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CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI

CERIMONIA DI INTITOLAZIONE
DI UNA CIMA DEL GRAN SASSO A GIOVANNI PAOLO II

OMELIA DEL CARD. JOSÉ SARAIVA MARTINS

Chiesa di san Pietro della Jenca
Mercoledì, 18 maggio 2005

 

1. "Levavi oculos ad montes... Alzo gli occhi verso i monti e dico: da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore che ha fatto cielo e terra" (Sal 121, 1-2). Le ispirate espressioni del Salmo, ricche di poesia e di spiritualità, mi paiono le più adatte a dirci lo stretto rapporto che esiste fra la montagna e la ricerca, da parte dell'uomo di sempre, di qualcosa di più grande, che vada oltre se stesso, di trascendente. Nel contempo, tali parole del salmista ci suggeriscono anche l'interpretazione e la comprensione del forte e suggestivo fascino che le vette hanno sempre esercitato nell'animo di Giovanni Paolo II.

Se potessimo accostare uno all'altro, quasi come in una mappa orografica, tutti i nomi noti dei monti della Sacra Scrittura, e di conseguenza collegarli a tutti i loro "patroni" ideali, cioè a quei personaggi biblici che, in qualunque maniera, sono vincolati alle loro cime, avremmo l'occasione di fare un singolare e quanto mai significativo pellegrinaggio, nelle varie fasi della storia della salvezza. E tra tutti sarebbe proprio Gesù di Nazareth a dominare, di lui infatti spesso notano i Vangeli che "saliva sui monti a pregare".

Pur non potendo svolgere una tale operazione, anche il solo prospettarla, ci fa vedere come la "mappa" che risulta non sia solo "fisica", ma diventi spirituale, teologica e persino escatologica, cioè pronta a farci balenare altre vette che sconfinano nei cieli dell'eterno e dell'infinito.

2. Proviamo però a richiamare, così, soltanto a volo d'uccello, lo scenario della mappa testé accennata. Vi troveremo Abramo, accompagnato dal figlio Isacco con il suo drammatico pellegrinaggio al monte Moriah. Noè, quando fu su una montagna dell'Ararat dove si posò l'arca. Mosé ed il Sinai. Aronne che morì sulla vetta del monte Hor e molti altri, senza dimenticare i monti dell'amore, nel Cantico dei Cantici. Sappiamo bene inoltre che la vita di Gesù ha spesso come sfondo i monti. Spesso i Vangeli indicano Gesù che "si mette in cammino verso la montagna". Prima di scegliere i 12, è nella solitudine della montagna che passa la notte (Lc 6, 12-13). Dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù congedò la folla, "salì sul monte, solo, a pregare e, venuta la sera, se ne stava ancora solo lassù" (Mt 14, 23).

C'è persino un discorso, forse il più celebre di Gesù, convenzionalmente detto della montagna (sono i cap. 5-7 di Matteo), la montagna appunto delle beatitudini. François Mauriac, commentando questa magna carta del cristianesimo dice: "Chi non ha mai letto il discorso della montagna, non è in grado di sapere cosa sia il cristianesimo". Per non parlare poi del Tabor, il monte della Trasfigurazione (Lc 9, 28-29), e dell'ultima settimana della vita terrena di Cristo, gran parte della quale si svolse sullo sfondo dello scenario di un monte, quello degli Ulivi. C'è infine un altro  monte,  fra  i tanti che non possiamo  citare,  un  monte  pasquale:  quello in Galilea, del quale i Vangeli non riportano il nome; su di esso si svolse l'ultima solenne apparizione del Cristo  Risorto  e  glorificato. Alla fine del Vangelo, infatti, Matteo ricorda che "gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato" (Mt 28, 26), e là, su quel monte, si compirà l'epilogo della vita terrena del Risorto.

3. I richiami biblici ed evangelici fin qui fatti (cfr. G. Ravasi, I monti di Dio, ed. Ancora) ci aiutano a ben fondare la nostra riflessione sull'avvenimento che si compie oggi. Mi piace però premettere ancora un punto, prima di entrare nell'alto e memorabile significato di questa giornata. Si tratta della presenza della montagna nell'iconografia di tutti i secoli, basti citare, per fare un unico esempio la Vergine delle rocce, di Leonardo da Vinci. Il critico d'arte John Ruskin, nella sua vasta opera sulla pittura moderna, osserva che nell'arte "ci fu sempre un'idea della santità connessa alle solitudini rocciose, perché era sempre sulle vette che la divinità si manifestava più intimamente agli uomini ed era sui monti che i santi sempre si ritiravano per la meditazione, per una speciale comunione con Dio". D'altra parte non c'è bisogno d'insegnarlo a voi, che ben lo sapete, vista la vicenda di san Celestino V e il grande ruolo che ha avuto nel suo singolare cammino spirituale questa vostra fascinosa montagna abruzzese.

La montagna, dunque, prima ancora che un'altura fisica, è un simbolo spirituale.

4. È questo il profilo nel quale vorrei leggere l'intitolazione di questa vostra bella cima - e del relativo sentiero - a Giovanni Paolo II. Un noto personaggio ecclesiastico, oggi diventato Vescovo, che ha avuto la fortuna di accompagnare come guida alpina, per molti  anni,  Giovanni  Paolo II nelle sue passeggiate ed ascensioni in montagna (Alberto Careggio, attuale Vescovo di Ventimiglia-San Remo), ha coniato una bella ed originale definizione di Giovanni Paolo II, definendolo "il teologo della montagna" (Cfr Sui monti con Giovanni Paolo II, di G. Galazka, L. Ed. Vaticana, 2002, p. 15). Come per Elia, che incontrava Dio nella brezza carezzevole e riposante dell'Oreb, come per Mosè, che pregava sul monte per rincuorare il suo popolo in lotta per aprirsi un varco verso la libertà, così per Karol Wojtyla, il rapporto con la montagna è stato quanto mai singolare. Esso risale agli anni della sua giovinezza, quando, appena prete, accompagnava gli studenti universitari sui Tatra, i monti amati della sua patria. Un rapporto mai interrotto, neppure quando tutto sembrava impedirlo, a iniziare dalla salute.

Sui viaggi di Giovanni Paolo II sappiamo praticamente tutto: "numero di discorsi 3.288, in Italia e all'estero, chilometri percorsi 1.247.613: in 104 viaggi internazionali e 146 italiani, si tratta di circa tre anni fuori dal vaticano. Ma se proviamo a chiedere quante volte il Papa è stato in montagna, quante volte ha lasciato, per così dire, di nascosto, i Palazzi Apostolici o la Villa Pontificia di Castel Gandolfo, si riceve come risposta un vago: alcune volte" (Ibidem). Ed è giusto che sia così. Per esempio, qualcuno ha provato a contare tutte le volte che sarebbe venuto sulle montagne abruzzesi, ed il numero è impressionante, l'hanno pubblicato anche i giornali, nei giorni scorsi, proprio in occasione di questo nostro odierno appuntamento. Il Papa si è portato questo segreto nel Cielo. Non manca certo chi potrà dircelo un giorno, avendolo accompagnato fedelmente per oltre 26 anni di pontificato anche in questi momenti più intimi e privati.

Quello che a noi interessa è lo sguardo contemplativo di Papa Wojtyla, che, tra l'altro ha cantato la montagna con accenti di sublime poesia, cercando in essa la bellezza e la potenza, i profondi silenzi e le voci arcane.

5. In un suo discorso c'è un passaggio che mi colpisce: "Guardando le cime dei monti si ha l'impressione che la terra si proietti verso l'alto, quasi a voler toccare il cielo: in tale slancio l'uomo  sente,  in  qualche  modo, interpretata la sua ansia di trascendente e di infinito".

E ancora: " L'uomo contemporaneo che sembra rivolgersi talvolta unicamente alle cose della terra, in una visione materialistica della vita, deve di nuovo saper guardare verso l'alto, verso le vette della grazia e della gloria, per le quali è stato creato e a cui è chiamato dalla bontà e grandezza di Dio" (Discorso dal ghiacciaio del Brenva. Monte Bianco, 8 settembre 1986).

Mi pare che in queste parole di Giovanni Paolo II sia racchiuso il grande messaggio che il Grande Papa polacco ha voluto lasciarci, anche attraverso il suo sconfinato amore  alla  montagna, in stretto rapporto con l'amore per "il Suo Maestro", di cui ci ha parlato anche nel testamento.

Come la vetta di un monte costringe sempre ad alzare lo sguardo, ad elevarsi verso l'alto, similmente la vita e l'insegnamento di Giovanni Paolo II, continuano ad essere per noi come un indice puntato verso il cielo, un rinviare alla infinità Maestà e Trascendenza divina di Cristo, rispetto all'orizzonte piatto e mediocre nel quale troppo spesso siamo immersi.

Quanto ha fatto e detto Giovanni Paolo II con la Sua presenza tra questi monti, continuerà a farlo anche con questa vetta che da oggi porterà il suo nome, Cima Giovanni Paolo II, e lo innalzerà ben oltre l'altitudine dei suoi 2424 metri, in questo splendido massiccio del Gran Sasso. Lo farà grazie all'amore di questa magnifica gente abruzzese e al comprensibile orgoglio di aver avuto e sentito Papa Woityla, come suo. Per questo avevate pensato a questa giornata proprio in vista del Suo 85 compleanno.

Termino con le stesse parole pronunciate a Campo Imperatore, proprio sotto il Gran Sasso, da Giovanni Paolo II, sicuro che questa cima additerà "la via della contemplazione, non solo come strada maestra per fare esperienza del Mistero, ma anche quale condizione per umanizzare la nostra vita e i reciproci rapporti".

 

   

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