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  PONTIFICIA COMMISSIONE PER I BENI CULTURALI DELLA CHIESA

LETTERA CIRCOLARE 
SULLA NECESSITÀ E URGENZA DELL'INVENTARIAZIONE 
E CATALOGAZIONE DEI BENI CULTURALI DELLA CHIESA

 Città del Vaticano, 8 Dicembre 1999

 

 

Eminenza (Eccellenza) Reverendissima,

La Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, dopo aver trattato delle biblioteche e degli archivi,(1) con questo documento rivolge la sua attenzione all’inventariazione-catalogazione dei beni culturali appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche, al fine di tutelare e valorizzare l’ingente patrimonio storico-artistico della Chiesa. Tale patrimonio è costituito da opere di architettura, pittura, scultura, oltre che da arredi, suppellettili, vesti liturgiche, strumenti musicali, ecc.(2) Esso può essere considerato come il volto storico e creativo della comunità cristiana. Il culto, la catechesi, la carità, la cultura hanno modellato l’ambiente in cui la comunità dei credenti apprende e vive la propria fede. La traduzione della fede in immagini arricchisce il rapporto con la creazione e con la realtà soprannaturale, richiamando le narrazioni bibliche e rappresentando le diverse espressioni della devozione popolare.

Le singole comunità cristiane si riconoscono così nelle varie manifestazioni dell’arte, e dell’arte sacra in particolare, realizzando un forte legame che caratterizza e distingue le Chiese particolari nel comune itinerario religioso. Esse inoltre hanno raccolto in archivi, biblioteche, musei, un’innumerevole quantità di manufatti, documenti e testi che sono stati prodotti lungo i secoli per rispondere alle diverse necessità pastorali e culturali.

Tali attività liberali “sono tanto più orientate a Dio e all’incremento della sua lode e della sua gloria, in quanto nessun altro fine è loro assegnato se non contribuire il più efficacemente possibile […] a indirizzare pienamente le menti degli uomini a Dio”.(3)

Se le biblioteche possono essere considerate i luoghi della riflessione e gli archivi i luoghi della memoria, il patrimonio storico-artistico della Chiesa è la testimonianza concreta della creatività artigianale e artistica espressa dalle comunità cristiane per dare splendore di bellezza ai luoghi del culto, della pietà, della vita religiosa, dello studio e della memoria. Si può affermare, quindi, che monumenti e oggetti, di ogni genere e stile, accompagnano le vicende storiche della Chiesa. Essi, nelle loro interrelazioni, sono strumenti idonei a promuovere l’evangelizzazione dell’uomo contemporaneo.

L’incidenza del patrimonio storico-artistico della Chiesa nel complesso dei beni culturali dell’umanità è enorme, sia per la quantità e la varietà dei manufatti, sia per la qualità e la bellezza di molti di essi. Non si possono neppure dimenticare le insigni personalità che hanno messo il loro genio a servizio della Chiesa. Ogni vocazione artistica può, infatti, dare testimonianza del messaggio cristiano presso tutti i popoli. Tutte le opere d’arte di ispirazione cristiana sono espressione di spiritualità universale e locale. Esse possono coincidere con la ricerca religiosa, individuale e comunitaria, raggiungendo, in alcuni casi, forme di totale sintonia spirituale tra percorso creativo e fruitivo.

L’ininterrotta funzione culturale ed ecclesiale che caratterizza tali beni rappresenta il miglior sostegno alla loro conservazione. È sufficiente pensare quanto difficile e oneroso per la collettività diventi il mantenimento di strutture che abbiano perso la propria destinazione originaria e quanto complesse siano le scelte per identificarne delle nuove. Oltre alla “tutela vitale” dei beni culturali è dunque importante la loro “conservazione contestuale”, poiché la valorizzazione deve essere intesa complessivamente, specie per quanto concerne i sacri edifici, dove è presente la maggior parte del patrimonio storico-artistico della Chiesa. Non si può, inoltre, sottovalutare l’esigenza di mantenere, per quanto possibile, inalterato il legame tra gli edifici e le opere in essi contenute, onde garantirne una completa e globale fruizione.

Requisito previo per salvaguardare questo ingente patrimonio è l’impegno conoscitivo. Esso è preliminare ai successivi interventi e a tutti i tipi di attività che interessano le autorità sia ecclesiastiche sia civili, secondo le rispettive competenze.

Il percorso della conoscenza si può esplicare in diverse forme che trovano, comunque, nella inventariazione e nella successiva catalogazione un supporto valido e ampiamente riconosciuto nei suoi presupposti di base. Evidenziare i singoli componenti e ricostituire la trama di relazioni stabilitesi tra i manufatti nei diversi contesti è uno dei princípi-guida sottesi alle metodologie di una moderna attività di ricognizione documentaria.

La presente circolare, pertanto, è rivolta ai Vescovi diocesani perché si facciano portavoce dell’urgenza di curare il patrimonio storico-artistico, partendo anzitutto dall’inventario, per approdare auspicabilmente alla realizzazione del catalogo. Con essa si vorrebbe sensibilizzare anche i Superiori degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, che nei secoli hanno dato origine a un patrimonio culturale di incalcolabile valore.

Nel suo insieme la circolare intende illustrare nelle linee essenziali l’inventariazione, da cui si può procedere per impostare l’attività catalogatoria. Si tratta di un’operazione complessa e in continuo sviluppo, urgente e necessaria, che deve essere condotta con rigore scientifico per evitare soluzioni precarie e sperperi di risorse.

A partire dal persistente interesse della Chiesa per i beni culturali, dimostrato fin dai primi secoli, e dopo aver chiarito la nozione, l’oggetto, il metodo e il fine dell’inventariazione-catalogazione, il documento si sofferma in primo luogo ad esporre l’urgenza dell’inventariazione. In secondo luogo esso indica alcuni elementi per la successiva attività di catalogazione. L’attenzione va poi alle istituzioni e ai soggetti responsabili del settore.

Il documento riunisce i concetti di inventariazione e di catalogazione in un unico concetto complesso. Questo per motivi di ordine teorico e pratico, quali la necessaria continuità tra i due processi, le legittime differenze nel concepirli, i diversi stadi di elaborazione dei medesimi e, soprattutto, la diversa situazione delle singole Chiese particolari. Il documento, quindi, presenta un itinerario che dall’inventariazione, necessaria e urgente, conduce alla catalogazione, auspicabile e importante.

Il progetto parte dal disposto del Codice di Diritto Canonico, il quale prescrive l’obbligo di redigere “un dettagliato inventario […] dei beni immobili, dei beni mobili sia preziosi, sia comunque riguardanti i beni culturali, e delle altre cose con la loro descrizione e la stima”.(4) Da qui si procede a presentare l’opportunità di una descrizione sempre più completa del patrimonio storico-artistico della Chiesa nelle sue componenti e nel suo contesto. Infatti la disposizione del Codice, pur prescrivendo una procedura di ordine amministrativo ai fini della tutela, sollecita, sia nella norma del canone citato sia nel suo intento generale, la realizzazione di un inventario accuratum ac distinctum teso a favorire la valorizzazione ecclesiale dei beni culturali, in conformità con l’azione della Chiesa, orientata alla salus animarum. Del resto, la descrizione del bene in oggetto conduce alla sua dettagliata inventariazione e parimenti stimola alla progressiva elaborazione di un catalogo.

Il documento intende così offrire alle Chiese particolari un orientamento generale sull’inventariazione del proprio patrimonio storico-artistico, da integrare progressivamente in un sistema catalogatorio, tenendo conto delle esigenze ecclesiali, delle situazioni politiche, delle possibilità economiche, del personale disponibile, ecc.

 

1. L’inventariazione-catalogazione:

Cenni storici

La Chiesa fin dai tempi più antichi comprese l’importanza dei beni culturali nell’espletamento della sua missione. Infatti a tutto ciò che “attraverso i secoli in qualsiasi modo le appartenne” diede dignità d’arte, imprimendovi “come un riflesso della propria bellezza spirituale”.(5) Essa inoltre non solo è stata committente d’arte e di cultura, ma anche si è prodigata per la salvaguardia e la valorizzazione dei propri beni culturali, come si può evincere da una pur rapida indagine storica.

Dell’importanza data dalla Chiesa alle opere d’arte sono valida testimonianza le pitture delle catacombe, lo splendore delle chiese e il pregio delle suppellettili sacre. Il Liber Pontificalis(6) e gli Inventari conservati nell’Archivio Segreto Vaticano(7) documentano quale assidua cura ponessero i Papi nell’ornare le chiese e come gli oggetti d’arte fossero ben presto considerati patrimonio da curare con attenzione.

In epoca antica un primo intervento da parte del magistero papale sul riconoscimento del valore dell’arte sacra avvenne per opera del Papa Gregorio Magno (590-604). Egli sostenne l’uso delle immagini in quanto utili a fissare la memoria della storia cristiana e a suscitare quel sentimento di compunzione che porta il fedele all’adorazione; ma soprattutto costituiscono lo strumento con cui si possono insegnare agli illetterati le vicende narrate nella Scrittura.(8) A concludere la lotta iconoclasta, che travagliò per molti decenni la Chiesa d’Oriente, con notevoli ripercussioni in Occidente e a dettare i criteri dell’iconografia cristiana fu poi il Concilio Niceno II (787).(9) 

Per tutto il Medio Evo è noto come gli Ordini monastici (specialmente i Benedettini) e gli Ordini Mendicanti abbiano coltivato una grande attenzione verso i beni artistici, fino a caratterizzarne lo stile e a emanare norme che talvolta sono entrate a far parte delle stesse regole religiose.

Gli storici vedono, inoltre, nella preghiera d’istituzione degli ostiarii (databile forse nella metà del III secolo) un primo sacro impegno per la tutela dei beni da parte della Chiesa: “Badate a che per la vostra negligenza non vada in rovina niente di quelle cose che sono nella chiesa. Agite in modo tale come da render conto a Dio di quelle cose che sono custodite da queste chiavi [che vi sono consegnate]”.(10) 

Ben presto apparvero numerosi interventi normativi dei Romani Pontefici, specialmente per quanto riguarda l’alienazione o la donazione di beni culturali, che infliggevano gravi pene, non esclusa la scomunica, a coloro che procedevano a tali atti senza le debite autorizzazioni.(11)

Non solo i Pontefici, ma anche i Concili Ecumenici si occuparono della tutela dei beni culturali. Al riguardo possono essere ricordati il Concilio Costantinopolitano IV (869-70)(12) e il secondo Concilio di Lione (1274).(13) In particolare il Concilio di Trento, oltre a ribadire con un decreto la sua posizione contro l’iconoclastia, aggiunse un elemento nuovo e assai importante, cioè l’appello fatto ai vescovi di istruire i fedeli sul significato e sull’utilità delle immagini sacre per la vita cristiana e l’obbligo di sottoporre ogni immagine “insolita” al giudizio del vescovo competente.(14) 

Il 28 novembre 1534 il Papa Paolo III nominò per la prima volta un Commissario per la conservazione dei beni culturali antichi.(15) In tempi più recenti un chirografo del Papa Pio VII, in data 1° ottobre 1802, incluse tra i beni da conservare, oltre a quelli antichi, anche tutti quelli delle altre epoche della storia.(16) Basandosi su queste indicazioni, il 7 aprile 1820 il Camerlengo Cardinale Pacca decretò l’inventariazione di tutti i beni culturali a Roma e nello Stato Pontificio: “Qualunque Superiore, Amministratore, e Rettore, o che abbia comunque direzione di pubblici Stabilimenti, e Locali tanto Ecclesiastici, che Secolari, comprese le Chiese, Oratorj e Conventi, ove si conservano raccolte di Statue e di Pitture, Musei di Antichità sacre e profane, e anche uno o più Oggetti preziosi di belle arti in Roma e nello Stato, niuna persona eccettuata, sebbene privilegiata e privilegiatissima, dovranno presentare una esattissima, e distinta Nota degli Articoli sopra espressi in duplo sottoscritta, con distinzione di cadaun pezzo”.(17) Tale editto, che servì di base e di ispirazione per le leggi sulle “belle arti” in non poche nazioni europee del sec. XIX e XX, per la prima volta dispose la redazione dell’inventario.

Anche se le summenzionate disposizioni si riferiscono propriamente allo Stato Pontificio, esse tuttavia costituiscono una significativa testimonianza dell’interesse della Chiesa circa la salvaguardia dei beni culturali e la progressiva coscienza della loro inventariazione in vista della tutela giuridica.

Per quanto riguarda la legislazione ecclesiastica specificatamente universale, oltre alle già citate disposizioni dei Concili ecumenici, giova tenere presente che fin dal 1907 Pio X imponeva agli Ordinari d’Italia la costituzione del “Commissariato diocesano”, per valutare i beni culturali, vigilare sulla loro conservazione ed esaminare i progetti di restauro e di nuove costruzioni.(18)

La preoccupazione della Chiesa che quanto era ordinato al culto dovesse essere d’indiscutibile valore artistico è evidente nelle istruzioni sulla musica sacra di Pio X del 22 novembre 1903.(19) La vigilanza sull’idoneità sacrale dei manufatti che dovevano arredare le Chiese viene poi inculcata dall’enciclica di Pio XII Mediator Dei (1947).(20)

Di conseguenza anche il Codice di Diritto Canonico del 1917 impegnava, con il canone 1522, gli amministratori dei beni ecclesiastici a redigere un accurato e distinto inventario delle cose immobili, delle cose mobili preziose o delle altre con la loro descrizione ed estimazione. Dell’inventario andavano fatte due copie, delle quali una era da conservare nell’archivio dell’amministrazione, l’altra nell’archivio della Curia. In entrambe le copie doveva essere annotato qualsiasi cambiamento che subisse il patrimonio.(21)

Di notevole importanza, ai fini della conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico culturale sacro, sono le circolari del Segretario di Stato, Card. Gasparri, del 15 aprile 1923, n. 16605, e del 1° settembre 1924, n. 34215.(22) Con quest’ultima, diretta agli Ordinari d’Italia, si notificava l’istituzione in Roma, presso la Segreteria di Stato di Sua Santità, di “una speciale Commissione Centrale per l’Arte Sacra in tutta l’Italia”, allo scopo di mantenere desto e operoso ovunque, mediante una propria azione di direzione, d’ispezione e di propaganda, in collaborazione con le Commissioni diocesane (o interdiocesane, o regionali), il senso dell’arte cristiana e di promuovere la corretta conservazione e l’incremento del patrimonio artistico della Chiesa.

Altre norme e istruzioni furono dettate, al medesimo fine, nelle circolari della stessa Segreteria di Stato del 3 ottobre 1923, n. 22352(23) e del 1° dicembre 1925, n. 49158,(24) riportanti disposizioni pontificie in materia d’arte sacra. Sono pure da menzionare le circolari della S. Congregazione del Concilio rispettivamente in data 10 agosto 1928, 20 giugno 1929(25) e 24 maggio 1939.(26)

Con lettera circolare dell’11 aprile 1971 la Congregazione per il Clero prescriveva l’inventario per gli edifici sacri e gli oggetti di valore artistico o storico presenti in essi.(27) 

L’attuale Codice di Diritto Canonico del 1983, nel canone 1283, n. 2-3, ribadisce la norma del Codice del 1917, aggiungendo tra i beni da inventariare anche tutti quei beni mobili che comunque riguardano i beni culturali.(28)

In sintesi si può dire che la Chiesa è stata fra le prime istituzioni pubbliche che abbiano regolato con leggi proprie la creazione, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio artistico posto al servizio della propria missione.

 

2. L’inventariazione-catalogazione:

prospettive generali 

L’inventariazione-catalogazione esige anzitutto la precisazione dei termini in questione secondo il pensiero della Chiesa. Occorre pertanto evidenziarne la nozione, l’oggetto, il metodo e gli obiettivi.

2.1. La nozione

Bisogna dapprima distinguere la nozione di inventariazione da quella di catalogazione. Le due operazioni hanno abitualmente finalità e metodologie distinte, anche se connesse e complementari, in quanto parti organiche di un’unica operazione conoscitiva e di un unico campo di interessi generali.

L’inventariazione è un’attività conoscitiva di base. Si può definire “anagrafica” per il sistema puramente elencativo di carattere estrinseco con cui si costituisce. La catalogazione invece prende in considerazione il bene nel suo complesso e nelle sue finalità intrinseche. Si pone come momento più approfondito di conoscenza dell’oggetto considerato nel suo contesto, nel suo significato e nel suo valore.

La catalogazione, quindi, è l’esito maturo di un’iniziativa conoscitiva di cui l’inventariazione costituisce l’indispensabile fase preliminare. Dal momento che si tratta di un unico processo continuativo, la circolare, nell’evidenziare oggetto, metodo, obiettivi, si avvale del termine congiunto di inventariazione-catalogazione. Data infatti la natura sui generis del patrimonio storico-artistico della Chiesa, non solo l’inventariazione, ma anche la catalogazione risulta indispensabile. Tali beni, infatti, hanno una naturale rilevanza culturale, sociale e religiosa, così che non possono essere adeguatamente conosciuti, tutelati, valorizzati con una semplice operazione elencativa. Tuttavia la diversa situazione delle singole Chiese particolari non permette soluzioni univoche e neppure tempi brevi di elaborazione dei dati.

2.2. L’oggetto

L’oggetto materiale dell’inventariazione-catalogazione è il bene culturale di interesse religioso in quanto manufatto, cioè in quanto opera prodotta dall’uomo, visibile, misurabile, deperibile. Tale opera è dotata di un’apprezzabile dimensione di rappresentatività religiosa, così che assume il valore di bene culturale ecclesiale.

Da questa definizione restano esclusi i “beni ambientali”, cioè gli oggetti non prodotti dall’uomo, e l’universo dei “beni culturali non materiali”, quali la lingua, le consuetudini, i miti, i modelli di comportamento.

Tipologicamente, i beni materiali soggetti all’inventariazione-catalogazione si dividono in “beni immobili” (quali gli edifici di culto e annessi, i monasteri e i conventi, gli episcopi e le case parrocchiali, i complessi educativi e caritativi, e altro) e in “beni mobili” (quali le pitture, le sculture, gli arredi, le suppellettili, le vesti, gli strumenti musicali, e altro). Gli altri beni (compresi i documenti archivistici e i libri), dei quali è comunque auspicabile prendere coscienza per il loro valore antropologico, culturale e ambientale, sono oggetto di una diversa metodologia investigativa e ricognitiva.

L’oggetto formale dell’inventariazione-catalogazione è dato dalla raccolta ordinata e sistematica delle informazioni relative a tali manufatti. Già la fase iniziale della ricerca dei dati mediante una rigorosa documentazione, l’individuazione dei beni culturali e la redazione del loro inventario generale (cioè di un elenco nominale) comporta un’accurata operazione di valutazione e di selezione. Infatti, in tutto il suo processo l’inventariazione-catalogazione non è una semplice operazione enumerativa, ma una selezione ragionata di informazioni in base a un particolare quadro ideologico ed epistemologico di riferimento. Pertanto, già a partire dall’organizzazione dei dati ricercati, deve essere maturata l’intenzione di prendere in considerazione il valore storico-artistico, lo specifico ecclesiale, l’unità contestuale, l’appartenenza giuridica, lo stato materiale di tali beni, al fine di sintonizzare il lavoro di ricognizione con il sensus ecclesiae.

2.3. Il metodo

Il metodo di lavoro dell’inventariazione-catalogazione è sostanzialmente riconducibile a quello delle discipline storico-artistiche. Esso si può suddividere in tre fasi: a) la fase euristica o dell’individuazione dei beni culturali, che si conclude con la redazione dell’inventario generale; b) la fase analitica o della schedatura descrittiva del singolo bene culturale, che si conclude con la compilazione della scheda nelle sue varie articolazioni; c) la fase della sintesi o dell’ordinamento delle schede, che si conclude con l’auspicabile formazione del catalogo propriamente detto.

Ciascuna di queste fasi presenta particolari e delicate problematiche che si possono superare con rigore di procedimento, con la pratica esecutiva e con il buon senso. È tuttavia essenziale che l’intera operazione non dimentichi i fini verso cui è tesa: quello immediato della formazione dell’inventario e del catalogo (fine materiale) e quello ultimo della conservazione e fruizione (fine formale).

Un sistema di inventariazione-catalogazione può essere impostato facendo riferimento a esigenze particolari di gestione, così che non tutti gli elementi previsti per la scheda completa devono comparire, ad esempio, in quelle per le forze di polizia, per l’uso turistico, per la divulgazione generale, per i percorsi didattici, per la consultazione immediata, e altro. Tuttavia è auspicabile l’integrazione dei dati tra i vari sistemi, in modo da non dover ripetere l’operazione di inventariazione-catalogazione in funzione delle diverse utenze, con dispendio inutile di risorse, prolungamento dei tempi esecutivi, minore qualità dei risultati, difficile circolazione e interazione delle informazioni.

L’inventario-catalogo può essere realizzato tanto su supporto cartaceo, quanto su supporto informatico, a seconda delle diverse esigenze e situazioni. Dal momento che l’informatizzazione sta assumendo grande rilievo, il supporto informatico è abitualmente da preferire, anche se il supporto cartaceo non è da sottovalutare. L’evolversi dell’inventariazione-catalogazione su supporto informatico non deve però dare adito a eliminare o distruggere qualsiasi documento cartaceo, salvo quanto contemplato esplicitamente dal Codice di Diritto Canonico.(29)

2.4. Gli obiettivi

Gli obiettivi dell’inventariazione-catalogazione sono molteplici e di primaria importanza. Fondamentalmente essi sono riducibili a tre: la conoscenza, la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio storico-artistico secondo criteri culturali ed ecclesiali.

2.4.1. La conoscenza

L’obiettivo fondamentale dell’inventariazione-catalogazione è la conoscenza del patrimonio storico-artistico nei singoli oggetti, nella sua unitaria globalità, nella complessità dei rapporti esistenti fra i vari oggetti che lo compongono, nella sua inscindibile relazione alla storia e al territorio. Solo all’interno di questi sistemi i beni che vi insistono acquistano significato e valore. Essendo finalizzata a un’adeguata conoscenza del manufatto in quanto bene culturale, l’inventariazione-catalogazione presenta un processo di progressiva conoscenza contestuale dell’oggetto. La fase finale comporta l’approfondimento investigativo tanto del bene e del suo contesto in una logica interdisciplinare, quanto delle sue condizioni fisiche, giuridico-amministrative e attinenti alla sicurezza. Questo al fine di registrare i vari mutamenti a cui è soggetto ogni bene culturale e di fungere da supporto documentario a qualsiasi richiesta di intervento.

L’attività che ne consegue sviluppa una serie articolata di conoscenze, che deve essere organizzata secondo una precisa metodologia. Tale sistema permette la realizzazione di obiettivi complessi e interrelati di fondamentale importanza per ogni forma di approccio al patrimonio storico-artistico. All’inventariazione-catalogazione va pertanto riconosciuta anche una funzione propulsiva, al fine di una maggiore conoscenza del territorio e dei beni culturali in esso presenti. Questo è possibile attraverso l’individuazione delle caratteristiche geomorfologiche, economico-strutturali e storico-culturali che ne determinano la complessa identità.

In proposito alcune Nazioni hanno maturato, ormai da lungo tempo, una radicata consapevolezza e adeguati strumenti giuridici intesi a soddisfare le summenzionate esigenze, mentre altre solo in tempi recenti si sono avviate sul medesimo cammino.

2.4.2. La salvaguardia

La salvaguardia si caratterizza nella tutela giuridica e nella conservazione materiale. Essa non si concretizza solo in adempimenti giuridici e amministrativi orientati alla mera registrazione dei manufatti, attraverso la pur preziosa redazione di inventari. La sua efficacia si misura soprattutto nella predisposizione di quanto è utile alla redazione del catalogo quale strumento di conoscenza, ordinato alla programmazione e pianificazione delle molteplici forme di intervento. In tal senso si possono favorire il restauro, la conservazione, la tutela, la prevenzione (contro furti e danneggiamenti), oltreché la gestione globale dei beni presenti in un determinato territorio.

Nel contesto ecclesiastico ogni intervento di salvaguardia non può prescindere dal valore cultuale, catechetico, caritativo, culturale del patrimonio storico-artistico. Il primato, nella mens della Chiesa, va infatti al contenuto, dal momento che i beni sono in funzione della missione pastorale e come tali devono apparire nei riscontri inventariali e catalografici. Svolgendo una costante azione di salvaguardia, la Chiesa crea e consolida di generazione in generazione il legame tra i fedeli e le espressioni storico-artistiche ecclesiali. Queste configurano l’appartenenza di una comunità al proprio territorio, al vissuto ecclesiale, alle tradizioni religiose. La consapevolezza di questo legame agisce come efficace antidoto al deterioramento e al danneggiamento dei monumenti e degli oggetti ivi contenuti.

Da un punto di vista ecclesiale la salvaguardia, in ordine alla stesura dell’inventario-catalogo, deve evidenziare l’uso del bene, al fine di difenderne la connaturalità religiosa. Da un punto di vista tecnico essa comporta la conoscenza preventiva delle peculiarità del bene e del contesto storico per predisporre i successivi controlli e per stimolare gli interventi. Da un punto di vista amministrativo essa esige la chiarificazione della proprietà, l’aggiornamento catastale, la regolamentazione dell’usufrutto, l’impostazione della gestione. Da un punto di vista della sicurezza essa prevede una schedatura congrua alle esigenze dell’ente responsabile e degli organi di polizia eventualmente preposti al settore.

2.4.3. La valorizzazione

La valorizzazione risulta emergente in ogni fase dell’attività di inventariazione-catalogazione e ne determina finalità, modi e contenuti. L’attività di valorizzazione è molto articolata e complessa. Attraverso l’inventario-catalogo e con quanto può essere divulgato desumendo da esso, si può creare una coscienza di rispetto e di fruizione dei beni nella loro identità ecclesiale, culturale, sociale, storica, artistica. L’inventario-catalogo deve cioè mettere in rapporto le persone con i beni culturali della Chiesa presenti nelle grandi aree urbane, in quelle rurali e nei complessi museali. Tale ruolo è di particolare importanza, perché il significato e il valore dei beni possa essere approfondito attraverso un’analisi sistematica in grado di reintegrare e riallacciare il rapporto vitale tra la singola opera d’arte e il contesto di appartenenza.

In ambito ecclesiale la valorizzazione può tradursi nel far emergere le forme legate alle singole identità culturali e religiose, consolidatesi all’interno delle varie Chiese particolari. La maggiore conoscenza e l’individuazione delle realtà che l’azione delle varie comunità ecclesiali ha prodotto (luoghi di culto, monasteri e conventi; vie di pellegrinaggio e punti di accoglienza; opere di carità espresse dalle confraternite e da altre associazioni; istituzioni culturali, biblioteche, archivi e musei; trasformazioni del territorio per opera delle istituzioni religiose; e altro) consentono di mettere in luce l’opera di inculturazione e di assimilazione avviata fin dall’origine del cristianesimo.(30)

Sia l’individuazione del bene nella complessità contestuale sia l’accesso ai relativi dati informativi può essere favorita dalle tecniche informatiche. Attraverso di esse diventa possibile comunicare con un sempre maggiore numero di persone, informandole sui beni, ma anche su quanto viene distrutto da calamità naturali e da eventi bellici. È questo un modo per sensibilizzare le coscienze, promuovere strategie di intervento e, pertanto, valorizzare i beni culturali.

Non si deve inoltre dimenticare che le molteplici iniziative di valorizzazione costituiscono un’occasione di occupazione e aprono a forme organizzate di volontariato professionale, in cui devono sentirsi coinvolte anche le istituzioni ecclesiastiche.

 

3. L’inventariazione:

un primo livello di conoscenza 

L’inventariazione costituisce il primo passo nell’attività di conoscenza, di salvaguardia e di valorizzazione del patrimonio storico-artistico di una comunità ecclesiale. Infatti tale operazione, da una parte ostacola le dispersioni di tale patrimonio, poiché fornisce un supporto materiale attraverso cui ne viene conservata la memoria e, dall’altra, registra gli ulteriori sviluppi, le trasformazioni, le sparizioni e le acquisizioni. L’inventariazione favorisce pertanto l’incontro della comunità ecclesiale con il proprio patrimonio culturale, diventando uno stimolo per conoscerlo, conservarlo, fruirlo e arricchirlo. Tutela, conservazione, manutenzione, valorizzazione, accrescimento del patrimonio storico-artistico sono dunque aspetti intimamente connessi con l’inventariazione in quanto la presuppongono.

3.1. Il valore del patrimonio storico-artistico

Per adempiere alla propria missione pastorale, la Chiesa è impegnata a mantenere il patrimonio storico-artistico nella sua funzione originaria, indissolubilmente connessa con la proclamazione della fede e con il servizio della promozione integrale dell’uomo. Viene così sottolineata la dimensione specifica del bene culturale di carattere religioso, anteriore agli stessi usi ai quali sarà ordinato. Il tesoro d’arte ereditato dalla Chiesa va conservato perché esso “è come la veste esteriore e l’orma materiale della vita soprannaturale della Chiesa”.(31)

In forza del suo valore pastorale, il patrimonio storico-artistico è ordinato all’animazione del popolo di Dio. Esso giova all’educazione alla fede e alla crescita del senso di appartenenza dei fedeli alla propria comunità. In molti casi esso è espressione dei desideri, dell’ingegno, dei sacrifici e soprattutto della pietà di persone di ogni condizione sociale, che si riconoscono nella fede. Il tesoro artistico di ispirazione cristiana dà dignità al territorio e costituisce un’eredità spirituale per le future generazioni. Esso è riconosciuto come mezzo primario d’inculturazione della fede nel mondo contemporaneo, poiché la via della bellezza apre alle dimensioni profonde dello spirito e la via dell’arte di ispirazione cristiana istruisce tanto i credenti quanto i non credenti. Soprattutto nell’ambito della celebrazione dei divini misteri, i beni culturali contribuiscono ad aprire le menti degli uomini a Dio e a far risplendere per dignità, decoro e bellezza, i segni e i simboli delle realtà spirituali.(32)

Per il suo significato sociale, il patrimonio storico-artistico rappresenta un peculiare strumento di aggregazione. Esso è fonte di civiltà, poiché attiva processi di trasformazione dell’ambiente a misura d’uomo, sostiene nelle singole generazioni la memoria del proprio passato, offre la possibilità di trasmettere le proprie opere ai posteri. In esso la società contemporanea riconosce l’immagine concreta e inequivocabile della propria identità storica e sociale. Il dissolversi dell’unità culturale in tante società del mondo moderno, a causa della frammentazione ideologica ed etnica, può essere efficacemente bilanciata con la riscoperta del proprio passato, delle radici comuni, della vicenda storica, della memoria culturale di cui il patrimonio storico-artistico è espressione. L’inventariazione favorisce, quindi, la percezione del significato sociale del bene culturale, incentivandone l’urgenza di una tutela e di una fruizione “globale”.

3.2. La contestualizzazione del patrimonio storico-artistico

Dal momento che i beni culturali della Chiesa hanno importanza soprattutto nel loro complesso e non solo nella loro individualità e materialità, l’attenzione al contesto ecclesiale è di fondamentale importanza. I beni culturali della Chiesa, in tutte le loro espressioni, sono testimonianze specifiche della “Tradizione”, ovvero dell’azione con cui la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, porta il Vangelo alle “genti”. Essi si qualificano come “beni” in quanto ordinati alla promozione umana e all’evangelizzazione.

Attraverso tali beni si dispiega l’azione pastorale della Chiesa dando continuità e prospettiva alla vita ecclesiale. Essi sono culturalmente e spiritualmente significativi nell’ambito della comunità cristiana che li ha prodotti e nell’offerta alla fruizione di coloro che ne vengono in contatto. Di conseguenza non si possono considerare isolatamente dal complesso cui appartengono e devono subordinarsi alla missione della Chiesa. Per questo l’opera di inventariazione deve identificarne il contesto in modo da sottolineare la natura relazionale e l’afflato spirituale di cui sono segni sensibili.

L’importanza del contesto per i beni culturali ecclesiastici comporta quindi la necessità di conservarli quanto più possibile nei luoghi e nelle sedi originarie. Tuttavia l’esigenza primaria della salvaguardia e i motivi di sicurezza possono consentire lo spostamento delle opere dal loro contesto originario. In tale prospettiva, il progressivo diffondersi dell’istituzione di musei ecclesiastici a carattere territoriale, apprezzabile da molti punti di vista, va valutato con attenzione, tenendo presente l’esigenza di mantenere, per quanto possibile, l’originario legame tra il bene, il luogo di appartenenza e la comunità dei fedeli. È questo, infatti, un rapporto vitale difficilmente sostituibile dalla musealizzazione delle testimonianze cristiane presenti in un determinato territorio. A questo scopo il “museo diffuso”,(33) la conservazione del materiale in disuso nell’ambito originario, i centri regionali di elaborazione dati, costituiscono soluzioni che contemperano le molteplici e talvolta discrepanti esigenze contestuali e conservative.

La necessaria ricognizione contestuale facilita la ricostruzione dell’ambiente storico e sociale, la ricomposizione delle stratificazioni culturali e religiose, la conoscenza dei materiali e delle tecniche di esecuzione. Questo processo ricognitivo fa convergere tutto quanto può concorrere a una comprensione accurata e dinamica delle opere storiche e artistiche. A questo proposito, il diffondersi dei sistemi di inventariazione informatica, se da una parte facilitano agli utenti la conoscenza del bene, dall’altra potrebbero diminuire la peculiarità della fruizione in loco. L’esigenza di consentire l’accesso ai beni come espressione della cultura del territorio può essere soddisfatta con la valorizzazione del manufatto sul posto, l’organizzazione di mostre, l’elaborazione di visualizzazioni informatiche.

3.3. La ricognizione degli oggetti

Le precedenti considerazioni fanno emergere l’importanza di un’inventariazione che sia strumento di salvaguardia dell’opera nella sua individualità, nel suo ambiente ecclesiale, nel suo contesto territoriale e nella sua vitalità spirituale. L’opera di ricognizione attraverso l’inventariazione richiede dunque un’accurata pianificazione degli interventi, che auspicabilmente comporta l’intesa tra le varie istituzioni ecclesiastiche e civili interessate, dal momento che in molti casi l’ingente patrimonio storico-artistico della Chiesa è diventato anche prezioso patrimonio delle singole nazioni. Tale concertazione deve essere ordinata all’uso razionale delle risorse, all’integrazione dei sistemi di inventariazione, alla protezione giuridica dei dati e alla regolamentazione del loro accesso.

Gli orientamenti comuni che ne derivano possono migliorare la gestione del patrimonio storico-artistico e guidare in modo adeguato gli interventi degli organismi ecclesiastici e civili preposti istituzionalmente a questi compiti. Nell’elaborazione di tali orientamenti si devono tenere presenti le esigenze sociali e pastorali. Rispettando infatti le finalità culturale e religiosa, si possono programmare molteplici attività inerenti alla salvaguardia e al pieno godimento dei beni di carattere storico-artistico, nel rispetto delle diverse funzioni che li contraddistinguono.

In situazioni particolari, laddove gli organismi statali non siano in grado di avviare programmi intesi a favorire la conoscenza del patrimonio culturale, la Chiesa, secondo la sua tradizione, può farsene doverosamente promotrice. Essa può quindi diventare soggetto di riferimento per dar vita a iniziative che, a partire dall’inventariazione, siano in grado di documentare le connessioni tra cultura materiale e religiosa, quale espressione viva della spiritualità che caratterizza i diversi popoli.

Qualora si giunga poi alla collaborazione tra autorità ecclesiastiche e civili nella costituzione di inventari territoriali, verrebbe facilitata la circolazione integrata delle informazioni relative al patrimonio storico-artistico della Chiesa. Le informazioni raccolte in maniera univoca e organizzate in archivi, soprattutto se telematizzate, potranno infatti costituire una “banca-dati” utile per diverse finalità e potranno essere consultati in un unico centro o in più sedi debitamente collegate e gestite.

La diffusione delle informazioni a livello mondiale rappresenta una sfida per il nostro tempo. Nell’attuale contesto di globalizzazione, la tecnologia è in grado di fornire gli strumenti per affrontare con successo tale sfida. È però importante giungere alla definizione di protocolli di intesa che impegnino gli organismi ecclesiastici e civili (nei vari livelli regionali, nazionali, internazionali) alla collaborazione, alla programmazione, alla realizzazione di progetti congiunti, nel pieno riconoscimento delle distinte finalità e competenze.(34) La globalizzazione non può ridursi a un fatto economico che rischi di emarginare ulteriormente i più poveri. Essa deve far nascere una nuova civiltà, dove più facilmente sia possibile accedere in modo controllato alle informazioni per usufruire della memoria storica dell’intera umanità.

3.4. Il rischio di dispersione

Come si è documentato nel punto 1., nel corso della sua storia bimillenaria la Chiesa si è preoccupata non solamente di promuovere la creazione di beni culturali ordinati alla sua missione, ma anche di provvedere alla loro salvaguardia, emanando anzitutto disposizioni che prevenissero comportamenti illeciti e indebite alienazioni. In tal senso gli amministratori pro tempore di tali beni, essendo i custodi e non i proprietari di un patrimonio, che è destinato alla comunità dei fedeli, da tempo immemorabile sono tenuti a curare la stesura e ad aggiornare gli inventari conformemente alle norme universali della Chiesa e alle disposizioni delle Chiese particolari o delle singole istituzioni ecclesiastiche.

Tuttavia il rischio della dispersione continua a incombere sul patrimonio dei beni culturali della Chiesa, sia nei paesi di antica, sia in quelli di recente evangelizzazione. Nei primi, a causa del ridimensionamento di varie istituzioni e dei frequenti mutamenti di destinazione d’uso, avvengono alienazioni e trasferimenti di opere di interesse storico e artistico. Negli altri non sempre esistono le condizioni per un’efficace attività di salvaguardia, data la precarietà di tante situazioni e l’abituale povertà delle risorse. Per arginare il rischio di dispersione, l’inventariazione “accurata e dettagliata” è di fondamentale importanza, poiché, mentre consente un’analitica ricognizione del patrimonio storico-artistico, promuove l’acquisizione di una “cultura della memoria”.

Particolarmente nella nostra epoca il patrimonio culturale ecclesiastico sta correndo vari pericoli: la disgregazione delle tradizionali comunità urbane e rurali, il dissesto ambientale e l’inquinamento atmosferico, le alienazioni inconsulte e talora dolose, la pressione del mercato antiquario e i furti sistematici, i conflitti bellici e le ricorrenti espropriazioni, la maggiore facilità dei trasferimenti conseguente all’apertura delle frontiere tra molti Paesi e la scarsità di mezzi e di persone preposte alla tutela, la mancanza di integrazione dei sistemi giuridici.

In questa situazione l’attività inventariale è un valido deterrente, un segno di civiltà e uno strumento di tutela. Essa mette in guardia dai comportamenti illeciti mediante un documento ufficiale che può essere fatto valere in sede privata e pubblica da parte di istituzioni ecclesiastiche e civili, tanto locali quanto nazionali e internazionali. L’inventario, e soprattutto il catalogo, sono infatti uno strumento di fondamentale importanza per il recupero, da parte delle forze di polizia, delle opere rubate, disperse, o trasferite illecitamente. Infatti senza un supporto documentario, accompagnato dalla fotografia, è difficile, se non impossibile, dimostrare la provenienza delle opere in questione, al fine di restituirle ai legittimi proprietari.

In ambito ecclesiastico l’inventariazione è compito delle singole Chiese particolari, si avvale degli eventuali orientamenti delle Conferenze episcopali e fa capo alle direttive della Santa Sede.

L’inventariazione sollecita inoltre le collettività al rispetto dei beni comuni (sia del passato sia del presente), educando al senso di appartenenza. In tale contesto anche i mezzi di informazione di massa e le istituzioni educative possono promuovere un nuovo approccio ai beni culturali tanto dei responsabili, quanto della collettività.

3.5. L’organizzazione dell’inventariazione

L’inventariazione può essere organizzata su supporti sia cartacei sia informatici, che non si escludono a vicenda. Dal momento che l’informatizzazione sta modellando gli attuali sistemi culturali, è bene utilizzare, laddove è possibile, anche tali moderne tecnologie, al fine di attivare una schedatura più duttile, maggiormente usufruibile, facilmente integrabile.

Nell’organizzazione dell’inventariazione è di primaria importanza la regolamentazione dell’accesso alle informazioni, poiché non tutti i dati devono essere messi a disposizione di chiunque per ovvi motivi di sicurezza del patrimonio storico-artistico. Occorre per questo distinguere l’inventario completo (cartaceo o informatico) dall’eventuale inventario immesso in reti informatiche. Inoltre anche i dati in rete devono essere consultabili in modo diversificato e graduale, usufruendo di distinti codici di accesso.

Nell’impostazione delle schede inventariali è opportuno servirsi di metodologie in uso a livello nazionale e internazionale. Nel lavoro si può procedere da un’organizzazione elementare, che permetta di compilare una scheda essenziale, ad una più elaborata, che porti a raccogliere e articolare più dati. È quindi necessario che l’impostazione del lavoro inventariale permetta ulteriori sviluppi e integrazioni.

L’inventario va conservato in luogo idoneo e sicuro. Si può pensare alla realizzazione di unità centrali e periferiche, in misura delle diverse esigenze generali e locali.

Per l’elaborazione delle schede occorre avvalersi, per quanto possibile, di personale adeguatamente preparato. I responsabili devono saper comprendere le finalità dell’inventario, le procedure organizzative, la regolamentazione dell’accesso. È necessario che i singoli operatori siano in grado di elaborare le schede (cartacee o computerizzate), raccogliendo i dati e inserendoli in esse. Pertanto nell’organizzazione dell’inventario di una Chiesa particolare ci si può avvalere di consulenze esterne professionali, al fine di ottenere le direttive essenziali per chi deve poi svolgere concretamente il lavoro. 

 

4. La catalogazione:

un livello più approfondito di conoscenza 

In continuità e come sviluppo dell’inventariazione vi è la catalogazione che può essere realizzata anch’essa su supporto cartaceo, informatico o misto. Al riguardo, nell’impostare le schede, si devono stabilire criteri e terminologie uniformi e rigorose, al fine di permettere un ordinamento organico.

Di primaria importanza è la configurazione della scheda catalografica. Questa dev’essere concepita quale struttura flessibile, idonea a raccogliere dati secondo diversi livelli di competenza, consentendo, dopo il primo rilevamento del bene mediante l’inventario, il suo successivo approfondimento. Alla scheda iniziale si devono perciò poter allegare altre informazioni. In particolare è indispensabile un repertorio fotografico ed è auspicabile un riscontro cartografico contestuale.

4.1. Il supporto della catalogazione

La catalogazione cartacea, ereditata dal passato, non ha perso la sua importanza e in alcuni casi continua a essere l’unica forma possibile di raccolta dei dati, specie in situazioni in cui le risorse economiche sono limitate. Tuttavia la catalogazione realizzata esclusivamente attraverso l’uso di schede cartacee presenta vari limiti, sia per l’eccessiva ampiezza di spazi necessari a contenere le schede, sia per la difficile diffusione delle informazioni sui beni catalogati. È pertanto auspicabile promuovere l’uso del supporto informatico accanto al tradizionale sistema cartaceo. L’informatizzazione permette, infatti, consultazioni rapide, rendendo più efficaci gli interventi di salvaguardia e di recupero dei beni. In particolare questo impegno è significativo per il patrimonio storico-artistico ecclesiastico, sia per quello in uso, perché più esposto a furti o danneggiamenti, sia per quello in disuso, perché spesso depositato in luoghi di difficile accesso.

In riferimento ai beni culturali della Chiesa, l’eventuale catalogazione informatizzata deve poter ottemperare ad alcuni criteri: adattarsi ai diversi contesti locali e, nel contempo, integrarsi con programmi di più ampio respiro e tra loro interconnessi; favorire la consultazione dei dati di interesse ecclesiale, anche superando i vincoli imposti da pertinenze non ecclesiastiche; facilitare la ricostruzione del contesto originario e la riqualificazione religiosa dei beni dispersi; finalizzare la raccolta dei dati alla valorizzazione del bene nel suo contenuto religioso; promuovere la fruizione in loco delle opere, in modo da evitare la tentazione di approcci puramente virtuali.

Dal punto di vista tecnico l’informatizzazione va impostata tenendo conto delle dimensioni e della tipologia di un determinato sistema catalogatorio. Un catalogo di piccole dimensioni richiede investimenti limitati per l’acquisto di apparecchiature e per il personale da coinvolgere; inoltre l’attività di formazione di quest’ultimo è meno complessa. Un catalogo di grandi dimensioni e di importanza rilevante, al contrario, necessita di investimenti più onerosi sia per le apparecchiature da utilizzare, sia per la preparazione del personale coinvolto.

Le caratteristiche di ogni catalogo condizionano la scelta appropriata dell’hardware e software, il grado di preparazione del personale, il numero degli esperti da coinvolgere e la metodologia da adottare. Inoltre, dal momento che gli attuali sistemi informatici sono collegati in rete, è auspicabile una pianificazione a largo raggio attraverso il concorso di istituzioni ecclesiastiche e civili, al fine di ottenere una comune e più efficiente organizzazione, interazione e utilizzazione del materiale raccolto.

Per il reperimento delle risorse finanziarie sarà bene ricordare che in molti casi le provvidenze pubbliche possono assumere la forma di contributi a fondo perduto per progetti che hanno rilevante valenza culturale, ambientale, turistica, e altro. Alcuni organismi nazionali e internazionali, inoltre, nell’ambito delle loro politiche culturali, stanno elaborando programmi di catalogazione informatica di materiali localizzati anche in aree molto lontane tra loro. È perciò opportuno che le Chiese particolari e le Conferenze episcopali promuovano accordi con tali istituzioni per accedere a progetti tesi a favorire l’integrazione dei dati e a concedere aiuti economici. Dopo attenta valutazione sulla convenienza e sull’opportunità, si possono avanzare richieste di finanziamento anche a enti privati.

In ogni tipo di accordo occorre sempre evitare ogni indebita commercializzazione, discernere l’impostazione delle schede, legalizzare la proprietà dei dati raccolti, regolamentare l’uso delle informazioni.

Per facilitare e ampliare la possibilità di consultazione del catalogo si possono anche attivare collegamenti via internet. In tal caso occorre un’opera di attento discernimento e controllo delle informazioni da immettere oltreché di impostazione delle modalità di accesso alle medesime. Il sistema internet non costituisce un investimento molto oneroso e si apre a nuove prospettive di finanziamento. La crescente affidabilità e diffusione dello strumento lo rende accessibile a tutti coloro che hanno una conoscenza di base dell’informatica. Grazie a internet la fruizione di un catalogo può essere aperta a una più larga cerchia di studiosi e cultori con l’abbattimento di barriere ideologiche e religiose. Per una diffusione riservata delle informazioni è tuttavia opportuno utilizzare sistemi di rete intranet. Poiché l’universo telematico è in continua e rapida crescita, le competenti autorità ecclesiastiche, nella misura del possibile, dovrebbero studiare le modalità per eventuali investimenti nel settore. I processi informatici, infatti, costituiscono le nuove frontiere della comunicazione e pertanto sono da considerare un veicolo particolarmente adatto per conservare e trasmettere alle future generazioni quanto il cristianesimo ha creato nel campo dei beni culturali.

4.2. I criteri della catalogazione

Nel processo di catalogazione è di grande importanza la fase analitica, che si conclude con la compilazione della scheda catalografica propriamente detta. Essa costituisce il momento centrale e qualificante dell’intera operazione. Una volta compilata, la scheda costituisce il “referto sintetico” di un’indagine critica sul bene culturale nella sua identità e dev’essere concepita come modulo destinato a raccogliere in organica sintesi tutte le informazioni di carattere morfologico, storico-critico, tecnico, amministrativo e giuridico, relative alle cose catalogate. 

Nella scelta della scheda è bene avvalersi dei sistemi già in uso a livello nazionale e internazionale, sempre allo scopo di favorire la circolazione e l’integrazione dei dati. Nelle nazioni in via di sviluppo, dove non sono ancora stati elaborati metodi catalografici efficienti, ci si può orientare verso i sistemi più comuni a livello internazionale, scegliendo quelli già collaudati e maggiormente compatibili con altri sistemi. Grazie infatti all’operato di organismi internazionali si stanno concertando criteri comuni e sistemi compatibili di catalogazione.(35)

Di conseguenza, per la definizione del modello di scheda di rilevamento relativo alle diverse tipologie di beni, si sono sviluppate metodologie che permettono l’organizzazione uniforme e sistematica delle specifiche informazioni, tenendo presente l’esigenza di ricostituire il legame delle opere tra loro e con il territorio di appartenenza. I dati informativi contenuti nella scheda vanno necessariamente scomposti in unità elementari (campi), al fine di consentire la schedatura analitica e l’eventuale trattamento informatico.

Nell’impostazione della scheda è pertanto importante conformare la distinzione dei campi e l’uso della terminologia. I principali campi possono essere così enucleati: oggetto, materiale, misure, località, proprietà, stato di conservazione. La scheda analitico-sintetica che ne deriva deve progressivamente rispondere ai seguenti requisiti, al fine di identificare chiaramente l’oggetto e il relativo contesto:

a) assegnare un “codice” che riconduca in maniera univoca al bene culturale in oggetto (sigla numerica o alfanumerica);

b) adottare una terminologia comune e stabilita, avvalendosi dei glossari;(36)

c) identificare il bene culturale (oggetto, materiale, misure, stato di conservazione);

d) identificare la condizione giuridica e topografica del bene culturale (diocesi, parrocchia, provincia, comune, ente usufruttuario o proprietario, collocazione, provenienza, notifiche);

e) dare una descrizione visiva del bene culturale (fotografia, disegno, rilievo, planimetria);

f) creare la possibilità di ulteriori integrazioni e aggiunte (epoca, autore, descrizione storico-artistica e iconografica, valutazione critica, descrizioni particolareggiate, trascrizioni epigrafiche, bibliografia specifica, “cartella clinica” dei restauri, registro degli interventi manutentivi, notizie su mostre e convegni, dati sul catalogatore);

g) impostare la scheda in modo da favorire la lettura e la gestione dei dati da parte di coloro che devono utilizzarla;

h) collocare le schede in luogo sicuro e in un ambiente idoneo alla loro conservazione e consultazione;

i) fornire il catalogo di uno schedario analitico (cartaceo o informatico) per facilitare la ricerca;

j) tutelare giuridicamente l’utilizzazione e la proprietà delle informazioni raccolte.

4.3. La documentazione attraverso la cartografia

La cartografia storica riflette attraverso i tempi l’immagine dell’ambiente creato dalle diverse comunità. Essa costituisce una documentazione essenziale per rintracciare e fissare le fasi del continuo mutare del territorio in relazione alle diverse esigenze, incluse quelle spirituali, che hanno indotto l’azione dell’uomo a modificare il contesto urbano e ambientale.

Specie nei centri storici di città e nei complessi ecclesiastici di antica fondazione, se ancora non esiste, occorre avviare una ricerca che metta in evidenza le varie fasi di sviluppo del territorio. A integrazione della scheda catalografica, perciò, vi può essere il riscontro cartografico che documenti la situazione dei beni ecclesiastici nelle sue fasi storiche.

L’esigenza di una lettura approfondita dell’evoluzione storica delle realtà urbane e rurali, laddove i beni di carattere religioso hanno un ruolo emergente, richiede di impegnarsi nella conoscenza, conservazione e valorizzazione, anche mediante pubblicazioni, della cartografia storica, abitualmente custodita negli archivi ecclesiastici (curie, capitoli, monasteri, conventi, confraternite, e altrove).

Accanto alla cartografia storica si pone quella contemporanea, significativa per rilevare il bene nella situazione odierna. La piena contestualizzazione dei beni e la comparazione dei dati rappresentano quindi un requisito fondamentale per conoscere sia la prassi religiosa, sia l’incidenza socio-culturale del patrimonio storico-artistico della Chiesa, sia per assicurare la pertinenza giuridica.

Anche per questo complesso di informazioni è importante individuare le metodologie e gli standards che garantiscono la corretta gestione e acquisizione dei dati. È opportuno avvalersi dei sistemi cartografici esistenti a livello nazionale e internazionale.

4.4. La documentazione fotografica

Parte integrante della catalogazione è costituita dalla documentazione fotografica e, pertanto, in ogni scheda deve figurare almeno una fotografia del bene recensito. Inoltre è auspicabile un archivio fotografico dove si documenti l’opera nei particolari: condizione fisica, eventuali restauri, eventi particolari in cui è coinvolto il bene in oggetto. Curare in maniera attenta e completa la documentazione fotografica, infatti, è premessa indispensabile per l’identificazione del bene, l’esame storico-critico, il recupero in caso di furto o di illecita alienazione.

Anche il recupero e la conservazione di materiale fotografico prodotto nel corso del nostro secolo, rappresentano un notevole impegno, la cui importanza è estremamente significativa, poiché tale repertorio documentario è la testimonianza, talvolta unica, delle trasformazioni avvenute. Occorre, perciò, particolare attenzione nel custodire adeguatamente, e nel riportare eventualmente su supporti moderni, la documentazione fotografica acquisita in epoche precedenti.

La multimedialità offre oggi varie potenzialità anche nel campo fotografico. Gli attuali sistemi possono essere utilizzati anche a fini didattici e divulgativi, allo scopo di favorire i processi di informazione e formazione dell’opinione pubblica. Per questo non va sottovalutato l’apporto di tali risorse tecnologiche nel corredare il catalogo di documentazioni in video.

Indubbiamente non in tutte le situazioni, in cui si trova a operare la Chiesa, sono attuabili simili provvedimenti. Tuttavia, la conoscenza delle possibilità e dei limiti delle nuove tecnologie permette di evitare errori, omissioni e inutili soluzioni intermedie.

4.5. L’impostazione del catalogo

Le schede catalografiche vanno ordinate in un catalogo, che è il collettore del processo di raccolta e di sistemazione delle informazioni. Ogni catalogo deve elaborare un sistema di funzionamento atto a stabilire la metodologia di collocazione, integrazione, gestione e consultazione delle schede.

Le archiviazioni su supporti cartacei hanno avuto tradizionalmente un ordinamento topografico atto a garantire la reperibilità del documento in un determinato ambito territoriale, con immediato riscontro delle eventuali lacune. Al sistema topografico si è talvolta aggiunta la schedatura per soggetti e per persone al fine di fornire altre chiavi di ricerca. In tal caso, oltre le schede catalografiche e gli eventuali fascicoli integrativi, si è provveduto a un sistema di schede di rimando. L’introduzione dell’informatica sta ora determinando il superamento di questo sistema. Le informazioni raccolte, infatti, risultano reperibili e consultabili attraverso molteplici chiavi di accesso, determinate preventivamente e organizzate in sistemi di ricerca.

Le attuali esigenze di ordinamento e di consultazione dei cataloghi, soprattutto di quelli centrali che raccolgono una grande quantità di materiali documentari, conducono a realizzare forme di gestione automatizzata che si affiancano alle metodologie tradizionali. Tale gestione informatica del catalogo offre molteplici vantaggi per la completezza dei dati, il risparmio delle risorse, l’agevole consultazione, la possibilità di ottenere statistiche tanto sulla gestione delle informazioni quanto sugli oggetti recensiti, facilitando inoltre le attività di controllo e di programmazione a livello sia centrale sia periferico.

Nell’ordinamento di un catalogo non sempre però si possono raggiungere soluzioni informatiche di alto livello professionale, anche se queste stimolano operazioni catalogatorie di più ampia prospettiva. La realizzazione di un catalogo informatico collegabile con altri comporta poi l’adozione di programmi tra loro compatibili, così che occorre arrivare a un accordo interistituzionale. E’ necessario, tuttavia, ribadire che il catalogo informatico non annulla la presenza e la validità di cataloghi cartacei preesistenti o concorrenti.

4.6. La gestione del catalogo

Data la complessità degli elementi in giuoco, particolare cura deve essere riservata alla gestione dell’impresa catalogatoria in ogni singola Chiesa particolare. Questo impegno va assolto per non sprecare risorse economiche e di personale. Conseguentemente esso è ordinato a discernere le metodologie idonee a breve, medio e lungo termine.

La gestione deve perciò essere indirizzata e diretta da strumenti di analisi preventiva, mirati all’individuazione delle emergenze e delle priorità operative. In tal senso è possibile ottemperare alle diverse finalità che si legano a problematiche in ordine alla sicurezza materiale, agli interventi manutentivi, all’utilizzazione pastorale. Qualunque sia la struttura gestionale adottata occorre ordinarla alla tutela del bene nel suo contesto e nel suo uso ecclesiale.

La gestione deve impostare il catalogo nel suo ordinamento generale e nella sua utilizzazione. Specialmente nel contesto ecclesiale il catalogo non deve essere considerato come un “archivio” chiuso e definitivo, bensì come una “anagrafe” aperta a integrazioni, arricchimenti, aggiornamenti, correzioni e rettifiche. Solo in tal modo il catalogo dei beni culturali può mantenere e svolgere la sua funzione di strumento attivo di conoscenza, gestione, tutela e valorizzazione del patrimonio storico-artistico. 

 

5. L’inventariazione-catalogazione:

istituzioni preposte e agenti 

L’impostazione dell’inventariazione e della catalogazione esige un’attenta considerazione sull’organizzazione delle istituzioni preposte alla preparazione degli agenti del settore.

In questo quadro assume particolare significato il rapporto interistituzionale, la sensibilizzazione dei responsabili ecclesiastici, l’educazione della comunità cristiana.

5.1. Le istituzioni

La cura della catalogazione rientra negli impegni di ogni Chiesa particolare che, a tale scopo, è chiamata ad attivare organismi e promuovere collaborazioni al fine di impostare un congruo sistema operativo. In particolare le competenti autorità ecclesiastiche, nel rispetto delle diverse situazioni, sono invitate, dove è possibile e opportuno, a promuovere e concordare intese con Enti pubblici e privati per pianificare la gestione, configurare le metodologie, formare i catalogatori, reperire le risorse. Anche se le singole Chiese particolari possono redigere autonomamente un loro catalogo dei beni culturali di pertinenza ecclesiastica, è opportuno adoperarsi per il coinvolgimento attivo di tutte le forze (Chiesa, Stato, privati) interessate a un’esatta conoscenza del patrimonio storico-artistico-culturale di un determinato territorio. In tale contesto la pianificazione dell’inventario-catalogo può raggiungere risultati ottimali.

L’inventariazione-catalogazione del patrimonio storico-artistico-culturale avvia processi di fruttuosa collaborazione interistituzionale nel comune impegno degli organismi ecclesiastici e civili. La reciproca disponibilità di dati e di immagini è la premessa al buon esito dell’iniziativa. La possibilità di integrarli in un unico sistema presuppone l’adesione a direttive di merito e di metodo stabilite dagli organismi istituzionalmente deputati a realizzare questi obiettivi nei vari contesti ecclesiastici, nazionali, internazionali. 

Nel caso in cui la collaborazione tra Enti ecclesiastici e civili fosse impossibile, la Chiesa, come è già stato affermato, è comunque chiamata a procedere all’inventariazione e auspicabilmente alla catalogazione dei propri beni, secondo la sua specifica legislazione.

5.2. Gli agenti

L’inventariazione-catalogazione deve essere realizzata da persone (sia chierici sia laici) adeguatamente preparate. Tale preparazione è diretta alla compilazione delle schede inventariali-catalografiche e alla gestione dell’inventario-catalogo.

Particolare importanza assume il ruolo dello schedatore. Molteplici sono le discipline connesse con la ricerca delle varie classi di beni culturali di valenza religiosa (reperti archeologici, complessi architettonici, opere d’arte, suppellettili sacre, arredi liturgici, vesti sacre, e altro).

Per maturare la propria professionalità lo schedatore deve anzitutto acquisire la tecnologia per l’organizzazione redazionale delle schede e dev’essere un esperto in “cultura materiale”, in modo da saper individuare nei manufatti più diversi l’impronta della cultura che li ha prodotti. È inoltre auspicabile che lo schedatore abbia una sufficiente conoscenza di altre discipline comuni (storia dell’arte, storia della Chiesa, storia civile, teologia, liturgia, diritto canonico). Non potendo estendere la sua competenza a tutte le scienze, lo schedatore deve però essere in grado di cercare la collaborazione nei campi che di volta in volta affiorano (archeologia, architettura, paleografia, oreficeria, gemmologia, scienze del tessuto, bibliologia e altro). Inoltre deve saper ricorrere a tecnici, quali fotografi, rilevatori, cartografi, disegnatori, per corredare, all’occorrenza, le schede di un supporto visivo del bene in sé o del suo contesto. Dev’essere poi coadiuvato da consulenti giuridici e amministrativi, che gli consentano di tutelare le legittime autonomie degli Enti ecclesiastici (proprietari o usufruttuari dei beni) e di gestire correttamente l’utilizzazione dei dati raccolti.

La necessità di sostenere l’inventariazione-catalogazione con l’uso di strumenti e di metodologie informatiche richiede un’adeguata formazione anche in relazione agli strumenti che l’operatore è chiamato ad utilizzare, sia per la rilevazione sia per un primo controllo dei dati ritrovati. 

La notevole complessità metodologica e gestionale rende necessario l’inserimento di personale esperto a fianco di operatori meno preparati (che in molti casi prestano già il loro servizio nelle istituzioni ecclesiastiche). Il contributo di volontari, quale supporto all’attività del personale esperto, è anch’esso non solo utile, ma talvolta necessario.

La preparazione degli schedatori è la maggiore garanzia per condurre l’impresa in modo rigoroso, per assicurare la continuità del lavoro, per permettere ulteriori approfondimenti scientifici. L’attività di formazione degli schedatori dev’essere accuratamente predisposta con corsi specifici che abbiano una struttura curricolare, capace di sviluppare le conoscenze richieste. Anche ai fotografi si richiede professionalità ed esperienza nello specifico dell’inventariazione-catalogazione. E’ auspicabile, infine, un periodico aggiornamento dello schedatore, il quale va reso consapevole dell’approccio sempre più sistematico e articolato ai beni culturali.

Gli istituti che agiscono nell’ambito dell’inventariazione-catalogazione dei beni culturali dovranno svolgere un ruolo attivo per la formazione degli schedatori professionisti e degli eventuali volontari. Accanto agli istituti operanti direttamente nell’ambito dell’inventariazione-catalogazione è assai opportuno che le università civili e i centri accademici ecclesiastici attivino appositi corsi per la formazione dei vari operatori.(37) 

 

6. Conclusione 

La cura del patrimonio storico-artistico ecclesiastico è un fatto di civiltà, che coinvolge la Chiesa in primo piano. Essa si è sempre dichiarata “esperta in umanità”,(38) ha favorito in tutte le epoche lo sviluppo delle arti liberali e ha promosso la cura di quanto è stato creato per adempiere alla missione evangelizzatrice. Infatti, “quando la Chiesa chiama l’arte ad affiancare la propria missione, non è soltanto per ragioni di estetica, ma per obbedire alla “logica” stessa della rivelazione e dell’incarnazione”.(39)

In questo contesto l’inventario-catalogo si pone come strumento di salvaguardia e di valorizzazione dei beni culturali della Chiesa. L’impostazione scientifica e la successiva utilizzazione dei risultati delle ricerche si definiscono come momenti complementari dell’inventario-catalogo. Dall’ordinamento logico del materiale raccolto s’avvia così l’interpretazione critica dei dati, la contestualizzazione dei beni, il mantenimento del loro uso religioso e culturale.

La concezione dell’operazione di raccolta delle informazioni come mero censimento del patrimonio, tutt’al più finalizzato alla sua tutela giuridica, può considerarsi pertanto superata. Le esigenze attuali richiedono invece conoscenze che garantiscano l’attendibilità scientifica, il continuo aggiornamento e, soprattutto, la valorizzazione culturale ed ecclesiale dei dati raccolti.

L’inventariazione-catalogazione va intesa, quindi, come un insieme di attività dirette all’organizzazione delle conoscenze, finalizzate agli obiettivi di salvaguardia, gestione, valorizzazione dei beni culturali, secondo metodologie che non precludono le soluzioni informatiche e le connessioni con altri sistemi. All’idea di un archivio come semplice deposito di carte rapidamente deteriorabili e di difficile consultazione, si va sostituendo l’immagine di un archivio dinamico, relazionato al suo interno attraverso campi definiti e, al tempo stesso, relazionabile alla innumerevole serie di archivi diffusi sul territorio ecclesiale, nazionale e internazionale.

La Chiesa in questo settore dell’inventariazione-catalogazione è chiamata ad uno sforzo di rinnovamento per tutelare il proprio patrimonio, regolamentare l’accesso ai propri dati, dare un valore spirituale a quanto in essi raccolto. Dal momento poi che i beni culturali di contenuto religioso gravitano anche sotto altre pertinenze, l’impegno dell’inventariazione-catalogazione non può ridursi alle sole responsabilità ecclesiastiche, ma dovrebbe vedere coinvolte, quando le circostanze lo permettono, anche le autorità civili e i privati.

Con un’efficiente impostazione dei propri inventari-cataloghi la Chiesa entra nella cultura della “globalizzazione”, dando un significato ecclesiale alle informazioni documentarie di sua pertinenza e dimostrando la propria universalità attraverso il riscontro accessibile dell’ingente patrimonio che ha creato e continua a creare in tutti i luoghi dove è presente con la sua opera di evangelizzazione. Questo perché con l’inventariazione-catalogazione informatica si realizzi l’auspicio di Giovanni Paolo II: “Dai siti archeologici alle più moderne espressioni dell’arte cristiana, l’uomo contemporaneo deve poter rileggere la storia della Chiesa, per essere così aiutato a riconoscere il fascino misterioso del disegno salvifico di Dio”.(40)

Questo lavoro, che impegna tutte le Chiese particolari, tanto quelle di antica quanto quelle di recente evangelizzazione, è certamente ostacolato dal problema delle risorse, specialmente nei paesi in via di sviluppo, dove il superamento dell’indigenza costituisce il problema primario per la comunità cristiana. Tuttavia per incrementare il progresso è anche importante creare la coscienza della propria civiltà. Infatti “la Chiesa, maestra di vita, non può non assumersi anche il ministero di aiutare l’uomo contemporaneo a ritrovare lo stupore religioso davanti al fascino della bellezza e della sapienza che si sprigiona da quanto ci ha consegnato la storia”.(41)

Per questo la conoscenza del patrimonio storico artistico, anche se minimo, diventa un fattore non indifferente di progresso. In tal caso sarà cura dei Pastori sollecitare la solidarietà nazionale e internazionale e sarà premura delle Chiese dei Paesi più abbienti favorire iniziative di tutela delle culture delle minoranze e dei popoli che versano in gravi difficoltà economiche.

Beneaugurando per il Suo ministero pastorale che congiunge intimamente l’opera di evangelizzazione con la promozione umana, mi è cara l’occasione per esprimerLe il mio deferente e cordiale saluto con cui mi confermo

dell’Eminenza (Eccellenza) Vostra Reverendissima

dev.mo in G. C.
Francesco Marchisano
Presidente
 

Carlo Chenis, S.D.B.
Segretario

Città del Vaticano, 8 Dicembre 1999 


1 Cf. Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, Lettera circolare Le biblioteche ecclesiastiche, 10 aprile 1994, Prot. N. 179/91/35; Ead., Lettera circolare La funzione pastorale degli archivi ecclesiastici, 2 febbraio 1997, Prot. N. 274/92/118.

2 Nell’allocuzione rivolta ai membri della prima Assemblea Plenaria della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, il 12 ottobre 1995, Giovanni Paolo II afferma che con il concetto di “beni culturali” si intendono “innanzitutto i patrimoni artistici della pittura, della scultura, dell’architettura, del mosaico e della musica, posti al servizio della missione della Chiesa. A questi vanno poi aggiunti i beni librari contenuti nelle biblioteche ecclesiastiche e i documenti storici custoditi negli archivi delle comunità ecclesiali. Rientrano, infine, in questo ambito le opere letterarie, teatrali, cinematografiche, prodotte dai mezzi di comunicazione di massa” (L’Osservatore Romano, 13 ottobre 1995, p. 5). Cf. pure Codex Iuris Canonici (= CIC) can. 1189.

3 Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 122: “Quae […] Deo eiusdemque laudi et gloriae provehendae eo magis addicuntur, quo nihil aliud eis propositum est, quam ut operibus suis ad hominum mentes pie in Deum convertendas maxime conferant” (Sacrosanctum Oecumenicum Concilium Vaticanum II, Constitutiones, Decreta, Declarationes, cura et studio Secretariae Generalis Concilii Oecumenici Vaticani II, Città del Vaticano 1993, p. 56).

4 CIC can.1283: “Antequam administratores suum munus ineant […] 2° accuratum ac distinctum inventarium, ab ipsis subscribendum, rerum immobilium, rerum mobilium sive pretiosarum sive utcumque ad bona culturalia pertinentium aliarumve cum descriptione atque aestimatione earundem redigatur, redactumque recognoscatur; 3° huius inventarii alterum exemplar conservetur in tabulario administrationis, alterum in archivo curiae; et in utroque quaelibet immutatio adnotetur, quam patrimonium subire contingat”. Cf. pure Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium (= CCEO) can. 252-261.

5 Cf. Circolare della Segreteria di Stato di Sua Santità ai Rev.mi Ordinari d’Italia, 1° settembre 1924, n. 34215, in: Fallani G. (a cura), Tutela e conservazione del patrimonio storico e artistico della Chiesa in Italia, Roma 1974, p. 192.

6 Per es., a proposito del Papa S. Leone Magno (440-461) si legge: “Hic renovavit post cladem Wandalicam omnia ministeria sacrata argentea per omnes titulos conflata, hydrias VI argenteas: duas basilice Constantiniane, duas basilice beati Petri, duas basilice beati Pauli […] quae omnia vasa renovavit sacrata […] Et basilicam beati Pauli apostoli renovavit […] Hic quoque constituit super sepulchra apostolorum custodes qui dicuntur cubicularii, ex clero romano” (Liber Pontificalis, a cura di Prerovsky U. [= Studia Gratiana, 22], vol. II, Roma 1978, p. 108-110).

7 Cf. Archivio Segreto Vaticano, Armadi I-LXXX; Fondi Segreteria dei Brevi; Congregazione del Concilio; Congregazione delle Indulgenze e SS. Reliquie; Brevia et Decreta.

8 Papa Gregorio Magno, intervenendo presso Sereno, vescovo di Marsiglia, che aveva fatto rimuovere dalle Chiese le pitture, temendo l’idolatria, scrive: “Aliud est enim picturam adorare, aliud per picturae historiam quid sit adorandum addiscere. Nam quod legentibus scriptura, hoc idiotis praestat pictura cernentibus, quia in ipsa etiam ignorantes vident quid sequi debeant, in ipsa legunt qui litteras nesciunt… Ac deinde subjungendum quia picturas imaginum, quae ad aedificationem imperiti populi fuerant factae, ut nescientes litteras, ipsam historiam intendentes, quid actum sit discerent… ut ex visione rei gestae ardorem compunctionis percipiant, et in adoratione solius omnipotentis sanctae Trinitatis humiliter prosternantur” (Gregorius Magnus, Epistulae, in: Patrologia Latina (= PL) 77, 1128 C; 1129 BC).

9 Cf. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura di Alberigo G. e altri, Bologna 31973, p. 133-137.

10 Egger A., Kirchliche Kunst und Denkmalpflege, Brixen 1932, p. 7: “Providete […] ne per negligentiam vestram illarum rerum, quae intra ecclesiam sunt, aliquid pereat. Sic agite, quasi Deo reddituri rationem pro iis rebus, quae his clavibus recluduntur”.

11 Il 31 ottobre 447 il Papa Leone I proibisce ai vescovi e a tutti i chierici, sotto pena di scomunica e persino di laicizzazione, di dare in regalo, cambiare o vendere i beni preziosi delle chiese senza motivo grave e senza il consenso di tutto il clero: “Sine exceptione decernimus, ne quis episcopus de ecclesiae suae rebus audeat quidquam vel donare vel commutare vel vendere. Nisi forte ita aliquid horum faciat, ut meliora prospiciat, et cum totius cleri tractatu, atque consensu, id eligat, quod non sit dubium Ecclesiae profuturum. Nam presbyteri vel diaconi, aut cuiuscumque ordinis clerici, qui conniventiam in Ecclesiae damna miscuerint, sciant se et ordine et communione privandos, quia plenum iustitiae est, ut non solum episcopi, sed etiam totius cleri studio, ecclesiasticae utilitatis incrementa serventur, et eorum munera illibata permaneant, quae pro animarum suarum salute, fideles de propria substantia ecclesiis contulerunt” (cf. Magnum Bullarium Romanum, Graz 1964, vol. I, p. 145). Il 18 agosto 535 il Papa Agapito I ribadisce tale norma: “Revocant nos veneranda Patrum manifestissima constituta, quibus prohibemur, praedia iure Ecclesiae, cui nos omnipotens Dominus praeesse constituit, quolibet titulo ad aliena iura transferre” (Ibid., p. 145).

12 Il Concilio Costantinopolitano IV al can. 15 ammette come motivo per alienare i beni sacri delle chiese solo quello del riscatto dei prigionieri: “Apostolicos et paternos canones renovans sancta haec universalis synodus, definivit neminem prorsus episcopum vendere vel utcumque alienare cimelia et vasa sacrata, excepta causa olim ab antiquis canonibus ordinata, videlicet quae accipiuntur in redemptionem captivorum” (Conciliorum Oecumenicorum Decreta, p. 177).

13 Il Concilio di Lione II nella costituzione 22 richiede il permesso speciale della Sede Apostolica per l’alienazione dei beni sacri, dichiarando l’invalidità dell’alienazione senza il permesso e minacciando i chierici trasgredienti della sospensione e i laici della scomunica: “Hoc consultissimo prohibemus edicto, universos et singulos praelatos ecclesias sibi commissas, bona immobilia seu iura ipsarum, laicis submittere, subicere seu supponere, absque Capituli sui consensu et Sedis Apostolicae licentia speciali… Contractus autem omnes, etiam iuramenti, poenae vel alterius cuiuslibet firmitatis adiectione vallatos, quos de talibus alienationibus, sine huiusmodi licentia et consensu contigerit celebrari, et quicquid ex eis secutum fuerit, decernimus adeo viribus omnino carere, ut nec ius aliquod tribuant nec praescribendi etiam causam parent. Et nihilominus praelatos, qui secus egerint, ipso facto ab officio et adininistratione, clericos etiam qui scientes, contra inhibitionem praedictam aliquid esse praesumptum, id superiori denuntiare neglexerint, a perceptione beneficiorum, quae in ecclesia sic gravata obtinent, triennio statuimus esse suspensos” (Conciliorum Oecumenicorum Decreta, p. 325s.).

14 “Statuit sancta synodus nemini licere [...] ullam insolitam ponere vel ponendam curare imaginem, nisi ab episcopo approbata fuerit” (Conciliorum Oecumenicorum Decreta, p. 775s).

15 Il commissario si chiamava Latino Giovenale Mannetto (cf. Costantini C., La legislazione ecclesiastica sull’arte, in: Fede e Arte, 5 (1957), p. 374).

16 Cf. Emiliani A., Leggi, bandi e provvedimenti per la tutela dei beni artistici e culturali negli antichi stati italiani 1571-1860, Bologna 1978, p. 110-126; Mariotti F., La legislazione delle Belle Arti, Roma 1892, p. 226-233.

17 Cf. Menozzi D., La Chiesa e le immagini. I testi fondamentali sulle arti figurative dalle origini ai nostri giorni, Cinisello Balsamo 1995, p. 248; Emiliani, Leggi, bandi e provvedimenti, p. 130-145; Mariotti , La legislazione, p. 235-241.

18 Cf. Lettera circolare dell’Em.mo Card. Merry del Val per l’istituzione dei Commissariati diocesani per i monumenti custoditi dal Clero, 10 dicembre 1907, n. 27114, in: Fallani, Tutela e conservazione, p. 182-184. Circa la legislazione ecclesiastica sull’arte sacra cf. l’ampia antologia di Costantini, La legislazione ecclesiastica, p. 359-447.

19 Cf. Motu Proprio Tra le sollecitudini, 22 novembre 1903, in: Pii X Pontificis Maximi Acta, vol. I, Romae ex Typographia Vaticana 1905, p. 75; Costantini, La legislazione ecclesiastica, p. 382s.

20 Cf. Acta Apostolicae Sedis (= AAS) 39 (1947) p. 590s.

21 “Antequam administratores […] suum munus ineant […] 2° Fiat accuratum ac distinctum inventarium, ab omnibus subscribendum, rerum immobilium, rerum mobilium pretiosarum aliarumve cum descriptione atque aestimatione earundem; vel factum antea inventarium acceptetur, adnotatis rebus quae interim amissae vel acquisitae fuerint; 3° Huius inventarii alterum exemplar conservetur in tabulario administrationis, alterum in archivo Curiae; et in utroque quaelibet immutatio adnotetur, quam patrimonium subire contingat” (CIC, 1917, can. 1522).

22 Cf. Fallani, Tutela e conservazione, p. 184-194.

23 Cf. Lettera circolare ai Vescovi Italiani Circa l’impianto dell’illuminazione elettrica nelle Chiese, in: Archivio Segreto Vaticano, Fondo Archivio della Segreteria di Stato, rubr. 52, 1923.

24 Cf. Costantini, La legislazione ecclesiastica, p. 425s.

25 Cf. AAS 21 (1929), p. 384-399.

26 Cf. AAS 31 (1939), p. 266-268.

27 Cf. AAS 63 (1971), p. 315-317.

28 CIC can. 1283: “Antequam administratores suum munus ineant […] 2° accuratum ac distinctum inventarium, ab ipsis subscribendum, rerum immobilium, rerum mobilium sive pretiosarum sive utcumque ad bona culturalia pertinentium aliarumve cum descriptione atque aestimatione earundem redigatur, redactumque recognoscatur; 3° huius inventarii alterum exemplar conservetur in tabulario administrationis, alterum in archivo curiae; et in utroque quaelibet immutatio adnotetur, quam patrimonium subire contingat”. Cf. pure CCEO can. 252-261.

29 Cf. CIC can. 489, § 2, che tratta dei documenti di particolare delicatezza, riguardanti cause criminali in materia di costumi.

30 Tale operazione trova adeguato stimolo all’attuazione, tenendo presente quanto afferma Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica Tertio Millennio adveniente (10 novembre 1994) circa le prospettive del Grande Giubileo del 2000, in: AAS 87 (1995), p. 5-41.

31 Circolare della Segreteria di Stato di Sua Santità ai Rev.mi Ordinari d’Italia, 1° settembre 1924, n. 34215, in: Fallani, Tutela e conservazione, p. 192.

32 Cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 122, in: Sacrosanctum Oecumenicum Concilium Vaticanum II, Constitutiones, Decreta, Declarationes, p. 56.

33 Con il termine “museo diffuso” si vuole indicare l’insieme coordinato dei beni nel territorio in modo che i singoli monumenti e gli oggetti, rimanendo nella sede originaria, costituiscano un unico circuito museale.

34 In merito cf. alcuni documenti emanati da organismi internazionali in Europa attivi nella tutela e promozione del patrimonio culturale, come ad esempio il Consiglio d’Europa, a cui hanno aderito molte nazioni: la Convenzione Europea sulla Protezione del Patrimonio Architettonico (Granada, Spagna, 1985); la Convenzione Europea sulla Protezione del Patrimonio Archeologico (La Valletta, Malta, 1992).

35 I principali documenti emanati da organismi internazionali per questo specifico settore sono i seguenti: ICOM, Documentation Committee CIDOC, Working Standard for Archeological Heritage del 1992; ICOM, Documentation Committee CIDOC, Working Standard for Museum Objects del 1995; Consiglio d’Europa, Raccomandazione N.R. (95)3 Relative á la coordination des Méthodes et des systèmes de documentation en matière de monuments historiques et d’édifices du patrimoine architectural adottata dal Comitato dei Ministri 11 gennaio 1995; Consiglio d’Europa, Doc. CC-PAT(98)23 Core Data Standard for Archeological Monuments and Sites. Gli ultimi due documenti sono stati redatti in seguito alle riflessioni e mozioni di due incontri organizzati dal Consiglio d’Europa sui metodi d’inventariazione e di documentazione in Europa: Colloquio di Londra del 1989, Colloquio di Nantes del 1992.

36 A titolo puramente esemplificativo si indica il Thesaurus Multilingue del Corredo Ecclesiastico in CD-Rom, curato dal Réseau Canadien d’Information (RCIP)-Canadian Heritage Information Network (CHIN), dal Ministère de la Culture et de la Communication – Sous-direction des études de la documentation et de l’inventaire (Francia), dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (Italia) e dal The Getty Information Institute (USA).

37 A modo di esempio si possono citare alcune iniziative per la formazione. Presso Istituzioni Pontificie: Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica (Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano); Scuola Vaticana di Biblioteconomia (Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano); Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana (Roma, Italia); Corso Superiore per i Beni Culturali della Chiesa (Pontificia Università Gregoriana, Roma, Italia). Presso università cattoliche: Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Italia); Institut des Arts Sacrés (Faculté de Théologie et des Sciences Religieuses, Institut Catholique de Paris, Francia); Curso de Mestrado em Patrimonologia Sacra (Universidade Católica Portuguesa, Porto, Portogallo); Curso de diplomado en Bienes Culturales de la Iglesia (Universidad Iberoamericana, Ciudad del México, Messico); corsi di formazione alla conservazione e promozione del patrimonio culturale ecclesiastico (Paul VI Institute for the Arts, Washington, U.S.A.); New Jersey Catholic Historical Records Commission (Seton Hall University, New Jersey, U.S.A.). Presso altre istituzioni accademiche: Master de Restauración y Rehabilitación del Patrimonio (Universidad de Alcalá, Spagna); Cátedra de Arte Sacro (Universidad de Monterrey, Messico).

38 Paolo VI, Lettera Enciclica Populorum Progressio, n. 13: “Christi Ecclesia, iam rerum humanarum peritissima”, in: AAS 59 (1967), p. 263.

39 Giovanni Paolo II, Allocuzione L’importanza del patrimonio artistico nell’espressione della fede e nel dialogo con l’umanità, 12 ottobre 1995, in: L’Osservatore Romano, 13 ottobre 1995, p. 5.

40 Giovanni Paolo II, Messaggio I beni culturali possono aiutare l’anima nella ricerca delle cose divine e costituire pagine interessanti di catechesi e di ascesi, 25 settembre 1997, in: L’Osservatore Romano, 28 settembre 1997, p. 7.

41 Ibid.

          

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