più profondamente lo Spirito di Cristo, condividendo la sua totale oblazione al Padre e il servizio fraterno alla famiglia umana. Tutto ciò egli lo attua in sintonia con il carisma originario che comunica il vangelo ai membri di un dato istituto.

Un simile processo richiede una conversione autentica. Il «rivestirsi di Gesù Cristo» (cfr. Rm 13, 14; Gal 3, 27; Ef 4, 24) implica lo spogliamento di se stesso, del proprio egoismo (cfr. Ef. 4, 22-24; Col 3, 9-10). «Camminare secondo lo Spirito» significa non appagare «i desideri della carne» (Gal 5, 16).

Il religioso professa di rivestirsi di Cristo nella sua povertà, nel suo amore e nella sua obbedienza, come ricerca essenziale della sua vita. Ricerca, questa, che non conosce limiti; consente un maturarsi costante con un arricchimento non soltanto dei valori dello spirito, ma anche di quelli che sul piano psicologico, culturale e sociale contribuiscono alla piena realizzazione della personalità umana.

Per chiarire come il religioso nella sua vita possa sempre progredire verso la pienezza di Cristo, è significativo un brano della Lumen Gentium: «La professione dei consigli evangelici, quantunque comporti la rinuncia di beni certamente molto apprezzabili, non si oppone al vero progresso della persona umana, ma per sua natura gli è di grandissimo giovamento» (LG 46).

46. Il progressivo configurarsi a Cristo si attua in conformità al carisma e alle disposizioni dell'istituto a cui il religioso appartiene. Ciascuno ha il suo proprio spirito, carattere, finalità e tradizioni. I religiosi approfondiscono la loro unione a Cristo in modo conforme a questi elementi.

Per gli istituti dediti alle opere di apostolato, la formazione include la preparazione e l'aggiornamento permanente dei membri per le opere specifiche dell'istituto, non solamente a livello professionale, ma anche per una «testimonianza viva all'amore senza limiti e al Signore Gesù» (ET 53). Accettata da ogni religioso come responsabile impegno personale, la formazione non sarà soltanto motivo di crescita individuale, ma anche di benedizione per la comunità e fonte di energia feconda per l'apostolato.

47. Poiché l'iniziativa della consacrazione religiosa è insita nella chiamata di Dio, ne consegue che Dio stesso, operando attraverso lo Spirito di Gesù, è il primo e principale agente nella formazione del religioso. Egli agisce attraverso la sua parola e i sacramenti, la preghiera e la liturgia, il magistero della Chiesa e, in modo più immediato, tramite coloro che sono chiamati, in obbedienza, a contribuire in modo particolare alla formazione dei fratelli. Rispondendo alla grazia di Dio e alla sua guida, il religioso accetta con amore la responsabilità della propria formazione e crescita, accogliendo di buon animo le conseguenze della sua risposta, imprevedibili e irrepetibili per ciascun uomo.

La risposta, tuttavia, non matura nell'isolamento. Seguendo la tradizione dei primi padri del deserto e di tutti i grandi fondatori a proposito della guida spirituale, ciascun istituto religioso disponga di membri particolarmente qualificati e designati per aiutare i fratelli e le sorelle in questo campo. La loro funzione varia a seconda del grado di vita spirituale raggiunto dal religioso. Le loro principali responsabilità sono: discernere l'azione di Dio, accompagnare il fratello nelle vie del Signore, nutrirne la vita di dottrina solida e di preghiera vissuta. In modo particolare nelle prime fasi occorre anche valutare il cammino percorso.

Al maestro dei novizi e al religioso responsabile dei giovani con voti temporanei, spetta di discernere nel candidato l'autenticità della vocazione e la capacità di risposta per la prima professione e per quella perpetua.

L'intero processo formativo si svolge nella comunità. Una comunità permeata di spirito di preghiera e di generosa dedizione, che fonda la sua unione in Cristo e in questa unità partecipa alla sua missione, offre un ambiente favorevole alla formazione. Tale comunità sarà fedele alle tradizioni e alle costituzioni, ben inserita nella globalità dell'Istituto, nella Chiesa e nella società di cui è a servizio. Sarà di sostegno ai suoi membri e nella fede manterrà vivi davanti a loro, per tutta la vita, la finalità e i valori della loro consacrazione.

48. La formazione non si compie tutta in una volta. Il cammino dalla prima risposta a quella finale, si suddivide ampiamente in cinque fasi: il pre-noviziato durante il quale, per quanto è possibile, si cerca di identificare l'autenticità della chiamata; il noviziato, che introduce in una nuova forma di vita; la prima professione e il periodo di approfondimento che precede la professione perpetua; la professione perpetua e la formazione permanente degli anni maturi. Infine c'è il tramonto; in qualsiasi modo esso avvenga, è la preparazione all'incontro definitivo con il Signore.

Ognuna di queste fasi ha il suo proprio scopo, contenuto e disposizioni. Data la loro importanza, le fasi del noviziato e delle professioni sono definite accuratamente, nelle loro linee essenziali, nel diritto comune. Nondimeno molto è lasciato alla responsabilità dei singoli istituti. Da questi si richiedono nelle proprie costituzioni puntualizzazioni concrete di un grande numero di disposizioni delle quali il diritto comune ha tracciato solo le linee di principio.

9. Il Governo

49. Il governo dei religiosi dediti alle opere di apostolato - come tutti gli altri aspetti della loro vita - è basato sulla fede e sulla realtà della loro risposta di consacrati a Dio in una comunità e per una missione. Queste persone sono membri di istituti religiosi, le cui strutture riflettono la gerarchia cristiana il cui capo è Cristo stesso.

Essi hanno scelto di vivere il voto di obbedienza come un valore di vita ed è, pertanto necessario che ci sia una forma di governo che esprima questi valori e una particolare forma di autorità. Tale autorità, propria degli istituti religiosi, non deriva dagli stessi membri. Essa è conferita da Dio mediante il ministero della Chiesa quando essa riconosce l'istituto ed approva le sue costituzioni. E' un'autorità di cui sono investiti i superiori per un periodo della loro di vita ed è, pertanto, necessario che ci sia una forma di governo che esprima questi valori e una particolare forma di autorità. Occorre favorire perciò la cooperazione di tutti per il bene dell'istituto, salvo sempre il diritto del superiore, al quale spetta alla fine di discernere e decidere il da farsi (ET 25). Strettamente parlando, l'autorità religiosa non è partecipata. Può essere delegata per un particolare motivo, se ciò è previsto dalle costituzioni; ma normalmente è ex officio e ne è investita la persona del superiore.

50. I superiori, comunque, non esercitano da soli l'autorità. Ognuno deve essere assistito da un consiglio, i cui membri collaborano con il superiore secondo le norme stabilite nelle costituzioni. I consiglieri non esercitano l'autorità ex officio, come i superiori, ma collaborano con loro mediante il voto consultivo o deliberativo, in conformità al diritto ecclesiastico e alle costituzioni dell'istituto.

51. L'autorità suprema di un istituto è esercitata, benché in forma straordinaria, dal capitolo generale in atto. Ciò avviene sempre in conformità alle costituzioni che devono stabilirne l'autorità in modo che sia ben distinta da quella del superiore generale.

Il capitolo generale è un'istituzione ad hoc. È composto di membri ex officio e delegati eletti che ordinariamente si riuniscono per un solo capitolo. In quanto segno di unità nella carità, la celebrazione del capitolo generale deve costituire un momento di grazia e di azione dello Spirito Santo nella vita di un istituto. E' un'esperienza gioiosa, pasquale ed ecclesiale, da cui trae vantaggio l'istituto e la Chiesa intera.

Il capitolo generale si propone di rinnovare e proteggere il patrimonio spirituale dell'istituto. Ne elegge i superiori maggiori e i consiglieri; tratta gli affari di maggior importanza, emana le norme per tutto l'istituto. I capitoli sono di tale importanza, che il diritto particolare dell'istituto deve determinare accuratamente le sue competenze, sia a livello generale che a livello particolare: la natura, l'autorità, la composizione, la procedura e la frequenza della celebrazione.

52. Il Concilio Vaticano II e l'insegnamento post-conciliare insistono su alcuni principi del governo religioso, che hanno dato origine a considerevoli cambiamenti in questi ultimi venti anni. E' stata posta in luce chiaramente la necessità basilare di un'autorità religiosa effettiva e personale, a tutti i livelli (generale, intermedio e locale), se si vuole che l'obbedienza religiosa sia realmente vissuta (cfr. PC 14; ET 25). Si è sottolineato, inoltre, la necessità della consultazione, di un opportuno coinvolgimento dei membri nel governo dell'istituto, di una responsabilità partecipata e della sussidiarietà (cfr. ES II, 18).

Molti di questi principi sono ora inseriti nelle costituzioni rivedute. E' importante che siano compresi e applicati per realizzare la finalità del governo religioso: costruire una comunità unita in Cristo, nella quale Dio è cercato e amato al di sopra di tutto, dove la missione di Cristo è adempiuta con generosità.

Maria: gioia e speranza della sita religiosa

53. E' soprattutto in Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa, che la vita religiosa comprende più profondamente se stessa e trova il segno di sicura speranza (LG 68). Ella, concepita immacolata perché scelta tra il popolo di Dio a portare Dio stesso nel modo più intimo e a darlo al mondo, fu totalmente consacrata dallo Spirito Santo che l'avvolse con la sua ombra.

Maria fu l'arca della nuova alleanza, l'ancella del Signore nella povertà degli «anawim»; la Madre del bell'amore da Betlemme al Calvario e anche più in là; la Vergine obbediente il cui «sì» a Dio ha cambiato la nostra storia; la donna contemplativa che custodì «tutto nel suo cuore»; la missionaria che si affrettò a Hebron; la sola persona attenta alle necessità di Cana; la ferma testimone ai piedi della croce; centro di unità che sostenne la giovane Chiesa raccolta nell'attesa dello Spirito Santo: Maria ha riflesso nella sua vita tutti questi valori a cui tende la consacrazione religiosa. Ella è Madre dei religiosi in quanto è Madre di colui che fu consacrato e mandato dal Padre. Nel suo «fiat» e nel suo «magnificat» la vita religiosa trova la totalità del suo abbandonarsi a Dio, il palpito della sua gioia nell'azione consacrante di Dio.

III.

ALCUNE NORME FONDAMENTALI

Il nuovo Codice di Diritto Canonico traduce in norme canoniche il ricco insegnamento conciliare e postconciliare della Chiesa sulla vita religiosa. Insieme ai documenti del Concilio Vaticano II e alle dichiarazioni fatte dai successivi Pontefici in questi ultimi anni, il Codice offre perciò il materiale di base su cui poggia la prassi corrente della Chiesa riguardo alla vita religiosa.

L'evoluzione naturale propria di ogni vita, non cesserà di progredire nella stessa vita consacrata, ma il periodo di speciali sperimentazioni previste dal Motu Proprio «Ecclesiae Sanctae» per gli istituti religiosi, si conclude con la celebrazione del secondo capitolo generale ordinario che segue il capitolo speciale di rinnovamento.

Ora, il Codice di Diritto Canonico, nella sua recente revisione, costituisce il fondamento giuridico della Chiesa riguardo alla vita religiosa sia per la valutazione del periodo di esperimento che per le prospettive del futuro. Le seguenti norme fondamentali contengono un'adeguata sintesi delle disposizioni della Chiesa.

I. La chiamata e la consacrazione

1. La vita religiosa è una forma di vita alla quale alcuni cristiani, sia chierici che laici, sono chiamati da Dio, perché possano godere di uno speciale dono di grazia nella vita della Chiesa e contribuire, ognuno in modo proprio, alla missione evangelica della Chiesa (cfr. LG 43).

2. Il dono della vocazione religiosa si radica nella consacrazione battesimale, ma non è elargito a tutti i battezzati. Esso è del tutto gratuito, offerto da Dio a quanti egli liberamente sceglie nel suo popolo e per il bene del suo popolo (cfr. PC 5).

3. Accettando il dono della vocazione, i religiosi rispondono alla chiamata divina morendo al peccato (cfr. Rm 6, 11), rinunciando al mondo e vivendo unicamente per Dio. La loro vita è interamente votata al suo servizio. Essi cercano e amano al di sopra di tutto «Dio che per primo ha amato noi» (cfr. 1 Gv 4, 10; PC 5 e 6). Il perno centrale della loro vita è, pertanto, una più stretta sequela di Cristo (cfr. ET 7).

4. L'intera vita del religioso dedita al servizio di Dio stabilisce una consacrazione speciale (PC 5): la consacrazione della persona nella sua globalità che rivela nella Chiesa un patto sponsale effettuato da Dio, un segno della vita futura.

Questa consacrazione avviene mediante voti pubblici, perpetui o temporanei. Questi ultimi da rinnovare alla loro scadenza. Mediante i voti, i religiosi assumono l'obbligo di osservare i tre consigli evangelici, sono consacrati a Dio tramite il ministero della Chiesa (can. 607 e 654), sono incorporati nel loro istituto con diritti e doveri definiti giuridicamente.

5. Le condizioni per la validità della professione temporanea, la sua durata e l'eventuale proroga sono determinati nelle costituzioni di ciascun istituto a norma del diritto comune della Chiesa (can. 655-658).

6.La professione religiosa viene emessa mediante la formula dei voti approvata dalla Santa Sede per ogni istituto. La formula è comune a tutti i membri, in quanto essi assumono gli stessi obblighi e, quando sono inseriti integralmente, hanno gli stessi diritti e doveri.

Individualmente il religioso ha facoltà di aggiungere un'introduzione e/o una conclusione, se queste sono approvate dall'autorità competente.

7.Conformemente al proprio carattere e scopo, ogni istituto è tenuto a definire, nelle relative costituzioni, le modalità in cui i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza devono essere osservati nello specifico stile di vita (can. 598 § 1).

II. La Comunità

8.La vita comunitaria - caratteristica di un istituto religioso (can. 607 § 2) - è propria di ogni famiglia religiosa. Riunisce tutti i membri in Cristo e sarà strutturata in modo da essere fonte di aiuto per tutti e per ciascuno nella fedeltà alla vocazione religiosa. Sarà esempio di riconciliazione in Cristo e della comunione fondata nella carità (can. 602).

9.La comunità religiosa deve abitare in una casa legittimamente costituita, sotto l'autorità di un superiore designato a norma del diritto (can. 608). Detta casa viene eretta previo il consenso scritto del vescovo diocesano (can. 609). Sarà strutturata in modo da rispondere convenientemente alle esigenze dei membri (can. 610 § 2), consentendo alla vita comunitaria di espandersi ed evolversi con la comprensione e la cordialità che generano fiducia (cfr. ET 39).

10. Le singole case devono avere almeno un oratorio, in cui si celebri e si conservi l'Eucaristia, in modo che sia veramente il centro della comunità (can. 608).

11. In ogni casa religiosa, conformemente all'indole e alla missione dell'istituto e secondo le determinazioni del diritto proprio, ci sia sempre una parte riservata esclusivamente ai religiosi (can. 667 § 1).

Questa espressione di separazione dal mondo conforme alla finalità dell'istituto, fa parte della testimonianza pubblica che i religiosi sono tenuti a rendere a Cristo e alla Chiesa (can. 607 § 3). La separazione si rende necessaria anche per osservare il silenzio e il raccoglimento che favoriscono la preghiera.

12. I religiosi abitino nella propria casa religiosa osservando la vita comune. Non devono vivere da soli senza seri motivi, soprattutto se una comunità del loro istituto si trova nelle vicinanze.

Nel caso, tuttavia, di assenza prolungata, con il consenso del suo consiglio il superiore maggiore può permettere a un religioso di vivere fuori della casa dell'istituto, entro i limiti consentiti dal diritto comune (can. 665 § 1).

III. L' identità

13. I religiosi abbiano come suprema regola di vita la sequela di Cristo proposta dal vangelo ed espressa nelle costituzioni del proprio istituto (can. 602).

14. L'intendimento dei fondatori, sancito dalla competente autorità della Chiesa, relativamente alla natura, al fine, allo spirito e all'indole dell'istituto, così come le sane tradizioni, devono essere fedelmente custoditi da tutti (can. 578).

15. Per custodire più fedelmente la vocazione e l'identità dei singoli istituti, le costituzioni di ciascuno devono contenere - oltre a ciò che è stabilito da osservare al § III 14 - le norme fondamentali relative al governo dell'istituto e alla disciplina dei membri, alla loro incorporazione e formazione, e anche l'oggetto specifico dei voti (587 § 1).

16. Le costituzioni sono approvate dalla competente autorità ecclesiastica. Per gli istituti diocesani, l'approvazione spetta all'Ordinario del luogo, per quelli pontifici alla Santa Sede. Le successive modifiche e interpretazioni autentiche sono parimenti riservate alle stesse autorità (can. 576 e 787 § 2).

17. Mediante la professione religiosa, i membri di un istituto si impegnano a osservare le sue costituzioni con fedeltà e amore, perché vi riconoscono lo stile di vita approvato dalla Chiesa per il loro istituto, l'espressione autentica del suo spirito, della sua tradizione e della sua legge.

IV. La castità

18. Il consiglio evangelico di castità, abbracciato per il Regno dei cieli, è segno della vita futura e fonte di una più copiosa fecondità nel cuore indiviso. Esso comporta l'obbligo della perfetta continenza nel celibato (can. 599).

19. Si osservi la necessaria discrezione in tutto quanto possa nuocere alla castità della persona consacrata (cfr. PC 12; can. 666).

V. La povertà

20. Il consiglio evangelico di povertà, a imitazione di Cristo, postula una vita povera di fatto e di spirito, operosa e frugale, distaccata dai beni terreni. La sua professione mediante il voto, comporta per i religiosi la dipendenza e la limitazione nell'usare e nel disporre dei beni temporali, conformemente al diritto proprio dell'istituto (can. 600).

21. Mediante il voto di povertà i religiosi rinunciano all'uso libero e a disporre dei beni materiali. Avanti la prima professione essi cedono l'amministrazione dei propri beni a chi preferiscono e, qualora le costituzioni non determinino diversamente, essi dispongono liberamente del loro uso e usufrutto (can. 668, § 1).

Qualunque cosa il religioso ottiene per la sua propria industria o per dono o a motivo dell'istituto, è acquisito per l'istituto stesso. Anche ciò che riceve come pensione, sussidio o assicurazione è a favore dell'istituto, a meno che il diritto proprio stabilisca altrimenti (can. 668 § 3).

VI. L'obbedienza

22. Il consiglio evangelico di obbedienza, vissuto nella fede, è una sequela d'amore di Cristo che fu obbediente fino alla morte.

23. Mediante il voto di obbedienza i religiosi promettono di sottomettere la propria volontà ai superiori legittimi quando comandano secondo le costituzioni (can. 601). Le costituzioni stesse stabiliscono chi può dare un ordine formale di obbedienza e in quali circostanze.

24. Gli istituti religiosi sono soggetti alla suprema autorità della Chiesa per un titolo peculiare (can. 590 5 1). I singoli membri sono tenuti a obbedire al Santo Padre, come loro supremo superiore, in forza del voto di obbedienza (can. 590 5 2).

25. I religiosi non possono accettare incarichi o uffici fuori del proprio istituto senza il permesso del superiore legittimo (can. 671). Come gli ecclesiastici, essi non possono assumere uffici pubblici che comportano l'esercizio del potere civile (can. 285 5 3; cfr. anche can. 672 con i canoni cui ivi si fa riferimento).

VII. La preghiera e l'ascesi

26. Primo e principale dovere dei religiosi è la costante unione con Dio nella preghiera. Quotidianamente, per quanto è possibile, essi partecipano al Sacrificio eucaristico e di frequente si accostano al sacramento della penitenza.

Fanno parte della preghiera dei religiosi: la lettura della Sacra Scrittura, la preghiera mentale, la degna celebrazione della liturgia delle Ore secondo le prescrizioni del diritto proprio, la devozione alla Beata Vergine, il ritiro annuale (can. 663, 664 e 1174).

27. La preghiera deve essere sia individuale che comunitaria.

28. Un'ascesi generosa è necessaria costantemente per la conversione quotidiana al vangelo (cfr. Poenitemini II, III, I C). Pertanto, le comunità religiose devono essere non solo gruppi di preghiera, ma anche comunità penitenti nella Chiesa. Oltre a una forma interiore e personale, deve esserci anche una penitenza esterna e comunitaria (cfr. DmC 14; SC 110).

VIII. L'apostolato

29. L'apostolato di tutti i religiosi consiste innanzitutto nella testimonianza della loro vita consacrata; essi hanno il dovere di alimentarla con la preghiera e la penitenza (can. 673).

30. Negli istituti dediti alle opere di apostolato, l'azione apostolica rientra già nel loro carisma particolare. La vita dei membri sia perciò impregnata di spirito apostolico e l'azione apostolica, a sua volta, sia animata da spirito religioso (can. 675 § 1).

31. La missione essenziale di questi istituti impegnati nell'apostolato consiste nel proclamare la parola di Dio a quanti egli pone sul loro cammino per condurli alla fede. una simile grazia richiede una profonda unione con il Signore; lui solo rende i religiosi capaci di trasmettere il messaggio del Verbo incarnato in termini che il mondo di oggi sia in grado di comprendere (cfr. ET 9).

32. L'azione apostolica si esercita in comunione con la Chiesa, a nome della Chiesa e per suo mandato (can. 675 § 3).

33. Superiori e membri mantengano con fedeltà la missione e le opere proprie dell'istituto; le adattino con prudenza alle necessità dei tempi e dei luoghi (can. 677 § 1).

34. Nei rapporti di apostolato con i vescovi, i religiosi si attengano alle norme dei canoni 678-683. In modo particolare essi sono tenuti a rispettare il magistero della gerarchia, ad agevolare i vescovi nell'esercizio del loro ministero di insegnamento e di testimonianza autentica della verità divina (cip. MR 33; LG 25).

IX. La testimonianza

35. La testimonianza dei religiosi è pubblica. Questa è resa a Cristo e alla Chiesa e comporta quella separazione dal mondo che è propria dell'indole e delle finalità di ciascun istituto (can. 607 § 3).

36. Gli istituti religiosi devono tendere a una testimonianza in un certo modo collettiva di carità e di povertà (can. 640).

37. I religiosi indossino l'abito dell'istituto, fatto a norma del diritto proprio, quale segno di consacrazione e testimonianza di povertà (can. 669 § 1).

X. La formazione

38. Nessuno può essere ammesso alla vita religiosa senza un' adeguata preparazione (can. 597 § 2).

39. Le condizioni per la validità dell'ammissione e del noviziato, per la professione temporanea e perpetua, sono indicate nel diritto comune della Chiesa e in quello proprio di ogni istituto (can. 641-658), così pure il luogo, il tempo, il programma e la guida del noviziato, i requisiti per il maestro dei novizi.

40. Il periodo di formazione tra i primi voti e quelli perpetui è stabilito nelle costituzioni a norma del diritto comune (can. 655; 659 § 2).

41. Per tutta la vita i religiosi proseguano assiduamente la propria formazione spirituale, dottrinale e pratica, profittando del tempo e dei mezzi offerti a questo scopo dai superiori (can. 661).

Xl. Il governo

42. Spetta alla competente autorità ecclesiastica costituire una forma stabile di vita mediante l'approvazione canonica (can. 576). Alla stessa autorità sono anche riservate le aggregazioni (can. 580) e l'approvazione delle costituzioni (can. 587 § 2). Le fusioni, le unioni, le federazioni, le confederazioni, le soppressioni e le modifiche di qualsiasi elemento, già approvato dalla Sede Apostolica, spettano a questa stessa Sede (can. 582-584).

43. L'autorità che governa gli istituti religiosi risiede nei superiori; essi devono esercitarla a norma del diritto universale e di quello proprio (can. 617). Questa autorità è ricevuta da Dio mediante il ministero della Chiesa (can. 618).

L'autorità di un superiore, a qualsiasi livello, è personale e non può essere sostituita da un gruppo. Per un tempo e un fine particolare può essere delegata a una persona designata a questo scopo.

44. I superiori devono svolgere il loro servizio con sollecitudine. Insieme ai membri dell'istituto si sforzino di costruire in Cristo una comunità, nella quale Dio è cercato e amato al di sopra di tutto.

Nel loro compito i superiori hanno il particolare dovere di governare in conformità alle costituzioni del loro istituto e di promuovere la santità dei suoi membri. La loro persona deve essere esempio di fedeltà al magistero della Chiesa, al diritto e alla tradizione del proprio istituto. Siano, inoltre, solleciti nell'incrementare la vita consacrata dei religiosi mediante vigilanza e correzione, sostegno e prudenza (cfr. can. 619).

45. Le condizioni per la nomina o l'elezione, il periodo di durata dell'ufficio, la procedura dell'elezione canonica per il superiore generale, sono determinate nelle costituzioni (can. 623-625).

46. I superiori abbiano un proprio consiglio che li assista nell'adempimento delle loro responsabilità. Oltre ai casi prescritti dal diritto universale, il diritto proprio determini i casi in cui per procedere validamente, è richiesto il consenso oppure il parere del consiglio (can. 627 § 1 e 2).

47. Il capitolo generale deve essere segno del vincolo di carità che intercorre tra i membri dell'istituto. Esso rappresenta l'intero istituto quando in sessione esercita l'autorità suprema a norma del diritto comune e delle costituzioni (can. 631).

Il capitolo generale non è un organo permanente: la sua composizione, la frequenza e le funzioni sono stabilite nelle costituzioni (can. 631 § 2). un capitolo generale non può modificare la sua propria composizione, ma può proporre modifiche per i capitoli successivi. Tali modifiche richiedono l'approvazione dell'autorità ecclesiastica competente. Il capitolo generale, tuttavia, può modificare quegli elementi del diritto proprio che non siano soggetti all'approvazione ecclesiastica.

48. I capitoli non devono essere convocati con una frequenza tale da interferire nel buon funzionamento dell'autorità ordinaria del superiore maggiore. La natura, l'autorità, la composizione, il modo di procedere e la frequenza della convocazione di capitoli o altre assemblee degli istituti, sono determinate con esattezza dal diritto proprio (can. 632). In pratica, i principali elementi a questo riguardo devono essere previsti nelle costituzioni.

49. Le disposizioni concernenti i beni temporali (can. 634-640) e la loro amministrazione, come pure le norme inerenti all'allontanamento di membri dall'istituto per passaggio, uscita o dimissione (can. 684-704) si trovano nel diritto comune della Chiesa; siano però incluse, anche se brevemente, nelle costituzioni.

CONCLUSIONE

Le suddette norme, basate sull'insegnamento tradizionale, sul Codice di Diritto Canonico recentemente revisionato, e sulla prassi corrente, non esauriscono le disposizioni della Chiesa circa la vita religiosa. Esprimono piuttosto la sua autentica sollecitudine perché la vita degli istituti dediti alle opere di apostolato possa avere sempre un incremento più fecondo, quale dono di Dio alla Chiesa e alla famiglia umana.

Con il presente testo, approvato dal Santo Padre, questa Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari desidera aiutare questi istituti ad assimilare le norme della Chiesa, revisionate per loro, e a inserirle nel proprio contesto dottrinale.

Possano essi trovarvi un incoraggiamento per una più autentica sequela di Cristo, nella speranza e nella gioia della loro vita consacrata.

Dal Vaticano, Festa della Visitazione della Beata Vergine Maria 31 maggio 1983.


ABBREVIAZIONI

AA Apostolicam Actuositatem

AG Ad Gentes

CD Christus Dominus

DmC Dimensione Contemplativa della vita religiosa

EN Evangelii Nuntiandi

ES Ecclesiae Sanotae

ET Evangelica Testificatio

LG Lumen Gentium

MR Mutuae Relationes

OT Optatam Totius

PC Perfectae Caritatis

RPU Religiosi e Promozione Umana

SC Sacrosanctum Concilium

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