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PONTIFICIA COMMISSIONE PER I BENI CULTURALI DELLA CHIESA

Convegno “Il futuro dei musei ecclesiastici italiani”

RELAZIONE DI S.E. MONS. MAURO PIACENZA

“La funzione pastorale dei musei ecclesiastici”

Bologna, 28 ottobre 2005

 

1. Origine dei musei ecclesiastici

La Chiesa in sé non è certo la guardiana o la conservatrice dei musei, poiché essa ha innanzi tutto come missione l’evangelizzazione dell’uomo in vista della sua salvezza. Tuttavia, nel corso della sua storia, la Chiesa non ha cessato di prendersi cura del suo patrimonio storico e artistico, come fanno fede le dichiarazioni dei Pontefici, dei Concili ecumenici, dei Sinodi locali ed anche di singoli Vescovi e Ordinari religiosi. Questa cura si è manifestata innanzitutto nella committenza di opere d’arte, destinate principalmente al culto e alla decorazione degli edifici di culto, che non si è mai interrotta nel corso dei secoli. Può così accadere che un certo numero di manufatti, ad un dato momento, possano cadere in disuso e richiedere di essere sostituiti da altri più adatti. Ciò può derivare da varie cause: esigenze culturali, liturgiche e spirituali o, semplicemente, dall’usura e dal loro deterioramento. A questo punto sorge la sollecitudine della Chiesa anche per la protezione e conservazione di tali oggetti.

Si possono distinguere fondamentalmente due tipi di istituzione museale ecclesiastica: la collezione e il museo vero e proprio. La prima ha origini molto antiche, che possono essere ravvisate nei “tesori” delle chiese cattedrali, attigui alle sacrestie, ove si conservano le suppellettili e i paramenti più preziosi, oppure nelle raccolte di oggetti preziosi o curiosi che si sono formati in epoca umanistica, anche ad opera di prelati di singolare sensibilità e cultura. La collezione si qualifica come un bene culturale in sé, un insieme unitario, non necessariamente suscettibile di ampliamenti. Fra le collezioni di arte religiosa, benemerite per il dialogo fra la Chiesa e gli artisti contemporanei, oltre a quella dei Musei vaticani, voluta da Papa Paolo VI, ricordiamo la “Fondazione Giacomo Lercaro”, qui a Bologna, messa di recente a disposizione del pubblico. Il museo, invece, la cui nascita non risale oltre gli inizi del ‘900, si configura come un’istituzione prevalentemente didattica, strutturata in sezioni e soggetta all’incremento del proprio patrimonio. La realtà dei musei ecclesiastici, specie in Europa e nel mondo occidentale, in genere è importante. Solo in Italia si contano circa 820 fra musei e collezioni appartenenti alla Chiesa, di cui 120 sono musei diocesani; si tratta di un dato importante, se si pensa che le diocesi in Italia sono 227 (i dati sono del 2001)[1].

L’impulso alla costituzione dei musei diocesani in Italia venne da una lettera circolare della Segreteria di Stato del 1923[2]. Sempre per l’Italia è fondamentale il documento della Conferenza episcopale italiana, I beni culturali della Chiesa in Italia (1992)[3]. Dell’argomento si è occupata anche la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, rivolgendosi a tutti i vescovi della Chiesa cattolica. Istituita da Giovanni Paolo II con la Costituzione apostolica Pastor Bonus (1988), la Pontificia Commissione, fra l’altro, ha lo scopo di interessarsi di “tutte le opere di qualsiasi arte del passato” e di quelle ormai prive della loro specifica destinazione originaria[4]. In un tale contesto, la lettera circolare La funzione pastorale dei musei ecclesiastici del 29 giugno 2001 s’inserisce nella serie di documenti redatti allo scopo di promuovere la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio storico e artistico della Chiesa in funzione della sua propria azione pastorale[5]. Bisogna precisare che tale lettera circolare non intende rivestire valore normativo, ma piuttosto affrontare l’argomento in una prospettiva essenzialmente pastorale, stimolando e incoraggiando quanti operano in questo settore per delega del proprio vescovo o superiore.

2. I musei ecclesiastici come “bene culturale”

Per la Chiesa, il concetto di “bene culturale” comprende “innanzitutto, i patrimoni artistici della pittura, della scultura, dell'architettura, del mosaico e della musica, posti al servizio della missione della Chiesa. A questi vanno poi aggiunti i beni librari contenuti nelle biblioteche ecclesiastiche e i documenti storici custoditi negli archivi delle comunità ecclesiali. Rientrano, infine, in questo ambito le opere letterarie, teatrali, cinematografiche, prodotte dai mezzi di comunicazione di massa”[6]. Se ne deducono tre categorie di beni culturali. La prima e più importante comprende i beni posti a servizio della missione della Chiesa, che ha il suo punto culminante nella liturgia. La seconda considera i beni documentari a servizio della cultura e della storia ecclesiale. Infine, la terza categoria, è costituita dai prodotti delle arti non figurative e dei mezzi di comunicazione sociale.

Ci soffermeremo soprattutto sulla prima categoria, dal momento che la maggior parte dei musei e delle collezioni sono di interesse artistico. Essi, si è detto, sono in prevalenza costituiti di manufatti “posti al servizio della missione della Chiesa” caduti in disuso. Ora, tali manufatti non cessano di avere un valore storico, artistico e spirituale. Essi continuano a presentare un interesse storico, per il fatto di essere, a loro modo, testimoni di un determinato periodo della vita della Chiesa e delle comunità cristiane, che li hanno prodotti. Hanno sovente un valore assoluto di opera d’arte, essendo prodotti, talora sommi, della tecnica e dello stile di un’epoca e, nel contempo, espressione del linguaggio della bellezza universale e intramontabile. Molti di essi, inoltre, documentano il livello spirituale delle comunità cristiane che ne sono all’origine, le differenti forme di devozione alle quali erano destinati, le diverse espressioni della pietà popolare e le tradizioni locali che le hanno in qualche modo ispirate.

Pertanto, la Chiesa, nel guardare ai propri beni culturali, considera più che la discontinuità, la continuità che lega fra loro gli oggetti cultuali e gli altri manufatti di un tempo a quelli attualmente in uso. In effetti, grazie ad essi e attraverso essi si trasmette, in modo tangibile, la grande Traditio ecclesiale, al di là delle inevitabili e necessarie riforme. Del resto, la Chiesa ha sempre tenuto a conservare la memoria storica del proprio passato al fine di meglio evidenziare la continuità della sua presenza, e in essa, il suo continuo rinnovamento nella fedeltà (Ecclesia semper reformanda). La memoria storica della Chiesa è la dimostrazione che nel corso del suo pellegrinaggio sulla terra, essa “si è servita delle differenti culture per diffondere e spiegare il messaggio cristiano nella sua predicazione a tutte le genti”[7].

Sebbene, dunque, non ignori il valore venale delle cose, la Chiesa è interessata all’idea di “bene” non principalmente in senso economico, ma in senso culturale, nella direzione della cultura cristiana. Si tratta pertanto di qualcosa di assolutamente vivo e attuale, di solito parte integrante del patrimonio religioso e culturale di un determinato territorio e di una comunità particolare, che costituisce un bene demografico e antropologico di carattere religioso fra i più importanti, al punto che anche coloro che non appartengono alla comunità dei credenti non possono prescindere da tale sua connotazione[8].

È da ricordare, a questo punto, che un bene culturale è tale non soltanto se prodotto nel passato, ma anche al presente. L’attuale contesto epocale comporta certamente una ben ardua sfida per la Chiesa e la cultura della liturgia, ma va anche considerato che la grande tradizione culturale della fede possiede un’energia dirompente che vale per il presente: ciò che nei musei testimonia un passato glorioso e commovente nella liturgia diventa vivo e presente! Conviene dunque non trascurare l’impulso da imprimere alla produzione artistica contemporanea, coltivando e incoraggiando gli artisti del nostro tempo. Anche oggi la gioia in Dio e l’incontro con la sua presenza nella celebrazione liturgica costituiscono una fonte inesauribile di ispirazione. Per gli artisti l’umile attenzione a quanto è prima di loro li rende liberi e li eleva. Opere e manufatti di arte liturgica troveranno il loro posto a servizio diretto del culto nelle chiese, mentre opere di arte “religiosa” potranno trovare la loro piena valorizzazione nelle collezioni e nei musei ecclesiastici. I musei non devono neppure vagamente dare l’impressione di una sorta di afonia della fede, ma costituirne una particolare voce!

3. Il museo ecclesiastico come luogo e strumento dell’azione pastorale della Chiesa

Una riflessione sul museo ecclesiastico, dunque, va anche oltre la categoria museale ordinaria, poiché deve tenere conto, oltre che delle altre finalità di natura culturale in senso ampio, della finalità pastorale, che è al centro dell’azione della Chiesa. Ne deriva che l’organizzazione di un museo ecclesiastico dovrebbe entrare, a pieno diritto, nel cuore stesso dei programmi e delle istituzioni pastorali di una Diocesi, avendo alla base un progetto concreto di animazione e di formazione della comunità ecclesiale.

Quanto a tale finalità pastorale, il museo ecclesiastico “si pone quale strumento di evangelizzazione cristiana, di elevazione spirituale, di dialogo con i lontani, di formazione culturale, di fruizione artistica, di conoscenza storica. È quindi luogo di conoscenza, godimento, catechesi, spiritualità”[9]. Esso pertanto è un luogo aperto al pubblico, la cui organizzazione dovrà essere tale da favorire in chi lo visita un’esperienza estetica e intellettuale in un ambiente autenticamente religioso. Fin dalle sue origini, la Chiesa ha utilizzato l’espressione artistica per la trasmissione del messaggio cristiano e la percezione del sacro. A motivo dell’Incarnazione del Verbo e del carattere sacramentale della Chiesa, anche gli oggetti d’arte illustrano, a loro modo, il legame fra Dio e l’uomo, e sono, in qualche modo, un’anticipazione, nella prospettiva della bellezza sensibile, dello splendore della visione beatifica[10].

Certamente, “il museo ecclesiastico è da leggersi in stretta connessione con il territorio di cui è parte, in quanto ‘completa’ e ‘sintetizza’ altri luoghi ecclesiali. Si caratterizza facendo riferimento al territorio, così da evidenziarne il tessuto storico, culturale, sociale, religioso. Ad esso si connette pertanto la tutela e la valorizzazione dell’intero patrimonio storico-artistico locale al fine di sviluppare nei singoli e nella comunità la coscienza del valore della storia umana e cristiana”[11]. Si danno anche dei casi in cui il museo ecclesiastico sia l’unico in grado di raccogliere localmente una documentazione d’ordine demografico, etnologico e antropologico di ogni tipo, particolarmente in certi paesi di missione.

L’inserimento territoriale del museo postula la realizzazione di varie iniziative, a livello diocesano, che possano permetterne una fruizione sia ecclesiale sia pubblica: giornate di studio, che possano contribuire a fornire una visione d’insieme della vita e dell’azione della Chiesa; visite guidate a musei, santuari, chiese e ad eventuali siti archeologici e storici cristiani o altri luoghi diocesani particolarmente significativi, che mettano in luce le ricchezze artistiche e culturali di un dato territorio; mostre temporanee di manufatti e di opere d’arte, antiche e/o contemporanee, che costituiscano un’eccellente maniera di mostrare la continuità e l’originalità dei beni culturali ecclesiastici, come strumenti privilegiati per il compimento della missione della Chiesa.

Oggi è invalsa la nozione di “museo diffuso” per indicare la fruizione delle opere d’arte nel luogo originario per il quale vennero pensate (in genere chiese), ovviamente laddove ciò è possibile senza pregiudicare la conservazione e la sicurezza delle opere stesse e nel rispetto delle esigenze del culto e della preghiera privata. Ma anche nel caso di un’istituzione museale centrale sarebbe bene ricreare ambienti analoghi a quelli per i quali i manufatti furono pensati. “La sede del museo ecclesiastico non può essere intesa come un ambiente indifferenziato; le opere non possono essere decontestualizzate nei confronti tanto della loro originaria destinazione d’uso quanto della sede architettonica che li ospita. Conseguentemente antichi monasteri, conventi, seminari, palazzi episcopali, ambienti curiali, [chiese non più officiate], che in molti casi vengono utilizzati come sedi di musei ecclesiastici, devono poter mantenere la loro identità e, nel contempo, porsi a servizio della nuova destinazione, di modo che i fruitori siano messi in grado di apprezzare congiuntamente il significato dell’architettura e il valore proprio delle opere esposte”[12].

In sintesi, “la Chiesa si è servita dei segni sensibili per esprimere e per annunciare la propria fede. Anche le opere raccolte nei musei sono finalizzate alla catechesi ad intra e all’annuncio del vangelo ad extra, così che sono offerte alla fruizione tanto dei credenti quanto dei lontani, affinché entrambi, ciascuno a suo modo, possano beneficiarne”[13].

4. Importanza della formazione culturale, tecnica e pastorale del personale responsabile dei musei ecclesiastici

Lasciamo agli specialisti le questioni più squisitamente tecniche relative alla museografia, alla gestione, alla sicurezza, alla conservazione. Ci interesseremo invece delle persone, affermando che per la direzione e il personale tecnico è importante avvalersi di professionisti qualificati e competenti, indifferentemente ecclesiastici o laici. In quest’ultimo caso, la loro preparazione, oltre che sul piano tecnico, dovrà compiersi anche su quello teologico di base, in grado di conferire loro una sensibilità ecclesiale. A livello operativo, ci si sforzerà di rendere i diversi agenti nel settore dei beni culturali, corresponsabili dei progetti elaborati nella Chiesa, insistendo sulla qualità pastorale della gestione museale[14]. È inoltre da evidenziare, comunque, “l’importanza e l’utilità di corresponsabilizzare volontari laici opportunamente preparati nei vari aspetti organizzativi di un museo. Del resto, in molti casi, i musei ecclesiastici, specialmente se piccoli, sono abitualmente retti da persone che svolgono a titolo gratuito e volontario questo servizio in spirito di fede e di testimonianza”[15].

Ma soprattutto bisogna superare un certo disinteresse e anche una certa diffidenza che può trovarsi fra i membri del clero nei confronti dei beni culturali, atteggiamento dovuto, in gran parte, alla mancanza di preparazione specifica e di sensibilità in questo ambito, che dovrebbe essere invece inculcato fin dalla formazione in seminario: “Coloro che si avviano al sacerdozio e alla vita religiosa devono infatti formarsi ad apprezzare il valore dei beni culturali della Chiesa in vista della promozione culturale e dell’evangelizzazione. Abitualmente i sacerdoti in cura d’anime hanno infatti anche la responsabilità di custodire la fabrica ecclesiae nella sua realtà architettonica e in tutti i manufatti che concretamente la costituiscono”[16].

Ma la formazione delle sensibilità riguarda i fedeli a tutti i livelli: artisti, comunità parrocchiali ecc. È auspicabile per questo la collaborazione di istituzioni accademiche ecclesiastiche e civili e di associazioni museali ecclesiastiche e civili, che possono avere un ruolo apprezzabile di mediazione per la sensibilizzazione della cittadinanza e della formazione del personale e degli agenti pastorali. Tale diffusione della sensibilità favorirà forse anche ai nostri giorni il ritorno di mecenati e di donatori illuminati, lieti di favorire, grazie al loro entusiasmo e alla loro generosità, l’incremento dei beni culturali della Chiesa[17].

5. Conclusione

Nel concludere, esprimo la mia gratitudine all’Arcivescovo S.E.R. Mons. Carlo Caffarra e alla Professoressa Donatella Biagi Máino, che mi hanno offerto l’opportunità di intervenire a questo convegno “Il Futuro dei Musei ecclesiastici italiani”, organizzato dall’Istituto per la Storia della Chiesa di Bologna, in collaborazione con il Centro Spirituale Santissimo Salvatore e l’Università degli Studi di Bologna.

Ritengo che il contributo della Pontificia Commissione al futuro dei musei ecclesiastici, sia eminentemente quello di indicare la mens della Chiesa al loro riguardo, come ho tentato brevemente di fare adesso.

La Chiesa è una realtà vivente perché il Cristo risuscitato, di cui essa è il prolungamento nella storia, è la sua stessa vita. Ma né Cristo né la Chiesa sono pezzi da museo. La fede è in sé generatrice di cultura e i beni culturali di cui essa è all’origine e che non cessa di produrre nel corso dei secoli ne sono la dimostrazione più eloquente. Questa fede è un flusso di vita che ha generato e continua a generare moltitudini di santi, di testimoni dell’amore, di artisti, in grado di suscitare sempre ammirevoli opere di carità e di bellezza, per la maggior gloria di Dio, che è la fonte di ogni santità, verità e bellezza.

Mauro Piacenza
Vescovo titolare di Vittoriana
Presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa


[1] I musei religiosi in Italia. Repertorio dei musei e delle raccolte di proprietà ecclesiastica e dei musei e raccolte di interesse religioso di proprietà non ecclesiastica, a cura di E. Giacobini Miari – P. Mariani, Roma 2001.

[2] Segreteria di Stato, Lettera circolare ai vescovi d’Italia per la conservazione, custodia e uso degli archivi e delle biblioteche, 15 aprile 1923, n. 16605, in Codice dei beni culturali di interesse religioso. I. Normativa canonica, a cura di M. Vismara Missiroli, Milano 1993, pp. 188-196.

[3] Episcopato italiano, I beni culturali della Chiesa in Italia. Orientamenti, 9 dicembre 1992, in Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana, V, Bologna 1996, pp. 564-594.

[4] Giovanni Paolo II, Costituzione apostolica Pastor Bonus, 28 giugno 1988, in Enchiridion Vaticanum, XI, Bologna 1991, pp. 492-635: art. 100.

[5] Essi sono raccolti nell’Enchiridion dei beni culturali della Chiesa. Documenti ufficiali della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, Bologna 202; la lettera (d’ora in poi FPME) si trova alle pp. 464-526.

[6] Giovanni Paolo II, Allocuzione ai membri della prima Assemblea plenaria della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, 12 ottobre 1995, in Enchiridion dei beni culturali, pp. 560-564: n. 3.

[7] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, in Enchiridion Vaticanum, I, Bologna 1966, pp. 772-965: n. 58.

[8] Giovanni Paolo II, Messaggio ai Membri della seconda Assemblea plenaria della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, 27 settembre 1997, in Enchiridion dei beni culturali, pp. 565-569: n. 2.

[9] FPME 2.1.1.

[10] Cfr. FPME 4.2.

[11] FPME 2.1.2.

[12] FPME 3.1.1.

[13] FPME 4.1.

[14] FPME 5.1.1.

[15] Cfr. FPME 3.5.

[16] FPME 5.2.1.; al fine di aumentare la sensibilità nel clero verso i beni artistici e storici fu emanata un’apposita circolare ai vescovi della Chiesa: Pontificia Commissione per la Conservazione del Patrimonio Artistico e Storico della Chiesa, La formazione dei futuri presbiteri all’attenzione verso i beni culturali della Chiesa, 15 ottobre 1992, in Enchiridion dei beni culturali, pp. 167-184.

[17] Cfr. FPME 5.1.2.

 

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