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OMELIA PER LA SANTA MESSA DI
S. ECC.ZA MONS. GERHARD LUDWIG MÜLLER

Pontificia Università Gregoriana
Mercoledì, 15 maggio 2013

        

Ringrazio sentitamente il Rettore Magnifico per il cortese invito a presiedere con voi la celebrazione della Santa Messa a conclusione dell’anno accademico. Rivolgendomi a una comunità universitaria di studenti di teologia e di altre discipline affini, è mio desiderio svolgere qui una breve riflessione sulla teologia quale scienza della confessione e della prassi della fede cristiana.      

Come abbiamo appena ascoltato nel brano del capitolo ventesimo degli Atti degli Apostoli, san Paolo, nel momento culminante del suo congedo, affida ai Pastori il compito di «vegliare» perché possano «pascere la Chiesa di Dio», che il Signore «si è acquistata con il suo sangue». Sa che, dopo la sua partenza, «entreranno fra voi lupi rapaci», che insegneranno «dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé» (cfr. At 20,28-30). Per questo, nel momento culminante della sua preghiera sacerdotale precedente la Passione – il Santo Vangelo odierno ce ne ha di nuovo offerto lo struggente racconto –, il Signore Gesù affida tutto se stesso al Padre, a Lui si consacra per i Suoi, perché anch’essi siano «consacrati nella verità» (cfr. Gv 17,19).        

La teologia sta costitutivamente in rapporto con tale mediazione cristologica ed ecclesiale della fede. Oggetto della teologia è infatti la fede, testimoniata dalla Chiesa, nell’auto-rivelazione di Dio nella persona e nella storia di Gesù di Nazareth. Tale auto-comunicazione di Dio mira a far sì che «gli uomini, per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, abbiano accesso al Padre nello Spirito Santo e siano resi partecipi della natura divina» (Dei Verbum, 2).        

La fede come attofides qua creditur») di una relazione personale con Dio si distingue sì, quanto a origine e modo in cui si attua, dalla semplice presa di conoscenza di un dato di fatto alla maniera della ragione scientifica. Ciò però non esclude che «la verità, che questa rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini» (ibid., «fides quae creditur»), sia fatta oggetto di riflessione con l’aiuto di metodi scientifici e sia posta globalmente in rapporto con la concezione della realtà e in particolare con la questione della salvezza dell’uomo. La fede cristiana non si concepisce come espressione di un’esperienza irrazionale al di là di un rapporto razionale con il mondo, né come un’estasi religiosa spontanea o addirittura come un elemento di una visione speculativa del mondo, quale propongono la gnosi, l’esoterismo, la teosofia, l’antroposofia o la New Age. Essa pretende piuttosto indicare in maniera definitiva l’origine e il fine dell’uomo nell’orizzonte della sua relazione personale con Dio creatore, redentore e perfezionatore del mondo. Una definizione del proprio rapporto con l’orientamento razionale ed etico del mondo è perciò costitutiva per la fede cristiana.       

La fede nasce dall’ascolto della parola di Cristo (fides ex auditu) e si attua come assenso personale (assensus fidei, affectus amoris) alla interpellanza della parola di Dio (cfr. Rm 10,17). Ma in qualità di atto umano tale ascolto implica anche una accoglienza intelligente della parola di Dio, ascoltata nella mediazione del linguaggio umano con la sua struttura logico-ermeneutica e i suoi principi della formazione del concetto e del giudizio. Auditus fidei e intellectus fidei sono sì distinguibili, ma non separabili, perché la fede contiene sempre in sé anche «una comprensione e una conoscenza dell’amore di Dio per noi nel Figlio suo», come afferma san Paolo (cfr. Ef 3,19; 4,13).      

Proprio a motivo della pretesa universale di salvezza per tutti gli uomini che Dio offre nel nome – cioè nella persona – di Gesù (cfr. At 4,12; Gv 14,6; 1Tm 2,4), occorre assolutamente accertare l’«attendibilità dell’insegnamento» e del fondamento storico del vangelo di Cristo (cfr. Lc 1,1-4). La Chiesa non può, per la missione universale affidatale dal Signore (cfr. Mt 28,19), ritirarsi in se stessa come un gruppo religioso. Essa sta, nella sua qualità di «sacramento della salvezza del mondo in Gesù Cristo» (Lumen gentium, 1), in un rapporto dinamico con il mondo, con tutta l’umanità e con la sua storia. Un discorso razionale sulla fede e una comunicazione argomentativa del vangelo sono inseparabili dal carattere dialogico della parola di Dio: siate «sempre pronti a dare una risposta a chi vi chiede il motivo della vostra speranza» (1Pt 3,15). La dogmatica esamina dunque l’intrinseca consistenza e coerenza delle varie affermazioni di fede, che scaturiscono dall’unico fondamento della rivelazione di Dio come Padre di Gesù Cristo e della rivelazione del «Figlio suo» (cfr. 1Cor 15,1; Gal 1,11).       

Il problema fondamentale consiste nel sapere come possa nascere una fede ragionevole nella parola di Dio e come sia possibile una vicinanza diretta dell’uomo a Dio, vicinanza che rimane pur sempre legata alla mediazione umana della parola di Dio nella parola umana (cfr. 1Ts 2,13), senza che l’uomo, nel suo parlare di Dio, abbia invece a che fare soltanto con se stesso e con le proprie idee su Dio, come suppone Ludwig Feuerbach, quando sospetta che qui si tratti di una semplice proiezione. Il problema di fondo è quindi costituito dal modo in cui bisogna definire la «ragione» in generale e dal tipo di ragione filosofica da prendere come punto di riferimento nel sistema relazionale «fede-ragione». La gnoseologia teologica – o dogmatica fondamentale – ha pertanto il compito di chiarire il rapporto con la realtà, il campo degli oggetti, l’oggetto formale, nonché le fonti e i criteri della conoscenza e della formazione teologica del giudizio.       

Dal punto di vista gnoseologico, la teologia deve mostrare che la ragione umana, per quanto legata al mondo (sensi, legame con la cultura, contestualità, storicità, socialità), è in linea di principio aperta alla trascendenza e che l’uomo può essere l’uditore di una reale rivelazione verbale di Dio nella storia. La teologia deve definire il rapporto tra la pretesa della rivelazione di annunciare delle verità escatologiche e la sua struttura storica, nonché tra il carattere storicamente e socialmente condizionato dell’accesso alla sua interpellanza e al suo contenuto personale. Deve ancora formulare il concetto di verità delle affermazioni teologiche in maniera tale da conciliare positivamente la totalità e la definitività della verità espressa nella proposizione dogmatica con la libertà della fede e della coscienza, senza che, per amore della libertà della fede, la pretesa specifica del cristianesimo di possedere la verità debba essere dissolta nella verità e funzionalità astratta di una religiosità originaria, che con presunzione erronea starebbe dietro a tutte le religioni. Dovrà infine riflettere sulla rilevanza sociale delle sue affermazioni teologiche.        

Per coltivare la teologia come scienza, bisogna ricorrere agli strumenti ermeneutici della filosofia. La differenza di carattere e di tipo tra il modo di mediazione della rivelazione biblica nel linguaggio umano nel mondo semitico, da un lato, e la formulazione di una teologia naturale nella filosofia greca, dall’altro, sono evidenti. Tuttavia, la pretesa di essere una religione universale, avanzata dal cristianesimo, comportò per esso anche la necessità di esprimersi riflessamente con gli strumenti di una filosofia sviluppata. La rivelazione biblica di per sé non è affatto a-metafisica. Essa presuppone già sempre la trascendenza assoluta di Dio e la possibilità della sua mediazione nello strumento del linguaggio umano e di conseguenza è sostanzialmente più vicina all’orientamento critico e riflessivo della realtà adottato dalla ragione umana nella filosofia, che non alla rappresentazione mitologica immaginifica del divino in seno alle religioni storiche. La teologia non può certo legarsi in modo esclusivo a una determinata concezione filosofica e lasciarsi da essa dettare i principi e i criteri della validità delle sue affermazioni. Criterio della formazione dei concetti è il contenuto della fede e non viceversa. E il contenuto della rivelazione cristiana non può, sotto i dettami di una gnoseologia scettica nei confronti della trascendenza, essere ridotto a un semplice materiale illustrativo dell’imperativo morale o dei sentimenti religiosi. La rivelazione biblica presenta, sotto il profilo del contenuto e della forma, determinate richieste a una ontologia, una gnoseologia e una antropologia, che essa presuppone come criteri immanenti della propria validità.        

La relazione particolare della teologia scientifica con la Chiesa non può ridursi a una lealtà esteriore. La teologia deve piuttosto, per sua essenza, portare il contributo della problematica specificamente teologica nella forma e nella mediazione ecclesiale della fede e presupporre d’altra parte già sempre in partenza, come propri principi, gli articoli di fede testimoniati dalla Chiesa. La libertà della teologia non consiste, perciò, in una dispensa dall’oggetto a lei pre-esistente e dal metodo a lei adeguato. Una dispensa del genere equivarrebbe a una sua auto-distruzione. La libertà della teologia consiste nel concepirsi, in conformità alla propria natura e nel contesto della vita ecclesiale, come un’istanza che cerca di approfondire, con una pienezza sempre maggiore, la conoscenza del proprio oggetto. Giustamente perciò il suo luogo è l’università, quale ambito specifico dell’elaborazione della cultura.        

Esprimo il mio più sincero auspicio di una permanente e profonda formazione teologica e filosofica e termino rivolgendo a tutti le parole stesse dell’Apostolo Paolo “Ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, che può edificare e dare l’eredità con tutti i santificati.” (Atti 20,32).

 

 

 

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