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CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN OCCASIONE
DEL TRANSITO DI SAN BENEDETTO

OMELIA DEL CARDINALE JOSÉ SARAIVA MARTINS

Sacro Speco di Subiaco
Martedì, 20 marzo 2007

 

1. Nella sua prima Enciclica, Dio è Amore (Deus caritas est), il Papa Benedetto XVI dice che l'amore è l'immagine e il modello della Chiesa del terzo millennio e la strada su cui ha voluto si incamminasse  il  suo  pontificato, "invitando tutti a edificare la Chiesa nella carità, quale "comunità d'amore" (cfr Deus caritas est, Seconda parte)" (Benedetto XVI, Omelia È grande motivo, in L'Osservatore Romano, 26 marzo 2006, p. 4). Ora una via privilegiata per costruire la Chiesa dell'amore è volgere il nostro sguardo ai santi, che fanno parte di quella Chiesa della carità, di cui la liturgia ci fa contemplare lo splendore, splendore della carità stessa di Cristo.

Oggi la nostra attenzione si volge al grande Benedetto, Patrono d'Europa, e che qui a Subiaco è di casa, sempre presente, non solo per le vive memorie che ha lasciato, ma anche attraverso i suoi figli spirituali, i cari monaci Benedettini, che attraverso l'osservanza della Santa Regola ne vivono lo spirito, cercando di fecondare sempre questa terra con la Parola di Dio.

San Gregorio Magno, nei suoi Dialoghi, scrive: "Se si vogliono conoscere in modo preciso e sicuro i costumi e la vita di s. Benedetto, è nella sua Regola che si possono penetrare tutti gli atti del suo magistero, perché il santo uomo meglio non poté insegnare che con l'esempio della sua vita".

In questo giudizio c'è, in fondo, già scritta tutta la storia di s. Benedetto, ma anche il senso del suo insegnamento che dura ininterrottamente da quindici secoli, ed ha prodotto, mi piace rimarcarlo anche come Prefetto della Congregazione dei Santi, una generazione mirabile di santi.

Una santità, quella del Patriarca del monachesimo occidentale, che ha lasciato un solco profondo nel tessuto anche civile e sociale di un intero continente, come quello europeo, di cui è principale patrono. Un tema di grande attualità che, non per niente, pochi giorni prima del Conclave che lo elesse al soglio di Pietro con il nome di Benedetto XVI, il Cardinale Joseph Ratzinger, proprio qui a Subiaco, aveva richiamato, affermando: "Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, (...) a fondare Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo. Così Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli" (Andrea Pamparana, Benedetto Padre di molti popoli, Ancora 2006, pagg. 5-10).

2. Tutto ciò parte da un giovane studente di Norcia deluso dalla Roma del suo tempo, che non percorse più di un fazzoletto di terra, fra Roma, Subiaco e Cassino, quasi come un piccolo sasso che trascina una valanga, che però è una valanga molto particolare:  una valanga di santità.

Raccontare la storia di san Benedetto e dei Benedettini, infatti, vuol dire raccontare la più esaltante ma anche la più incredibile, anzi, la più paradossale delle vicende della vita "religiosa" cristiana. San Benedetto e i suoi monaci hanno gettato le fondamenta del monachesimo occidentale. Sono stati maestri di spiritualità e di pensiero. Sono stati tra i costruttori dell'Europa, unificandola sui comuni valori cristiani e contribuendo in modo unico alla sua civilizzazione. Dagli inizi a oggi, hanno dato alla Chiesa 10 milioni di monaci e monache, una trentina di Papi, 260 Cardinali, migliaia di Vescovi, e soprattutto più di 360 santi (cfr L'esercito del Papa, Gianfranco Svidercoschi, Rai Eri, ed. Ancora, 2003, pagg. 13-19).

Le abbazie benedettine, promuovendo gli studi, le industrie e le arti, svolsero una grande funzione civilizzatrice; perciò furono al centro della vita, non soltanto religiosa, ma anche culturale, sociale e politica. Insomma, l'opera di un santo, Benedetto da Norcia, è stata così grande, con il diffondersi della sua spiritualità, da rappresentare un innegabile cemento per l'Europa e il suo cammino storico.

3. In questa Solennità del Transito di san Benedetto, la Liturgia propone una serie di letture che illustrano questo Patrono d'Europa. Come Abramo, di cui ci ha parlato la prima lettura tratta dal libro della Genesi, Benedetto è colui che accetta di essere chiamato dal Signore e nella libera risposta a questa vocazione riceve in cambio una benedizione che si estenderà di generazione in generazione. Così si rivolge il santo, nella Regola, a coloro che accettano di vivere secondo il suo progetto: "Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu sia, che, avendo deciso di rinunciare alla volontà propria, impugni le fortissime e valorose armi dell'obbedienza per militare sotto il vero re, Cristo Signore". L'ubbidienza di Abramo a Yahvé, di Gesù al Padre, di Benedetto allo Spirito Santo, di voi monaci che ne seguite la medesima via, sono una cosa sola. Come ricordava Master Ekchart, noi dobbiamo diventare "uno" nell'unica Volontà del Padre. Non è un caso che proprio nel Prologo della Regola, Benedetto abbia posto la condizione base per divenire monaco nella ricerca della volontà di Cristo Signore. Ma la volontà è uno dei due aspetti che caratterizzano l'uomo. L'altro è la conoscenza, che in san Giovanni indica sempre l'esperienza, così come è tipico del pensiero semitico ed ebraico in particolare. Nella grande preghiera sacerdotale di Gesù del Vangelo testé proclamato, il Signore chiede "che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo". In questa conoscenza si compie l'Opera Divina, giacché conoscere Dio e vivere la Sua Vita sono una cosa sola. Come per la volontà, anche la conoscenza fa sì che di due si faccia una cosa sola. Un conoscere esperienziale che ha bisogno di un continuo progresso.

"Bisogna dunque istituire una scuola del servizio del Signore". A questa scuola monastica si impareranno non le cose del mondo, ma come servire il Signore e in questo servizio apprendere come divenire una sola volontà ed un solo essere con Nostro Signore. Una scuola "perché siano come noi una cosa sola", come ci ha detto il Vangelo odierno.

La prima opera del monaco, per san Benedetto, come scrive al capitolo IV della Regola, non è un "fare", ma appartiene alla categoria dell'essere. Gli strumenti delle buone opere sono tali che bisogna "Prima di tutto amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze; poi il prossimo come se stesso". Questa è la prima "opera" ed il modo in cui operare. La volontà specifica del Verbo Incarnato, Cristo Gesù, è solo questa, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro. Così Benedetto insegna ai suoi figli il valore della santità che si raggiunge attraverso l'amore del Cristo, all'insegna di una genuina umiltà. Sono proprio l'amore e l'umiltà le vie che Benedetto indica, non solo ai suoi figli, ma a noi tutti, per raggiungere la santità e seguire Cristo.

4. Benedetto continua ad essere un personaggio che attrae. Un uomo dotato di attrattiva non può mai essere tetro, negativo nelle sue relazioni con il mondo, ma dotato di grande fascino, di grande generosità. Dobbiamo pensarlo come un uomo concreto, realista e, come ha dimostrato molte volte nella sua vita, un uomo pieno di speranza. Maestro esigente che si sforzò sempre di essere più amato che temuto, perché la misericordia, per lui, viene prima ancora della giustizia. Un uomo positivo, insomma, come sempre sono i santi. La via della santità indicata da san Benedetto è caratterizzata da una profonda discrezione ed equilibrio: associando insieme lavoro e preghiera, solitudine e vita comune, anche oggi è possibile avvicinarsi a Cristo, realizzando un programma di vita, valido non solo per il monaco, ma anche per il semplice cristiano.

Per questo mi piace concludere su questa nota dell'ottimismo, perché la vita monastica si vive "dilatato corde", con un cuore "in espansione", come afferma il prologo della Regola. Dovrebbe essere lo stesso per la vita cristiana. Se imparassimo solo questo da lui, faremmo tutti un passo in avanti, se non addirittura un balzo, sulla strada della santità. Monaci e non monaci, dobbiamo guardare a san Benedetto, perché è uno di quei pochi grandi maestri dell'umanità che hanno segnato la storia, non solo della cristianità, ma della stessa civiltà. Benedictus benedicat!

     

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