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Una “Teologia della Vita”
nell’opera di Joseph Ratzinger / Benedetto XVI

Relazione pronunciata in occasione della 30° Conferenza internazionale del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari

Gerhard Card. Müller

Città del Vaticano
19 novembre 2015

 

Durante il suo discorso alla Commissione Teologica Internazionale nel 2007, Papa Benedetto XVI ha invitato a legittimare e illustrare i fondamenti dell'etica universale: quell’etica ampia e generale “appartenente al grande patrimonio della sapienza umana, che in qualche modo costituisce una partecipazione della creatura razionale alla legge eterna di Dio”.[1] Il Pontefice emerito ha inoltre nominato i principi su cui si basano la teologia della legge morale naturale ed il tentativo di una vita riuscita: “Fai il bene ed evita il male”, è questo il primo elemento, valido a sua volta per tutti i principi, i diritti e gli obblighi più concreti che regolano la vita individuale. In tale contesto, per Benedetto XVI, l’attenzione nei confronti della dignità della vita, già a partire dai suoi inizi fino al suo termine naturale, è la condizione necessaria affinché la vita, che per gli uomini è un bene inviolabile di cui non si può disporre a proprio piacimento, venga percepita ed accettata come un dono del Creatore. La vita, in quanto dono di Dio, ha la propria dignità e la propria inviolabilità - così afferma Benedetto in altri interventi[2] - ed entrambe queste qualità non possono essere messe in discussione sia per chi soffre, che per chi è portatore di handicap e per chi non è ancora nato. La dignità della vita è insita nella natura umana. E da ciò emergono i diritti e i doveri dell’uomo sia nei confronti del prossimo, quando lo si incontra concretamente, sia nei confronti della società, intesa come tessuto sociale in cui si muovono gli individui.

Le conseguenze per il dibattito in materia di bioetica vanno discusse entro questo quadro fondamentale. Essendo la clonazione umana tecnicamente realizzabile, può essere giustificabile congelare gli embrioni? Oppure, avendo a disposizione tecnologie biomediche in grado di alimentare le pretese e le attese, valutare la vita di una persona solo sotto questi punti di vista? Come negare che gli esseri umani siano trattati non più come un “qualcuno”, ma come un “qualcosa” reso inumano ai fini della ricerca, in grado di sorpassare i confini della responsabilità bioetica?[3]

Il relativismo e il soggettivismo sono per Benedetto la causa di un pensiero secondo cui l’immoralità viene reclamata come bene morale. Se ad un uomo venisse assegnata la vita da parte di altri uomini in base a dei criteri di convenienza, secondo il principio del miglior rendimento e della mera automanifestazione, allora parrebbe di conseguenza legittima anche la possibilità di privarlo di questa vita.

Nel relativismo, l’uomo viene privato dell’indisponibilità della vita nonché della propria dignità, la quale verrebbe sottomessa ai criteri della competenza umana. Si può constatare quale sia la portata delle conseguenze di una tale riduzione del valore della vita umana considerando l’esempio della famiglia e del matrimonio. Un matrimonio contratto volontariamente tra due persone, avente valore per tutta la vita, verrebbe ridotto ad una convenzione sociale e la sua essenza potrebbe essere modificata a piacimento. Concetti quali la famiglia, la cura dei figli, il rispetto per gli anziani e i malati verrebbero subordinati all’opinione prevalente e con ciò sottomessi all’arbitrio …

Nel messaggio in occasione della giornata mondiale della pace del 2013, Benedetto XVI si è espresso in modo chiaro nei confronti della cosiddetta società secolare e di altre religioni.

L’unica grande famiglia umana che abbraccia tutto il mondo, organizzata in piccoli cerchi di relazioni interpersonali ed in istituzioni dal profilo politico e ecclesiastico, è animata e sorretta da un “Noi” comunitario che comprende la vita nella sua interezza. Con “vita” si intende qui anche la costruzione di una convivenza fondata sulla verità, sulla libertà, sull’amore e sulla giustizia, a partire dalle grandi relazioni sociali a livello di Stato e di società, fino alla famiglia, intesa come l’ambito primordiale in cui viene plasmata la vita interpersonale. “Nella famiglia – così dice Benedetto – nascono e crescono i futuri promotori di una cultura della vita e dell’amore”.[4]

Fondamento esistenziale

Le radici della profonda conoscenza della vita al cospetto a Dio e della comprensione del carattere di dono della vita stessa sono insite nel fondamento esistenziale e sacramentale che permea la teologia di Joseph Ratzinger. Le parole dell’Apostolo Paolo ai Galati (2,20), “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”, pongono la “vita” nell’ambito di un’esperienza di conversione, la quale ci fornisce le coordinate per una vita basata sulla fede. Si tratta di un consapevole orientamento alla verità, all’amore per la fede e soprattutto per il contenuto della fede che determina la vita. Si può parlare di una sorta di “cambiamento di soggetto”, il cui scopo è l’orientamento interiore verso Cristo, ed in cui sta agli uomini seguirlo ed imitarlo. La vita prende quindi il significato di un cambiamento di direzione, di una lotta per la verità in senso esistenziale e filosofico con le sfide poste degli interrogativi del mondo contemporaneo. La “Lezione di Ratisbona” del 2006 e la discussione tenuta con il sociologo tedesco Jürgen Habermas a Monaco di Baviera nel 2004, o ancora il discorso con Marcello Pera, mostrano la serietà del suo pensiero, per altro documentato già molti anni prima, riguardo all’ampia problematica della “vita”, all’insegna del diritto alla verità, alla vita e alla speranza. Nell’enciclica Caritas in veritate, Benedetto XVI riprende l’enciclica Populorum progressio del Beato Papa Paolo VI, citandola: “Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione”.[5] La vita è sviluppo, approfondimento della fede e ricerca della verità.

Joseph Ratzinger riesce a concretizzare chiaramente questo aspetto in un’omelia sul Buon Samaritano (Luca 10,25–37), tenuta in Cile nell’estate del 1988, ora allegata anche al volume “Introduzione al Cristianesimo” (Opera Omnia, vol. 4).[6] Nella sua famosa “Introduzione al Cristianesimo” egli illustra il Credo come la chiave per interpretare la nostra vita: là dove l’esistenza vuole essere interpretata sulla matrice della fede e allo stesso tempo vuole essere compresa da quest’ultima. E non può essere altrimenti.

A principio di questa ricerca c’è la domanda posta a Gesù da un dottore della legge: Qual è la maniera giusta di vivere? Cosa devo fare per riuscire ad essere uomo? – Domande che riguardano ognuno di noi e alle quali vorremmo avere delle risposte. Ci basta possedere del denaro, avere influenza sugli altri, o è il potere che ci garantisce la vita effettiva? E la risposta si trova non da ultimo nel riconoscere che si può condurre una vita genuina e consona alla verità soltanto se si considerano l’origine e la meta, ovvero la Creazione e l’essere una creatura, nonché la vita eterna. Dio ha assegnato all’uomo una missione nel mondo e a tempo debito l’uomo dovrà renderne conto. La vita al cospetto di Dio non può quindi significare che l’uomo è la misura di se stesso e può quindi condurre una vita che nega al prossimo la propria indipendenza e il proprio essere creatura di Dio, bensì piuttosto essa significa agire in modo da fare arrivare nel mondo un barlume della bontà divina.[7] Quindi ecco il primo criterio: la vita vera, per l’uomo, significa vivere in modo tale affinché ci sia Dio, coscienti del fatto che è Dio che ha affidato ad ognuno di noi una “missione”.

La giusta via per la vita passa dall’accettazione del comandamento “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e con tutta la tua mente!” e “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Luca 10,27). Questa compenetrazione della vita diventa quindi il cammino stesso da percorrere per una vita giusta e ben riuscita. Non basta credere a livello teorico, bensì occorre accettare Dio come l’aspetto fondamentale della nostra vita.[8] Ecco il requisito fondamentale di una vita felice, poiché essa, dipendendo da Dio, rappresenta allo stesso tempo la rivelazione di una grandezza esistenziale per ogni singolo uomo.

Spe salvi

Spe salvi, la seconda enciclica di Benedetto XVI al n° 27 ha coniato la seguente affermazione programmatica riguardo al concetto della vita in relazione alla speranza cristiana di giungere al compimento:

“La vera, grande speranza dell'uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio – il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora «sino alla fine», «fino al pieno compimento» (cfr. Gv 13,1 e 19,30). Chi viene toccato dall'amore comincia a intuire che cosa propriamente sarebbe «vita». Comincia a intuire che cosa vuole dire la parola di speranza che abbiamo incontrato nel rito del Battesimo: dalla fede aspetto la «vita eterna» – la vita vera che, interamente e senza minacce, in tutta la sua pienezza è semplicemente vita. Gesù che di sé ha detto di essere venuto perché noi abbiamo la vita e l'abbiamo in pienezza, in abbondanza (cfr Gv 10,10), ci ha anche spiegato che cosa significhi «vita»: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3). La vita nel senso vero non la si ha in sé da soli e neppure solo da sé: essa è una relazione. E la vita nella sua totalità è relazione con Colui che è la sorgente della vita. Se siamo in relazione con Colui che non muore, che è la Vita stessa e lo stesso Amore, allora siamo nella vita. Allora «viviamo».”

La vita è relazione

Il punto saliente è il concetto di “relazione”. La vita non implica un'esistenza isolata, monadica, lontana dagli altri, bensì vede nella comunità la propria vocazione.

Innanzitutto la comunità con Dio. Egli è colui che crea la vita e la porta a compimento. Poi c'è la comunità della Chiesa, il popolo di Dio chiamato da Gesù, ricondotto a Dio nell'eucarestia, come corpo di Cristo, il quale è alla testa di questo popolo e nella crocifissione e nella resurrezione ci rende ogni volta partecipi del sacrificio ultimo del Figlio di Dio in quanto momento unico nella storia del mondo. Vivere significa quindi partecipare della vita “in Cristo” e nella sua missione salvifica, che non avranno termine e sono sempre presenti.

Modelli di vita quali l'individualismo della salvezza o l'auto-redenzione pelagiana si rivelano essere un cammino inaccessibile per la vita vera. Benedetto XVI, nella sua prima enciclica Deus caritas est parla anche dell'esercizio della carità come parte integrante della Chiesa, cosa che si rispecchia chiaramente nella sua missione.

Vivere significa comunità.

Vivere significa impegnarsi per i poveri e i malati, dedicarsi a chi ha bisogno, rispettare la dignità e l'autonomia. ... Il momento comunitario della vita non si esaurisce in un’istituzione sociologicamente definibile quale lo Stato, bensì si realizza nell'amore e nella dedizione verso il prossimo.

Vivere significa vedere Dio, che ci ha donato la libertà, decidersi a suo favore, e comportarsi secondo la natura umana.

Vivere significa avere la percezione di sé nell'ambito della responsabilità che abbiamo in quanto creatura divina e accettare il proprio valore nel rapporto con Dio e con il prossimo.

La conoscenza di Dio nella vita dell'uomo

Per la fede cristiana, il senso della vita consiste nell'accettare l'amore di Dio per gli uomini che si è rivelato una volta per sempre in Gesù Cristo, un amore che ci apre allo stesso tempo la strada verso Dio. La conoscenza di Dio e l'incontro con Dio, per Joseph Ratzinger/Benedetto XVI non sono questioni teoriche, bensì prassi di vita. L'incarnazione di Gesù implica che l’obbedienza del Figlio nei confronti della volontà del Padre si sia incarnata nel mondo e in una forma di vita concreta (cfr. Eb 10; Sal 40 [39],7–9); da allora, l’adempimento più importante della fede non è più l’ascoltare, bensì l’“Incarnazione”: “La teologia della Parola diventa teologia dell’Incarnazione. La dedizione del Figlio al Padre è frutto di un dialogo intradivino: diventa accettazione e così offerta della Creazione riassunta nell’uomo. Questo corpo, o meglio l’essere-uomo di Gesù, è il prodotto dell’obbedienza, il frutto dell’amore del Figlio che risponde al Padre. È, per così dire, una preghiera divenuta concreta. In questo senso l’essere-uomo di Gesù è già un contenuto interamente spirituale, di origine ‘divina’.“[9]

Vita – Teoria della Creazione – Vivere nella fede

La Teologia della vita nel pensiero di Ratzinger va compresa sullo sfondo della sua teologia della Creazione. Così come per San Bonaventura, anche per Benedetto XVI la fede viene vissuta nell’ambito della rivendicazione della salvezza universale, non appena l’uomo riconosce che tutto ciò che esiste viene dal Dio Creatore. Se però la vita nella fede viene ridotta al sentimento soggettivo dell’interiorità, così che ognuno possa provare e pensare ciò che vuole e ciò di cui ha piacere, la spiritualità cristiana si distacca dal mondo oggettivo della materia. La vita di fede in tal caso viene assegnata alla sfera meramente personale e pare quindi essere ridotta ad un temporeggiare o un’alienazione della sopravvivenza umana. La fede biblica è tutt’altro, così come viene espresso nel messaggio dell’Immacolata Concezione e del sepolcro trovato vuoto: Dio è in grado di creare cose nuove per il mondo e di intervenire nella sfera del corpo. La materia appartiene a Dio perché essa deriva da lui ed è stata creata da lui. Non si può ridurre Dio alla mera interiorità soggettiva, come se non fosse realtà, mentre il mondo della materia obbedisce a leggi proprie e differenti.

Con questo approccio cristologico, nell’opera teologica di Ratzinger, si trovano numerosi paralleli e riferimenti alle encicliche del suo predecessore sul soglio di Pietro. Nella costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes, alla quale il Cardinal Karol Wojtyła ha collaborato in maniera sostanziale, si afferma: “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo” (GS 22). Con l’Incarnazione del Figlio di Dio, la storia dell’umanità raggiunge il proprio vertice insuperabile. Papa Giovanni Paolo II scrive nell’enciclica Redemptor hominis del 1979: “In questo atto redentivo la storia dell'uomo ha raggiunto nel disegno d'amore di Dio il suo vertice. Dio è entrato nella storia dell'umanità e, come uomo, è divenuto suo «soggetto», uno dei miliardi e, in pari tempo, Unico!” (n° 1). Il Figlio di Dio entra nella storia di ogni uomo facendo sì che scopra la propria grandezza e dignità di fronte a Dio. Papa Giovanni Paolo II continua nella sua enciclica: “Con l'uomo – ciascun uomo senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo unito” (n° 14). Ognuno è chiamato a raggiungere “il culmine che è Dio stesso” per vivere la propria vita ad immagine e somiglianza di Dio.

Dio – Maestro di vita

Dio non si accosta al percorso di vita dell’uomo solo dall’esterno. Vivere significa appunto anche prendere decisioni all’interno di se stessi e lasciarsi condurre da Dio.

Sant’Agostino, uno dei grandi maestri teologici di Benedetto XVI, sottolinea che Dio guida e accompagna l’uomo dall’interno nel suo percorso spirituale come un “maestro”.

“Non dobbiamo infatti soltanto aver fede, ma cominciare anche ad avere intelligenza della verità di ciò che per divino magistero è stato scritto, che cioè non dobbiamo considerare nessuno come nostro maestro sulla terra poiché l'unico maestro di tutti è in cielo. Che cosa significhi poi in cielo ce lo insegnerà quegli, dal quale, per mezzo degli uomini con segni dall'esterno, siamo avvertiti a farci ammaestrare rientrando verso di lui nell'interiorità.”[10]

Ogni individuo porta scritto nel cuore che cosa fare della propria vita, quale cammino percorre e come va vissuto il tempo a propria disposizione, ed è proprio nel cuore che vanno cercate ed interpretate queste risposte.

Ascoltando il “maestro interiore” il singolo individuo impara ad accordare la propria vita allo spirito di Gesù. A tal proposito scrive Romano Guardini, dal quale Joseph Ratzinger, già dagli inizi della sua attività teologica, è stato influenzato soprattutto su questi temi di carattere antropologico: “In ogni cristiano Cristo rivive, per così dire, la sua vita; è dapprima bambino, poi giunge gradatamente a maturità, finché ha raggiunto pienamente la maggiore età del cristiano. Cresce in questo senso: che cresce la fede, si irrobustisce la carità, il cristiano si rende sempre più perspicacemente consapevole del suo essere cristiano, e vive la sua vita cristiana con sempre crescente profondità e responsabilità.”[11] Facendo riferimento a Ef 4,13, Romano Guardini, in merito alla crescita spirituale dei fedeli fino al raggiungimento della maturità in Cristo, afferma: “Incredibile pensiero! Chi lo potrà sostenere altrimenti che nella fede, per cui Cristo è realmente il compendio di tutte le cose, e nella carità che vuol diventare una cosa sola con lui? O sarebbe forse sopportabile il pensiero di essere congiunti ad uno — non solo congiunti nella vita e nell'azione, ma congiunti nell’essere e nell’io – se non fosse amato come colui per mezzo del quale io trovo il mio proprio Io, quello di Figlio di Dio; il mio proprio Tu, vale a dire il Padre?”[12]

L’“uomo vecchio“ viene superato dall’“uomo nuovo“ che è “fatto ad immagine di Cristo” poiché Cristo risiede nella vita di ognuno di noi. In Ef 3,17 si afferma a tal proposito: “Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così [siate] radicati e fondati nella carità”. La legge formale interiore dell’esistenza umana, nonché della storia intera, è quindi la vita di Gesù.

Benedetto XVI ha improntato tutta la propria vita alla luce di questo orientamento verso Gesù Cristo, da sacerdote, professore, vescovo, cardinale ed infine durante gli otto anni del suo operato come Pastore della Chiesa Universale. Una vita al cospetto ed al servizio di Dio e della sua Chiesa.


[1] Benedetto XVI, Discorso ai membri della Commissione Teologica Internazionale, 5 ottobre 2007.

[2] Cfr. Benedetto XVI, Discorso al nuovo ambasciatore della Repubblica d’Irlanda, 15 settembre 2007; nonché il Discorso ai partecipanti alla sessione plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, 31 gennaio 2008.

[3] Cfr. Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti alla sessione plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, 31 gennaio 2008.

[4] Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della XLVI Giornata mondiale della pace, n° 6, 1° gennaio 2013.

[5] Caritas in veritate, no 16; Populorum progressio, no 15.

[6] Cfr. Joseph Ratzinger, Einführung in das Christentum (Gesammelte Schriften [JRGS], vol. 4), ed. Gerhard Ludwig Müller, Herder: Friburgo 2014, 481–485.

[7] Ibid., 481.

[8] Ibid., 482.

[9] Joseph Ratzinger, Il Dio di Gesù Cristo. Meditazioni sul Dio Uno e Trino, Queriniana: Brescia 1978, 22005, p. 71 s.

[10] Sant’Agostino, De magistro, 14.46.

[11] Romano Guardini, Il Signore, Vita e pensiero: Milano 1976, p. 563.

[12] Ibid.

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