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INAUGURAZIONE DELL'ANNO ACCADEMICO 2002-2003
DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ URBANIANA

OMELIA DEL CARDINALE CRESCENZIO SEPE

Cappella del Collegio Urbano
Mercoledì, 9 ottobre 2002

 

È sempre una gioia cominciare l'anno accademico con questa celebrazione eucaristica, solenne, ma nello stesso tempo famigliare, segno di quell'unica famiglia che formiamo pur provenendo da paesi e culture diverse. Nella liturgia, attorno all'altare del Signore, le nostre diversità non diventano motivo di divisione o di conflitto, ma sono accolte nell'unica verità e universalità del Vangelo di Gesù Cristo. Quest'anno è ancora più significativo essere qui insieme. Infatti celebriamo i 375 anni di storia del Collegio Urbano e dell'Università, che di esso ne è la continuazione accademica. Era infatti il 1627 quando Papa Urbano VIII istituì il Collegio con la Bolla Immortalis Dei Filius.

La Parola di Dio, che abbiamo ascoltato, ci introduce in maniera diretta nello spirito di questa celebrazione giubilare, perché ci fa toccare con mano quanto la vocazione di questa nostra istituzione accademica si radichi nel perenne mandato apostolico di annunciare il Vangelo fino agli estremi confini della terra. Siamo qui innanzi tutto per rispondere all'invito di Gesù: "Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe". Siamo chiamati a pregare prima ancora che a fare. Mentre guardiamo la messe, che è sempre più grande, ci rivolgiamo al Signore perché susciti operai pronti a comunicare il Vangelo della morte e risurrezione del Signore.

Gesù conosceva le difficoltà a cui sarebbero andati incontro i discepoli: "Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi". Eppure non disse loro di munirsi di strumenti di difesa o, peggio ancora, di offesa. Al contrario, li esortò ad andare senza borsa, né bisaccia, né sandali. Istintivamente noi ci ribelleremmo a un simile invito. Infatti siamo gente abituata a vivere nel benessere e a difendere il benessere. Anche se talvolta veniamo da situazioni di povertà, ci sentiamo sicuri solo se siamo nel necessario e pretendiamo il superfluo. Proviamo fastidio se qualcosa ci manca. Non ci accontentiamo mai. Come faremo ad essere operai della messe, se ci abituiamo a rincorrere la sazietà? Come faremo a correre liberi nel mondo, e a non essere uomini e donne difesi, arroccati sulle loro posizioni, chiusi nelle loro differenze di gruppo, di etnie, di popoli, di culture?

Siamo mandati in un mondo popolato di lupi. Bisogna avere coscienza di questo. E il lupo esprime l'abitudine alla violenza, l'aggressività, la brama di avere senza saziarsi. È il lupo della guerra, delle divisioni, delle ingiustizie. È il lupo che ingoia milioni di uomini e donne per la fame e le malattie. È il lupo che sfrutta i bambini, che umilia nella schiavitù. Da quando sono prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ho visitato diversi paesi e ho toccato con mano la violenza di questi lupi. Ho visto la povertà, la miseria, tante sofferenze, perfino le persecuzioni. Ma ho avuto anche la grazia di vedere donne e uomini che hanno accettato l'invito ad essere operai nella messe e che, spesso con poveri mezzi e in numero esiguo, come in Mongolia, compiono miracoli di amore.

Fratelli e sorelle, l'Apostolo parlando delle sue sofferenze per Cristo dice: "Siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi" (2 Cor 4, 8-9). L'amore di Dio ci liberi dai lacci di una vita egoista, tesa solo a cercare qualcosa per sé. Il Signore ci chiama ancora oggi, qui. Certo si potrebbe dire che oggi la chiamata rivolta a voi, studenti e docenti, non è per mandarvi subito in mezzo alla messe. Siete qui per insegnare, per studiare, per crescere nella conoscenza dei misteri di Dio. Tuttavia senza questa crescita intellettuale e spirituale, non potremo rispondere con prontezza all'invito del Signore e rimarremo ancorati a noi stessi, alle nostre abitudini, alla nostra brama di avere. Questo momento della vita è necessario, anche se non può essere del tutto staccato da un cuore capace di vedere il bisogno della messe e di operare in essa. Per questo la formazione accademica non può essere del tutto staccata dalla preoccupazione pastorale.

Dalle parole del Signore ai settantadue discepoli si deduce una certa urgenza. Gesù ha fretta di arrivare a tutti. Non c'è tempo di indugiare, come colui che mise mano all'aratro e poi si voltò indietro. Noi siamo persone che spesso se la prendono comoda. Viviamo troppo tranquilli, adagiati nell'abitudine di un tempo non messo in discussione dalle sofferenze degli altri. Ma oggi, in questo 375° anno della nostra storia, un angelo del Signore parla anche a noi, come a Filippo: "Alzati e va'...". L'angelo non disse a Filippo che cosa o chi avrebbe incontrato o perché doveva andare proprio su quella strada. Ma Filippo andò, non indugiò. Fratelli e sorelle, il Signore ci manda per le strade del mondo, perché su di esse ci verranno incontro uomini e donne con le loro domande. Quell'uomo, colto, funzionario di una regina, leggeva la Bibbia. Eppure il suo cuore era pieno di domande, ma privo di risposte. Lo Spirito condusse Filippo fin sul carro di quell'uomo perché potesse aiutarlo a capire quanto leggeva.

Bisogna avere l'umiltà e la pazienza di salire sul carro degli altri, di non passare accanto come maestri sicuri, ma come discepoli buoni che si accompagnano alla vita degli altri, pronti a capire, ad aiutare, a spiegare, ma senza presunzione e durezza. Il mondo ha bisogno di misericordia, di amore, di mitezza. Non è senza motivo che il Santo Padre recentemente ha consacrato il mondo alla misericordia di Dio. I lupi si vincono con la mitezza, non con l'arroganza e la violenza. "Beati i miti, perché erediteranno la terra", ascoltiamo nel discorso della montagna. La nostra forza è nel Signore, è nella debolezza e nella stoltezza della croce. "Quando sono debole, è allora che sono forte", dice l'Apostolo (2 Cor 12, 10).

Non si tratta di cedimento alla mentalità del mondo. Al contrario bisogna rivestirsi della forza del Vangelo, per vincere il male, per ammansire i lupi, per essere operai della messe e comunicare a tutti il tesoro di grazia che noi abbiamo ricevuto e che qui approfondiamo nella ricerca e nello studio. Si tratta, allora, di salire sul carro di ogni uomo che cerca Cristo e diventare, come Filippo, annunciatori della salvezza.

Fratelli e sorelle, quest'anno giubilare della nostra Università è un'occasione che il Signore ci dà per riscoprire il carisma autenticamente missionario di questa nostra istituzione. Lasciamo che lo Spirito operi in noi e ci conduca per le strade del mondo, nella vita degli altri. Non si tratta solo di fare piani pastorali o piani di studio, anche se questi sono necessari. Occorre farsi toccare dall'enormità della messe e del bisogno di tanti popoli e vivere nella preghiera, perché il Signore liberi energie di amore dal cuore di ognuno di noi.

All'inizio di un anno accademico come Gran Cancelliere non posso non dirvi che occorre studiare, faticare, impegnarsi. Ma quest'anno vorrei aggiungere un impegno in più. Siamo infatti tutti chiamati a una preghiera incessante, in questo tempo difficile, perché non vinca la spirale degli odi, della guerra, delle divisioni tribali o di caste, ma si affermi in ogni parte del mondo il desiderio della pace, che il Santo Padre ha espresso in maniera così forte nelle ultime settimane. Ci uniamo alla Sua preghiera e, per l'intercessione di Maria Regina della pace, invochiamo con forza il Signore perché riconduca il cuore degli uomini alle ragioni della pace e insegni ad ognuno di noi ad essere messaggeri del Vangelo della pace e della riconciliazione. "La messe è molta, ma gli operai sono pochi".

Il mio augurio, all'inizio di questo anno accademico, è che ognuno possa imparare, con la preghiera e lo studio, ad essere un fedele operaio della messe e un autentico messaggero della buona novella di Gesù nostro Signore.

Amen!

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