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CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI

Il contributo dei cristiani alla riconciliazione in una terra martoriata

Comunione e testimonianza
nelle Chiese cattoliche orientali

di Leonardo Sandri

(L'Osservatore Romano - 3 giugno 2010)

Cipro attende Benedetto XVI, che si fa pellegrino della pace evangelica sulle orme di san Paolo. Il giubileo indetto in tutta la Chiesa cattolica per i duemila anni della nascita dell'Apostolo delle genti si è concluso nella solennità dei santi Pietro e Paolo dell'anno 2009. La Visita Papale ne costituisce una eco benefica e diviene una proposta per tutti i battezzati, particolarmente per i sacerdoti al termine dell'anno speciale a essi dedicato, perché verifichino la risposta data al carisma accordato da Dio a san Paolo ma destinato all'intera comunità dei discepoli per «utilità comune» (I Corinzi, 12, 7).

Saulo di Tarso fu «afferrato» da Cristo (Filippesi, 3, 12). L'evento ne segnò lo spirito e la carne ed egli, divenuto Paolo, poté proclamare: mihi vivere Christus est (Filippesi, 1, 21). È la sua professione di fede. È la sintesi spirituale della sua vita e dell'opera apostolica che egli ha confermato fino all'effusione del sangue. È la proposta che nei secoli continua a presentare alle Chiese. È il motivo della sua gloria eterna. È forse l'espressione più conosciuta e più amata del suo magistero e opportunamente il Papa l'ha posta nella medaglia del Pontificato per l'Anno paolino, quale proposito offerto all'intera comunità cattolica. Questa nostra riflessione può forse apparire «troppo spirituale» o, comunque, mancante di un adeguato riferimento alla realtà, tanto problematica, in cui si trova l'intera area mediorientale. Si tratta invece di una ferma convinzione. Infatti, il contributo peculiare che le Chiese orientali cattoliche possono dare alla pace, alla concordia e al progresso del Medio Oriente può essere solo di ordine spirituale e religioso. La radice, la forza e la più incisiva opera sul piano sociale, politico, economico e culturale richiesta alle Chiese è la testimonianza di Cristo senza alcun timore. Nella visita papale emergerà senz'altro questa convinzione e costituirà un monito prezioso per i pastori e i fedeli a non «spegnere lo Spirito» (I Tessalonicesi, 5, 19). Il Pontefice mostrerà in tal modo di aderire mirabilmente alla sua responsabilità di fare sempre memoria del Patrimonio Apostolico, che è Cristo stesso, il Figlio di Dio fattosi uomo per la nostra salvezza. Le Chiese orientali cattoliche sono gelose della loro radicazione nella fede degli Apostoli, a motivo della singolare vicinanza delle rispettive tradizioni liturgiche alla sorgente sempre fresca delle «origini cristiane». Il Papa le aveva convocate lo scorso anno a Castel Gandolfo, il 19 settembre, nella persona dei Patriarchi e Arcivescovi Maggiori, che volle accanto a sé in familiare preghiera e riflessione sulla comune missione. Nota essenziale di tale missione è la cooperazione secondo il Decreto Orientalium ecclesiarum del Concilio Ecumenico Vaticano II alla edificazione dell'unità tra tutti i credenti in Cristo «in primo luogo con la preghiera, l'esempio della vita, la scrupolosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali, la mutua e più profonda conoscenza, la collaborazione e la fraterna stima delle cose e degli animi» (numero 24). Esse sanno bene del resto di condividere il patrimonio di «ciò che era fin dal principio» (I Giovanni, 1, 1) con  i fratelli e le sorelle che compongono le grandi Chiese dell'oriente cristiano. Sanno altrettanto bene che il Papa ha ribadito l'irreversibilità della scelta ecumenica operata dal Concilio, grazie alla quale i cristiani prendono coscienza di come sia inderogabile il cammino, lo stesso cammino interreligioso. A Castel Gandolfo, nella circostanza citata, annunciò l'assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per la Chiesa cattolica nel Medio Oriente, della quale indicò il titolo «Comunione e testimonianza», evocando «la moltitudine di coloro che erano diventati credenti», che gli Atti degli Apostoli qualificano con l'espressione «avevano un cuor solo e un'anima sola» (Atti degli Apostoli, 4, 32). Il lavoro di preparazione coordinato dalla Segreteria generale del Sinodo dei vescovi ha prodotto i Lineamenta e su quel testo la fervida riflessione delle Chiese ha fatto maturare apprezzabili contributi in vista dell'Instrumentum laboris. Il Papa lo consegnerà nella visita a Cipro, che diviene a tutti gli effetti un «proemio sinodale». Il Successore di Pietro pone, dunque, esplicitamente il Sinodo sotto gli auspici di san Paolo, invitando i padri ad attingere dalla lezione paolina sulla comunione e sulla testimonianza la luce per una lettura evangelica dei segni dei tempi preparati dalla Provvidenza Divina. È come se dicesse che le Chiese non possono fare a meno del carisma di Paolo, dal quale apprenderanno nuovamente ciò che già ben sanno e cioè che non potranno mai fare a meno di Cristo. L'alta proposta del Sinodo potrebbe essere pertanto la seguente: mihi vivere Christus est (Filippesi, 1, 21). È Cristo la fonte della comunione e della testimonianza. Solo in questa prospettiva troverà realizzazione l'obiettivo dell'assemblea sinodale: «Confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità mediante la Parola di Dio e i sacramenti, e ravvivare la comunione ecclesiale tra le Chiese particolari, affinché possano offrire una testimonianza di vita cristiana autentica, gioiosa e attraente» (Lineamenta, n° 2).

Sono certo che la fedeltà al Papa, per la quale le Chiese orientali cattoliche nella loro storia millenaria hanno conosciuto persino il martirio, sarà da esse confermata in Sinodo nella accoglienza del mandato a lasciarsi guidare da san Paolo, il grande esperto della comunione e della testimonianza perché era «afferrato da Cristo» (Filippesi, 3, 12) e «avvinto dallo Spirito» (cfr. Atti degli Apostoli, 20, 22-24).

Dalla visita a Cipro le Chiese attendono il Magistero Papale in vista del Sinodo, insieme al dono della conferma nella fede dal Successore di Colui al quale Gesù disse: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa» (Matteo, 16,18).

E poiché san Paolo nell'isola conobbe la flagellazione come Cristo e per Cristo (cfr. Giovanni, 19, 1-3; II Corinzi, 11, 24), le Chiese avranno dal Papa speciale conforto nella sofferenza, talora estrema, che esperimentano anche ai nostri giorni per la difesa dell'identità cristiana. Potranno così riappropriarsi della certezza che nel dolore salvifico del loro Signore ogni sofferenza diventerà seme potente di comunione, di testimonianza e di nuovi cristiani (Tertulliano). Tra le più forti preoccupazioni, le Chiese orientali cattoliche non nascondono quella procurata dall'inarrestabile fenomeno dell'emigrazione cristiana, che andrà affrontato in Sinodo con «sforzo intelligente» perché «priva le già provate comunità delle migliori risorse» (Benedetto XVI in «L'Osservatore Romano» del 10 giugno 2007, pagina 5). Il Pontefice sta, dunque, per giungere in una terra di nobile tradizione cristiana, in una terra ospitale per la sua storia e la sua cultura, desiderosa di vivere nel cuore del Mediterraneo offrendo alla comunità internazionale il meglio della sua identità religiosa e delle sue prospettive per un futuro di cooperazione e di pace mondiale. Il tema della comunione e della testimonianza sarà un germe potente di unità seminato in quel buon terreno, a cominciare dalla locale comunità cattolica. Questa riceverà dal Vescovo di Roma il mandato di compiere ogni fatica per tessere l'unità in un'isola che conosce, purtroppo, la ferita della divisione. Lo potrà fare con l'Apostolo Paolo, contando sull'amore di colui che è «la nostra pace» perché «nella sua croce ha abbattuto il muro di separazione, facendo dei due un popolo solo» (Efesini, 12, 14).

(©L'Osservatore Romano - 3 giugno 2010)

 

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