The Holy See
back up
Search
riga

 

NOTA ILLUSTRATIVA

 

Gli scritti del gesuita indiano Padre Anthony de Mello (1931-1987) hanno raggiunto una notevole diffusione in molti paesi e tra persone di diversa condizione[1]. In esse, in uno stile immediato e di facile lettura, per lo più in forma di brevi racconti, egli ha raccolto alcuni elementi validi della sapienza orientale, che possono aiutare a raggiungere il dominio di sé, rompere quei legami e affetti che ci impediscono di essere realmente liberi, evitare l’egocentrismo, affrontare serenamente le vicissitudini della vita senza lasciarsi influenzare dal mondo esterno, e insieme percepire la ricchezza del mondo che ci circonda. E giusto segnalare questi valori positivi, che si possono trovare in molti degli scritti del P. de Mello. Soprattutto nelle opere che datano i suoi primi anni di attività come direttore di ritiri, pur rivelando evidenti influssi delle correnti spirituali buddhiste e taoiste, si è mantenuto per molti aspetti ancora all’interno delle linee della spiritualità cristiana: parla dell’attesa, nel silenzio e nella preghiera, della venuta dello Spirito, puro dono del Padre (Incontro con Dio, 11-13). Presenta molto bene la preghiera di Gesù e quella che egli ci insegna, prendendo come base il Padre nostro (Incontro con Dio, 40-43). Parla anche della fede, del pentimento, della contemplazione dei misteri della vita di Cristo secondo il metodo di sant’Ignazio. Nella sua opera Sàdhana. Un cammino verso Dio, pubblicata per la prima volta nel 1978, soprattutto nella sua parte finale (La devozione, 175-235), Gesù occupa un posto centrale: si parla della preghiera di petizione, della preghiera di intercessione, così come Gesù insegna nel Vangelo, della preghiera di lode, dell’invocazione del nome di Gesù. Il libro è dedicato alla Beata Vergine Maria, modello di contemplazione (p. 11).

Ma già in questo volume sviluppa la sua teoria della contemplazione come autocoscienza (o consapevolezza), che non sembra priva di ambiguità. Già all’inizio dell’opera si equipara la nozione della rivelazione cristiana e quella di Lao-Tse, con una certa preferenza per quella di quest’ultimo: «"Il silenzio è la grande rivelazione", disse Lao-Tse. Secondo il nostro comune modo di pensare, la rivelazione si trova nella Sacra Scrittura. Ed è così. Ma oggi vorrei che scopriste quale rivelazione può essere trovata nel silenzio» (p. 15; cf. p. 18). Nell’esercizio della coscienza (o consapevolezza) delle nostre sensazioni corporee entriamo già in comunicazione con Dio (p. 44). Una comunicazione che è spiegata in questi termini: «Molti mistici ci dicono che, oltre la mente e il cuore con cui ordinariamente comunichiamo con Dio, noi siamo, noi tutti, dotati di una mente mistica e di un cuore mistico, una facoltà che ci fa capaci di conoscere Dio direttamente, di coglierlo e intuirlo nel suo stesso essere, sebbene in una maniera oscura» (p. 44). Ma questa intuizione, senza immagini né forma, è quella di un vuoto: «Cosa fisso quando fisso Dio? Una realtà senza immagini, senza forma. Un vuoto!» (p. 45). Per comunicare con l’infinito è necessario «fissare un vuoto». Così si giunge alla conclusione, «apparentemente sconcertante, che la concentrazione sul vostro respiro o sulle vostre sensazioni corporee è un’ottima contemplazione, nel senso stretto della parola» (p. 51) [2]. In altre opere successive si parla del «risvegliarsi», dell’illuminazione interiore o della conoscenza: «Come svegliarsi? Come sapere se si sta dormendo? I mistici, quando vedono ciò che li circonda, scoprono una grande gioia, che sgorga dal cuore delle cose. Concordi, parlano di questa gioia e dell’amore che tutto inonda... Come arrivare a questo? Mediante la comprensione, liberandoci dalle illusioni e dalle idee distorte» (Istruzioni di volo per aquile e polli, 77; cf. Chiamati all’amore, 178). L’illuminazione interiore è la vera rivelazione, molto più importante di quella che ci giunge mediante la Scrittura: «Un guru promise a uno studioso una rivelazione ben più importante di qualsiasi altra contenuta nelle Scritture... Quando hai la conoscenza, usi una torcia per far luce al cammino. Quando hai l’illumina-zione, tu stesso diventi una torcia» (La preghiera della rana, vol. I, 126-127). «La santità non è una conquista, la santità è una grazia. Una grazia chiamata "conoscenza", una grazia che è "guardare", "osservare", "capire". Se tu accettassi di accendere la luce della conoscenza e osservassi te stesso e ogni cosa che ti sta intorno nella vita di ogni giorno; se ti vedessi riflesso nello specchio della conoscenza nel modo in cui tu vedi la tua faccia riflessa in uno specchio ... senza emettere alcun giudizio o alcuna condanna, tu ti accorgeresti di quali meravigliosi cambiamenti avvengono in te» (Chiamati all’amore, 176).

In questi scritti successivi P. de Mello è progressivamente pervenuto a concezioni su Dio, la rivelazione, Cristo, il destino finale dell’uomo, ecc. che non sono armonizzabili con la dottrina della chiesa. Dal momento che molti dei suoi libri non si presentano in forma di insegnamento, ma come raccolte di piccoli racconti, spesso molto ingegnosi, le idee soggiacenti possono facilmente passare inosservate. Si rende pertanto necessario richiamare l’attenzione su alcuni aspetti del suo pensiero, che, in forme diverse, affiorano nell’insieme della sua opera. Ci serviremo dei testi dell’autore, che, pur con le sue caratteristiche particolari, mostrano con chiarezza il pensiero di fondo.

II P. de Mello in diverse occasioni fa affermazioni su Dio che ignorano, se non negano esplicitamente, il suo carattere personale e lo riducono a una vaga realtà cosmica onnipresente. Nessuno può aiutarci a trovare Dio come nessuno può aiutare il pesce a trovare l’oceano (cf. Un minuto di saggezza, 71; Messaggio per un’aquila che si crede un pollo, 115). Analogamente Dio e noi non siamo né una sola cosa e neppure due come il sole e la sua luce, l’oceano e le onde non sono né una cosa sola e neppure due (Un minuto di saggezza, 44). Con chiarezza ancora maggiore il problema della divinità personale si pone in questi termini: «Dag Hammarskjöld, ex segretario generale delle Nazioni Unite, ha detto una frase molto bella: "Dio non muore il giorno in cui smettiamo di credere in una divinità personale..."» (Messaggio per un’aquila..., 140; lo stesso in La iluminación es la espiritualidad, 60). «Se Dio è amore, allora la distanza tra Dio e te è l’esatta distanza tra te e la consapevolezza di te stesso» (Shock di un minuto, 287).

Si critica e si fa spesso dell’ironia soprattutto su ogni tentativo di linguaggio su Dio, a partire da un apofatismo unilaterale ed esagerato, conseguenza della concezione di divinità sopra menzionata. La relazione fra Dio e la creazione si esprime frequentemente con l’immagine hindù del danzatore e della danza: «Vedo Gesù Cristo e Giuda, vedo vittime e persecutori, i carnefici e i crocifissi: un’unica melodia dalle note contrastanti... un’unica danza intessuta da passi differenti... Infine, mi metto davanti a Dio. Lo vedo come il danzatore e tutta questa cosa folle, insensata, esilarante, agonizzante, splendida che chiamiamo vita come la sua danza...» (Alle sorgenti, 178-179; cf. Il canto degli uccelli, 30) Che cosa o chi è Dio e che cosa sono gli uomini in questa «danza»? E ancora: «Se vuoi vedere Dio, osserva direttamente il creato. Non rifiutarlo, non riflettere su di esso. Limitati a guardare» (p. 41). Non si vede come entri qui la mediazione di Cristo per la conoscenza del Padre. «Dio non ha nulla a che vedere con l’idea che avete di lui... C’è un solo mezzo per conoscerlo: la non conoscenza" (Istruzioni di volo per aquile e polli, 11; cf. 12-13; Messaggio..., 136; Preghiera della rana, vol. I, 351). Su Dio pertanto non si può dire nulla: «L’ateo fa lo sbaglio di negare quello su cui non si può dire nulla... E il teista fa lo sbaglio di affermarlo» (Shock di un minuto, 30; cf. 360).

Neppure le Scritture, senza escludere la stessa Bibbia, ci fanno conoscere Dio, sono solo come il cartello indicatore che non mi dice niente sulla città alla quale mi dirigo: «Arrivo davanti a un cartello dove sta scritto "Bombay"... Quel cartello non è Bombay e neppure le assomiglia. Non è un ritratto di Bombay. È un’indicazione. Questo sono le Scritture, un’indicazione» (Istruzioni di volo..., 12). Seguendo la metafora, si potrebbe dire che l’indicazione si rende inutile quando sono arrivato al luogo di destinazione. Ed è ciò che sembra affermare A. de Mello: «La Scrittura è la parte eccellente, il dito puntato che indica la Luce. Usiamo le sue parole per andare oltre e approdare al silenzio» (Istruzioni di volo..., 15). La rivelazione di Dio paradossalmente non si esprime nella sua parola, ma nel suo silenzio (cf. anche Un minuto di saggezza, 129; 167; 201, ecc.; Messaggio per un’aquila che si crede un pollo, 112-113). «En la Biblia se nos señala solamente el camino, corno ocurre con las escrituras musulmanas, budistas, etc.» (La iluminación es la espiritualidad, 64).

Si proclama pertanto un Dio impersonale che sta sopra tutte le religioni, mentre si muovono obiezioni all’annuncio cristiano sul Dio amore, che sarebbe incompatibile con la necessità della chiesa per la salvezza: «Il mio amico e io andammo alla fiera. La fiera internazionale delle religioni... Al banco ebreo ci dettero dei volantini che dicevano che Dio era compassionevole e gli ebrei erano il suo popolo eletto. Gli ebrei. Nessun altro popolo era tanto eletto quanto il popolo ebreo. Al banco musulmano apprendemmo che Dio era misericordioso e Maometto il suo unico profeta. La salvezza viene dall’ascoltare l’unico profeta di Dio. Al banco cristiano scoprimmo che Dio è amore e non c’è salvezza al di fuori della chiesa. Entra nella chiesa o rischierai la dannazione eterna. Mentre ci allontanavamo chiesi al mio amico: "Cosa pensi di Dio?". Egli rispose: "È bigotto, fanatico e crudele". Tornato a casa dissi a Dio: "Perché allestisci questo genere di cose, Signore? Non vedi che da secoli ti procurano una cattiva fama?". Dio rispose: "Non l’ho organizzata io la fiera. Io mi vergognerei perfino di visitarla"» (Il canto degli uccelli, 186s, il racconto La fiera internazionale delle religioni; cf. anche 190-191; 194). L’insegnamento della chiesa sulla volontà salvifica universale di Dio e la salvezza dei non cristiani non è esposto in modo corretto. E anche quello riguardante il messaggio cristiano di Dio amore: «"Dio è amore. E ci ama e ci ricompensa per sempre, se osserviamo i suoi comandamenti". "SE?", disse il maestro. "Allora la notizia non è poi tanto buona, no?"» (Shock di un minuto, 218; cf. 227). Ogni religione concreta è un impedimento per giungere alla verità. Della religione in generale si dice ciò che abbiamo visto affermato delle Scritture: «Todos los fanáticos querían agarrarse a su Dios y hacerlo el único» (La iluminación es la espiritualidad, 65; cf. 28r 30). Ciò che importa è la verità, che essa venga da Buddha o da Maometto, dal momento che «lo importante es descubrir la verdad en donde todas las verdades coinciden, porque la verdad es una» (La iluminación es la espiritualidad, 65). «La maggior parte delle persone purtroppo ha abbastanza religione per odiare, ma non abbastanza per amare» (La preghiera della rana, vol. I.,146; cf. 56-57; 133). Quando si enumerano gli ostacoli che impediscono di vedere la realtà, la religione occupa il primo posto: «Primo, la tua fede religiosa. Se tu prendi la vita da comunista o da capitalista, da musulmano oppure da ebreo, tu vivi la vita in una maniera preconcetta e tendenziosa: ecco una barriera, uno strato di grasso tra la Realtà e il tuo spirito, che non arriva più a vederla e toccarla direttamente» (Chiamati all’amore, 62). «Se ogni essere umano fosse dotato di un cuore così, nessuno più etichetterebbe se stesso come "comunista" o "capitalista", "cristiano" o "musulmano" o "buddhista". La lucida chiarità della loro visione rivelerebbe loro che tutti i pensieri, tutti i preconcetti, tutte le credenze sono lucerne cariche di tenebre, nient’altro che segni della loro ignoranza» (Chiamati all’amore, 172; cf. anche Un minuto di saggezza, 169; 227, sui pericoli della religione). Ciò che si afferma della religione, si dice anche in concreto delle Scritture (cf. Il canto degli uccelli, 186s; Shock di un minuto, 28).

La filiazione divina di Gesù si diluisce nella filiazione divina degli uomini: «Al che Dio replicò: "Un giorno di festa è sacro perché dimostra che tutti i giorni dell’anno sono sacri. E un santuario è santo perché dimostra che tutti i posti sono santificati. Così Cristo è nato per dimostrare che tutti gli uomini sono figli di Dio"» (Il canto degli uccelli, 188). De Mello mostra certamente un’adesione personale a Cristo, del quale si dichiara discepolo (Alle sorgenti, 13 e 99), nel quale crede (108) e con il quale si incontra personalmente (109ss; 117ss). La sua presenza trasfigura (cf. 90s). Ma altre affermazioni risultano sconcertanti: Gesù è menzionato come un maestro fra tanti: «Lao Tse e Socrate, Buddha e Gesù, Zarathustra e Maometto» (Un minuto di saggezza, 13). Gesù sulla croce appare come colui che si è liberato perfettamente di tutto: «Vedo il Crocifisso spogliato di tutto: Privato della sua dignità... Privato della sua reputazione... Privato di ogni appoggio... Privato del suo Dio... Mentre fisso quel corpo senza vita capisco a poco a poco di star guardando il simbolo della liberazione suprema e totale. Appunto perché inchiodato alla croce Gesù diventa vivo e libero... Così ora contemplo la maestà dell’uomo che si è liberato da tutto ciò che ci rende schiavi, che distrugge la nostra felicità...» (Alle sorgenti, 92-93). Gesù sulla croce è l’uomo libero da tutti i legami, diviene pertanto il simbolo della liberazione interiore da tutto quello a cui eravamo attaccati. E egli però qualcosa di più che non l’uomo libero? E Gesù il mio salvatore o mi rinvia semplicemente ad una realtà misteriosa che ha salvato lui? «Entrerò mai in contatto, Signore, con la fonte da cui scaturiscono le tue parole e la tua saggezza?... Troverò mai le sorgenti del tuo coraggio?» (Alle sorgenti, 116). «L’aspetto migliore di Gesù è che si trovava a suo agio con i peccatori, perché capiva che non era migliore di loro in niente... L’unica differenza tra Gesù e i peccatori era che lui era sveglio e loro no» (Messaggio per un’aquila che si crede un pollo, 37; anche La iluminación es la espiritualidad, 30; 62). La presenza di Cristo nell’eucaristia non è se non un simbolo che rimanda ad una realtà più profonda, la presenza di Cristo nella creazione: «Toda la creación es Cuerpo de Cristo, y tú crees que sólo está en la Eucaristía. La Eucaristía señala esa creación. El Cuerpo de Cristo está por todas partes, y tu sólo reparas en su simbolo que te está apuntando lo esencial que es la vida» (La iluminación es la espiritualidad, 61).

L’essere dell’uomo sembra destinato a una dissoluzione, come quella del sale nell’acqua: «Prima che quell’ultimo pezzetto si sciogliesse, la bambola [di sale] esclamò stupita: "Ora so chi sono!"» (Il canto degli uccelli, 134). In altri momenti si dichiara irrilevante la questione della vita al di là della morte: «"C’è la vita prima della morte?... è questa la questione!", rispose il maestro enigmaticamente» (Un minuto di saggezza, 93; cf. 37). «Un buon sintomo del fatto che siete svegli è che non ve ne importa un bel niente di quello che accadrà nella prossima vita. Il pensiero non vi turba; non vi importa. Non vi interessa, punto e basta» (Messaggio per un’aquila che si crede un pollo, 50-51; anche Messaggio..., 166). Forse con ancor maggiore chiarezza: «Perché preoccuparsi di domani? C’è una vita dopo la morte? Sopravvivrò dopo la morte? Perché preoccuparsi del domani? Entrate nel presente» (Messaggio..., 126). «La idea que la gente tiene de la eternidad es estúpida. Piensa que dura para siempre porque está mera del tiempo. La vida eterna es ahora, está aqui» (La iluminación es la espiritualidad, 42).

In diversi punti dei suoi libri si criticano in modo indiscriminato le istituzioni ecclesiastiche: «Professionisti hanno assunto completamente il controllo della mia vita religiosa...» (Il canto degli uccelli, 74s). La funzione del Credo o la professione della fede è giudicata negativamente, come ciò che impedisce l’accesso personale alla verità e all’illuminazione. Così con sfumature diverse in Il canto degli uccelli, 50; 59; 62s; 212. «Cuando ya no te haga falta el agarrarte a las palabras de la Biblia, entonces es cuando ésta se convertirá para ti en algo muy bello y revelador de la vida y su mensaje. Lo triste es que la Iglesia oficial se ha dedicado a enmarcar el ídolo, encerrarlo, defenderlo, cosificándolo sin saber mirar lo que realmente significa» (La iluminación es la espiritualidad, 66). Idee simili si espongono ne La preghiera della rana, I, 21; 133, 135; 139: «Un pubblico peccatore fu scomunicato e gli fu proibito di entrare in chiesa. Egli andò a lamentarsi con Dio. "Non mi fanno entrare, Signore, perché sono un peccatore". "Di che ti lamenti?" disse Dio. "Non lasciano entrare neanche me!"» (La preghiera della rana, 1,148).

II male non è se non ignoranza, mancanza di illuminazione: «Quando Gesù guarda il male lo chiama con il suo nome e lo condanna senza esitazione. Solo che dove io vedo malvagità lui vede ignoranza... "Padre, perdona loro..." (Lc 23,34)» (Alle sorgenti, 191). Certamente questo testo non riflette tutto l’insegnamento di Gesù sul male del mondo e sul peccato; Gesù ha accolto i peccatori con profonda misericordia, ma non ha negato il loro peccato, piuttosto ha invitato alla conversione. In altri passi troviamo affermazioni ancora più radicali: «Niente è buono o cattivo, ma il pensiero lo rende tale» (Un minuto di saggezza, 115). «In realtà non esiste né bene né male, negli uomini o nella natura. Esiste soltanto una valutazione mentale imposta a questa o a quella realtà» (Istruzioni di volo per aquile e polli, 100; 104-105). Non vi è motivo per pentirsi dei peccati, dal momento che l’unica cosa che conta è risvegliarsi alla conoscenza della realtà: «Non piangete sui vostri peccati. Perché piangere per dei peccati che avete commesso nel sonno?» (Messaggio per un’aquila che si crede un pollo, 33; 51; 166). La causa del male è l’ignoranza (Shock di un minuto, 260). Il peccato esiste, ma è un atto di follia (La iluminación es la espiritualidad, 63). Il pentimento è così ritornare alla realtà (cf. La iluminación es la espiritualidad, 48). «Il pentimento è un cambiamento della mente: una visione radicalmente diversa della realtà» (Shock di un minuto, 262).

Fra queste diverse affermazioni esiste certamente una connessione interna: se si mette in questione l’esistenza di un Dio personale, non ha senso che si sia rivolto a noi con la sua Parola. La Scrittura non ha pertanto un valore definitivo. Gesù è un maestro come gli altri; solo nelle prime opere dell’autore appare come il Figlio di Dio. Questa affermazione avrebbe poco senso a partire dalla concezione di Dio alla quale ci siamo appena riferiti. Di conseguenza non si può attribuire valore all’insegnamento della chiesa. La nostra sopravvivenza personale al di là della morte è problematica se Dio non è persona. È chiaro che tali concezioni su Dio, su Cristo e sull’uomo non sono compatibili con la fede cristiana.

Non poteva pertanto mancare una presa di posizione chiarificatrice da parte di chi ha la responsabilità di tutelare la dottrina della fede, per mettere in guardia i fedeli dai pericoli presenti negli scritti di Padre de Mello o comunque a lui attribuiti.


[1] Occorre segnalare che non tutte le opere di A. de Mello furono pubblicate da lui stesso. Alcune sono state pubblicate dopo la sua morte sulla base di suoi scritti o di appunti o di registrazioni di conferenze. Nella presente Nota illustrativa ci si riferisce all’edizione italiana, tranne per il testo La iluminación es la espiritualidad. Curso completo de autoliberación interior (Vida nueva 1987, pp. 27/1583-66/1622).

[2] A questo tipo di proposte sembra fare riferimento la Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede Orationis formas su alcuni aspetti della meditazione cristiana, 15 ottobre 1989, n. 12 [AAS 82 (1990), 369; EV 11/2695]: «Alia demum temere audent aequare absolution Mud, sine imaginibus et conceptibus, quod est proprium theoriae Buddhisticae, Dei maiestati, in Chris to revelatae, quae supra res finitas elevatur» («Altre ancora non temono di collocare quell’assoluto senza immagini e concetti, proprio della teoria buddhista, sullo stesso piano della maestà di Dio, rivelata in Cristo, che si eleva al di sopra della realtà finita»). È opportuno ricordare a questo riguardo gli insegnamenti sull’inculturazione e sul dialogo interreligioso di Giovanni Paolo II, Lettera Enc. Redemptoris missio sulla permanente validità del mandato missionario, 7 dicembre 1990, nn. 52-57: AAS 83 (1991), 299-305; EV 12/651ss.

 

top