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SIMPOSIO TEOLOGICO PASTORALE
ALLA VIGILIA DEL XLVIII CONGRESSO EUCARISTICO INTERNAZIONALE

Alla scuola di Maria donna eucaristica

Guadalajara, Messico
Venerdì, 8 ottobre 2004

 

0. Introduzione

Coerentemente con la sua profonda «spiritualità mariana» a più riprese proposta a tutta la Chiesa, Giovanni Paolo II al termine dell’enciclica Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003)[1] ci convoca Alla scuola di Maria donna «eucaristica» (EE 53-58). Egli è convinto che solo guardando a Maria e seguendo le sue orme potremo celebrare e vivere il mistero eucaristico, «il tesoro della Chiesa, il cuore del mondo, il pegno del traguardo a cui ciascun uomo, anche inconsapevolmente, anela» (EE 59).

Per comprendere l’ultimo capitolo dell’enciclica occorrono almeno due chiavi ermeneutiche che ci facciano capirne la genesi e penetrarne i contenuti: la prima è di ordine ecclesiale e ci fa comprendere la novità della proposta di Maria come donna eucaristica nella continuità con i precedenti dati del magistero pontificio; la seconda è di ordine culturale e ci fa scorgere in Maria vitalmente protesa verso l’eucaristia un paradigma di quel dono di sé che costituisce una riscoperta dell’antropologia contemporanea.

0.1.  Prolegomeni ecclesiali

Innanzitutto appare chiaro che sia la tipologia mariana eucaristica, sia la presenza di Maria nella celebrazione dei divini misteri non si spiegano senza ricorrere alla dottrina della Lumen gentium (1964) e al suo sviluppo in ambito liturgico compiuto dalla Marialis cultus di Paolo VI (1974). Dell’una e dell’altra il capitolo finale dell’Ecclesia de Eucharistia appare una conseguenza, un’applicazione e in un certo senso anche un superamento, perché giunge alla formula inedita di Maria donna eucaristica.

Così la «relazione profonda» (EE 53) tra Maria e l’eucaristia, va collocata nell’affermazione pregnante del capitolo VIII della LG  secondo cui «per la sua speciale partecipazione alla storia della salvezza, Maria riunisce e riverbera i massimi dati della fede» (LG 65). A questi massimi dati della fede appartiene l’eucaristia, mysterium fidei per eccellenza.

Ugualmente la presentazione di Maria donna eucaristica esemplare per la comunità cristiana si può capire soltanto in base alla dottrina patristico-conciliare della Vergine Madre «tipo della Chiesa» nell’ordine «della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo» (LG 63). Tale dottrina è applicata dalla Marialis cultus alla liturgia da celebrare e vivere ispirandosi a Maria «modello dell’atteggiamento spirituale con cui la Chiesa celebra e vive i divini misteri» (MC 16). E il documento scende all’esemplificazione di Maria «Vergine in ascolto…, in preghiera…, madre…, offerente» (MC 17-20) e alla menzione della sua presenza nel sacrificio eucaristico «che la Chiesa compie in comunione con i santi del cielo e, prima di tutto, con la beata Vergine» (MC 20).

0.2. Antropologia del dono

L’enciclica Ecclesia de Eucharistia s’inserisce nel contesto programmatico del terzo millennio, che si preoccupa «di ”essere” prima che di “fare”» (NMI 15), poiché presenta Maria nella logica del dono di sé, di cui è vertice l’eucaristia.

Già ogni essere umano, creato a immagine di Dio, riflette in sé la natura relazionale di Dio unitrino[2], sicché «non può trovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé» (GS 24).

L’esperienza ci fa percepire che ogni storia individuale s’integra continuamente con «altre storie» fino a fare sorgere nuove partnership e unità complesse. Paradossalmente però queste unità si costituiscono mediante un atteggiamento di accoglienza dell’altro che giunge alla piena disponibilità e donazione di sé[3].

Oggi si tende a superare la concezione del dono come scambio interessato che richiede un contraccambio, quale emerge dagli usi di varie società antiche studiati da Marcel Mauss[4]. Le situazioni umane sono più complesse e offrono fattispecie di dono veramente gratuito e senza possibilità di restituzione. Già Aristotele aveva osservato l’asimmetria del dono della vita da parte del genitore, per cui tutti i servizi che il figlio gli presterà non possono essere paragonati al dono ricevuto[5]. Gesù poi rompe il cerchio dello scambio invitando i suoi discepoli al dono disinteressato, senza mire segrete di ricevere un contraccambio o una ricompensa:

Al contrario, quando dai un banchetto invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti (Lc 14,13-14).

Tommaso d’Aquino fonda la possibilità del dono gratuito sull’amore agapico che non esige nessun contraccambio perché vuole il bene dell’altro[6]. Si può concludere con J. Derrida criticando M. Mauss, che occorre distinguere il dono dallo scambio, poiché il dono in quanto tale non è mai uno scambio: è un donare senza reciprocità e senza ritorno, un movimento assolutamente non circolare di pura apertura[7].

Proprio in tale contesto s’inserisce l’Eucaristia che esige una cultura del dono di sé e ci aiuta a realizzarlo. Gesù raggiunge il culmine della donazione di sé nella sua passione: ha dato se stesso (Gal 1,4; 1Tm 2,6), la sua vita (Mc 10,45), il suo corpo (Mt 26,26). Anzi egli stesso è il dono per eccellenza che scaturisce all’amore del Padre: «Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16)[8]. Gesù a sua volta offre tanti doni agli uomini: la Parola (Gv 17,7.14), il Pane di vita (Gv 6,35.51), la pace (Gv 14,27), la Madre (Gv 19,26-27). In particolare egli fa due doni preziosissimi: «dona lo Spirito senza misura» (Gv 3,34) e «la vita eterna» (Gv 10,28). Secondo l’enciclica Ecclesia de Eucharistia, l’Eucaristia non è «un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso» (EE 11).

Giovanni Paolo II parte dalla convinzione che «non possiamo dimenticare Maria» perché ella ha con il ss. Sacramento «una relazione profonda» (EE 53):[9]  il «binomio Maria ed eucaristia» è inscindibile (EE 57). Il papa percorre un doppio binario: quello storico e quello liturgico. Nel primo Maria emerge come tipo antropologico di fede eucaristica di ampia portata, nel secondo ella diviene una presenza viva all’interno della celebrazione liturgica.

1. Maria donna eucaristica con l’intera sua vita (EE 53)

Come s’inserisce Maria nella teologia eucaristica? Quali sono i vincoli tra l’eucaristia e Maria? Giovanni Paolo II le dedica il capitolo finale dell’enciclica, intitolato appunto: Alla scuola di Maria donna «eucaristica» (EE 53-58).

Il riferimento a Maria è quanto mai opportuno perché passiamo dall’astratto al concreto, dalle teorie al tipo antropologico rappresentato dalla donna «eucaristica», tutta protesa verso l’«eucaristia» in atteggiamenti «eucaristici». Con linguaggio monfortano, ormai passato al magistero e alla mariologia, possiamo dire che Maria è «totalmente relazionale»[10] a Cristo, quindi anche al sacramento dell’eucaristia.

Per il papa è agevole – anche se si tratta di una approccio piuttosto inedito[11] – compiere una lettura in prospettiva eucaristica di tutta la vita di Maria, senza legarsi alla cronologia (come invece preferiamo fare noi, riunendo secondo questo ordine i contenuti dell’enciclica). Non solo traspaiono le analogie tra lei e noi, ma anche la singolarità e l’ampiezza della sua esperienza che abbraccia i principali aspetti del mistero eucaristico.

1.1. Maria crede nel Verbo fatto carne.

Nell’Annunciazione si riscontra «un’analogia profonda tra il fiat pronunciato da Maria alle, e l’amen che ogni fedele pronuncia quando riceve il corpo del Signore» (EE 55). L’atteggiamento che ci accomuna è quello della fede, per cui Maria crede «nel mistero dell’incarnazione, anticipando anche la fede eucaristica della Chiesa»:

A Maria fu chiesto di credere che colui che ella concepiva «per opera dello Spirito santo» era «il Figlio di Dio» (cf Lc 1,30-35). In continuità con la fede della Vergine, nel mistero eucaristico ci viene chiesto di credere che quello stesso Gesù, Figlio di Dio e Figlio di Maria, si rende presente con l’intero suo essere umano-divino nei segni del pane e del vino» (EE 55).

Ognuno può percepire l’importanza di questa fede per i sacerdoti e per i fedeli che sono abituati a ripetere ogni giorno la cena del Signore e quindi sono esposti al tran tran quotidiano e al tarlo dell’abitudine. L’enciclica mira precisamente a suscitare lo stupore della fede dinanzi al mistero eucaristico, mysterium fidei, neutralizzando il formalismo e la convenzionalità.

1.2. Maria primo tabernacolo.

La visita di Maria ad Elisabetta pone di fronte ad un dato oggettivo e ad un atteggiamento soggettivo, ambedue relazionali all’eucaristia. Oggettivamente, come mostra il parallelismo con il trasporto dell’arca in casa di Obededom, Luca vuole trasmettere la convinzione che Maria è l’arca della nuova alleanza, il luogo incorruttibile della presenza del Signore. L’enciclica papale, pur consapevole delle differenze tra la dimora personale e quella locale, legge suggestivamente il dato biblico come prolessi o anticipo di quanto avverrà con l’eucaristia, che sarà conservata nelle chiese in apposito tabernacolo per essere adorata dai fedeli. In ambedue la presenza di Cristo è recondita:

Quando, nella visitazione, porta in grembo il Verbo fatto carne, ella si fa, in qualche modo, «tabernacolo» – il primo «tabernacolo»” della storia – dove il Figlio di Dio, ancora invisibile agli occhi degli uomini, si concede all’adorazione di Elisabetta, quasi «irradiando» la sua luce attraverso gli occhi e la voce di Maria» (EE 55).

1.3. Il Magnificat cantico eucaristico.

Cantato da Maria dopo la rivelazione della sua maternità da parte di Elisabetta, il Magnificat rimbalza nella Chiesa che «nell’eucaristia si unisce pienamente a Cristo e al suo sacrificio, facendo suo lo spirito di Maria», ossia «rileggendo il Magnificat in prospettiva eucaristica» (EE 58).

Le convergenze spirituali tra la celebrazione dell’eucaristia e il cantico di Maria sono varie:

      1.3.1. lode e rendimento di grazie, poiché in ambedue si loda e ringrazia il Padre «per Gesù, in Gesù e con Gesù», cioè si realizza il «vero atteggiamento eucaristico».

      1.3.2. Memoria dell’incarnazione redentrice. In ambedue si fa «memoria delle meraviglie operate da Dio nella storia della salvezza»: nel Magnificat si celebra l’incarnazione redentrice, indicata «nelle grandi cose» compiute da Dio in Maria, nell’eucaristia si attualizza il mistero pasquale del Signore.

      1.3.3. Tensione escatologica verso il nuovo cosmo, anticipato nella storia. Maria canta quei «cieli nuovi» e quella «terra nuova» il cui germe è posto «nella povertà dei segni sacramentali» e nella vita degli umili che Dio innalzerà (EE 58).

1.4. Unita nell’offerta del sacrificio.

Nell’infanzia di Gesù, Maria offre due atteggiamenti indispensabili ad una partecipazione all’eucaristia: l’amore e l’offerta del sacrificio. A Betlem la Madre si rivela «inarrivabile modello di amore» quando contempla con sguardo rapito il volto di Cristo appena nato e lo stringe fra le sue braccia (EE 55). Nel tempio di Gerusalemme, l’annuncio di Simeone riguarda «il dramma del Figlio crocifisso» e quindi «lo Stabat Mater della Vergine ai piedi della croce»; in conseguenza «Maria vive una sorta di eucaristia anticipata, si direbbe una comunione spirituale di desiderio e di offerta, che avrà il suo compimento nell’unione col Figlio nella passione» (EE 56). La lettura compiuta dall’enciclica è tipicamente spirituale e cristiana: una lectio divina che esplicita in termini post-pasquali ciò che era contenuto e adombrato nell’esperienza vita le compiuta da Maria. 

1.5. Fidatevi della parola di mio Figlio.

Del segno di Cana l’enciclica ricorda solo la coincidenza del «Fate quello» di Maria con il  «Fate questo» di Cristo, secondo cui la Madre ci spinge a obbedire al Figlio, che a sua volta ordina di compiere l’eucaristia in sua memoria. Al tempo stesso il papa pone sulle labbra di Maria un suggestivo invito a fidarci di Cristo e della sua potente parola, senza tergiversare:

Con la premura materna testimoniata alle nozze di Cana, Maria sembra dirci: «Non abbiate tentennamenti, fidatevi della parola di mio Figlio. Egli, che fu capace di di cambiare l’acqua in vino, è ugualmente capace di fare del pane e del vino il suo corpo e il suo sangue, consegnando in questo mistero ai credenti la memoria viva della sua asquea, per farsi in tal modo pane di vita» (EE 54).

1.6. Presente presso la croce.

Il vertice della partecipazione di Maria al mistero pasquale, di cui l’eucaristia è l’anamnesi, è certo l’esperienza di questo mistero da parte di lei «in prima persona sotto la croce» (EE 56). L’enciclica non sviluppa questo momento, meglio questa «ora», in cui Maria è presente per un appuntamento del Figlio nell’episodio di Cana, ma si limita a ricordare «ciò che Cristo ha compiuto anche verso la Madre a nostro favore», cioè quando «a lei consegna il discepolo prediletto e, in lui, consegna ciascuno di noi: “Ecco tuo figlio”» (EE 57). Nel memoriale del Calvario – insiste il papa – non manca la riattualizzazione di questa consegna, per cui vivere nell’eucaristia il memoriale della morte di Cristo implica anche ricevere continuamente questo dono. Significa prendere con noi – sull’esempio di Giovanni – colei che ogni volta ci viene donata come Madre. Significa assumere al tempo stesso l’impegno di conformarci a Cristo, mettendoci alla scuola della Madre e lasciandoci accompagnare da lei (EE 57).

1.7. Assidua alla frazione del pane.

Infine l’enciclica ci fa soffermare con compiacenza su Maria «nel periodo post-pasquale, nella sua partecipazione alla celebrazione eucaristica, presieduta dagli apostoli, quale “memoriale” della passione» (EE 56). Il papa sorvola sulla presenza di Maria nell’ultima cena, su cui tace il vangelo, quindi mancherebbe la base biblica diretta per affermare tale presenza. Tuttavia – aggiungiamo noi – la Madre di Gesù era solita andare «tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua» (Lc 2,41), usanza conservata anche nell’anno in cui Cristo viene crocifisso. Infatti, come nota Laurentin, Maria era a Gerusalemme il Venerdì santo (Gv 19,25-27). Vi è da presumere che vi fosse il Giovedì. Se prese parte alla cena con coloro cui il Cristo ha detto: «Prendete e mangiate», non fu, in ogni caso, compresa tra coloro a cui si rivolgevano le parole d’istituzione: «Fate questo in memoria di me».[12]

Dobbiamo pertanto rifarci all’uso degli israeliti al tempo di Gesù per dedurre che verosimilmente Maria si trovava con Gesù per l’ultima cena. La consuetudine ebraica prevedeva per la cena pasquale, come per altri incontri conviviali, una stanza attigua per le donne[13], ma la Pasqua veniva celebrata dall’intera famiglia, tanto che avveniva in essa l’interrogazione dei figli circa il perché del rito (Es 12,3-4.26). Anzi pare compito della madre di famiglia accendere le lampade per dare inizio alla cena pasquale.

Più certa è la presenza di Maria alla «frazione del pane» (At 2,42), formula indicante l’eucaristia, che veniva celebrata assiduamente dalla comunità di Gerusalemme e poi da Paolo (cf At 20,7.11; 27,35). Gli atti degli apostoli recensiscono la Madre di Gesù tra gli apostoli «concordi nella preghiera» (At 1,14), nella prima comunità radunata dopo l’ascensione in attesa della Pentecoste. Questa sua presenza non poté certo mancare nelle celebrazioni eucaristiche tra i fedeli della prima generazione cristiana, assidui «nella frazione del pane» (At 2,42) (EE 53).

Il Papa s’immedesima nella situazione verosimilmente vissuta da Maria durante le cene eucaristiche, immaginandone «i sentimenti»:

Quel corpo dato in sacrificio e ripresentato nei segni sacramentali era lo stesso corpo concepito nel suo grembo! Ricevere l’eucaristia doveva significare per Maria quasi un riaccogliere in grembo quel cuore che aveva battuto all’unisono col suo e un rivivere ciò che aveva sperimentato in prima persona sotto la Croce (EE 56).

Al di là di questi probabili sentimenti personali di Maria nella comunione eucaristica[14], uno dei sommari degli Atti degli apostoli (2,42-47) ci offre l’atmosfera spirituale che accompagnava realmente il rito dello spezzare il pane. La Madre di Gesù, nominata come facente parte della comunità cristiana post-pasquale (At 1,14), era tra quei «tutti»che «ogni giorno insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia (en agalliásei) e semplicità di cuore (kai aphelóteti)» (At 2, 46). Maria partecipa non solo alla celebrazione domestica dell’eucaristia, ma anche ai sentimenti che animano i discepoli del Signore: la gioia o giubilo che proviene dalla fede (cf At 8,8.39; 13,48.52; 16,34) e che ella aveva sperimentato ed espresso nel Magnificat (Lc 1,46-47) e la semplicità di cuore che è propria del povero di Jhwh e della persona evangelica.    

Possiamo concludere con Giovanni Paolo II che «Maria è donna “eucaristica” con l’intera sua vita» (EE 53), durante la quale ella ha sperimentato un insieme di sentimenti che divengono esemplari per tutta la Chiesa: fede, canto, amore, comunione sacrificale, gioia e semplicità di cuore…

Per la prima volta Maria è presentata come «donna eucaristica» (EE 53-58), cioè totalmente relazionale e protesa all’«eucaristia», tanto che tale relazionalità costituisce una chiave ermeneutica per comprendere la vita di Maria ed insieme una tipologia antropologica per la Chiesa e per i singoli fedeli.

2. Maria è presente in ciascuna delle nostre celebrazioni eucaristiche (EE 57)

La presenza di Maria nella celebrazione liturgica e nell’eucaristia, corpo del Signore, merita una speciale considerazione. Essa non può prescindere dalla presenza di Cristo nel rito e nel sacramento eucaristico, che occorre prima precisare per coglierne la similitudine e la differenza.

2.1. La presenza reale e personale di Cristo

La teologia post-conciliare si accorda nel ritenere «la presenza di Cristo nella liturgia» come «il vero tema centrale» della cristologia, senza di cui non si spiega la realtà del mistero eucaristico.[15] 

Intendendo per presenza «la relazione reale esistente tra due o più esseri che sono tra loro vicini per qualsiasi titolo o fondamento reale»,[16] dobbiamo riconoscere che Cristo è presente nella celebrazione liturgica in modo progressivo che raggiunge la perfezione nell’eucaristia. Infatti, la molteplice presenza di Cristo (cf SC 7) si rivela in crescendo nella liturgia: a) prima di tutto nell’assemblea orante, secondo la sua promessa: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20); b) poi nella parola, perché è lui a parlare nella Scrittura; c) inoltre nel ministro, poiché offre se stesso mediante il ministero dei sacerdoti; d) infine nell’eucaristia, dove è presente in modo reale per antonomasia e personalmente tutto intero, uomo-Dio.[17]

Da ciò possiamo dedurre che Cristo Salvatore è il primo e supremo soggetto o ministro attivo della liturgia in forza del suo unico sacerdozio e della sua unica mediazione (cf 1Tm 2,5). Egli esercita una presenza sostanziale e operativa indispensabile per l’esistenza e l’efficacia sacramento, in cui sono resi presenti ed attualizzati i suoi misteri della vita terrena, cioè le sue azioni storico-salvifiche.

Si precisa a questo proposito che «l’umanità assunta (anima e corpo) è considerata nel suo attuale stato glorioso di esistenza […] in cui è sempre presente tutto il suo passato storico».[18] In altri termini, si tratta della presenza di Cristo nella sua condizione glorificata, che però non prescinde dalla sua situazione terrena e la attualizza nel sacramento.[19]  Nella persona del Verbo incarnato «sussistono, perdurano tutte le azioni, tutte le disposizioni vitali, tutti gli stati dell’opera salvifica compiuta da lui durante la sua vita terrena».[20] Insomma Cristo è presente in quanto glorificato, non come qualsiasi essere del mondo, determinato dal tempo e dallo spazio, sicché le specie del pane e del vino consacrati «hanno perso la loro esistenza mondana a favore della presenza del corpo e del sangue di Cristo glorioso».[21]

A livello ecumenico «viene unanimemente riconosciuta e accettata dalle Chiese» la formulazione di cinque aspetti già presenti nelle antiche confessioni di fede: 1) «azione di grazie a Dio Padre»; 2) «memoriale di Cristo»; 3) «invocazione dello Spirito»; 4) «comunione dei fedeli»; 5) «pasto del regno». In particolare le Chiese «confessano con gioia quella presenza reale, vivente e attiva di Cristo» di cui si parla nel Documento di Lima (1982).[22] 

Ugualmente si constata «una profonda armonia di base» tra anglicani e cattolici sull’eucaristia e sul ministero, in modo speciale riguardo alla «presenza reale di Cristo» nelle specie.[23] Anzi la teologia della presenza di Cristo nell’eucaristia è approfondita in chiave spirituale e vitale dalle tre principali confessioni cristiane, cattolica, ortodossa e protestante.[24] 

Si tratta di specificare meglio ciò che viene incluso nell’attualizzazione sacramentale della passione di Cristo: certo non tutti gli atti storici ad essa pertinenti, ma quelli che sono rilevanti nell’ordine salvifico. Qui si apre un varco per il possibile ricupero della disposizione o rivelazione di Gesù crocifisso circa sua Madre (Gv 19,25-27), come vedremo.

Si può quindi concludere che Cristo è presente realmente nell’eucaristia non in modo statico ma dinamico e soteriologico:   

La presenza reale del corpo e del sangue di Cristo è il cuore e il fulcro dell’Eucaristia: per questo la Chiesa l’ha sempre difesa con tanta passione. Ed essa è tutta in funzione dell’accadimento sacrificale. Cristo infatti non si fa’ soltanto presente in modo statico: la sua è una presenza quanto mai dinamica, portatrice di salvezza: presenza di vittima che si consuma per noi: è il Christus passus (nel senso di perfectum praesens).[25]

2.1. La presenza di Maria.

Ponendosi su un altro versante teologico, dopo quello dell’esemplarità che mostra Maria come modello di vita eucaristica cui ispirarsi, l’enciclica puntualizza la verità consolante, anche se raramente evidenziata, della presenza di Maria nella celebrazione liturgica: «Maria è presente, con la Chiesa e come Madre della Chiesa, in ciascuna delle nostre celebrazioni eucaristiche» (EE 57).

Già in precedenza Giovanni Paolo II aveva apportato una spiegazione chiarificatrice richiamandosi all’analogia tra il mistero pasquale e la sua attualizzazione eucaristica: «Maria è presente nel memoriale - l’azione liturgica - perché fu presente nell’evento salvifico».[26] È chiaro infatti che Maria nella sua vita terrena ha seguito fedelmente Gesù fin sotto la croce «soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di lui» (LG 58). In realtà sia Luca che Giovanni presentano la Madre di Gesù tutta protesa verso il mistero pasquale. Presso la croce la «spada» dell’opposizione a Cristo da parte dei suoi contemporanei raggiunge il culmine e le trafigge l’anima (Lc 2,34-35). Ella è inserita nel cuore dell’ora di Gesù, cioè del suo abbassamento-glorificazione, dove riceve una maternità nei confronti dei discepoli amati da suo Figlio (Gv 19,25-27).

Non viene specificata il tipo di presenza di Maria nella celebrazione dell’eucaristia, se non che questa «implica anche ricevere continuamente» (EE 57) il dono di lei come Madre compiuto dal Figlio crocifisso. Non per nulla «il ricordo di Maria nella celebrazione eucaristica è unanime, sin dall’antichità, nelle Chiese d’oriente e dell’occidente» (EE 57) e l’anafora romana pone «in venerazione e in comunione in primo luogo con la gloriosa e sempre vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo». Ci soccorre qui una scoperta recente che interpreta la presenza personale di Maria con il suo corpo glorioso e pneumatico, non circoscrivibile dallo spazio e dal tempo.[27]        

2.2. Ave, vero corpo  nato da  Maria Vergine!

La presenza di Maria nella stessa eucaristia, corpo del Signore, è un problema differente e delicato che merita una speciale considerazione teologica. Essa viene codificata nell’antifona medievale (sec. XIV) Ave, verum corpus natum de Maria Virgine, preceduta da un dibattito tra «realisti» e «sacramentalisti»[28] in cui intervengono Ambrogio Auperto, Pascasio Radberto, Ratramno di Corbie e Onorio di Autun.

L’enciclica cita due volte questa antifona, la seconda volta con fede personale e particolarmente sentita:

Lasciate, miei carissimi fratelli e sorelle, che io renda con intimo trasporto […] la mia testimonianza di fede nella santissima eucaristia: Ave, verum corpus natum de Maria Virgine, / vere passum, immolatum, in cruce pro homine! (EE 59).

Il sottofondo di questa antifona è l’identità fondamentale tra il corpo eucaristico del Signore e quello ricevuto nel grembo di Maria. Il papa la esprime affermando che «l’eucaristia, mentre rinvia alla passione e alla risurrezione, si pone al tempo stesso in continuità con l’incarnazione» (EE 55).

Tale identità è trasmessa dalla nota equazione tra il corpo di Cristo e il corpo di Maria: «La carne di Cristo è la carne di Maria».[29] L’espressione si trova nella forma di «Caro enim Jesu caro est Mariae» nel Sermone sull’Assunzione di Maria dello Pseudo-Agostino, autore sconosciuto che J. Winandy identifica con Ambrogio Autperto (+781). Il contesto riguarda l’assunzione di Maria, più precisamente l’incorruzione del suo corpo. L’autore pensa che se Gesù ha conservato integra la verginità della madre, ha potuto anche preservarla dalla putrefazione, che costituisce «l’opprobrio della condizione umana». Se da essa il Figlio è alieno, lo è anche la Madre da cui egli ha ricevuto la natura umana. A questo punto giunge la frase:

Infatti la carne di Gesù è la carne di Maria, e in modo molto più speciale di Giuseppe, di Giuda e degli altri suoi fratelli, ai quali [Giuda] diceva:  è nostro fratello e nostra carne (Gen 37,27). Infatti la carne di Cristo, sebbene magnificata dalla gloria della risurrezione e glorificata dalla potente ascensione sopra tutti i cieli, rimase e rimane della stessa natura assunta da Maria.[30] 

Come si vede, qui non si tratta del corpo eucaristico del Signore, ma dell’identità tra il corpo glorificato di Cristo e il corpo terreno offertogli da Maria. Il passaggio da essi all’eucaristia, già presente in Ireneo[31], si esplicita con Pascasio Radberto, che nel De corpore et sanguine Domini (831) mette in risalto il realismo della presenza di Cristo nell’eucaristia affermando che questo contiene il corpo naturale (storico) portato in grembo dalla Vergine, crocifisso e risuscitato.

Un altro benedettino dello stesso monastero, Ratramno di Corbie (+ 875), reagisce alla totale identificazione tra corpo storico e corpo sacramentale di Cristo, osservando la «non piccola differenza tra il corpo che esiste nel mistero e il corpo che ha patito, fu sepolto ed è risorto»: il secondo «è la vera carne di Cristo», mentre il primo è «il sacramento della sua carne». Questo inoltre «rappresenta la memoria della passione o morte del Signore» e ingloba tutti i fedeli che formano un solo corpo con lui. In ogni caso si esige la fede per ricevere il sacramento[32].

Senza dubbio il riferimento a Maria è garante della retta fede nella presenza reale di Gesù nell’eucaristia. E infatti quando Berengario (+1088) propone un’interpretazione simbolica dell’eucaristia svuotando il realismo del corpo di Cristo, il concilio romano del 1079 gli impone di sottoscrivere che il pane e il vino dopo la consacrazione sono «il vero corpo di Cristo che è nato dalla Vergine» (DS 700). Si evidenzia così il ruolo storico della Madre che è all’origine della vera umanità del Figlio. Maria ricorda che il Verbo incarnato nel suo seno è lo stesso pane di vita offerto in cibo ai fedeli. Ella svolge la funzione preziosa di collegare il sacramento dell’eucaristia con il mistero dell’incarnazione, operando l’identificazione tra il Cristo glorioso e il Cristo storico.

Onorio di Autun (+ 1133/56) conclude il dibattito affermando a proposito delle parole di Cristo nell’ultima cena: «Ecco: è il corpo generato dalla Vergine che egli teneva in mano»[33]. Ma egli precisa che nell’eucaristia si ha la sostanza del corpo di Cristo mentre «il corpo nato dalla Vergine risiede in cielo».[34]  Oggi teologi come J.M.R. Tillard si pongono nella stessa linea di una presenza del corpo e sangue di Cristo non nella loro forma naturale, ma trasfigurati dalla risurrezione e in forma sacramentale:

Il Signore, il Kyrios, seduto alla «destra di Dio» e quindi fuori dal mondo sacramentale, è colui che offre alla sua Chiesa, nello Spirito, sacramentalmente, il dono di se stesso. […] Solo questo corpo risuscitato è il pane di vita per la salvezza del mondo.[35]

Circa il modo della presenza di Cristo nell’eucaristia, già Tommaso demitizza la teoria medievale, che ritornerà nei secoli seguenti, della «discesa» del Signore sul pane e sul vino, nel qual caso il cambiamento avverrebbe nella persona di lui glorificato.[36] Invece la tradizione orientale e occidentale ricorre alla trasformazione sostanziale degli elementi della Cena del Signore, espressi dai termini metousiosis (oltre la sostanza), metabolè (cambiamento) e transustanziazione (mutamento di sostanza). Allo stesso risultato si perviene con i termini di transfinalizzazione e transignificazione, che indicano un fine e un significato al di là di quelli naturali, quindi «un cambiamento che raggiunge l’ultima profondità degli elementi».[37]

Rimane esclusa la posizione di quanti partono dalla premessa pseudo-scientifica che buona parte del sangue della madre rimane nel figlio adulto. Essi considerano l’identità in modo letterale e quindi affermano che almeno una parte del corpo o del sangue di Maria rimane nell’eucaristia e quindi verrebbe mangiata e si dovrebbe adorare. Autori come Poza, de Vega e Zefirino di Someyre (1663) sostengono che sotto le specie eucaristiche c’è in qualche modo anche il corpo di Maria sebbene sotto differente persona. Tale sentenza di sapore fisicistico viene condannata dal s. Officio. Infatti sebbene Maria sia secondo l’espressione di Dante «la faccia ch’a Cristo più si somiglia», cioè abbia con il Figlio una molteplice somiglianza biologica, psicologica e soprattutto morale e spirituale, un’affinità-sintonia che converge nella spiritualità dei poveri di Jhwh[38], è da sottolineare che il patrimonio genetico derivante dalla madre si trova nel figlio come persona distinta e separata dalla madre.

In conclusione possiamo precisare alcuni punti fermi circa la presenza di Maria nell’eucaristia:

      a) Anche se dovunque c’è Gesù si trova in lui il patrimonio genetico trasmesso dalla madre, è da escludere nell’eucaristia la presenza fisica di una parte del corpo e sangue della Vergine. In caso contrario si andrebbe non solo contro l’autonomia delle singole persone, ma anche contro la parola di Gesù che rende presente sotto le specie del pane e del vino il proprio corpo e non quello di sua Madre.

      b) L’antifona «Ave, vero corpo  nato da  Maria Vergine!» traduce in preghiera un dato innegabile: l’origine del corpo di Cristo dalla Vergine sua madre. Gesù resta sempre il Figlio di Maria, che lo ha generato per opera dello Spirito santo, ed è pericoloso allontanarsi dal realismo dell’incarnazione. Nell’eucaristia non si ha dunque un corpo irreale né un corpo diverso da quello partorito a Betlemme, ma il vero e medesimo corpo nato dalla Vergine.

      c) Stabilita questa identità del corpo di Cristo, ribadita nell’effato «la carne di Cristo è la carne di Maria», occorre distinguere nettamente la modalità diversa della presenza corporale di Cristo nella sua vicenda terrena, nella sua vita celeste e nel sacramento dell’eucaristia. Il corpo storico di Cristo era mortale e sottoposto ai condizionamenti del tempo e dello spazio; il corpo risorto del Signore è un corpo incorruttibile, glorioso, pneumatizzato e datore di vita (cf 1Cor 15, 42-45); il corpo sacramentale di Cristo realizza una presenza sostanziale, in quanto cambia la realtà o la sostanza del pane e del vino, pur lasciando inalterati i loro dati sensibili (accidenti, nel linguaggio scolastico).

      d) Non esistono difficoltà ad ammettere la presenza di Maria nel rito o celebrazione dell’eucaristia, che avviene in intima comunione con la liturgia della Chiesa celeste e in primo luogo con la Theotokos. La Vergine è presente nell’assemblea liturgica con la sua molteplice intercessione, con il suo materno affetto, con la sua esemplarità che risplende dinanzi alla comunità degli eletti. Si potrebbe ammettere anche una sua presenza personale, in base al suo corpo glorificato. Ma non bisogna confondere questa sua presenza con la presenza eucaristica, che si attua non con la venuta o discesa di Cristo dal cielo sul pane e sul vino consacrati, ma con la trasformazione o transustanziazione di questi elementi nel corpo e sangue dello stesso Cristo.

      e) L’eucaristia non è soltanto il mistero della presenza di Cristo con il suo corpo e sangue, ma anche il memoriale e l’attualizzazione della sua morte e risurrezione, per cui «questo evento centrale di salvezza è reso realmente presente» (EE 11). Giovanni Paolo II aggiunge che «nel “memoriale” del Calvario è presente tutto ciò che Cristo ha compiuto nella sua passione e nella sua morte» e «pertanto non manca ciò che Cristo ha compiuto anche verso la Madre a nostro favore» (EE 57). In questa linea si può concludere che nell’eucaristia si ripresenta e attualizza anche il gesto salvifico di Cristo che consegna Maria alla comunità e questa a lei. Prospettiva attraente che richiederà ulteriore approfondimento teologico.

2.3. Il mondo nuovo frutto dell’eucaristia

Risulta molto significativa la relazione tra l’eucaristia e il regno escatologico di Dio, anticipato nella persona della Vergine assunta. Il nuovo mondo (aspetto cosmologico) e il nuovo uomo/donna (aspetto antropologico) sono frutto del sacramento dell’eucaristia. Conseguenza a prima vista abnorme e sproporzionata, ma rispondente alla legge storico-salvifica che fa derivare il più dal meno, la grandezza dall’esiguità, l’esaltazione dall’umiltà. E Gesù è esplicito nel legare la risurrezione finale alla ricezione con fede del cibo eucaristico:

«In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha, ha la vita eterna» (Gv 5,24). «Questa è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno. […] Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. […] Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6, 40.51).

Siamo di fronte ad una concatenazione inscindibile: ascolto della parola, fede come opzione fondamentale, pasto eucaristico, vita eterna, risurrezione. Questa sequenza è visibile nella vicenda di Maria: Vergine in ascolto, credente e pellegrina nella fede, assidua alla frazione del pane, sperimentata sempre viva dai fedeli e assunta in cielo in anima e corpo. Comprendiamo ora le parole del papa che legano l’eucaristia, Maria e «il mondo rinnovato nell’amore»:

Mettiamoci soprattutto in ascolto di Maria santissima, nella quale il mistero eucaristico appare, più che in ogni altro, come mistero di luce. Guardando a lei conosciamo la forza trasformante che l’Eucaristia possiede. In lei vediamo il mondo rinnovato nell’amore. Contemplandola assunta in cielo in anima e corpo, vediamo uno squarcio dei «cieli nuovi» e della «terra nuova» che si apriranno ai nostri occhi con la seconda venuta di Cristo (EE 62).

3. Conclusioni vitali.

«Sine dominico non possumus vivere», affermava Saturnino, sacerdote e martire durante la persecuzione di Diocleziano all’inizio de IV secolo. La Chiesa vive dell’eucaristia e non può vivere senza di essa. La partecipazione devota e fruttuosa alla Pasqua del Signore celebrata nella liturgia si modella sulla figura di Maria «donna eucaristica». L’enciclica Ecclesia de Eucharistia ci ha offerto molti stimoli e provocazioni che possiamo ora riassumere.

3.1. Con Maria donna eucaristica ruotare intorno a Cristo. 

Innanzitutto dobbiamo essere grati a Maria per averci dato Gesù, che poi si comunicherà a noi mediante il sacramento del mistero pasquale. In questo senso Gersone giunge a chiamare Maria, sia pure in modo indiretto, «madre dell’eucaristia».[39] Perciò una viva riconoscenza verso la Madre di Gesù deve sgorgare dal cuore dei fedeli che ricevono l’eucaristia, perché grazie alla sua maternità abbiamo avuto il Pane disceso dal cielo.

Inoltre da lei, tutta protesa verso l’eucaristia con l’intera sua vita e caratterizzata da atteggiamenti eucaristici, impariamo l’autentico cristocentrismo che deve caratterizzare la nostra esistenza spirituale. Qui veniamo illuminati da una magnifica pagina del card. de Bérulle che ci invita a passare dalla concentrazione in noi stessi alla decentrazione in Cristo, come con Copernico si è passati dal sistema tolemaico geocentrico a quello eliocentrico:

Un eccellente ingegno di questo secolo ha voluto stabilire che il sole è al centro del mondo e non la terra. […] Questa nuova opinione, poco seguita nella scienza degli astri, è utile e dev’essere seguita nella scienza della salvezza. Gesù è infatti il sole immobile nella sua grandezza e movente tutte le cose. […] Gesù è il vero centro del mondo, e il mondo deve essere un continuo movimento verso di lui. Gesù è il sole delle nostre anime, che da lui ricevono ogni grazia, illuminazione e influsso. E la terra dei nostri cuori deve essere in continuo movimento verso di lui.[40] 

Questa immagine suggestiva si applica a tutti i cristiani, chiamati a vivere mediante Cristo, con Cristo, in Cristo e per Cristo, secondo la dottrina neotestamentaria riassunta nella liturgia. Ma in primo luogo essa vale per la Vergine Maria, paragonata dalla tradizione cristiana alla luna, un satellite che ruota attorno al sole che è Cristo, da cui riceve la luce e la adatta alla nostra condizione di fragilità.[41]           

In realtà Maria è presentata da Luca come una donna che ricorda e medita continuamente «tutte le cose» riguardanti il Figlio (Lc 2,19.52). Gesù rimane anche per Maria un enigma,  che nessun laser potrà completamente penetrare, un mistero incomprensibile ma che si rivela poco per volta sotto la luce dello Spirito: «Quanto succedeva era così misterioso che Maria doveva scrutarne continuamente il senso e mano a mano che ne sondava le profondità anche il suo cuore si approfondiva».[42] 

Maria ha verosimilmente continuato nello stesso atteggiamento meditativo non solo presso la croce e la risurrezione di Gesù, ma anche dinanzi all’eucaristia. Proiettata verso questo mistero, Maria è prototipo degli atteggiamenti eucaristici che vanno dalla fede alla partecipazione viva al mistero pasquale e alla comunione intima con Cristo attuata nella gioia e nella semplicità del cuore. Tutta la spiritualità del magnificat è eucaristica, perché traboccante di lode e stupore dinanzi all’opera salvifica di Dio in colei che si sente sotto lo sguardo benevolo di Dio sulla scia dei poveri e umili del popolo d’Israele. Alla scuola di Maria si vince l’abitudine e il convenzionalismo nel trattare l’eucaristica e ci s’inabissa nella spiritualità dei poveri del Signore.

3.2. Eucaristia ossia essere dono nella comunità.

Maria ci conduce ad un’incontro profondo e spirituale con il Figlio, proprio perché nell’eucaristia è presente Cristo con «il suo vero corpo nato da Maria Vergine», come richiama Giovanni Paolo II e come si evidenzia nella spiritualità popolare:

Ben a ragione la pietà del popolo cristiano ha sempre ravvisato un profondo legame tra la devozione alla Vergine santa e il culto dell’eucaristia: è, questo, un fatto rilevabile nella liturgia sia occidentale che orientale, nella tradizione delle Famiglie religiose, nella spiritualità dei movimenti contemporanei anche giovanili, nella pastorale dei santuari mariani. Maria guida i fedeli all’eucaristia (RM 44).

Una volta orientati verso l’eucaristia dobbiamo assimilare vitalmente la benedizione biblica, operando il passaggio verso un’antropologia della lode e una cosmologia del dono. Niente contrasta tanto con la preghiera di benedizione quanto la riserva esclusiva ed egoistica delle realtà terrene. Niente è tanto richiesto dalla sovranità del Dio dell’universo quanto la condivisione e la solidarietà.

Quando poi fissiamo lo sguardo nel cuore a Cristo presente nell’eucaristia, possiamo ritenere di non aver capito niente se non abbiamo compreso che Cristo stesso è l’essere-per-noi, che il suo corpo è dato per noi e il suo sangue è sparso per noi. Anche la nostra vita deve divenire una pro-esistenza.

Tutt’altro che invitarci ad un circolo chiuso d’intimità tra noi e Cristo, l’eucaristia è essenzialmente marcata dalla carità verso i fratelli e sorelle bisognosi, in quanto è il sacramento dell’unità della Chiesa.

Uscire dalla celebrazione eucaristica senza un aumento di comunione con tutte le componenti della Chiesa e dell’umanità, significa essere ciechi e sordi alle interpellanze del Pane di vita. Viceversa ci dev’essere continuità e armonia tra l’unità con Cristo e un’antropologia relazionale ispirata dall’amore. Questa viene così descritta:

È estremamente importante dire a questo nostro mondo che è necessario vivere l’amore della verità, la sincerità, la disponibilità ad imparare, la capacità di dialogo, la disponibilità al conflitto sentendole come virtù che permettono di andare avanti tutti insieme. Non possediamo la verità, ma ci potrebbe essere la fiducia di avvicinarcisi insieme. Questo sarebbe già un fatto di enorme valore. Oggi i giovani si rendono conto che, rispetto a quello che si fa, è più determinante il modo in cui ci si relaziona vicendevolmente.[43]

Lo Spirito trasforma il pane e il vino in corpo e sangue di Cristo, analogamente alla sua opera nell’incarnazione nel seno della Vergine e alla sua azione nell’umanità che consente a lasciarsi conformare al Figlio Unigenito: una rigenerazione alla quale collaborano la Madre Chiesa e la Madre Maria.

In una società caratterizzata sempre più dal pluralismo etnico, culturale, socio-politico e religioso, questa proposta che scaturisce dall’amore per gli altri e per gli ultimi si presenta come la più universale possibilità di intesa. Così, si comprende come l’Eucaristia, il Sacramento dell’amore, e il nesso Eucaristia-Maria costituiscano un singolare luogo di costruzione dell’unità della famiglia umana, rivelazione del mistero del Nuovo Adamo e della Nuova Eva. «Solo dall’Eucaristia profondamente conosciuta, amata e vissuta si può attendere quell’unità nella verità e nella carità voluta da Cristo e propugnata dal Concilio Vaticano II».[44] 

Stefano De Fiores

 


[1] Cf J.A. Abad, «Presentación teológica de la encíclica “Ecclesia de Eucharistia”», in Scripta theologica 36 (2004) 71-85; F.M. Arocena, «Ecclesia de Eucharistia en clave de teología litúrgica», ivi, 87-109; J. Sesé, «Sacrada Eucaristía y vida espiritual», ivi, 149-170.

[2] Nicolò Cusano allarga l’orizzonte dall’uomo a tutto il creato: «Res omnis creata gerit imaginem […] Trinitatis» (De pace fidei, 9).

[3] Sull’importanza dell’«altro» nella costituzione della persona e sulla«nuova cultura dell’alterità», cf per es. L. Van Ran, Autrui dans la pensée de Gabriel Marcel, Fribourg 1976; A. Caillé, Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono, Torino 1988; I. Mancini, Tornino i volti, Torino 1989; P. Ricoeur, Sé come un altro, Milano 1993; G. Cicchese, I percorsi dell’altro. Antropologia e storia, Roma 1999; Id., «Alterità in prospettiva antropologica», in Euntes docete 53 (2000) 137-150.

[4] M. Mauss, «Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche», in Teoria generale della magia e altri saggi, Torino 1965, 157 (pubblicato originariamente in Année sociologique 1923-24). L’autore aggiunge che la prestazione totale «non implica soltanto l’obbligo di ricambiare i regali ricevuti, ma ne presuppone altri due, non meno importanti: l’obbligo di fare dei regali, da una parte, l’obbligo di riceverli, dall’altra» (ivi, 172-173).

[5] Aristotele, Etica nicomachea, 1161a, 16-17. «Il padre, dunque, attende la risposta del figlio, ma come risposta rivolta innanzitutto a sé […] ma come apertura alla realtà, come capacità fecondativa rispetto alla realtà, sebbene egli sia anche consapevole che questa cura della realtà comporta in qualche modo una certa risposta al padre» (S. Petrosino, «Il figlio ovvero Del padre. Sul dono ricevuto», in P. Gilbert-S. Petrosino, Il dono, Genova 2001, 77).

[6] «Ratio autem gratuitae donationis est amor: ideo enim damus gratis alicui aliquid, quia volumus ei bonum. Primum ergo quod damus ei, est amor quo volumus ei bonum. Unde manifestum est quod amor habet rationem primi doni, per quod omnia dona gratuita donantur» (S.T. I, q. 38, a. 2).

[7] Cf J. Derrida, Donare il tempo. La moneta falsa, Milano 1996, 40.

[8] Cf O. Battaglia, La teologia del dono. Ricerca di teologia biblica sul tema del dono di Dio nel vangelo e nella I Lettera di Giovanni, Assisi 1971, specie 84-122.

[9] Sui rapporti tra Maria e l’eucaristia, cf le grandi trattazioni di due autori del Seicento: J.A. Velásquez, De augustissimo Eucharistiae mysterio sive de Maria forma Dei, Valladolid 1658, 559; Michele da Cosenza (cappuccino), Trattato della gloriosa Vergine detta del ss. Sacramento, ms. di oltre 1000 pagine non numerate, Biblioteca municipale di Assisi. Per la bibliografia più recente, cf  G. Crocetti, Maria e l’eucaristia nella Chiesa, Bologna 2001, 181-193. Nel V secolo in oriente si afferma mediante il ricorso al simbolo che Maria è la zolla da cui germoglia la spiga eucaristica, è Betlehem la casa del pane poiché dona il pane; come la Chiesa ella nutre i credenti con l’eucaristia. La tradizione patristica intuisce pure che nel seno di Maria Gesù è divenuto sacerdote prendendo il corpo che sarebbe stato offerto sulla croce e poi su ogni altare. Il grembo della Vergine è la sorgente del sacerdozio di Cristo e della Chiesa. Cf C. Vagaggini, «Caro salutis est cardo. Corporeità eucaristica e liturgia», in Miscellanea liturgica in onore del cardinal Giacomo Lercaro, vol. I, Roma - Parigi - Tournai - New York, 107-152.

[10] San Luigi Maria di Montfort (+1716) s’ispira a Bérulle quando definisce Maria mediante la categoria della relazione e afferma che Maria è «tutta relativa a Dio» (Trattato della vera devozione a Maria, n. 225).

[11] In genere gli esegeti e gli stessi mariologi non compiono tale lettura eucaristica dei brani biblici mariani, probabilmente perché sembra allontanarsi dall’esegesi del testo per compiere una «lectio divina» che giustifica un’interpretazione unitaria e vitale della Bibbia partendo da un mistero celebrato e vissuto. Un esempio di lettura eucaristica degli eventi evangelici mariani si trova in G. Crocetti, Maria e l’eucaristia nella Chiesa, 15-115.

[12] R. Laurentin, La Vergine Maria. Mariologia post-conciliare,  Roma 19835, 238, nota 6. Egli aggiunge che «il tema della presenza della Vergine alla cena, caro a certi mariologi, ma incerto, può essere vantaggiosamente sostituito da quello della sua presenza alla frazione del pane della comunità primitiva».

[13] Dopo aver escluso la presenza di Maria alla medesima mensa di Gesù, un autore aggiunge: «Ma non si può escludere la presenza della Madonna in un’altra mensa o locale. Anzi ciò è assai verosimile, poiché la Pasqua veniva mangiata per le famiglie (Es 12.3.4) e non si vede la ragione perché, trovandosi Ella là, avrebbe dovuto non recarsi a Gerusalemme a mangiarla, come d’uso, o andare in un’altra casa di Gerusalemme stessa, anziché in quella del Cenacolo. Invece si spiega facilmente, in base al rito che per Lei fosse stata preparata la mensa con altri - tra cui le pie donne - in un luogo separato, poiché tali mense dovevano contenere un numero determinato di commensali, cioè da 10 a 20 e una divisione in due o più gruppi era dunque naturale. Né contro tale possibilità, si oppone l’affermazione dei sinottici che “venne e “si mise a mensa con i dodici”, perché essa, per sé, non esclude l’accompagnamento - in gruppo separato - di altri come, per es., delle pie donne e di Maria SS. Anche in altri episodi infatti si parla separatamente dei “dodici”, benché fossero accompagnati da altri discepoli: come per es., nell’apparizione di Gesù, il giorno stesso della risurrezione (Mc 16,14; Lc 24,33: cfr. p. 472, 482). In tale fondata ipotesi la partecipazione al banchetto eucaristico, pur non sedendo Ella alla mensa degli Apostoli, è ammissibile, anzi particolarmente conveniente, date le intime relazioni della Madonna con l’Eucaristia […]. Tuttavia, anche prescindendo dalla suddetta presenza, questa giornata eucaristica dovette avere una profondissima risonanza nel cuore di Maria» (P.C. Landucci, Maria santissima nel vangelo, quinta edizione postuma, Cinisello Balsamo 2000, 367-368).

[14] Un cappuccino, Bernardin de Paris, ha dedicato un libro a La Communion de marie Mère de Dieu (1672).

[15] A. Cuva, «Gesù Cristo», in D. Sartore-A.M. Triacca (ed.), Nuovo Dizionario di Liturgia, Edizioni paoline, Roma 1984, 631.

[16] Ivi, 632. Definizione troppo generica, che manca di spessore antropologico, perché non basta la vicinanza per realizzare la presenza, ma è necessario un elemento di comunione interpersonale.

[17] «De presentia Domini in communitate cultus» costituisce il Thema IV del congresso internazionale sulla teologia del concilio vaticano II ed è svolto da L. Ciappi, B. Duda, J.A. Jungmann, A.-G. Martimort, B. Neunheuser e K. Rahner. Cf A. Schönmetzer (ed.), Acta congressus internationalis de theologia concilii vaticani II Romae diebus 26 septembris – I octobris 1966 celebrati, Typis polyglottis vaticanis, 1968, 271-338. I loro contributi rimangono fondamentali, ma lo sforzo d’inculturazione nell’oggi della Chiesa appare debole e quasi assente. Al contrario esso è evidente nella pubblicazione di R. Didier (citata nella nota 21) dove si tenta perfino un approccio di psicologia analitica del rito dell’eucaristia (pp. 153-164).

[18] A. Cuva, «Gesù Cristo», 633.

[19] «L’eucaristia è il memoriale del sacrificio totale di Cristo, non solo della sua morte ma anche della risurrezione, dell’ascensione e della parusia, finché egli ritorni (1Cor 11,26). Un memoriale che rende presente e attuale, hic et nunc, il sacrificio unico di Cristo nei suoi elementi costitutivi: la stessa vittima, il medesimo offerente e la stessa azione sacrificale, sebbene diversa nel modo incruento di offrire (DS 1743)» (A. Ambrosanio, «Eucaristia», in G. Barbaglio-S. Dianich [ed.], Nuovo Dizionario di Teologia, Edizioni paoline, Alba 1977, 459).

[20] A. Cuva, «Gesù Cristo», 637.

[21] R. Didier (ed.), L’eucharistie le sens des sacrements, un dossier théologique, Lyon 1971, 65.

[22] G. Wainwright, «Eucaristia», in Dizionario del movimento ecumenico, Bologna 1994, 506.

[23] Cf II Commissione internazionale anglicana-cattolica romana, Chiarificazioni su eucaristia e ministero, settembre 1993, in Il regno/documenti 39(1994) 17, 559-561.

[24] J.-M.R. Tillard, «Théologie.Voix catholique. La Communion à la Pâque du Seigneur», in M. Brouard (ed.), Eucharistia. Encyclopédie de l’Eucharistie, Paris 2002, 397-437; O. Clément, «Théologie. “Maranatha”. Notes sur l’Eucharistie dans la tradition orthodoxe», ivi, 439-466; A. Birmelé, «Théologie.Voix protestante», ivi, 467-490.

[25] J. Betz, «Eucaristia», in H. Fries (ed.), Dizionario teologico, I, 633.

[26] Giovanni Paolo II, All’angelus, 12.2.1984.

[27] Cf la tesi di A. Pizzarelli, La presenza di Maria nella vita della Chiesa. Saggio d’interpretazione pneumatologica, Cinisello Balsamo 1990. Inoltre: S. De fiores, «La presenza di Maria nella vita della Chiesa alla luce dell’enciclica “Redemptoris Mater”», in Mar 51 (1989) 110-144.

[28] Cf N. Mitchell, «Il culto eucaristico fuori della Messa», in A.J. Chupungco (ed.), Scientia liturgica. Manuale di liturgia, Casale Monferrato 1998, 286-287. L’autore riscontra «realistiche esagerazioni» nella posizione di Radberto ed «eccessivo realismo» in alcune espressioni del sinodo romano del 1079.

[29] Cf gli approfondimenti di M. Farina, «Caro Christi caro Mariae. Una prospettiva», in  G. Bof (ed.), Gesù di Nazaret… figlio di Adamo, Figlio di Dio, Milano 2000, 122-177.

[30] Incertus auctor inter opera s. Augustini, De Assumptione BMV liber unus, cap. 5, PL 40,1145.

[31] Adversus haereses  3,7. «Dio ha voluto nascere da una donna, da una madre, mater da materia. Dio si fa carne nel seno di una donna è lo stesso che si fa presente poi nel cuore della materia, del mondo, nell’Eucaristia. È un’unica economia e un unico stile. Sant’Ireneo ha ragione di dire che chi non capisce la nascita di Dio da Maria non può capire l’Eucaristia (Adversus Haer.  5,2,3)» (R. Cantalamessa, «La Theotokos segno della retta fede cristologica, alla luce dei concili di Efeso e di Calcedonia», in Theotokos 3 (1995) 2, 396).

[32] De Corpore et sanguine Domini, PL 121.

[33] Onorio di Autun, Eucharistion, 3, TMSM 3, 160.

[34] Ivi, 161.

[35] J.M.R. Tillard, «L’eucaristia sacramento della chiesa comunione», in B. Lauret-F. Refoulé (ed.), Iniziazione alla pratica della teologia, vol. 3,  Brescia 1986, 464-465.

[36] S.T. III, q. 75, a. 2. Un canto eucaristico calabrese risente di questa teoria quando dice ai sacerdoti: «Pe suli tri palori chi diciti / cala lu Figghju di lu ternu Patri» («Per sole tre parole che dite / scende il Figlio dell’eterno Padre»).

[37] Commissione internazionale per l’unione delgi anglicanie dei cattolici-romani (ARCIC), Documento di Windsor, 1971.

[38] S. De Fiores, «Maria, “la faccia ch’a Cristo più si somiglia”», in Istituto internazionale di ricerca sul volto di Cristo (ed.), Il volto dei volti Cristo, Gorle 1997, 166-182.

[39] Gersone, Opera, IV, 392-451

[40] Card. P. de Bérulle, De l’état et des grandeurs de Jésus, discours II, in Œuvres complètes, Migne 1856, 161.

[41] «Maria non è il sole che col fulgore dei suoi raggi ci potrebbe abbagliare perché siamo deboli. È invece bella come la luna, che riceve la luce dal sole e la tempera per adattarla alla nostra debole vista» (S. Luigi Maria di Montfort, Trattato della vera devozione a Maria, n. 85).

[42] F.-X. Durwell, Maria. Meditazione davanti all’icona, Assisi 1992, 57.

[43] E. Drewermann – J. Jeziorowski, Conversazioni sull’angoscia,  Brescia 1997, 36 (ed. originale tedesca 1991).

[44] Giovanni Paolo II, Tornare alla pedagogia eucaristica riscoprendo la certezza delle virtù cristiane, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, Poliglotta Vaticana 1982, IV,2,638.

 

 

 

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