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CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI


Omelia del Cardinale Leonardo Sandri nella Messa per le vittime dell'attentato
alla Cattedrale siro-cattolica di Baghdad

"Immolati per la Pace"

(Basilica Vaticana, 25 novembre 2010 ore 17)


Eminenze,
Beatitudine,
Eccellenze,
Signori Ambasciatori,
Confratelli Sacerdoti,
Fratelli e Sorelle nel Signore,

La vita dei discepoli di Cristo si svolge nel “perenne rendimento di grazie” che trova nellÂÂ’Eucaristia il suo apice. Il grazie diviene più intenso nellÂÂ’ora della prova e, mentre alimenta la speranza e lÂÂ’abbandono in Dio, fa crescere lÂÂ’unità tra di noi, rendendo le nostre voci più convincenti nel chiedere anche agli uomini verità, giustizia e pace. Il pensiero, il cuore e la preghiera vanno in Iraq e in tante altre parti del mondo, dove in fedeltà al battesimo ancora ai giorni nostri si risponde col sangue a Colui che ci ha amati fino alla Croce. La Parola di Dio ha evocato il martirio perché oggi la chiesa latina fa memoria di una santa orientale venerata in tutta la Chiesa: Caterina dÂÂ’Alessandria. Nel suo amore verginale per Cristo seppe dare tutto, anche la vita, ed ora è nella pienezza dellÂÂ’Amore Trinitario, accanto alla Madre di Dio e ai Santi. La “passione” della martire Caterina è prodiga nel descrivere la gloria che la stessa Chiesa terrena le ha tributato. E la devota tradizione ha assegnato agli angeli il compito di recare il suo venerato corpo sul monte Sinai, dove tuttora i fedeli si affidano alla sua intercessione presso Cristo, Re dei Martiri, per essere guariti nello spirito e nel corpo. Considerando la “bella testimonianza” che il Signore Gesù ha potuto dare nei suoi martiri, compresi gli Apostoli Pietro e Paolo (e noi siamo raccolti presso il Sepolcro e la Cattedra del Beato Pietro!), il papa san Leone Magno afferma: “Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli (ps 115, 15) e nessun genere di crudeltà può distruggere una religione, che si fonda sul mistero della croce di Cristo.

La Chiesa infatti non diminuisce con le persecuzioni, anzi si sviluppa, e il campo del Signore si arricchisce di una messe sempre più abbondante, quando i chicchi di grano caduti a uno a uno, tornano a rinascere e moltiplicarsi” (disc. 82-PL 54,426). Anche la fede della Chiesa, fiorita sulla parola di Dio, ci conforta e sostiene la supplica allÂÂ’Onnipotente perché conceda lÂÂ’eterna ricompensa a quanti hanno perso la loro “unica vita” mentre erano convocati nel giorno del Signore per il sacrificio di Cristo, Agnello immolato e glorificato. In quella santa Eucaristia, nella Cattedrale siro-cattolica di Bagdad, essi hanno “lavato le loro vesti nel suo sangue” (Ap 7,14) e sono passati attraverso la “grande tribolazione” (ibid.) di una morte cruenta, rimanendo saldi nella confessione del nome di Cristo Dio. Prima e dopo quel drammatico evento, altri innocenti sono stati colpiti in Iraq contro ogni giustizia. Se poi lo sguardo si apre al mondo, siamo costretti a chiederci: quanto altro dolore per le proprie convinzioni dovranno subire persone di ogni età e condizione, di ogni religione e cultura, degne invece del rispetto dovuto indistintamente ad ogni uomo e ad ogni donna? Ci chiediamo: perché non si leva costantemente la voce di chi ha responsabilità, accanto a quella degli uomini di buona volontà, in difesa di una reale libertà di religione e di coscienza?

Perciò, col cuore colmo di gratitudine, ci uniamo alla preghiera che il Santo Padre Benedetto XVI, nellÂÂ’Angelus del 1° novembre scorso, ha prontamente assicurato “per le vittime di questa assurda violenza, tanto più feroce in quanto ha colpito persone inermi, raccolte nella casa di Dio, che è casa di amore e di riconciliazione”. Condividiamo la sollecitudine che Egli ha espresso allÂÂ’Arcivescovo Siro di Bagdad perché “i cristiani sono divenuti oggetto di efferati attacchi, che, in totale disprezzo della vita, inviolabile dono di Dio, vogliono minare la fiducia e la civile convivenza”. Nello stesso tempo, sentiamo ancora vibrare nei cuori il suo appello, e lo facciamo nostro pregando perché “il sacrificio di questi nostri fratelli e sorelle possa essere seme di pace e di vera rinascita e perché quanti hanno a cuore la riconciliazione, la fraterna e solidale convivenza, trovino motivo e forza per operare il bene”.

Cara Beatitudine Youssef III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri, le siamo grati per essere qui a concelebrare lÂÂ’Eucaristia del suffragio e del conforto. Le affidiamo lÂÂ’augurio per i feriti che ella ha visitato al Policlinico Gemelli e che incontrerà nellÂÂ’imminente viaggio a Parigi. Estendiamo la più affettuosa vicinanza ai familiari delle vittime, alcuni dei quali sono qui presenti. Hanno già ricevuto la confortatrice Benedizione del Santo Padre, che è stata loro recata dallÂÂ’Ecc.mo Sostituto della Segreteria di Stato. Ora rinnoviamo a ciascuno la nostra solidarietà e riaffermiamo che il loro dolore è il nostro dolore. Sono riconoscente agli Arcivescovi, Vescovi e Sacerdoti concelebranti. Il mio grazie va ai religiosi, alle religiose e ai fedeli, specialmente agli iracheni. E a voi carissimi educatori e studenti dei Pontifici Collegi e delle Istituzioni Orientali in Roma.

Rivolgo la mia speciale gratitudine ai Signori Ambasciatori: hanno voluto essere presenti numerosi a questa Celebrazione Liturgica pur appartenenti a diverse confessioni religiose per condividere il nostro lutto e mostrare tutto il loro interesse. EÂÂ’ una partecipazione che ci rincuora perché siamo certi che vorranno adoperarsi, particolarmente presso i rispettivi governi, per favorire ovunque la serena convivenza dei singoli e delle comunità, e il rispetto dei loro diritti, appoggiando ogni intento per ridare al Vicino Oriente il suo volto multireligioso e multiculturale, civile e solidale. I cristiani debbono poter restare dove sono nati per offrire personalmente e attraverso le opere della Chiesa, senza alcuna discriminazione, il loro insostituibile contributo di carità sul piano educativo e culturale, assistenziale e sociale. Essi desiderano concorrere al progresso del loro amato Paese in generosa apertura verso i musulmani e tutti i loro connazionali. Con quanta riconoscenza apprezzeremo il coinvolgimento dei cristiani e dei loro pastori da parte delle Autorità Civili nella adozione di tutte quelle misure che riguardano direttamente le loro persone, la loro sicurezza e il loro futuro.

Vorrei, ora, tornare col pensiero a domenica 31 ottobre e rivedere i nostri fratelli e sorelle, che si avviano alla casa del Signore per la Divina Liturgia. Erano del tutto ignari di essere alla “sera della vita”. Vorrei invitare ciascuno di voi ad accompagnare padre Thaer e padre Wassim nel preparare la celebrazione e accogliere i fedeli, con i quali avrebbero lodato Dio, ascoltato e commentato la sua Parola per unirsi poi al suo sacrificio col proprio sangue. Quale esempio per noi ministri di Dio: “imitamini quod tractatis”, ci è detto nellÂÂ’ordinazione sacerdotale del rito latino, affinché leghiamo totalmente noi stessi ai misteri di Cristo posti nelle nostre mani. I due sacerdoti hanno effettivamente compiuto il sacramento eucaristico nella vita, precedendo i loro fedeli. Quale frutto più sublime dellÂÂ’anno sacerdotale, questa immolazione, seme di vocazioni perché seme della comunione e della testimonianza tanto auspicate dal recente Sinodo per il Vicino Oriente.

Un turbine crudele ha tentato di soffocare lÂÂ’amore di Dio, che li animava, ed essi lo hanno affrontato con le sole armi della fede, della speranza e della carità. Con la carne e col sangue hanno “annunciato la morte di Cristo e proclamato la sua risurrezione nellÂÂ’attesa della sua venuta”. Si è avverata la promessa di Dio: “chi dona la sua vita, risorge nel Signore” (cf ps 123). Non hanno avuto “paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere lÂÂ’anima” (Mt 10, 26-33) e sono stati pronti a “riconoscere” il Figlio di Dio davanti agli uomini. AnchÂÂ’Egli li “riconoscerà davanti al Padre che è nei cieli” (ibid.). Il grido di angoscia dei loro cari e la tenerezza infinita con la quale hanno composto i loro corpi, cominciando da alcuni bambini, anchÂÂ’essi innocenti agnelli tra le braccia delle madri, ci interpellano. E il silenzio delle vittime ci fa sperare di ottenere da Dio quellÂÂ’amore che sa perdonare perché “ tutto copre” (I Cor. 13,7). Ogni violenza senzÂÂ’altro cesserà: fermamente lo crediamo perché solo “lÂÂ’amore non avrà mai fine” (ibid. 8). Così la testimonianza di questi fratelli e sorelle ci apre con fiducia al nuovo avvento di Cristo e ci spinge a supplicarlo: “Vieni Signore Gesù (Ap 22,20), te lo chiede la tua Chiesa. Vieni ad asciugare ogni nostra lacrima (cf Ap 7,17), te lo chiede la tua Madre Santa, che è il nostro perpetuo soccorso. Vieni, perché solo tu sei il Principe della Pace”. Amen.
 

 

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