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PONTIFICIA COMMISSIONE PER I BENI CULTURALI DELLA CHIESA

RI-CONSEGNA DELLA CROCE DIPINTA RESTAURATA

OMELIA DI S.E.R. MONS. MAURO PIACENZA

Abbazia S. Maria di Rosano (FI) - 16 dicembre 2006

 

Cosa attendiamo in Avvento? La prima venuta di Cristo? Ma essa sta dietro di noi di duemila anni. La seconda venuta? Noi, per essere sinceri, la temiamo.

Il Natale? L’attesa di questa magnifica solennità nella società civile è fatta a pezzi da una sorta di cultura erodiana mista ad aristocratico agnosticismo political correct nei paesi anglofobi, stemperato in un’ambigua dialogicità multireligiosa che sradica pazzamente Tradizione, tradizioni, cultura, simboli e segni. Pare così tristemente che il cristiano non attenda nulla, e che la speranza cristiana sia una parola vuota e, proprio per questo, segua la legge del vuoto, cioè si lasci riempire da altre speranze.

Ma è proprio vero che noi non abbiamo realmente nulla da aspettare? Ci sono uomini che vivono oggi ma vivono, in realtà, come fossero ancora prima di Cristo: sono coloro che, qui anche adesso accanto a noi come agli estremi confini della terra, non hanno ancora incontrato il volto di Dio.

Cosa attendiamo in Avvento? L’Avvento è una realtà e non una suggestiva fiaba; è “la” realtà per la Chiesa e per ciascuno, per la stessa storia. Dio non ha suddiviso la storia in una metà luminosa e in una metà oscura. Non ha suddiviso gli uomini in “uomini da Lui redenti” e in “uomini da Lui dimenticati”. Esiste soltanto una unica storia indivisibile, che è tutta quanta contraddistinta dalla debolezza e dalla miseria dell’uomo e che sta tutta quanta sotto l’amore misericordioso di Dio, che continua ad avvolgerla e a sorreggerla.

La verità è che l’intera umanità è un’unica umanità davanti a Dio. Che tutta l’umanità giace nelle tenebre, ma anche che tutta l’umanità è illuminata dalla luce di Dio.

Ma se è vero che è sempre stato tempo di Avvento e che tempo di Avvento continua ad essere, ciò significa anche che per nessun periodo della storia Dio sarebbe, per così dire, solo passato, un passato che sta già alle nostre spalle e in cui tutto è già stato fatto. Piuttosto, per noi tutti Dio è l’origine da cui veniamo e, nello stesso tempo, il senso dell’oggi e del futuro verso cui andiamo. Ciò significa inoltre che tutti possiamo trovare Dio soltanto andandogli incontro come a Colui che viene, come a Colui che ci attende e vuole che ci poniamo in cammino.

Non possiamo trovare Dio se non in questo esodo, in questo uscire dal nostro egoismo, dal nostro solipsismo, dalle nostre precomprensioni, dai nostri pregiudizi, dalle nostre intossicazioni di spirito del mondo per entrare nella luce del Signore che viene. Lui, l’Unico Necessario. “Rorate coeli et nubes pluant Justum!”.

L’orizzonte della storia è sotteso tra il presepe di Betlemme e il ritorno del Redentore alla fine dei tempi mentre intanto il Signore continua a venire a noi soprattutto nel mistero eucaristico. La storia diventa “sacramento” in Gesù Cristo, che è la fonte dei sacramenti. Per questo l’immagine di Cristo è il centro dell’arte figurativa sacra.

Il centro dell’immagine di Cristo è poi il mistero pasquale: Cristo viene rappresentato come Crocifisso, come Risorto, come Colui che ritorna e che già ora regna nel mistero.

Ogni immagine di Cristo – come questo nostro dipinto su tavola, che scrive una pagina nuova nell’arte del XII secolo – deve portare in sé aspetti fondamentali del mistero di Cristo, deve, cioè, essere un’immagine pasquale.

Questo mirabile Crocefisso splendidamente restaurato al prestigioso Opificio delle Pietre Dure di Firenze, ora che risplende con i suoi colori originali del 1100, ci conduce al di sopra di ciò che è puramente constatabile sul piano materiale e ci insegna un nuovo modo di vedere, un modo che percepisce l’invisibile dentro il visibile. La sacralità dell’immagine consiste proprio nel provenire da una visione interiore e nel condurre, a sua volta, ad una visione interiore.

Essa deve essere frutto di una contemplazione interiore, di un incontro credente con la nuova realtà di Cristo e, in questo modo, deve condurre nuovamente allo sguardo interiore, all’incontro orante con il Signore.

L’immagine serve alla liturgia. Di qui il valore profondo del Crocifisso che, giustamente, incombe su di noi e che deve essere guardato e pregato. La preghiera e lo sguardo devono essere preghiera e sguardo  condiviso, in comunione con la fede della Chiesa. Non dimentichiamo mai che la dimensione ecclesiale è assolutamente essenziale all’arte sacra!

Qui l’arte si fa epifania della fede comune e, per questo, parla ai nostri cuori senza fede, infatti, non può esserci arte adeguata alla liturgia e non ci può essere autentica intelligenza della figura.

In questo sacro cenobio il tempio formato da queste massicce pietre simboleggianti noi stessi che siamo pietre vive del mistico edificio ecclesiale, cementate nella “communio”, il canto gregoriano che si leva come “carisma”, come linguaggio proveniente dallo spirito, le immagini sacre che sono sbocciate dalla preghiera e conducono alla preghiera, che ci fanno vedere oltre ciò che è misurabile e ponderabile, tutto, tutto questo è quasi “sacramento” e viene come riassunto nel Crocifisso. Secondo l’antica profezia di Zaccaria: “volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Zac 12,10). L’arte sacra, dunque, in questa sinfonia di elementi, segna il nostro passo, nell’avvento della vita, verso “l’oriente”, verso Nostro Signore Gesù Cristo che è imminente, che sta per riempire i troni misteriosamente vuoti nei vasti catini absidali paleocristiani.

Noi, animati dalla fede della Chiesa, radicati nella “communio”, con le lucerne ardenti della carità operosa corriamo incontro a Cristo che viene gridando con la vita: “Vieni Signore Gesù, vieni!” (Ap 22,17.20).

    

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