The Holy See
back up
Search
riga

Le conseguenze canoniche e pastorali*

Card. Urbano Navarrete, S.I.

 

1. Limiti dei dubbi proposti

Sono due le formule del battesimo dichiarate nulle nella presente risposta della Congregazione per la Dottrina della Fede ai dubbi proposti. Le presentiamo tradotte in italiano: “Io ti battezzo nel nome del Creatore, e del Redentore, e del Santificatore”; “Io ti battezzo nel nome del Creatore, e del Liberatore, e del Sostenitore”.

È chiaro che le formule invalide o dubbie del battesimo possono essere molte. La prassi della Congregazione per la Dottrina della Fede non ha voluto fare mai un elenco ufficiale completo di tali formule invalide o dubbie, tenuto conto della complessità della materia. Invece è sempre intervenuta sia rispondendo ai singoli casi concreti che eventualmente le sono stati proposti, sia dando risposte che riguardano formule del battesimo adoperate che sono invalide oppure dubbie.

Quanto diremo nel presente saggio si riferisce soltanto alla risposta ai due dubbi proposti. Prescindiamo dal fondamento teologico della risposta e ci limitiamo esclusivamente a rilevare le conseguenze d’ordine canonico e pastorale che ne derivano riguardo alle persone battezzate con queste formule.

2. Natura della risposta della Congregazione per la Dottrina della Fede

La risposta della Congregazione per la Dottrina della Fede costituisce una dichiarazione dottrinale autentica, la quale ha effetti canonici e pastorali di gran portata. La risposta, infatti, afferma implicitamente che le persone che sono state battezzate o saranno battezzate nell’avvenire con le formule in questione in realtà non sono battezzate. Quindi devono essere trattate a tutti gli effetti canonici e pastorali con gli stessi criteri giuridici delle persone che il Codice di diritto canonico mette sotto la categoria generale di “non battezzati”.

Da rilevare che non si tratta di un’interpretazione autentica di una legge dubbia della Chiesa, la quale ha forza di legge soltanto dopo la data fissata nella sua promulgazione, e non ha effetto retroattivo (can. 16, § 2 CIC; can. 1498, § 2 CCEO). Nel caso presente si tratta di una dichiarazione dottrinale, la quale suppone un principio dottrinale oggettivamente esistente e operante, ma non bene conosciuto soggettivamente nella comunità ecclesiale, che è dichiarato autenticamente dall’autorità di magistero della Chiesa, con la conseguenza logica della sua obbligatorietà per tutti quelli che, nella Chiesa universale, operano nel campo dell’amministrazione, della giurisprudenza e della pastorale.

D’ora in poi, quindi, nei casi che possono presentarsi di persone battezzate con una di queste due formule, l’unica cosa della quale deve constare con certezza, è il fatto del battesimo ricevuto con tale formula, senza entrare nell’investigazione sulla validità o meno di tale battesimo. Se consta del fatto, l’interessato deve essere trattato da non battezzato a tutti gli effetti, mentre i responsabili dell’operare della Chiesa sono tenuti ad attenersi alla suddetta decisione con tutte le sue conseguenze, anche se soggettivamente avessero dubbi o fossero convinti che le formule in questione sono valide per amministrare il battesimo.

3. Conseguenze nel campo sacramentale

a) Sacramenti d’iniziazione

Le prime conseguenze ovvie sono queste: le persone battezzate con una di queste formule non sono capaci di ricevere nessuno dei sacramenti (can. 842, 1 CIC; can. 675, § 2 CCEO), fino a quando non siano battezzate validamente. Perciò se queste persone hanno ricevuto gli altri sacramenti che imprimono carattere, cioè la Cresima e l’Ordine, tali sacramenti devono essere nuovamente conferiti ad validitatem.

Per quanto riguarda gli adulti, fatta la catechesi necessaria (can. 788, § 1-2 CIC; can. 587, §§ 1-2 CCEO), la quale deve tener conto anche dell’origine della persona interessata, si deve procedere all’amministrazione dei sacramenti dell’iniziazione (can. 865 CIC; can. 682 CCEO). Come afferma in modo esplicito la dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede il battesimo deve essere amministrato in forma assoluta, non sotto condizione. Quindi si devono osservare tutte le norme previste per il battesimo degli adulti, in particolare la prescrizione per il rito latino, secondo cui l’adulto che viene battezzato, se non si oppone una grave ragione, subito dopo il battesimo riceva la confermazione e partecipa alla celebrazione eucaristica, ricevendo anche la comunione (can. 866 CIC).

Se si tratta di bambini, costoro devono essere battezzati in forma assoluta, non sotto condizione, secondo i riti previsti per il battesimo dei bambini.

b) Il matrimonio

– Ammissione al matrimonio.

In materia matrimoniale possono sorgere problemi molto delicati, sia nel campo pastorale che amministrativo e giudiziario, tenuto conto dei principi dottrinali che operano indipendentemente dalla volontà delle persone coinvolte. Innanzitutto va ribadito che la dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede è stata operativa sempre, anche prima della sua promulgazione. Ciò premesso, va rilevato:

1. Per quanto riguarda le persone battezzate con una formula dichiarata invalida che abbiano contratto matrimonio fra di loro, il matrimonio di per se è valido ma non è sacramento. La chiesa non ha nessuna giurisdizione su tale matrimonio.

2. Se una di tali persone, ritenendosi validamente battezzata fuori della chiesa cattolica è stata ammessa al matrimonio canonico applicando la legislazione dei matrimoni misti fra cattolici e battezzati non cattolici (cann. 1124-1128 CIC; cann. 813-816 CCEO), il matrimonio è nullo, a causa dell’impedimento di disparità di culto non dispensato (cf. can. 1086 CIC; can. 803 CCEO).

3. Quindi per ammettere al matrimonio una persona battezzata con una di tali formule e un cattolico, si devono osservare le norme prescritte per i matrimoni fra un cattolico e una persona non battezzata (cann. 1129 e 1086 CIC; can. 803 CCEO).

Quanto alla forma di celebrazione non c’è dubbio che il matrimonio fra due persone battezzate con una di dette formule, é regolato soltanto dal rispettivo diritto civile, sia consuetudinario che scritto, come il resto dei matrimoni dei cittadini non battezzati. Invece è obbligatoria la forma canonica per la validità della celebrazione del matrimonio fra una persona battezzata con una di tali formule e un cattolico (can. 1117 CIC; can. 834, § 1 CCEO). Tuttavia, per i latini, l’Ordinario del luogo in caso di peculiare difficoltà gode della facoltà di dispensare dalla forma canonica a norma del can. 1127, 2 CIC (cfr. can. 835 CCEO). Riguardo alla forma liturgica, si deve osservare il can. 1118, 3 CIC (can. 838 CCEO).

– Scioglimento del matrimonio.

La Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede può avere particolare applicazione in materia di stabilità del vincolo matrimoniale quando si tratta dei matrimoni contratti fra due battezzati con una delle formule dichiarate invalide oppure fra uno validamente battezzato e un altro battezzato con una di dette formule invalide. Infatti, secondo la dottrina cattolica “il matrimonio rato (= sacramento) e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte” (can. 1141 CIC; can. 853 CCEO), mentre i matrimoni non rati anche se consumati, dati determinati presupposti, possono essere sciolti dalla potestà della Chiesa, che esercita nella misura e nelle modalità che ritiene opportuno. Ora dopo la risposta della Congregazione per la Dottrina della Fede abbiamo la certezza secondo cui il matrimonio non è rato, sempre che uno almeno dei coniugi sia stato battezzato con una delle formule dichiarate invalide. Quindi tale matrimonio anche se consumato, dati determinati presupposti, può essere sciolto secondo le modalità determinate dalla Chiesa.

Se si tratta di un matrimonio fra due battezzati con una delle formule dichiarate invalide il matrimonio potrà essere sciolto per il privilegio paolino se si danno tutte le condizioni previste dal diritto per l’applicazione di questa via (cann.1143-1150 CIC; cann. 854-861 CCEO). Da notare la necessità della conversione e ricezione del battesimo di una delle parti (can 1143, § 1; can. 854, § 1 CCEO), condizione che in questa fattispecie risulta particolarmente problematica in quanto la parte interessata deve aver riconosciuto e accettato l’invalidità del suo battesimo previamente ricevuto.

Se non è applicabile il privilegio paolino per mancanza di una delle condizioni richieste dalla legge canonica, il matrimonio in questione, essendo non rato anche se consumato, resta oggettivamente suscettibile di essere sciolto dalla potestà della Chiesa. Tuttavia va esaminato se rientra nelle Norme per lo scioglimento del matrimonio “in favorem fidei” emanate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e approvate da Giovanni Paolo II nell’anno 2001.

– Cause di nullità matrimoniale.

La risposta della Congregazione per la Dottrina della Fede che stiamo commentando può dare luogo a specifiche cause di nullità matrimoniale che devono essere previste.

Tali cause possono provenire dal fatto che le persone battezzate invalidamente siano state considerate, al momento del matrimonio, come persone validamente battezzate che contraggono matrimonio con un’altra persona validamente battezzata.

In questa fattispecie l’assistente al matrimonio facilmente ha potuto trattare il caso come se si trattasse di un matrimonio fra battezzati e quindi senza pensare a chiedere la dispensa dell’impedimento di disparità di culto.

In questa fattispecie, provati i fatti, la nullità del matrimonio è così evidente da potersi definire per il processo documentale (cann.1686-1688 CIC; cann. 1372-1374 CCEO), se consta che non è stata concessa la sanazione in radice.

Per gli altri capi di nullità non sembra che ci siano motivi specifici che richiedano un’attenzione speciale.

4. Conseguenze nel campo disciplinare

Un fedele cattolico che tenta con dolo di amministrare il battesimo con una di queste formule invalide, commette un delitto canonico punibile con una giusta pena a norma del can. 1384 CIC.

Infatti è gravemente illegittimo ed ingiusto ingannare sia il battezzando che la comunità al riguardo del sacramento che è “ianua sacramentorum” (porta dei sacramenti: can. 849 CIC; cfr. 675, § 2 CCEO).

Inoltre, a norma del can. 1389 CIC (can. 1464 CCEO), chi reca danno ad un altro con l’uso o non uso illegittimo del ministero ecclesiastico, sia esso causato da dolo (can. 1389, § 1 CIC; can. 1464, § 1 CCEO) o da colpevole negligenza (can. 1389, § 2 CIC; can 1464, § 2 CCEO), è suscettibile di una giusta pena.

L’ingiustizia è manifestamente più grave se il ministro che inganna la comunità è un chierico – diacono, presbitero o vescovo. In questi casi l’autorità ecclesiastica ha il dovere di applicare l’aggravante di cui al can. 1326, § 1, n. 2 CIC (can. 1416 CCEO).

Spetterà ai vescovi vigilare affinché queste formule non siano mai adoperate in ambito cattolico. Sono loro “totius vitae liturgicae in Ecclesia sibi commissa moderatores, promotores atque custodes” (i moderatori, i promotori e i custodi di tutta la vita liturgica nella Chiesa loro affidata) (can. 835, § 1 CIC; cfr. can. 199, § 1 CCEO).


* L’Osservatore Romano, n. 52, 1° marzo 2008, p. 6.

 

top