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La Curia Romana  
 

 

 
 

S.Em. Card. Antonio María Rouco Varela                      
Arcivescovo di Madrid, Spagna  
Presidente della Conferenza Episcopale spagnola
24 febbraio 2013                                                                       
 

Ruolo e responsabilità del Vescovo
(Commento alla Lettera Apostolica in forma di "Motu Proprio"
Intima Ecclesi
æ natura, dell'11 novembre 2012)


La recente lettera apostolica sotto forma di motu proprio di Papa Benedetto XVI sul servizio della carità, Intima Ecclesiae natura, pone in evidenza — già nelle stesse parole con cui inizia — che il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa — appartiene alla sua “intima natura” — ed è pertanto anche espressione irrinunciabile della sua stessa essenza. Ne deriva, come conseguenza necessaria, che tutti i fedeli hanno il diritto e il dovere d’impegnarsi nel ministero della carità, ognuno secondo la sua condizione e la sua professione, poiché tutti i fedeli cristiani partecipano, in virtù del battesimo che li ha incorporati a Cristo e integrati nel popolo di Dio, alla triplice funzione sacerdotale, profetica e reale di Cristo, e sono chiamati a svolgere la missione che Dio ha affidato alla Chiesa nel mondo (cfr. Lumen gentium, n. 32).
A partire da questo fondamento della comune — e allo stesso tempo diversificata — partecipazione di tutti i fedeli alla missione della Chiesa, il documento pontificio presta particolare attenzione alla funzione del vescovo diocesano rispetto al servizio della carità — parte integrante della missione della Chiesa — al fine di colmare una lacuna normativa, visto che il Codice di diritto canonico e altri documenti della Santa Sede non hanno sviluppato e concretizzato sufficientemente questo aspetto.
La responsabilità del vescovo diocesano nell’ambito delle opere di carità realizzate istituzionalmente dai fedeli costituisce un servizio indispensabile per vegliare sul carattere ecclesiale di tali opere, di modo che siano autentica espressione della natura della Chiesa. Non si tratta di limitare o di ridurre l’attività dei fedeli nell’esercizio della carità, ma di potenziarla e di promuoverla affinché si realizzi nel modo più pieno e integro possibile, come testimonianza della carità di Cristo. Per questo il documento indica che «la Chiesa in quanto istituzione non può dirsi estranea alle iniziative promosse in modo organizzato, libera espressione della sollecitudine dei battezzati per le persone ed i popoli bisognosi». E allo stesso tempo stabilisce quali sono le due dimensioni della funzione del vescovo in tale materia: accogliere queste iniziative come manifestazione della partecipazione di tutti alla missione della Chiesa; garantire che vengano portate avanti conformemente alla natura e alla missione della Chiesa, come pure nel rispetto della volontà dei fedeli che, nel collaborare in modo disinteressato con il loro lavoro e con i loro beni a queste opere di carità, intendono collaborare alla missione della Chiesa. Queste due dimensioni del ministero del vescovo, intimamente unite tra loro, hanno un’espressione canonica diversificata, dipendendo dalla natura dell’istituzione ecclesiale che opera in quel settore della carità.
Se si tratta di opere di carità promosse dalla stessa diocesi, spetta al vescovo diocesano non solo vigilare su di esse, ma anche dirigerle. Il documento fa un riferimento esplicito al servizio che presta l’organismo della Caritas, la cui creazione il vescovo deve favorire in ogni parrocchia, fermo restando che possono esistere altre iniziative di carità che risultino adeguate alle necessità, sotto il coordinamento generale del parroco.
Per quanto riguarda le opere di carità istituite dalla conferenza episcopale in ambito nazionale, la direzione spetta alla stessa conferenza episcopale che le ha fondate, tenendo sempre presente che rimangono integri il diritto e la responsabilità del vescovo diocesano di dare il proprio consenso affinché quell’opera si possa svolgere nella sua diocesi, poiché il vescovo è il pastore proprio della Chiesa particolare che gli è stata affidata, e colui che deve discernere e coordinare, nel rispetto della normativa canonica e dell’identità propria di ogni organismo, tutte le attività caritative della Chiesa che si realizzano istituzionalmente nella sua diocesi.
Infine, rispetto alle opere di carità realizzate da associazioni o da organismi che, promossi dall’iniziativa dei fedeli, si presentano come associazioni od organismi della Chiesa e vogliono avvalersi del contributo dei fedeli, il vescovo ha la responsabilità di vegliare affinché l’esercizio della carità conservi la propria identità ecclesiale, senza però andare a discapito dell’autonomia che corrisponde legittimamente ai fedeli nella direzione dell’entità che hanno promosso.
Per questo caso, al quale si equiparano gli organismi e le fondazioni con fini caritativi promossi dagli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, il documento illustra in modo dettagliato i diversi elementi che configurano la responsabilità del vescovo. Ci limitiamo qui a menzionare i più importanti: approvare gli statuti — nella diocesi in cui l’organismo si costituisce — o dare il consenso alla sua istituzione nella diocesi, se si tratta di una Chiesa particolare diversa da quella in cui si è costituito; vegliare affinché la gestione si realizzi conformemente alla dottrina della Chiesa, nei fini che si perseguono, nei mezzi di finanziamento che si utilizzano per raggiungere tali fini, come pure nella testimonianza di sobrietà cristiana che deve caratterizzare la gestione delle diverse attività; far sì che quanti lavorano nella pastorale caritativa della Chiesa, oltre a dimostrare la propria competenza professionale, rechino testimonianza della fede che agisce per mezzo della carità; esaminare il bilancio annuale dei conti; coordinare tutte le attività ecclesiali istituzionali di carità che si svolgono nella diocesi, affinché si realizzino secondo la disciplina della Chiesa, potendo giungere a proibirle o ad adottare le misure necessarie in caso questa non venga rispettata.
In tal modo, il motu proprio stabilisce con chiarezza la posizione di autorità e di coordinamento che corrisponde al vescovo diocesano rispetto all’intera azione caritativa che si realizza istituzionalmente nella diocesi; autorità e coordinamento che — insieme alla testimonianza della propria vita — costituiscono il servizio specifico che il vescovo è chiamato a offrire in questo settore della missione della Chiesa, per promuovere e proteggere il genuino spirito evangelico delle opere di carità, di modo che la Chiesa diocesana sia una comunità di carità che accoglie e rende testimonianza del comandamento del Signore.
 

L'OSSERVATORE ROMANO, giovedì 21 febbraio 2013, p. 7.

 

 

 

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