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La Curia Romana  
 

 

 
 
 

S.Em. Cardinale Pietro Parolin                      
 

OMELIA PER LA SANTA MESSA
IN OCCASIONE DELLA ConfErenZA su HaIti

«la comunione della chiesa: mEmorIA E SPERANZA
per haiti a 5 anNI Dal TERREMOTO  
dEL 12 GENNAIO 2010»

Santa Maria in Traspontina
Roma, 10 gennaio 2015

Eminenze,
Eccellenze,
Signori Ambasciatori,
Reverendi Padri,
Reverende Suore,
Cari fratelli e sorelle,

1. La liturgia odierna è in primo luogo un’azione di grazie. Il Pontificio Consiglio Cor Unum e la Pontificia Commissione per l’America Latina hanno organizzato la giornata di studio che, dopo l'incontro odierno con Papa Francesco, adesso si conclude, per valutare e rilanciare insieme la grande azione che la Chiesa cattolica ha svolto in questi 5 anni dopo il terremoto che esattamente il 10 gennaio 2010 sconvolse Haiti. Il fatto che tanti abbiano voluto partecipare a questo incontro manifesta quanta attenzione e generosità abbia raccolto la Chiesa in Haiti in questo periodo di tempo da parte di conferenze episcopali, ordini e congregazioni religiosi, organismi di carità. La prima parola che sgorga naturale dal nostro incontro è dunque “grazie”. Grazie a Dio che sempre lavora nel cuore degli uomini, spingendoli nel segreto a farsi prossimo di chi più soffre. Grazie a Dio che rinnova oggi la grazia di incontrarci per rafforzare i nostri propositi di bene. Grazie a Dio che rende disponibili, attraverso tante strade, i mezzi per venire incontro ai nostri fratelli più bisognosi. Non saremmo nella verità se oggi non dicessimo prima di tutto questa parola di gratitudine e se ci appropriassimo di una azione che, invece, ha manifestato la Provvidenza divina; se non riconoscessimo che la carità ha la sua origine in Dio, il quale la riversa nei nostri poveri cuori (cfr. Gal 4,6). Non saremmo veritieri oggi se davanti a questa parola ponessimo le nostre rivendicazioni, le insufficienze di ciò che è avvenuto, il rimpianto. Permettetemi perciò, all'inizio di questa mia omelia, di dire a nome di tutti noi, questo vivo grazie a Dio perché cinque anni non sono trascorsi invano: abbiamo visto all'opera la Sua grazia, pur in mezzo a fatiche e sofferenze umane.

2. Il nostro incontro avviene in concomitanza con la celebrazione liturgica del Battesimo del Signore. Una festa che in un certo senso prolunga l’Epifania: il nostro Dio si manifesta, cioè si fa conoscere proprio perché viene battezzato, immerso nella condizione umana. E così noi siamo rivelati, manifestati quali figli di Dio proprio perché siamo stati immersi in Lui.
Che significa questo mistero per noi, e che significa per la vita della Chiesa in Haiti? Vorrei provare a comprenderlo insieme a voi alla luce di quattro simboli di questa festa, che possono aiutarci a vivere della grazia di questo giorno, in vista della missione che ci è affidata di continuare a ridare forza e speranza alla vita di quel caro Paese.
Il primo è il simbolo del Giordano.
Questo fiume, nel quale Gesù viene battezzato, è un piccolo fiume: non è il Nilo o il Rio delle Amazzoni. Non sfocia neppure in mare aperto. È in quell’acqua, tra le più umili, che il nostro Dio viene immerso. Non è, cioè, nelle grandiosità umane che il Signore si manifesta, ma nelle nostre profondità più oscure, in ciò che vi è di più nascosto, di più inaccessibile perfino ai nostri stessi occhi. L’opera della ricostruzione condivide questo profilo a volte umile, silenzioso, perfino dimenticato o ignorato dal gran chiasso del mondo. Eppure, in questo servizio di carità si è manifestata un’azione potente di Dio. Nei risultati raggiunti si è manifestata l’efficacia dello Spirito, che continuamente assume e si fa carico delle realtà di questo mondo per trasfigurarle e renderle quasi un sacramento del suo amore e della sua misericordia.
Il Signore era con voi nei giorni duri del terremoto, ha misteriosamente, ma realmente sofferto con voi, e continua ad essere con voi ogni volta che altri uomini e donne condividono la vostra condizione di bisogno e di precarietà. La storia della comunione generata da una situazione di disagio è stata un luogo nel quale Cristo stesso si è immerso, proprio mentre altri scappavano o manifestavano indifferenza o spirito di cupidigia e di interesse.

3. Il secondo simbolo è il rito al quale Gesù si sottomette. Lo sappiamo: egli non aveva bisogno di essere purificato da nessun peccato, e tuttavia si mette in fila con i peccatori. Questa legge della carità – condividere fino in fondo la vita di chi si ama – spiega bene quanto è successo in questi cinque anni. Rivela anche la radice ultima di tante insufficienze, distrazioni, ritardi o approssimazioni, quando anche non di veri e propri peccati di omissione che si sono verificati. Una radice che possiamo chiamare “mancanza di carità”.
Invece per la forza divina della carità, che è la vita stessa della Santa Trinità, si accende in noi – battezzati – il desiderio di partecipare gli uni alla vita degli altri, così come avviene in Dio e come tra noi possiamo sperimentare, ogni volta che siamo in comunione con Lui. Perciò vivere la comunione significa condividere la stessa ansia per l'uomo, condividere lo stesso sguardo che Dio ha su di lui, condividere la sua preoccupazione per il vero bene della persona. La nostra comunione, molto più che nella messa a punto di una comune strategia, in questo tempo deve esprimersi attraverso una comune convinzione, che risuona tanto più imponente e diventa quasi un grido in questa fase di ricostruzione del Paese, un grido che ci vuole raggiungere tutti: “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori” (Sal127). Vorrei che oggi potessimo tornare tutti alle nostre case con questa preghiera nel cuore, che ci può aiutare, in Dio, a superare tutti quegli ostacoli fatti di personalismi, di protagonismi, di interessi di parte, che impediscono anche alla Chiesa di risplendere in tutta la sua luce e di svolgere al meglio la sua missione al servizio della persona. Questa comunione deve diventare veramente il messaggio programmatico di questo vostro incontro odierno.

4. Il terzo simbolo è l’acqua. Quando supera i suoi argini, l’acqua ha spesso un effetto devastante. Lo sappiamo bene. Con il nostro battesimo siamo stati immersi nella morte di Cristo. Nel nostro battesimo in lui si può vedere un certo dilagare delle acque, un dilagare che però distrugge la morte. Per questo lo Spirito scende nel battesimo di Gesù in forma di colomba, come quella che aveva segnalato la fine del potere devastatore dell’acqua nel diluvio. Ciò significa che ora la terra è abitabile. Lo Spirito è sceso su di noi per fare di ciascuno di noi una terra abitabile, una terra nuova nella quale risiede l’amore del Dio vivente.
Per questo l'azione dello Spirito anima ogni azione della Chiesa; quanto più la sua azione caritativa, che non può dunque essere ridotta a semplice azione umana! È per il dono dello Spirito Santo che la Chiesa giunge al culmine della sua missione, perché questo Spirito è il dono più prezioso che essa ha ricevuto da Cristo e che è chiamata a donare a sua volta. Scrive San Paolo che lo Spirito santo attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio (cfr. Rm 8,16). L'uomo acquista piena consapevolezza della sua dignità di figlio quando riceve e vive del dono dello Spirito Santo. Per questa ragione l'evangelizzazione – l’annuncio dapprima e poi la concreta possibilità della vita dei figli di Dio in Cristo Gesù – è il culmine di ogni azione di promozione umana e questa prospettiva orienta ogni azione della Chiesa: rendere ogni uomo la terra buona sulla quale scende e opera lo Spirito di Dio. Se la Chiesa annuncia il Vangelo o serve la persona nella sua integrità, lo fa proprio per svelare all'uomo il pieno senso del suo essere: il quale non si esprime soltanto in questa vita nello spazio e nel tempo, ed entro i limiti dell’umana esperienza, ma si allarga a un destino e a un compimento eterno. L'azione della Chiesa non è per vincolare l'uomo, ma per liberarlo; non per costringerlo entro spazi angusti, ma per dilatarlo nella libertà; non per soggiogare un popolo, ma per portarlo alla sua pienezza. Nasce da questa missione anche l’autentico e sincero desiderio che la Chiesa ha di collaborare con istanze pubbliche, nazionali ed internazionali, per far sì che la persona possa essere pienamente se stessa e che un popolo diventi realmente protagonista del suo futuro. Se la Chiesa annuncia il Vangelo in tutta la sua potenza, è perché in esso si trova quanto di più profondo la persona ha bisogno per crescere, per maturare, per perfezionarsi, per costruire insieme agli altri una cultura di condivisione, di libertà e di convivenza rispettosa e dignitosa.
La Chiesa non vuole sottrarsi neppure oggi a questo grande compito e anzi sa che è il maggiore servizio che essa può rendere ad ogni persona, ad ogni popolo. Lasciarci guidare dunque, in quanto soggetti ecclesiali, dall'azione dello Spirito Santo, vuol dire anche accogliere umilmente il suo dono che è per tutti i nostri fratelli, sapendo che in esso c'è la sorgente di ogni pienezza.

5. Infine, l’ultimo simbolo sono i cieli che si aprono.
La Scrittura ci narra di come e quando il cielo venne chiuso all’uomo, dopo il peccato delle origini (cfr. Gen 3,23). Ora il cielo è stato squarciato: il cuore del nostro Dio si rivela come un cuore aperto, come sarà aperto, squarciato, il cuore di Cristo crocifisso. È guardando a quel cuore, insegna papa Benedetto nella Deus Caritas Est (cfr. n. 12), che si può comprendere che Dio è carità (1 Gv 4,8): è lì che questa verità può essere contemplata, e partendo da lì si può comprendere a cosa anche noi siamo chiamati.
Il cuore di Dio è trafitto e aperto, è un abisso di misericordia che chiama e attrae l’abisso della nostra miseria (cfr. Sal 42). Non solo chiama, ma anche accoglie e offre, salva. È da quel cielo aperto che viene la voce del Padre: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (Mc 1,11).
Questa è la buona notizia della festa e del Vangelo di oggi: siamo noi, in Cristo, questo figlio amato. Non siamo figli perduti, ma figli amati; non siamo esseri per la disperazione, ma figli della luce, dimora del Dio vivente, portatori di Dio.
E siamo noi stessi chiamati a manifestare – con le parole, le opere e la vita – la carità, che è la misericordia del nostro Dio in mezzo agli uomini di Haiti.
Carissimi, nel ringraziare voi e tutte le istituzioni che voi rappresentate, non posso che incoraggiarvi a seguire questa strada, nella fedeltà al Vangelo. Voglia il Signore benedire questo nostro proposito e portarlo a compimento. Amen.

 

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