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I programmi della Commissione teologica internazionale

In cammino

di Serge-Thomas Bonino
Segretario generale della Cti*

 

Aperta con la messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae dal cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e presidente della Commissione teologica internazionale (Cti), e conclusa con l’udienza concessa da Papa Francesco, dal 1° al 5 dicembre si è tenuta in Vaticano la prima sessione plenaria del nono quinquennio della Commissione. Nel suo discorso il Pontefice ha richiamato l’attenzione su due caratteristiche della nuova Cti: la presenza più importante delle teologhe al suo interno (cinque donne su trenta membri) e il suo carattere internazionale. Di fatto, i membri del nuovo quinquennio, nominati a settembre 2014, provengono dai cinque continenti: Europa (14), America (8) [America Latina (5) e America del Nord (3)], Asia (4), Africa (3) e Oceania (1) e rappresentano i diversi stati di vita: sacerdoti, diocesani, religiosi e religiose, laici consacrati, madri di famiglia.

Il 1° dicembre la Commissione si è riunita nel palazzo del Sant’Uffizio. Dopo le parole di saluto del presidente, il segretario generale ha esposto la storia, lo spirito e i metodi di lavoro della Cti. Operazione indispensabile poiché, dei trenta membri del quinquennio, venticinque partecipavano per la prima volta ai suoi lavori.

Un momento importante della prima sessione di un nuovo quinquennio è la scelta dei temi che verranno trattati nei cinque anni successivi. In effetti, la missione della Commissione è, secondo i suoi Statuti, «studiare i problemi dottrinali di grande importanza, specialmente quelli che presentano aspetti nuovi, e in questo modo offrire il suo aiuto al Magistero della Chiesa, particolarmente alla Sacra Congregazione per la Dottrina della fede». Al termine di uno scambio prolungato, sono stati dunque individuati tre temi. Ognuno è stato affidato a una sotto-commissione di dieci membri incaricata di preparare, in sinergia con l’insieme della Commissione, un documento su quel tema.

Il primo tema considerato è quello della sinodalità nel contesto della cattolicità. Di fatto, dal concilio Vaticano II, specialmente nel magistero di Papa Francesco, il tema della sinodalità, del “camminare insieme”, è molto presente. Come stile di vita del popolo di Dio, la sinodalità si ricollega alla sequela Christi, essendo Cristo la via (hodòs) per eccellenza che, nello Spirito, conduce la Chiesa verso il Padre. La sinodalità non è dunque l’introduzione artificiale del “parlamentarismo” secolare nella Chiesa, ma un’esigenza che nasce dalla natura stessa della Chiesa. Non costituisce neppure il principio di una ecclesiologia alternativa, ma si articola con ciò che la fede insegna sul primato di Pietro e sulla collegialità episcopale. La posta in gioco ecumenica è qui di primaria importanza.

Il secondo tema scelto dalla Commissione è «Fede e sacramenti». La riflessione sulla sacramentalità trascende la stretta teologia dei sette sacramenti poiché la sacramentalità, che ha la sua origine nel mistero stesso dell’incarnazione del Figlio, è la struttura fondamentale dell’incontro tra Dio e gli uomini. La questione dei rapporti tra i sacramenti e la fede è comunque fondamentale per la pastorale. Due tendenze si contrappongono qui e minacciano l’equilibrio della fede. Da una parte, una visione deformata dell’obiettività e dell’efficacia ex opere operato dei sacramenti può condurre a una forma di magia sacramentale, dove la fede personale in Cristo è relegata in secondo piano. Dall’altra, soprattutto in una cultura segnata dall’individualismo, si ricerca spesso un rapporto con Dio senza una mediazione ecclesiale, puramente interiore.

Ma già nel Vangelo vediamo che Cristo guarisce attraverso un duplice contatto: uno fisico e uno spirituale, quello della fede. Lo stesso vale ancora oggi per l’azione di Cristo in e mediante i sacramenti della sua Chiesa. La mancanza di fede nei battezzati che chiedono di ricevere i sacramenti pone dunque gravi problemi teologici e pastorali. Il problema è particolarmente grave per le celebrazioni del matrimonio in cui gli sposi sembrano non avere né la fede né persino il desiderio della fede. Pur non essendo in discussione la validità del sacramento, simili celebrazioni non smettono di porre al teologo e al pastore numerosi interrogativi.

Terzo tema scelto è, infine, «La libertà religiosa nel contesto attuale». La dichiarazione conciliare Dignitatis humanae costituisce una tappa importante nella maturazione del pensiero della Chiesa, insegnando esplicitamente che «gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata». La ricezione post-conciliare di questa dottrina è stata difficile ma il lavoro di numerosi teologi ha mostrato che essa s’iscrive in modo omogeneo nella continuità della tradizione e non contraddice i testi magisteriali anteriori che condannavano una libertà religiosa disgiunta dall’esigenza di cercare la verità e fondata sul solo relativismo. Ma dalla Dignitatis humanae, redatta in un contesto dominato dall’esperienza dei grandi totalitarismi del XX secolo, il contesto culturale è considerevolmente cambiato. Da una parte, il risorgere del fondamentalismo religioso ha portato alla negazione dei diritti delle minoranze religiose, anzi a una vera persecuzione. Dall’altra, soprattutto nelle società occidentali, l’inflazione dei diritti individuali, privati di ogni riferimento obiettivo alla legge naturale, conduce sempre di più a limitare la libertà religiosa. La laicità, che era all’origine una semplice neutralità dello Stato, volta a favorire la coesistenza pacifica di tutti, tende a divenire una religione di Stato che promuove la secolarizzazione a oltranza della società civile. Per far rispettare i diritti illimitati degli individui, lo Stato arriva in effetti a bandire dalla vita pubblica le religioni (e i credenti) le quali, facendo riferimento alla trascendenza, sembrano minacciare una società fondata sul principio di immanenza e sull’assolutizzazione del diritto positivo. L’inquietante riduzione del diritto all’obiezione di coscienza, le crescenti ingerenze dello Stato, in nome della difesa dei diritti individuali, nella vita interiore della Chiesa o nella sfera familiare, sono i segni di questo totalitarismo soft. La Cti al contrario si propone di mostrare come la libertà religiosa, proteggendo l’apertura costitutiva della persona alla trascendenza, garantisca la vera libertà e contribuisca al bene comune delle società.

 

* L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.288, Gio. 18/12/2014

 
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