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PONTIFICIO CONSIGLIO « COR UNUM »

LA FAME NEL MONDO
UNA SFIDA PER TUTTI:
LO SVILUPPO SOLIDALE

 

PRESENTAZIONE

Sono lieto di presentare il documento « La fame nel mondo. Una sfida per tutti: lo sviluppo solidale ». E stato preparato con tanta cura dal Pontificio Consiglio « Cor Unum » su indicazione del Santo Padre Giovanni Paolo II. Anche quest'anno il Successore di Pietro nel suo Messaggio quaresimale si è fatto voce di coloro ai quali manca il minimo vitale: « La folla di affamati, costituita da bambini, donne, vecchi, migranti, profughi e disoccupati, leva verso di noi il suo grido di dolore. Essi ci implorano, sperando di essere ascoltati ».

Il documento si colloca nel solco indicato da Cristo ai suoi discepoli. La persona e il messaggio di Gesù si incentrano infatti sulla manifestazione che « Dio è amore » (1 Gv 4, 8), un amore che redime l'uomo e lo trae dalla sua situazione di molteplice miseria, per restituirlo alla piena dignità. La Chiesa nel corso dei secoli ha dato innumerevoli espressioni concrete a questa sollecitudine di Dio. La sua storia potrebbe essere scritta anche come una storia della carità verso i più poveri, attuata da cristiani che hanno testimoniato ai loro fratelli bisognosi l'amore di Cristo che dona la vita per il prossimo.

Lo studio qui pubblicato intende contribuire all'impegno dei cristiani di condividere le urgenze dell'uomo di oggi. I temi trattati sono infatti di grande attualità. Questo riguarda sia la descrizione della realtà della fame nel mondo, sia l'implicanza etica della questione, che investe tutti gli uomini di buona volontà. La pubblicazione è di particolare importanza in vista del Grande Giubileo del 2000 che la Chiesa si prepara a celebrare. Lo spirito di tale documento non nasce da alcuna ideologia, ma si fa guidare dalla logica evangelica e invita alla sequela di Gesù Cristo vissuta nella quotidianità.

Non posso far altro che auspicare una vasta diffusione di questa pubblicazione, sperando che essa contribuisca a formare le coscienze all'esercizio della giustizia distributiva e della solidarietà umana.

Città del Vaticano, 4 ottobre 1996, Festa di San Francesco d'Assisi


+ Angelo Card. Sodano
Segretario di Stato

LA FAME NEL MONDO
UNA SFIDA PER TUTTI:
LO SVILUPPO SOLIDALE

« L'ampiezza del fenomeno chiama in causa le strutture ed i meccanismi finanziari, monetari, produttivi e commerciali, che, poggiando su diverse pressioni politiche, reggono l'economia mondiale: essi si rivelano quasi incapaci sia di riassorbire le ingiuste situazioni sociali, ereditate dal passato, sia di far fronte alle urgenti sfide ed alle esigenze etiche del presente. Sottoponendo l'uomo alle tensioni da lui stesso create, dilapidando ad un ritmo accelerato le risorse materiali ed energetiche, compromettendo l'ambiente geofisico, queste strutture fanno estendere incessantemente le zone di miseria e, con questa, l'angoscia, la frustrazione e l'amarezza ». « Su questa difficile strada — sulla strada dell'indispensabile trasformazione delle strutture della vita economica — non sarà facile avanzare se non interverrà una vera conversione della mente, della volontà e del cuore. Il compito richiede l'impegno risoluto di uomini e di popoli liberi e solidali » (Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptor hominis, 1979, n. 16).


INTRODUZIONE

Il diritto all'alimentazione è uno dei principi proclamati nel 1948 dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.2

La Dichiarazione sul progresso e lo sviluppo nel settore sociale del 1969, sosteneva la necessità di « eliminare la fame e la malnutrizione e di garantire il diritto ad una adeguata alimentazione ».3 Parimenti, la Dichiarazione universale per l'eliminazione definitiva della fame e della malnutrizione, adottata nel 1974, dichiara che ogni individuo « ha il diritto inalienabile di essere liberato dalla fame e dalla malnutrizione per potersi sviluppare appieno e conservare le sue facoltà fisiche e mentali ».4 Nel 1992, la Dichiarazione mondiale sulla nutrizione ha riconosciuto anche che « l'accesso ad alimenti nutrizionalmente adeguati e privi di pericoli è un diritto universale ».5

Si tratta di indicatori molto espliciti. La coscienza pubblica si è espressa senza equivoci. Pur tuttavia milioni di individui sono ancora segnati dai danni provocati dalla fame e dalla denutrizione o dalle conseguenze dell'insicurezza alimentare. La causa è forse da ricercarsi nella mancanza di cibo? Proprio per nulla: in linea di massima si conviene sul fatto che le risorse della terra, considerate globalmente, sono in grado di nutrire tutti i suoi abitanti;6 infatti, il cibo disponibile pro capite a livello mondiale è aumentato del 18% circa nel corso degli ultimi anni.7

L'umanità si trova oggi di fronte ad una sfida indubbiamente di ordine economico e tecnico, ma ancor di più di ordine etico-spirituale e politico. E una questione di solidarietà vissuta e di sviluppo autentico, al pari di una questione di progresso materiale.

1. La Chiesa ritiene che non si possano affrontare i settori economico, sociale e politico prescindendo dalla dimensione trascendente dell'uomo. La filosofia greca, che tanto ha impregnato di sé il mondo occidentale, era già di questo avviso: l'uomo è in grado di scoprire e di perseguire la verità, il bene e la giustizia con i suoi propri mezzi, soltanto se la sua coscienza è illuminata dal divino. Infatti, è precisamente il divino che consente alla natura umana di prendere in considerazione i doveri disinteressati nei confronti dell'altro. Parimenti, secondo il pensiero cristiano, è la grazia divina che infonde nell'essere umano la forza necessaria per agire secondo il suo discernimento.8 Tuttavia la Chiesa fa appello a tutti gli uomini di buona volontà per portare a termine questo compito titanico. Il Concilio Vaticano II affermava: « Di fronte ad un tal numero di affamati in tutto il mondo, il Concilio insiste presso tutti e presso le autorità, affinché si ricordino di queste parole dei Padri della Chiesa: "Nutri colui che è moribondo per fame, perché se non lo avrai nutrito, lo avrai ucciso" ».9 Tale solenne avvertimento sollecita ad impegnarsi con risolutezza nella lotta contro la fame.

2. L'urgenza di questo problema spinge il Pontificio Consiglio « Cor Unum » a presentare qui di seguito alcuni elementi della sua ricerca; esso sente come suo dovere fare appello alla responsabilità individuale e collettiva affinché vengano adottate soluzioni più efficaci e si schiera dalla parte di coloro che già si applicano con molta dedizione a questo nobile scopo.

Il presente documento cerca di analizzare e di descrivere le cause e le conseguenze del fenomeno della fame nel mondo in maniera globale e non esaustiva. La riflessione è illuminata soprattutto dal Vangelo e dall'insegnamento sociale della Chiesa e non persegue un obiettivo di portata congiunturale; perciò l'attenzione non si focalizza sulle statistiche riguardanti la situazione attuale, né sugli individui a rischio di morire di fame, sulle percentuali dei denutriti, o ancora sulle regioni più minacciate e le misure economiche da prevedere. Ispirato dalla missione pastorale della Chiesa, questo documento vuole essere un appello pressante ai suoi membri e all'intera umanità, in quanto la Chiesa « "è esperta in umanità": ciò la spinge ad estendere necessariamente la sua missione religiosa ai diversi campi, in cui uomini e donne dispiegano la loro attività in cerca della felicità, pur sempre relativa, che è possibile in questo mondo ».10 Oggigiorno la Chiesa si fa eco di questo appello provocatorio che Dio rivolge a Caino, quando gli chiede conto della vita di suo fratello Abele: « Che hai fatto! La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!... » (Gen 4, 10). Questo versetto duro, quasi insopportabile, riferito alla situazione dei nostri contemporanei che muoiono di fame, non è una esagerazione ingiusta o aggressiva; queste parole indicano una priorità e vogliono giungere alle nostre coscienze.

E un'illusione attendersi soluzioni preconfezionate: ci troviamo in presenza di un fenomeno legato alle scelte economiche dei dirigenti, dei responsabili, ma anche dei produttori e dei consumatori e che si radica profondamente nel nostro stile di vita. Tuttavia, questo appello impegna ciascuno, nella rinnovata speranza di giungere ad un miglioramento decisivo, tramite rapporti umani vieppiù solidali.

3. Questo documento si rivolge ai cattolici di tutto il mondo, ai responsabili nazionali ed internazionali con competenza e responsabilità in questo settore, ma vuole anche giungere a tutte le organizzazioni umanitarie, come pure a tutti gli uomini di buona volontà. Auspica di riuscire ad incoraggiare singolarmente le migliaia di persone di qualsiasi condizione e professione, che s'impegnano quotidianamente affinché tutti i popoli ottengano « lo stesso diritto ad assidersi alla mensa del banchetto comune ».11

I
LE REALTÀ DELLA FAME

La sfida della fame

4. Il pianeta è in grado di offrire a ciascuno la relativa razione alimentare.12

Per raccogliere la sfida della fame, è necessario in primo luogo considerarne i numerosi aspetti e le effettive cause. Non tutte le realtà della fame e della denutrizione sono note con precisione, anche se diverse ne sono le cause importanti che sono state identificate. Intendiamo delineare in primo luogo i motivi della nostra impostazione per soffermarci in seguito sulle cause principali di questo flagello.

Uno scandalo durato troppo a lungo: la fame distrugge la vita

5. Non bisogna confondere la fame con la malnutrizione. La fame minaccia non solo la vita degli individui, ma anche la loro dignità. Una grave e prolungata carenza di cibo provoca la prostrazione dell'organismo, l'apatia, la perdita del senso sociale, l'indifferenza e a volte suscita la crudeltà nei confronti dei più deboli, specie fanciulli ed anziani. Interi gruppi vengono allora condannati a morire nel deperimento. Purtroppo, nel corso della storia questa tragedia si ripete, ma la coscienza moderna avverte più di prima quale scandalo costituisca la fame.

Fino al XIX secolo, le carestie che decimavano popolazioni intere erano dovute il più delle volte a cause naturali. Oggigiorno, le carestie sono più circoscritte e provocate quasi sempre dall'azione dell'uomo. E sufficiente far riferimento ad alcune regioni o ad alcuni paesi per convincersene: Etiopia, Cambogia, ex-Jugoslavia, Rwanda, Haiti. In un'epoca in cui l'uomo, meglio che in passato, ha la possibilità di far fronte alle carestie, tali situazioni costituiscono un vero disonore per l'umanità.

La malnutrizione compromette il presente ed il futuro di un popolo

6. I grandi sforzi dispiegati hanno dato i loro frutti, tuttavia bisogna ammettere che la malnutrizione è più diffusa della fame ed assume forme molto diverse. Si può essere malnutriti senza avere fame. Ciò non toglie che l'organismo perda ugualmente le sue potenzialità fisiche, intellettuali e sociali.13 La malnutrizione può essere qualitativa, a seguito di regimi alimentari mal equilibrati (per eccesso o per difetto). Spesso è contemporaneamente anche quantitativa e si acuisce in periodi di scarsezza di viveri. Nel qual caso viene indicata come denutrizione o sotto alimentazione.14 La denutrizione aumenta la diffusione e le conseguenze di alcune malattie infettive ed endemiche e accresce il tasso di mortalità, specie nei bambini al di sotto dei cinque anni.

Le principali vittime: le popolazioni più vulnerabili

7. I poveri sono le prime vittime della malnutrizione e della fame nel mondo. Essere poveri significa quasi sempre: essere più facilmente vittime dei tanti pericoli che minacciano la sopravvivenza ed essere più facilmente soggetti alle malattie fisiche. Dagli anni 80 questo fenomeno è in crescita e minaccia un numero sempre maggiore di persone nella stragrande maggioranza dei paesi. Nell'ambito di una popolazione povera, le prime vittime sono sempre gli individui più fragili: bambini, donne incinte o che allattano, malati ed anziani. Da segnalare anche altri gruppi umani ad elevatissimo rischio di deficienza nutrizionale: i rifugiati o i profughi, le vittime di avvenimenti politici.

Ma l'apice dell'indigenza alimentare lo si riscontra nei quarantadue paesi meno sviluppati (PMS) di cui ventotto nella sola Africa:15 « Circa 780 milioni di abitanti dei paesi in via di sviluppo — pari al 20% della loro popolazione — continuano a non avere i mezzi sufficienti per procurarsi ogni giorno la razione alimentare indispensabile al loro benessere nutrizionale ».16

La fame genera la fame

8. Non è raro che nei paesi in via di sviluppo le popolazioni che traggono la loro sussistenza da una agricoltura a bassissimo rendimento, soffrano la fame nell'intervallo fra due raccolti. Nel caso in cui i raccolti precedenti siano già stati scarsi, potrà verificarsi una carestia con conseguente fase acuta di malnutrizione, che indebolirà gli organismi proprio nel momento in cui sarebbero necessarie tutte le forze per prepararsi al raccolto successivo. La penuria di viveri compromette il futuro: ci si nutre delle semenze, si saccheggiano le risorse naturali accelerando in tal modo l'erosione, il degrado o la desertificazione dei terreni.

Un terzo genere di situazioni, oltre quello della fame (o carestia), distinto dalla denutrizione, è dato dall'insicurezza alimentare che genera di conseguenza fame o malnutrizione. In effetti, ostacola la pianificazione e la realizzazione di lavori a lungo termine necessari a promuovere e raggiungere uno sviluppo durevole.17

Cause individuabili

9. I fattori climatici e le calamità di ogni genere, pur se rilevanti, sono lungi tuttavia dal costituire le uniche cause della fame e della malnutrizione: per ben inquadrare il problema della fame è necessario prendere in considerazione l'insieme delle sue cause, congiunturali o stabili, come pure le loro reciproche implicazioni. Ne presentiamo le principali, raggruppandole in base alle classiche categorie economiche, socio-culturali e politiche.

A) CAUSE ECONOMICHE

Le cause profonde

10. La fame deriva in primo luogo dalla povertà. La sicurezza alimentare degli individui dipende essenzialmente dal loro potere d'acquisto, e non tanto dalla disponibilità fisica di cibo.18 La fame esiste in tutti i paesi, è ricomparsa in quelli europei, dell'Ovest come dell'Est; è molto diffusa nei paesi poco sviluppati o con difficoltà di sviluppo.19

Eppure, la storia del XX secolo indica che la povertà economica non è una fatalità. Numerosi paesi sono decollati economicamente e continuano a farlo sotto i nostri occhi, altri, al contrario affondano, vittime di politiche nazionali o internazionali basate su ingannevoli premesse.

La fame è la concomitante risultanza di:

a) politiche economiche non ottimali in tutti i paesi: le cattive politiche dei paesi industrializzati si ripercuotono indirettamente, ma drasticamente, su tutti i poveri – in tutti i paesi;

b) strutture ed abitudini poco efficaci, se non con effetti apertamente devastanti sulla ricchezza dei paesi:
– a livello nazionale, in paesi con difficoltà di sviluppo, i grandi organismi, pubblici o privati, in situazione di monopolio (il che a volte è inevitabile) si sono tramutati da forza motrice in effetto frenante dello sviluppo; le ristrutturazioni avviate in numerosi paesi in questi ultimi dieci anni ne hanno dato dimostrazione;
– a livello nazionale nei paesi industrializzati, le rispettive deficienze risultano meno evidenti a livello internazionale ma, direttamente o indirettamente, sono parimenti perniciose per gli individui svantaggiati di tutto il mondo;
– a livello internazionale, le restrizioni commerciali e le incentivazioni economiche sono a volte scoordinate;

c) comportamenti moralmente disdicevoli: ricerca del denaro, potere e immagine pubblica perseguiti come unico fine, indebolimento del senso di servizio alla comunità ad esclusivo beneficio di individui o di caste, senza dimenticare la considerevole corruzione sotto le più diverse forme e di cui nessun paese può fregiarsi di esserne immune.

Tutto ciò evidenzia la contingenza di qualsiasi azione umana. Di fatto, spesso e nonostante le buone intenzioni, si sono commessi errori che hanno condotto a situazioni di precarietà. Rilevarle serve ad avviarsi verso la loro soluzione.

In effetti, lo sviluppo economico va coltivato: le istituzioni, al pari degli individui, debbono condividerne la responsabilità; il ruolo più efficace dello Stato è quello che emerge dalla dottrina sociale della Chiesa e dalle analisi delle sue encicliche sociali.

La causa profonda di uno sviluppo mancato o difficile risiede nel venir meno della volontà e della capacità di servire gratuitamente l'uomo, mediante l'uomo e a favore dell'uomo, atteggiamento che è frutto dell'amore. Tale mancanza impregna di sé questa realtà complessa, a tutti i livelli: tecnico in senso lato, strutturale, legislativo e morale; essa si manifesta nella concezione e nella realizzazione di atti le cui implicanze a livello economico possono essere grandi o piccole.

Le incompetenze, le strutture ormai incapaci di offrire servizi al miglior costo, le deviazioni morali di ciascuno e la mancanza d'amore sono le cause della fame. Qualunque mancanza in uno di questi aspetti, ovunque nel mondo, senza eccezione alcuna, ha come risultato quello di diminuire ulteriormente la razione appena sufficiente dell'affamato.

Le recenti evoluzioni economiche e finanziarie del mondo bene illustrano questi fenomeni complessi: l'aspetto tecnico e morale vi interferiscono in maniera del tutto particolare, condizionando i risultati delle economie. Si intende qui far riferimento specifico alla crisi del debito nella maggioranza dei paesi con difficoltà di sviluppo, come pure alle misure di risanamento che sono state o saranno adottate.

Il debito dei paesi con difficoltà di sviluppo

11. L'impennata unilaterale dei prezzi del greggio nel 1973 e nel 1979 ha colpito profondamente tutti i paesi non produttori, immettendo sul mercato notevoli liquidità finanziarie che il sistema bancario ha cercato di riciclare: fenomeno che ha causato un generale rallentamento dell'economia di cui sono rimasti particolarmente vittime i paesi poveri. Per svariate ragioni, durante gli anni '70 e '80, la maggioranza dei paesi ha potuto accendere prestiti consistenti a tasso variabile ed i paesi dell'America Latina e dell'Africa hanno potuto sviluppare in modo eccezionale il loro settore pubblico. Questo periodo di denaro facile è stato motivo di molteplici eccessi: progetti inutili, mal concepiti o mal realizzati, distruzione brutale delle economie tradizionali, aumento della corruzione in tutti i paesi. Alcune nazioni asiatiche hanno evitato questi errori, il che ha consentito loro uno sviluppo molto rapido.

L'impennata dei tassi di interesse — provocata dal semplice gioco di mercato non controllato e probabilmente non controllabile — ha spinto la maggioranza dei paesi dell'America Latina e dell'Africa a dover sospendere i pagamenti dei debiti, provocando di conseguenza fenomeni di fuga di valuta che, a brevissimo termine, si sono tramutati in una minaccia sia per il tessuto sociale locale — pur mediocre e fragile che fosse — sia per l'esistenza stessa del sistema bancario. E stato allora possibile quantificare la portata dei danni a tutti i livelli: economico, strutturale e morale. Come sempre, si sono cercate in prima istanza soluzioni di natura meramente tecnica ed organizzativa, le quali, pur se positive quando necessarie, debbono tuttavia accompagnarsi ad un vero mutamento dei comportamenti di ognuno, e specie di coloro che — in tutti i paesi ed a tutti i livelli — sfuggono all'enorme fardello che la povertà fa pesare sulle scelte di vita.

Con l'inizio del periodo di risanamento, i trasferimenti hanno fatto registrare un andamento negativo: blocco dei prestiti; prezzo del greggio mantenuto artificialmente ad un livello intollerabile per i paesi in via di sviluppo; riduzione del prezzo delle materie prime a seguito del rallentamento economico dovuto al prezzo elevato del petrolio e contemporaneamente alla crisi del debito; reazione troppo lenta degli organismi internazionali nel reimmettere liquidità, ad eccezione del Fondo Monetario Internazionale; etc. Durante questo periodo, il livello di vita dei paesi sovraindebitati iniziava a crollare.

Da quanto ricordato, si può ben valutare quanta saggezza, e non solo conoscenze tecniche ed economiche, la gestione del pubblico denaro richieda. L'immissione di notevoli mezzi finanziari provoca danni strutturali e personali considerevoli, invece di essere causa di un miglioramento effettivo delle condizioni dei più svantaggiati.

Ecco la conclusione che dobbiamo trarne: lo sviluppo degli uomini passa attraverso la loro capacità di altruismo, ovvero d'amore, il che è di estrema importanza a livello pratico. Per dirla in breve ed in termini realistici, l'amore non è un lusso. E una condizione di sopravvivenza per un gran numero di esseri umani.

I programmi di aggiustamento strutturale

12. La violenza dei fenomeni monetari ha indotto molti paesi ad adottare necessariamente delle misure molto energiche, nell'intento di contenere la crisi e ristabilire i grandi equilibri. Queste, per loro stessa natura, provocano a loro volta forti contrazioni del potere d'acquisto medio nella nazione.

Le difficoltà e le sofferenze provocate da queste crisi economiche sono considerevoli, anche se la loro soluzione consente in fin dei conti di ristabilire un maggiore benessere.

La crisi mette in luce i punti deboli, costitutivi o acquisiti, di un paese, ivi compresi quelli originati dagli errori commessi nel processo di sviluppo dai governi che si sono succeduti, dai loro partner o anche dalla comunità internazionale. Tali fragilità sono molteplici e alcune di esse, a volte, si evidenziano solo a posteriori, altre risalgono al processo della politica di indipendenza, in quanto ciò che costituiva la forza della potenza coloniale si è tramutato in fragilità del paese divenuto indipendente, senza che per contro potesse esservi spazio per fenomeni di compensazione. Da notare, in linea di massima, l'onere dei grandi progetti che coincidono con momenti di verità durante i quali il bisogno di solidarietà è sentito in maniera particolarmente forte in tutto il paese. Ma, in verità, il primo effetto di queste politiche di aggiustamento è quello di ridurre la spesa globale e, conseguentemente, i redditi. Agli indigenti del paese resta un'unica alternativa: o confidare nei dirigenti successivi, o tentare di sbarazzarsi di quelli in carica. Essi stessi sono spesso preda di gruppi ambiziosi in cerca di potere per ragioni ideologiche o per mera cupidigia, al di fuori di un qualsiasi processo democratico e, se necessario, appoggiandosi su forze esterne.

Una riforma economica richiede da parte della classe dirigente una grande attitudine alla decisione politica. Ecco un criterio che permette di valutare la qualità del suo intervento: non solo il successo tecnico del piano di stabilizzazione, ma anche la capacità di mantenere il consenso della maggioranza della popolazione, compresi i più svantaggiati. La classe dirigente deve saper convincere le altre fasce sociali a farsi carico effettivamente di una parte degli oneri. Si tratta in particolare di quella cerchia ristretta di persone con un reddito di livello internazionale, ma anche di funzionari ed impiegati dello Stato che fino a quel momento godevano nel paese di una situazione alquanto invidiabile e che rischiano di ritrovarsi dall'oggi all'indomani con mezzi pesantemente decurtati o addirittura totalmente azzerati. Questo è il momento in cui rientra in gioco la solidarietà tradizionale, in quanto i poveri sono sempre disposti a sostenere quel membro della famiglia che ricade nella situazione di precarietà dalla quale lo si credeva uscito.

Solo progressivamente i responsabili nazionali ed internazionali si sono preoccupati di proteggere i più poveri nel corso di queste operazioni di risanamento economico. Ci sono voluti molti anni prima che il concetto di operazioni concomitanti, indirizzate alle popolazioni più esposte, acquistasse un certo spessore. D'altronde, in queste circostanze, come pure in situazioni di emergenza, si rischia sempre di tirare il freno troppo tardi e troppo bruscamente, con contraccolpi che possono aumentare considerevolmente le sofferenze di coloro che si trovano all'ultimo anello della catena.

In Africa e in America Latina20 sono stati avviati dei progetti ad ampio raggio che prevedevano:
– programmi di aggiustamento strutturale con l'adozione di severe misure macro-economiche,
– l'apertura di nuove importanti linee di credito,
– una profonda riforma strutturale delle inefficienze locali. Queste sono in parte conseguenza dei monopoli statali, che consumano una importante porzione del reddito nazionale senza rendere un servizio di qualità sufficiente a beneficio di tutti. In molti di questi paesi, tutti i servizi pubblici ne hanno risentito e, al pari della zizzania che si mescola spesso al grano, alcuni settori competitivi ne sono risultati penalizzati.21

Alcuni governi, spesso poco riconosciuti sulla scena internazionale, sono stati ammirevoli: hanno avuto il coraggio politico di applicare le misure inevitabili pur tenendo contemporaneamente in debito conto i pareri e le pressioni esterne; si sono sforzati, offrendone l'esempio, di far aumentare nei loro paesi il livello di cooperazione e di solidarietà e di evitarne i contraccolpi. Ciò porta a constatare che l'influenza dell'esempio del responsabile al vertice include non soltanto la sua competenza e le sue qualità di comando ma anche la sua capacità di saper limitare l'ingiustizia sociale, sempre presente in queste situazioni.

I paesi industrializzati debbono seriamente porsi il seguente problema: il loro atteggiamento e anche la loro preferenza nei confronti di paesi con difficoltà di sviluppo si fonda sulle qualità dei responsabili politici in ambito sociale, tecnico e politico, o il loro appoggio si basa su altri criteri?

B) LE CAUSE SOCIO-CULTURALI

Le realtà sociali

13. Si è constatato che alcuni fattori socio-culturali accrescono i rischi di carestia e di malnutrizione cronica. I tabù alimentari, lo status sociale e familiare della donna, la sua effettiva influenza in seno alla famiglia, la mancanza di formazione delle madri alle tecniche dell'alimentazione, l'analfabetismo generalizzato, la precarietà del posto di lavoro o la disoccupazione, sono altrettanti fattori che possono sommarsi e portare alla malnutrizione come pure alla miseria. Ricordiamo che gli stessi paesi industrializzati non sono al riparo da questo flagello: questi stessi fattori portano alla malnutrizione occasionale o cronica di numerosi « nuovi poveri » che vivono gomito a gomito con coloro che nuotano nell'abbondanza e nell'eccessivo consumismo.

La demografia

14. Diecimila anni or sono, la terra contava probabilmente cinque milioni di abitanti. Nel XVII secolo, all'alba dei tempi moderni, cinquecento milioni. In seguito, il ritmo della crescita demografica è andato aumentando: un miliardo di abitanti all'inizio del XIX secolo, 1,65 all'inizio del XX, 3 miliardi nel 1960, 4 miliardi nel 1975, 5,2 nel 1990, 5,5 nel 1993, 5,6 nel 1994.22 Nel mentre, la situazione demografica è andata sviluppandosi a ritmi diversi nei paesi « ricchi » e nei paesi « in via di sviluppo ».23 Tale situazione è in corso di evoluzione: la proliferazione, va ricordato, è una reazione della natura — e di conseguenza, dell'uomo — alle minacce contro la sopravvivenza della specie.

Alcune ricerche evidenziano che, nella misura in cui diventano più ricche, le popolazioni passano da una situazione di alta natalità ed alta mortalità a quella opposta: ridotta natalità e ridotta mortalità.24 Il periodo di transizione può risultare critico per quanto attiene alle risorse alimentari; la mortalità infatti diminuisce prima della natalità. L'aumento della popolazione deve essere accompagnato da cambiamenti tecnologici, se non si vuole interrompere il ciclo regolare della produzione agricola, non fosse altro che per l'impoverimento dei terreni, la riduzione di quelli a riposo e l'assenza di rotazione agricola.

Le sue implicazioni

15. La crescita demografica rapida è causa o conseguenza del sottosviluppo? Eccezion fatta per alcuni casi estremi, la densità demografica non spiega la fame. In merito si osserva che, da una parte, è proprio nei delta dei fiumi e nelle vallate sovrappopolate dell'Asia che sono state realizzate le innovazioni agricole della « rivoluzione verde »; dall'altra, paesi poco popolati, quali lo Zaire o la Zambia, pur se in grado di nutrire una popolazione venti volte più numerosa senza dover ricorrere a massicci lavori di irrigazione, restano in realtà con difficoltà alimentari: il motivo è da ricercarsi negli squilibri imposti dagli Stati, dalla politica e dalla gestione economica e non in cause oggettive o nella povertà economica. Si sostiene attualmente che esistono maggiori possibilità di contenere un'eccessiva crescita demografica intervenendo per diminuire la povertà di massa, piuttosto che vincere la povertà limitandosi a ridurre il tasso di crescita della popolazione.25

Fin tanto che nei paesi in via di sviluppo le famiglie continueranno a ritenere che la loro produzione e la loro sicurezza, possano essere assicurate solo da una prole numerosa, la situazione demografica evolverà solo lentamente. E necessario ribadire che più generalmente sono le trasformazioni economiche e sociali26 che consentono ai genitori di accogliere il dono di un figlio. In questo ambito, l'evoluzione dipende in gran parte dal livello socio-culturale dei genitori. E necessario dunque prevedere per le coppie un'educazione alla paternità ed alla maternità responsabili, nel completo rispetto dei principi etici e morali; conviene facilitare loro l'accesso a metodi naturali di pianificazione familiare che risultino in armonia con la vera natura dell'uomo.27

C) LE CAUSE POLITICHE

L'influenza della politica

16. Il blocco dell'afflusso di derrate alimentari è stata utilizzato nel corso della storia, ieri come oggi, quale arma politica o militare. Può trattarsi di veri e propri crimini contro l'umanità.

Il XX secolo ha conosciuto numerosi casi del genere, quali, ad esempio:

a) Il blocco sistematico della fornitura di cibo ai contadini ucraini da parte di Stalin, attorno al 1930, con un bilancio di circa otto milioni di morti. Questo crimine, a lungo passato sotto silenzio o quasi, è stato confermato recentemente in occasione dell'apertura degli archivi del Cremlino.

b) I recenti assedi in Bosnia, specie quello di Sarajevo, quando il meccanismo stesso degli aiuti umanitari è stato preso in ostaggio.

c) Gli spostamenti forzati della popolazione in Etiopia, per il raggiungimento del controllo politico da parte del partito unico al governo; il bilancio è stato di centinaia di migliaia di morti a seguito della carestia provocata dalle migrazioni forzate e dall'abbandono delle culture.

d) Il blocco delle forniture alimentari in Biafra, durante gli anni '70; lo si utilizzò quale arma contro la secessione politica.

Il crollo dell'Unione Sovietica da un lato ha eliminato le cause delle guerre civili, provocate dal suo intervento diretto o dalle reazioni ad esso: rivoluzioni senza sbocco, spostamento forzato di popolazioni, disorganizzazione dell'agricoltura, lotte tribali, genocidi. Tuttavia sussistono o sono riapparse numerose situazioni in grado di generare gli stessi fenomeni. Anche se non dello stesso ordine di grandezza, esse costituiscono nondimeno un pericolo per le popolazioni: si tratta segnatamente del risorgere dei nazionalismi, favoriti da qualche Stato a regime ideologico ma anche dalle ripercussioni a livello locale delle lotte di influenza tra paesi industrializzati o ancora, in alcuni paesi, e specie in Africa, dalla lotta per il potere.

Da menzionare altresì le situazioni di embargo per ragioni politiche, quali quelli nei confronti di Cuba o dell'Iraq, i cui regimi vengono considerati una minaccia per la sicurezza internazionale e che prendono in ostaggio, per così dire, le loro popolazioni. Di fatto, sono le popolazioni stesse — oggetto di questo tipo di atti di forza — ad esserne le prime vittime. E per questo che i costi in termini umanitari di tali decisioni debbono essere presi in debita considerazione. D'altro canto, alcuni responsabili politici fanno leva sulle miserie del loro popolo, provocate dalle loro stesse macchinazioni, per costringere la comunità internazionale a ristabilire l'afflusso di rifornimenti. Si tratta ogni volta di una situazione specifica, da affrontare caso per caso, nello spirito della Dichiarazione Mondiale sulla Nutrizione, che afferma: « L'aiuto alimentare non può essere rifiutato per ragioni di obbedienza politica, di situazione geografica, di sesso, di età o di appartenenza ad un gruppo etnico, tribale o religioso ».28

Esistono ulteriori ripercussioni dell'azione politica sulla fame. A più riprese si è assistito all'esportazione gratuita delle eccedenze agricole (per esempio di grano) da parte dei paesi industrializzati produttori, verso alcuni paesi con difficoltà di sviluppo e nei quali l'alimentazione di base è costituita dal riso. Il vero obiettivo era quello di sostenere i propri prezzi interni. Queste esportazioni gratuite hanno prodotto risultati molto negativi: la popolazione è stata portata a modificare le sue abitudini alimentari, scoraggiando in tal modo i produttori locali i quali, viceversa, hanno bisogno di essere fortemente sostenuti.

La concentrazione dei mezzi

17. Le differenze di condizioni economiche all'interno dei paesi con difficoltà di sviluppo, sono più vistose di quelle esistenti nei paesi industrializzati o fra i paesi stessi. La ricchezza ed il potere sono molto concentrati nell'ambito di uno strato ristretto ma complesso della popolazione, che è a contatto con gli ambienti internazionali e in possesso del controllo dell'apparato dello Stato, esso stesso fortemente deficitario. Qualsiasi tendenza al miglioramento vi è del tutto assente mentre, a volte, si registrano nette tendenze alla regressione economica e sociale. Il divario fra il tenore di vita, non solo ingenera situazioni conflittuali, che possono condurre a violenze a catena, ma favorisce inoltre il clientelismo quale unica possibilità di realizzazione personale. Il risultato è quello di paralizzare le iniziative possibili sul piano meramente economico e, d'altro canto, quello di impoverire profondamente le motivazioni altruiste che esistono in tutte le società tradizionali. In un tale contesto, lo Stato svolge spesso un ruolo preponderante, che gli consente di favorire i settori di esportazione della produzione — il che di per sé è un bene — lasciando tuttavia uno scarso margine di profitto all'insieme delle popolazioni locali.

In altri casi, per debolezza o per ambizione politica, le autorità fissano i prezzi dei prodotti agricoli a livelli talmente bassi che i contadini finiscono per sovvenzionare gli abitanti delle città, situazione che favorisce l'esodo rurale. I mezzi di comunicazione di massa, l'elettronica e la pubblicità, contribuiscono anch'essi a questo spopolamento delle campagne. L'aiuto allo sviluppo a beneficio di questi paesi funge allora da incoraggiamento più o meno indiretto a quei governi che perseguono tali pericolose strategie e vengono in tal modo a beneficiare di questo sostegno finanziario del tutto illegittimo, in quanto le loro politiche sono nettamente contrarie al vero interesse dei loro popoli. I paesi industrializzati debbono interrogarsi se in tal senso non abbiano malauguratamente lanciato segnali negativi per tanti anni.

Le destrutturazioni economiche e sociali

18. Le destrutturazioni economiche e sociali sono la contemporanea risultanza di cattive politiche economiche e delle pressioni politiche nazionali ed internazionali (cf. nn. 11-13 e 17). Qui di seguito sono menzionate alcune delle più frequenti e delle più perniciose:

a) Le politiche nazionali che, dietro pressione delle popolazioni svantaggiate delle città, considerate come una potenziale minaccia alla stabilità politica del paese, abbassano artificialmente i prezzi agricoli, a detrimento dei produttori locali di prodotti alimentari. Tale situazione si è generalizzata in Africa nel corso del decennio 1975-85, provocando una netta diminuzione delle produzioni locali. Numerosi paesi che disponevano di un ampio potenziale agricolo, quali lo Zaire e lo Zambia, per la prima volta sono risultati importatori netti.

b) La politica della maggior parte dei paesi industrializzati, i quali proteggono ampiamente la loro agricoltura, favorendo la produzione di eccedenze, che poi esportano a prezzi inferiori a quelli del mercato interno. Diversamente i prezzi mondiali sarebbero più elevati, beneficiando così gli altri paesi esportatori. Dopo vari anni di stimolo all'incremento della produzione, che hanno portato a forti destrutturazioni nello stesso sistema agricolo, i beneficiari di un tal genere di protezione si trovano oggi, in Europa, in situazioni non giustificabili. Questa politica, sostenuta dall'opinione pubblica locale, può risultare totalmente contraria all'interesse dei consumatori di tutto il mondo, tanto dei paesi privilegiati quanto di quelli più poveri. Nei paesi protetti, infatti, sono i consumarori interni a fare le spese di tale protezione trovando sul mercato prezzi alti; mentre, nei paesi non protetti, gli agricoltori locali, che pur sono elementi essenziali per il benessere del proprio paese, vengono penalizzati da importazioni a prezzi tagliati che gravano notevolmente sui prezzi interni, accelerando la loro rovina e le migrazioni verso le città.

c) Le culture tradizionali di produzione alimentare sono spesso minacciate da uno sviluppo economico aberrante, come nel caso, ad esempio, della sostituzione delle produzioni tradizionali con una agricoltura industriale mirata sia all'esportazione (grandi derrate agricole destinate all'esportazione e tributarie dei mercati agricoli internazionali), sia alla produzione di surrogati locali (per esempio, in Brasile, produzione di canna da zucchero per l'alcool ad uso automobilistico, allo scopo di ridurre le importazioni di petrolio, con conseguente sradicamento dei contadini dalle loro terre e migrazioni in massa).

D) LA TERRA PUÒ NUTRIRE I SUOI ABITANTI

I notevoli progressi dell'umanità

19. A fronte delle macroscopiche incoerenze alle quali abbiamo accennato, fanno tuttavia riscontro progressi non meno spettacolari che hanno consentito alla popolazione mondiale di passare in trent'anni (1960-1990)29 da 3 a 5,3 miliardi. Nei paesi in via di sviluppo « la speranza di vita alla nascita è passata dai quarantasei anni nel 1960 ai sessantadue anni nel 1987. Il tasso di mortalità dei bambini al di sotto dei cinque anni si è ridotto della metà, e due terzi dei lattanti al di sotto dell'anno di età sono vaccinati contro le principali malattie dell'infanzia. Il consumo di calorie per abitante è aumentato del 20% circa fra il 1965 ed il 1985 ».30

Dal 1950 al 1980, la produzione compessiva delle derrate alimentari nel mondo è raddoppiata e « nel mondo esiste complessivamente sufficiente cibo per tutti »31. Il fatto che la fame continui nonostante ciò ad esistere, evidenzia la natura strutturale del problema: « il problema principale è costituito dalle condizioni di accesso a questo cibo che non sono eque ».32 E un errore quello di misurare il consumo alimentare effettivo delle famiglie utilizzando il solo parametro statistico della disponibilità di cereali per abitante. La fame non è un problema di disponibilità, ma di solvibilità della domanda; è un problema di miseria.

D'altro canto, è da notare che la sopravvivenza di una moltitudine di individui è assicurata tramite una economia informale che, essendo per sua stessa natura non dichiarata, è precaria e difficilmente quantificabile.

I mercati agro-alimentari

20. Sui mercati agro-alimentari mondiali vengono scambiati vari prodotti che non sempre sono quelli consumati nella maggior parte dei paesi con difficoltà di sviluppo.33 Le eccessive fluttuazioni dei prezzi, contrarie agli interessi sia dei produttori che dei consumatori, sono la risultanza di meccanismi spontanei di aggiustamenti e risultano amplificate dalle particolari caratteristiche di questi mercati. I tentativi di stabilizzazione sono risultati tutti poco soddisfacenti, se non addirittura controproducenti per gli stessi produttori. D'altro canto, un rialzo dei prezzi è reso impossibile dallo stesso funzionamento dei mercati. Il limitato numero di operatori commerciali a livello internazionale, non consente manovre sui prezzi e costituisce un ostacolo all'inserimento di nuovi soggetti, il che è sempre negativo. Lo sviluppo delle capacità di produzione dipende in maniera massiccia dalla diffusa applicazione dei progressi tecnici nella produzione (progressi nel settore della genetica e delle varie applicazioni). Da notare che la produzione media di riso in Indonesia è passata, in una sola generazione, da 4 a 15 tonnellate per ettaro, con un aumento di gran lunga superiore a quello record della popolazione. Nella maggior parte dei paesi nei quali l'agricoltura progredisce, il rendimento agricolo migliora in tale misura da consentire un aumento, anche netto, della produzione, nonostante la notevole contrazione nel numero degli addetti all'agricoltura.

L'agricoltura moderna

21. L'accusa sempre più frequentemente rivolta alle culture intensive è quella di avere un impatto negativo sull'ambiente e di mettere in pericolo le risorse naturali quali l'acqua ed i terreni, specie per l'uso sconsiderato di concimi e di prodotti fitosanitari. In primo luogo, per agricoltura intensiva si intende un rapporto più elevato fra consumi intermedi — essenzialmente di tipo industriale — e superficie agricola utilizzata. Ci troviamo in presenza di un affrancamento delle tecnologie agricole dalla terra, loro supporto naturale. Il legame di reciprocità che le univa, cede il posto ad un dualismo più temerario fra tecnologia agricola ed ambiente economico. L'agricoltura intensiva necessita generalmente di un cospicuo apporto di capitali finanziari. Ma, nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, si pratica ancora una cultura di sussistenza, basata essenzialmente sul « capitale » umano, con mezzi tecnici limitati oltre che in condizioni di difficoltà di approvvigionamento idrico. Anche se la « rivoluzione verde » ha ottenuto un discreto successo, in svariati paesi in via di sviluppo non è stata in grado di risolvere i problemi di produzione alimentare.

Indubbiamente la tecnica delle culture intensive potrà essere migliorata ulteriormente ed i danni all'ambiente potranno risultare più limitati. Tuttavia — e ciò vale anche per i paesi industrializzati — è il caso di far ricorso ad altri sistemi di produzione, in grado di garantire meglio sia la tutela delle risorse naturali che la conservazione di un'ampia distribuzione della proprietà produttiva. In tal senso, è necessario incoraggiare le associazioni agro-zootecniche, la gestione patrimoniale dell'acqua, come pure la formazione all'organizzazione cooperativistica.

II
SFIDE DI NATURA ETICA
DA AFFRONTARE INSIEME
 

La dimensione etica del fenomeno

22. Per progredire verso una soluzione del problema della fame e della malnutrizione nel mondo, è indispensabile coglierne la natura etica.

Se la causa della fame è un male morale, al di sopra ed al di là di tutte le cause fisiche, strutturali e culturali, le sfide sono della stessa natura morale. Ciò può motivare l'uomo di buona volontà che crede nei valori universali, dentro la varietà delle culture, ed in particolar modo il cristiano che vive l'esperienza del rapporto preferenziale che il Signore onnipotente vuole stabilire con ogni uomo, chiunque egli sia.

Questa sfida richiede una migliore comprensione dei fenomeni, la capacità degli uomini di rendersi reciproco servizio — il che è realizzabile con il semplice intervento delle forze economiche ben concepite — ed anche lo sradicamento di ogni genere di corruzione. Ma, ben oltre, la sfida si colloca principalmente sul piano della libertà di ogni uomo di cooperare, nella sua azione di ogni giorno, alla promozione di ogni uomo e di tutti gli uomini, ovvero di collaborare allo sviluppo del bene comune.34 Tale sviluppo implica la giustizia sociale e la destinazione universale dei beni della terra, la pratica della solidarietà e della sussidiarietà, la pace ed il rispetto dell'ambiente naturale. Questa è la direzione da prendere per ridare la speranza e per costruire un mondo più accogliente per le prossime generazioni.

Affinché sia possibile progredire in tal senso, dovrà essere favorita, promossa ed eventualmente nuovamente incoraggiata la ricerca organica del bene comune, quale necessaria componente delle motivazioni di base di tutti gli attori politici ed economici, nella loro riflessione e nel loro agire, a tutti i livelli ed in tutti i paesi.

Le motivazioni personali ed istituzionali delle persone sono necessarie al buon funzionamento della società, ivi comprese le famiglie. Ma gli uomini, ognuno per conto suo e tutti congiuntamente, debbono far propria questa conversione che consiste nel non sacrificare la ricerca del bene comune al proprio interesse strettamente personale, a quello dei loro congiunti, dei loro datori di lavoro, dei loro clan, dei loro paesi, anche se legittimi.

I principi elaborati a poco a poco dalla dottrina sociale della Chiesa costituiscono una guida preziosa per l'impegno dell'umanità contro la fame. Il perseguimento del bene comune è l'area di incontro ove convergono:
– la ricerca della massima efficacia nella gestione dei beni terreni;
– un maggior rispetto della giustizia sociale attuata mediante la destinazione universale dei beni;
– l'esercizio della solidarietà, che impedisce l'appropriazione dei mezzi finanziari da parte dei benestanti, e che consentirà ad ogni uomo di non venire escluso dal corpo sociale ed economico, nè di essere privato della sua dignità fondamentale.
– una pratica competente e permanente della sussidiarietà — che garantisce i responsabili dall'appropriarsi del potere, che, di fatto, è il potere di servire;

E dunque l'insieme dell'insegnamento sociale della Chiesa che deve impregnare più o meno coscientemente la filosofia dell'azione dei responsabili.

Tale affermazione rischia di essere accolta con scetticismo o addirittura con cinismo. L'attività di molti responsabili si svolge in un ambiente duro, a volte crudele, generatore di angosce e di una orgogliosa ricerca del potere, per mantenerlo. Costoro possono essere inclini a ritenere che le considerazioni etiche costituiscano altrettanti ostacoli. Tuttavia, la frequente esperienza quotidiana nei luoghi più diversi, dimostra che le cose stanno altrimenti: in effetti, solo uno sviluppo equilibrato e che mira al bene comune si rivelerà autentico e contribuirà — anche se a lungo termine — alla stabilità sociale. Ad ogni livello, ed in tutti i paesi, molti sono coloro che normalmente operano in maniera discreta, tenendo conto degli interessi legittimi dei loro simili.

Compito immenso dei cristiani è, ovunque, la promozione di comportamenti di tal genere: al pari di un pizzico di lievito in una pasta molto dura, vi sono chiamati dalla loro stretta adesione all'amore che il Signore ha per tutti gli uomini e che essi sperimentano nel profondo del loro essere.

Questo compito esaltante si traduce nell'offrirne l'esempio in ogni ambito, tecnico, organizzativo, morale e spirituale, aiutandosi reciprocamente a tutti i livelli di responsabilità, coinvolgendo tutti coloro che non ne sono « esclusi » dalle loro condizioni sociali.

L'amore del prossimo per raggiungere lo sviluppo

23. Questa ricerca del bene comune si può fondare esclusivamente sull'attenzione e sull'amore per gli uomini. Nelle situazioni più diverse, essi si trovano ogni giorno di fronte all'alternativa: autodistruzione personale e collettiva o amore per il prossimo. La seconda opzione manifesta la consapevolezza di una responsabilità che, per amore degli uomini, non indietreggia di fronte ai propri limiti, né di fronte all'ampiezza dei compiti da realizzare. « Come giudicherà la storia una generazione che ha tutti i mezzi per nutrire la popolazione del pianeta e che si rifiuterebbe di farlo per un accecamento fratricida? Che deserto sarebbe un mondo in cui la miseria non incontrasse l'amore che fa vivere? ».35

L'amore va oltre il semplice dono. Lo sviluppo si coltiva mediante l'azione dei più coraggiosi, dei più competenti e dei più onesti: costoro si sentono allo stesso tempo solidali con tutti gli uomini che sono condizionati in misura maggiore o minore da ciò che essi fanno o dovrebbero fare. Tale responsabilità universale e concreta è una manifestazione essenziale dell'altruismo.

La solidarietà è chiaramente un'esigenza per tutti. Fortunatamente, non è necessario attendere che la maggioranza degli uomini si converta all'amore per il prossimo, per raccogliere i frutti dell'azione di coloro che agiscono nel proprio contesto senza attendere. Vanno accolti come fondato motivo di speranza i risultati dell'azione di coloro i quali, a tutti i livelli, nella loro attività quotidiana, si comportano quali servitori di tutto l'uomo e di tutti gli uomini.

La giustizia sociale e la destinazione universale dei beni

24. Al centro della giustizia sociale si colloca il principio della destinazione universale e comune dei beni della terra. Il Papa Giovanni Paolo II così lo ha espresso: « Dio ha dato la terra a tutto il genere umano perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere nè privilegiare nessuno ».36 Questa affermazione, costante nella tradizione cristiana, non è sufficientemente ribadita, anche se essa si rivolge chiaramente all'umanità intera, a prescindere dall'appartenenza confessionale. Tale assioma costituisce di per sè un fondamento necessario per l'edificazione di una società di giustizia, di pace e di solidarietà. Infatti, generazione dopo generazione, dobbiamo considerarci come coloro che amministrano temporaneamente le risorse della terra e il sistema di produzione. A fronte delle finalità della creazione, il diritto di proprietà non è un assoluto, tanto è vero che è esercitato e riconosciuto in maniera diversa dalle diverse culture; è una delle espressioni della dignità di ciascuno, ma è giusto solo in quanto indirizzato al bene comune e se concorre alla promozione di tutti.

Le costose deviazioni dal bene comune: le « strutture di peccato »

25. Ignorare il bene comune si accompagna ad una ricerca esclusiva e a volte esasperata di beni particolari quali il denaro, il potere, la reputazione, perseguiti per se stessi come un assoluto: essi si convertono così in idoli. E in tal modo che nascono le « strutture di peccato »,37 coacervo di luoghi e di circostanze, ove le abitudini sono perverse e tali da obbligare a dar prova di eroismo qualsiasi nuovo venuto che si rifiuti di adottarle.

Le « strutture di peccato » sono molteplici: alcune sono diffuse a livello mondiale — come per esempio i meccanismi ed i comportamenti che generano la fame — altre sono su scala molto più ridotta, ma provocano dissimmetrie tali da rendere molto più difficile la pratica del bene. Queste « strutture » determinano sempre costi elevati in termini umani: sono luoghi di distruzione del bene comune.

E meno frequente constatare quanto esse siano degradanti e costose a livello economico. Se ne possono offrire esempi sconvolgenti.38 Lo sviluppo è frenato non soltanto dall'ignoranza e dall'incompetenza, ma anche, e su vasta scala, dalle molteplici « strutture di peccato » che agiscono quale contagiosa deviazione della destinazione universale dei beni della terra verso scopi particolari e sterili.

E evidente, in effetti, che l'uomo non può sottomettere la terra e dominarla in maniera efficaceadorando nel contempo falsi idoli quali il denaro, il potere e la reputazione, considerati beni a sé stanti e non strumenti per servire ogni uomo e tutti gli uomini. Cupidigia, orgoglio e vanità accecano colui che vi soccombe e che finisce per non comprendere più neppure quanto le sue percezioni siano limitate e le sue azioni autodistruttive.

La destinazione universale dei beni presuppone che denaro, potere e reputazione siano ricercati quali strumenti per:

a) costituire mezzi di produzione di beni e servizi di effettiva utilità sociale ed in grado di promuovere il bene comune;

b) condividere con i più svantaggiati che incarnano, agli occhi di tutti gli uomini di buona volontà, il bisogno di bene comune: in effetti, essi sono testimonianza vivente della carenza di tale bene. Più ancora, per i cristiani, essi sono figli amati da Dio che, tramite loro ed in loro, viene a visitarci.

L'« assolutizzazione » di queste ricchezze le spoglia, in tutto o in parte, della loro utilità per il bene comune. Il funzionamento dell'economia mondiale appare globalmente mediocre — specie in rapporto ai risultati di punta che ottengono alcuni paesi su periodi alquanto lunghi — ed estremamente costoso in termini umani (laddove funziona e laddove non funziona), in quanto è profondamente minato dal costo delle cattive abitudini, vera costrizione morale che grava sugli individui.

Invece, non appena dei gruppi di persone riescono a lavorare di comune accordo facendosi carico della collettività intera e di ogni singola persona, si registrano progressi notevoli: persone fino a quel momento poco utili, eccellono per la qualità dei loro servizi e gli esiti positivi modificano progressivamente le condizioni materiali, psicologiche e morali della vita. Si tratta in realtà degli « opposti » delle « strutture di peccato »; le si potrebbero definire « strutture del bene comune », che preparano la « civiltà dell'amore ».39 L'esperienza vissuta in queste situazioni offre una pallida idea di quello che potrebbe essere un mondo in cui gli uomini avessero più frequentemente a cuore, in tutte le loro attività e nell'esercizio di tutte le loro responsabilità, i loro interessi comuni e la sorte di ciascuno.

All'ascolto preferenziale dei poveri ed al loro servizio: la condivisione

26. Se chi è economicamente povero è testimonianza della scarsa attenzione per il bene comune, egli ha anche un messaggio particolare da darci. Sulla realtà della vita pratica ha pareri ed esperienze a lui propri, che i più fortunati non conoscono. Come afferma Papa Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica Centesimus annus: « ma soprattutto sarà necessario abbandonare la mentalità che considera i poveri — persone e popoli — come un fardello e come fastidiosi importuni, che pretendono di consumare quanto altri hanno prodotto... l'elevazione dei poveri è una grande occasione per la crescita morale, culturale ed anche economica dell'intera umanità ».40

I pareri degli indigenti — che non sono nè più nè meno esatti e completi dei pareri dei responsabili — sono tuttavia essenziali a questi ultimi, se desiderano che la loro azione a lungo termine non conduca all'autodistruzione. Avviare politiche economiche e sociali difficili e costose, senza tener conto della percezione della realtà che ha il più piccolo, rischia di portare entro un certo lasso di tempo a vicoli ciechi, che sono assai onerosi per la terra intera. E quanto è avvenuto con il debito del Terzo Mondo. Se i creditori ed i debitori avessero considerato il punto di vista dei più poveri quale uno degli elementi essenziali della realtà — dando così prova di maggiore saggezza — sarebbero stati indotti ad una maggiore prudenza, e in molti paesi, l'avventura non si sarebbe risolta così male o addirittura avrebbe volto al meglio.

Nella complessità dei problemi da risolvere, o piuttosto, nella complessità delle condizioni di vita da migliorare, questo ascolto preferenziale dei poveri consente di non cadere nella schiavitù del breve termine, nella tecnocrazia, nella burocrazia, nell'ideologia, nell'idolatria del ruolo dello Stato o del ruolo del mercato; gli uni e gli altri hanno la loro utilità essenziale, ma in quanto strumenti da non assolutizzare.

Gli organismi intermedi hanno specificamente la funzione di far intendere la voce dei poveri e di cogliere le loro percezioni, al pari delle loro necessità e dei loro desideri. Ma spesso, questi organismi sono particolarmente disarmati di fronte al loro compito. Risentono a volte della loro posizione di monopolio, che li porta a coltivare il proprio potere; altre volte di posizioni concorrenziali, dove altri cercano di utilizzare il povero come mezzo per accedere al potere. L'azione dei sindacati è dunque particolarmente necessaria e sfiora l'eroismo quando questi vogliono svolgere una funzione così essenziale, senza farsi distruggere o fagocitare.41

In tali condizioni, la condivisione diventa un'autentica collaborazione alla quale ciascuno contribuisce, offrendo a tutti ciò di cui necessita la comunità degli uomini. Il più svantaggiato svolge il suo specifico ruolo, tanto più essenziale essendo egli realmente un escluso.42 Questo paradosso non deve meravigliare il cristiano.

Il dovere di garantire a ciascuno lo stesso diritto di accesso al minimo indispensabile per vivere non è più unicamente obbligo morale di condivisione con l'indigente — cosa già notevole — ma reintegrazione nella stessa comunità che, senza di lui, tende ad inaridirsi e finanche a distruggersi. Il posto del povero non è alla periferia, in una emarginazione dalla quale si potrebbe tentare bene o male di farlo uscire. Egli deve essere posto al centro delle nostre preoccupazioni ed al centro della famiglia umana. E là che potrà svolgere l'unico ruolo unico che gli compete nella comunità.

In questa prospettiva, la giustizia sociale, che è anche giustizia commutativa, acquista pieno significato. Fondamento di tutte le azioni per la difesa dei diritti, assicura la coesione sociale, la coesistenza pacifica delle nazioni, ma anche il loro comune sviluppo.

Una società integrata

27. La concezione di una giustizia radicata nella solidarietà umana, e che a questo titolo comanda ai più forti di aiutare i più deboli, deve condurre i nostri passi ovunque la voce del povero si faccia sentire, per aprire un solo cantiere ove giustizia, pace e carità congiungano i loro sforzi.

Le società non possono validamente costituirsi sull'esclusione di alcuni dei loro membri. Ne consegue, per coerenza, ed è quindi implicito, il diritto che anche i poveri hanno di organizzarsi per meglio ottenere l'aiuto di tutti nella lotta di liberazione dalla loro miseria.

La pace, un equilibrio di diritti

28. Una pace duratura non è frutto di un equilibrio di forze ma di un equilibrio di diritti. La pace non è neppure frutto della vittoria del forte sul debole, ma, all'interno di ogni popolo e fra i popoli, frutto della vittoria della giustizia sui privilegi iniqui, della libertà sulla tirannia, della verità sulla menzogna,43 dello sviluppo sulla fame, la miseria o l'umiliazione. Per giungere ad una vera ed autentica pace, ad un'effettiva sicurezza internazionale, non è sufficiente impedire le guerre ed i conflitti; è necessario anche favorire lo sviluppo, creare condizioni in grado di garantire il pieno godimento dei diritti fondamentali dell'uomo.44 In tale contesto, democrazia e disarmo diventano due esigenze della pace, indispensabile per uno sviluppo autentico.

Il disarmo, un'urgenza da cogliere

29. I conflitti regionali sono costati circa diciassette milioni di morti in meno di mezzo secolo. « Negli anni '80, il totale mondiale delle spese militari ha raggiunto un livello senza precedenti in tempi di pace; valutate a un bilione (mille miliardi) di dollari l'anno, rappresentano all'incirca il cinque per cento del totale del reddito mondiale ».45 Di qui l'importanza e l'urgenza, per tutti i responsabili politici ed economici, di far sì che tali enormi somme stanziate per la morte, nell'emisfero settentrionale come in quello meridionale, lo siano, d'ora in poi, per la vita. Un tale atteggiamento costituirebbe il riscontro fattuale delle ragioni morali che sostengono il disarmo progressivo; in tal modo si potrebbero rendere disponibili importanti risorse finanziarie a vantaggio dei paesi in via di sviluppo, somme indispensabili al loro autentico progresso.46

Una « struttura di peccato » particolarmente radicata è costituita dall'esportazione di armi in misura superiore alle necessità legittime di autodifesa dei paesi acquirenti, oppure destinate a trafficanti internazionali, che oggi propongono su catalogo le armi più sofisticate a coloro che hanno i mezzi per acquistarle. Su questo terreno fiorisce la corruzione, ma il male è ancor più profondo. Si devono lodare quei governi che, subentrati a regimi che avevano impegnato i loro paesi nell'acquisto di armi in quantità di gran lunga superiore ai loro bisogni, hanno avuto il coraggio di denunciare questi contratti, rischiando in tal modo di alienarsi la benevolenza dei paesi esportatori.

Rispetto dell'ambiente

30. La natura ci sta dando una lezione di solidarietà che rischiamo di dimenticare. Nella catena stessa della produzione alimentare, tutti gli uomini si scoprono elementi attivi o passivi di un ecosistema. Un nuovo campo di responsabilità si apre alle coscienze.

Non si può voler contemporaneamente nutrire un maggior numero di persone ed indebolire l'agricoltura. Tuttavia, l'agricoltura risulta tanto più inquinante (ricorso massiccio a concimi, pesticidi e macchinari) quanto più diffusa diventa l'industrializzazione, senza che purtroppo a ciò faccia riscontro una corretta lavorazione. Assieme ad altri elementi necessari alla vita, aria e acqua, terreni e foreste sono minacciati dall'inquinamento, dal consumo eccessivo, dalla desertificazione provocata dall'uomo e dal disboscamento. In cinquant'anni, metà delle foreste tropicali sono state rase al suolo, il più delle volte per ricavarne terreni, o per politiche cieche di sfruttamento accelerato, volto a riequilibrare l'onere del debito. Nelle regioni più povere, la desertificazione è provocata da pratiche di sopravvivenza che aumentano la povertà: pastorizia eccessiva, taglio di alberi ed arbusti per la cottura degli alimenti e per il riscaldamento.47

Ecologia e sviluppo equo

31. Una gestione ecologicamente sana del pianeta è urgente. Limitandosi al solo aspetto della produzione agroalimentare — già notevole — si evidenziano due elementi. In primo luogo, il suo costo andrà integrato nell'attività economica:48 qui bisogna domandarsi se sono sempre i poveri a doverne sopportare l'onere a scapito della loro alimentazione. In secondo luogo, la preoccupazione di comprendere meglio l'equilibrio fra ecologia ed economia fa maturare l'idea attuale di sviluppo duraturo. Ma questo obiettivo non deve offuscare la necessità di promuovere, con ancor maggior vigore, uno sviluppo equo. In ultima analisi, lo sviluppo non può essere duraturo se non nella misura in cui è equo. Altrimenti, è probabile che alle distorsioni attuali se ne aggiungano di nuove.

Cogliere insieme la sfida

32. Fame e malnutrizione richiedono azioni specifiche che non possono essere dissociate da un impegno rinnovato per lo sviluppo integrale della persona e dei popoli. Di fronte all'ampiezza di questo fenomeno, la Chiesa Cattolica deve sempre più contribuire a migliorare tale situazione. Fa dunque appello alla partecipazione di tutti, alla concertazione ed alla perseveranza.

Molti, fortunatamente, sono gli sforzi già messi in atto per vincere la fame da parte di singole persone, delle Organizzazioni non governative, dei poteri pubblici e delle Organizzazioni internazionali. Basti ricordare soltanto la Campagna mondiale contro la fame ed altre iniziative, alle quali i cristiani partecipano volentieri.

Riconoscere il contributo dei poveri alla democrazia

33. Il dinamismo dei poveri è poco conosciuto. Per invertire questa tendenza è necessario modificare vari atteggiamenti e prassi, economiche, sociali, culturali e politiche. Quando i poveri sono tenuti in disparte dall'elaborazione di quei progetti che li riguardano, la storia dimostra che, in linea di principio, non ne traggono beneficio. La solidarietà della comunità umana è tutta da costruire. Non si imparerà a condividere il pane quotidiano, se non favorendo un riorientamento delle coscienze e delle azioni dell'intera società.49 Sono questi gli atteggiamenti che conducono ad una vera democrazia.

La democrazia è generalmente considerata elemento essenziale per lo sviluppo umano, in quanto consente una partecipazione responsabile alla gestione della società; d'altra parte, i due elementi vanno di pari passo, e la fragilità dell'una può compromettere l'altro. Se il principio d'uguaglianza soccombe di fronte ai rapporti di forza, il ruolo dei poveri nella società sarà ridotto a quello della mera sopravvivenza. Una democrazia si giudica dalla sua capacità di coniugare libertà e solidarietà, prendendo così radicalmente le distanze dal liberalismo assoluto o da altre dottrine, che negano il senso della libertà o che costituiscono ostacolo alla vera solidarietà.50

Le iniziative comunitarie

34. Di fronte alla miseria, ovunque un numero crescente di individui e di gruppi scelgono di partecipare ad azioni comunitarie. Tali iniziative vanno fortemente incoraggiate. Attualmente, un numero sempre maggiore di paesi appoggia la partecipazione popolare, ma alcune realtà operano tentando ancora, con conseguenze a volte molto pesanti, di ridurre al silenzio tali iniziative che, se li disturbano, rappresentano tuttavia le basi indispensabili per un effettivo sviluppo.

Alcune Organizzazioni non governative (ONG) per lo sviluppo, create a partire da iniziative locali, hanno favorito la formazione di una nuova società civile a base popolare in molti paesi in via di sviluppo, organizzando mezzi di concertazione e di sostegno molto diversificati. Grazie ai dinamismi popolari che in tal modo si sono aperti la strada, numerosi individui fra i più indigenti, possono finalmente uscire dalla loro miseria e migliorare la loro condizione di fronte alla fame e alla malnutrizione.

Nel corso degli ultimi anni, alcune Associazioni Internazionali Cattoliche e nuove comunità ecclesiali hanno avviato varie iniziative in campo socio-economico. Per combattere la fame e la miseria, si ispirano alle corporazioni medioevali e specie alle unioni cooperative del XIX secolo, nelle quali promotori del bene comune fondavano delle istituzioni secondo lo spirito evangelico o trovando supporto nella solidarietà sociale. Il primo a sottolineare la necessità di organizzarsi per la promozione sociale fu il quacchero P. C. Plockboy (, 1695). Altri pionieri del passato più conosciuti sono: Félicité Robert de Lamennais (1782-1854), Adolf Kolping (, 1856), Robert Owen (1771-1858), il barone Wilhelm Emmanuel von Ketteler (1811-1877), mentre oggigiorno sorgono associazioni che mirano al bene comune della società e intendono arginare l'egoismo, l'orgoglio e l'avidità che spesso costituiscono le leggi della vita collettiva. Le esperienze maturate nel corso di tutta la storia ed i risultati di queste nuove iniziative danno adito a sperare di trarne i frutti in futuro.51

L'accesso al credito

35. « Uno dei grandi risultati delle ONG è stato quello di garantire ai poveri l'accesso al credito ».52 Questo accesso al credito da parte di gruppi popolari è divenuto una pratica d'avanguardia, in grado di far progredire un'economia di sussistenza informale fino a costituire un reale tessuto economico di base. Forse, si è ancora lontani dall'innalzare in maniera significativa il livello del Prodotto Interno Lordo (PIL), ma l'importanza del fenomeno risiede anche nel suo significato intrinseco e nella strada che apre. Sostenendo le iniziative comunitarie, dando fiducia ai partners locali, si evita il persistere di schemi assistenziali e si gettano lentamente le basi di uno sviluppo integrale.53

Il ruolo fondamentale delle donne

36. Nella lotta contro la fame e in favore dello sviluppo, il ruolo della donna è, di fatto, fondamentale, pur se spesso non ancora sufficientemente riconosciuto ed apprezzato. E opportuno sottolineare il ruolo primario della donna nella sopravvivenza di intere popolazioni, specie in Africa. Sono spesso le donne che producono il necessario per l'alimentazione delle famiglie. Specie nei paesi in via di sviluppo, ad esse spetta di dare alla loro famiglia un'alimentazione sana ed equilibrata, ma diventano le prime vittime di decisioni adottate a loro insaputa, quali l'abbandono delle culture orticole e dei mercati locali di cui, tuttavia, esse sono i principali operatori. Tale approccio non rispetta le donne e nuoce allo sviluppo; in simili condizioni, il passaggio all'economia di mercato e l'introduzione delle tecnologie possono peggiorare — nonostante le migliori intenzioni — le condizioni di lavoro delle donne.

La malnutrizione colpisce le donne in maniera particolare: sono loro le prime a risentirne, ed il loro stato si ripercuote poi sulle loro maternità, incidendo sul futuro sanitario e scolastico dei figli.

Ma lo scopo di questa lotta deve inseririsi in un contesto più ambizioso: mirare a migliorare nei paesi poveri lo status sociale delle donne, offrendo loro un miglior accesso alle cure sanitarie, alla formazione ed anche al credito. In tal modo, le donne potranno collaborare al meglio all'aumento della produzione, alla realizzazione dello sviluppo, all'evoluzione economica e politica dei loro paesi.54

Ma questo progresso deve aver cura di conservare i ruoli dell'uomo e della donna, senza scavare un solco fra di loro, evitando di femminilizzare gli uomini o di virilizzare le donne.55 L'auspicabile evoluzione della condizione della donna non deve far perdere di vista, tuttavia, l'attenzione che essa deve dare alla vita che nasce e che sboccia. Alcuni paesi in fase di sviluppo ne offrono l'esempio, arginando quelle eccessive modifiche della sensibilità femminile che si verificano attualmente in Occidente, senza con ciò paralizzare la donna nel suo ruolo tradizionale. In effetti, non bisogna ripetere in questo ambito gli errori commessi penalizzando le strutture tradizionali a vantaggio dei modelli occidentali, particolarmente inadatti alle situazioni locali ed adottati senza i necessari adeguamenti.

Integrità e senso sociale

37. E imperativo motivare tutti gli attori sociali ed economici a favorire politiche di sviluppo che abbiano per obiettivo quello di assicurare a tutti gli uomini pari opportunità di vivere dignitosamente e questo con il concorso degli sforzi e dei sacrifici necessari. Ciò risulterà però impossibile se i responsabili non dimostreranno indiscutibilmente la loro integrità e il loro senso del bene comune. I fenomeni di fughe di capitali, di spreco o di appropriazione delle risorse a vantaggio di una minoranza familiare, sociale, etnica o politica, sono diffusi e di pubblico dominio. Tali deviazioni vengono denunciate di sovente, senza che per questo gli autori siano di fatto sollecitati a porre fine a queste attività — a volte di notevole entità — che ledono gli interessi dei poveri.56

E specialmente la corruzione57 che spesso ostacola le riforme necessarie al perseguimento del bene comune e della giustizia, le quali vanno di pari passo. La corruzione, dalle molteplici cause, costituisce in primo luogo un gravissimo abuso della fiducia che la società accorda ad un individuo, a cui viene affidato il mandato di rappresentarla ed il quale, invece,approfitta di tale potere per trarne vantaggi personali. La corruzione è uno dei meccanismi costitutivi di numerose « strutture di peccato » ed il suo costo per il pianeta è di gran lunga superiore all'ammontare complessivo delle somme sottratte.

III
VERSO UN'ECONOMIA PIU' SOLIDALE

Per meglio servire l'uomo e tutti gli uomini

38. La crescita della ricchezza è necessaria allo sviluppo, ma le grandi riforme macro-economiche — che comportano sempre una limitazione dei redditi — possono fallire, se le riforme strutturali non vengono avviate con l'energia ed il coraggio politico necessari, specie per quanto attiene al settore pubblico: riforma del ruolo dello stato, eliminazione degli ostacoli politici e sociali. In questo caso, causano inutili sofferenze ed accelerano una ricaduta. Queste grandi riforme, a volte eccessivamente brutali, sono sempre accompagnate da aiuti provenienti dalla comunità internazionale che fa pressione sul potere politico, spesso dietro sua richiesta, per porre il paese di fronte alle sue scelte ed aiutarlo ad adottare delle decisioni, che i paesi industrializzati non hanno più avuto motivo di adottare dagli anni della ricostruzione, dopo la seconda guerra mondiale.

Per le istituzioni internazionali è doveroso includere nei piani elaborati dai governi, ascoltatone il parere, delle disposizioni mirate ad alleviare la sofferenza di coloro che verranno maggiormente colpiti da tali misure necessarie. Sta a loro nutrire fiducia nei confronti dei dirigenti del paese, cosicché questo realmente benefici, in quel determinato momento, degli aiuti finanziari pubblici e privati. Le istituzioni internazionali debbono anche far pressione sul governo affinché tutte le categorie sociali possano partecipare allo sforzo comune. Diversamente, questo non sarà in grado di percorrere la strada, se pur appena abbozzata, del bene comune e della giustizia sociale, così difficile da salvaguardare in tali circostanze.

Per raggiungere tale obiettivo, il personale degli organismi internazionali deve dar prova non solo di rigore tecnico — cui, fortunatamente, è solito — ma deve anche dimostrare di avere a cuore gli interessi dei singoli individui, il che non può essere inculcato tramite disposizioni burocratiche o ricorrendo ad una formazione di natura puramente economica. E in queste situazioni che l'ascolto preferenziale del povero deve farsi particolarmente attento: si debbono prevedere disposizioni precise, di comune accordo con le ONG e le Associazioni cattoliche che sono a contatto e contemporaneamente al servizio dei più deboli. Non si insisterà mai troppo su questo punto: esso è essenziale e i responsabili nazionali ed internazionali possono facilmente trascurarlo, in quanto il lavoro tecnico presenta di per sé considerevoli difficoltà.

In linea di massima, tutti gli organismi nazionali ed internazionali, in rapporto permanente con i singoli paesi con difficoltà di sviluppo, debbono aprire canali di comunicazione personali ed ufficiosi fra coloro che operano sul campo, al servizio delle popolazioni, ed il personale tecnico che mette a punto i programmi di riforma. Ma per non scivolare nell'economicismo e nell'ideologia, ciò deve realizzarsi nella reciproca fiducia tra coloro che condividono il servizio agli uomini ed a ciascun uomo.

Far convergere l'azione di tutti

39. I paesi più ricchi hanno una responsabilità di primo piano nella riforma dell'economia mondiale.

In questi ultimi tempi hanno privilegiato i rapporti con i paesi che registrano un certo decollo economico — quelli effettivamente in via di sviluppo — ed anche con i paesi dell'Est europeo, la cui evoluzione può costituire una minaccia geograficamente vicina.

Sul loro stesso territorio, i paesi ricchi non mancano di indigenti e di difficoltà nell'attuazione delle necessarie riforme. Esiste allora la tentazione di far slittare in secondo piano il problema dei poveri dei paesi con difficoltà di sviluppo. « Non spetta a noi farci carico della miseria del mondo » è la fase che riecheggia spesso nei paesi globalmente ricchi.

Un simile atteggiamento, se si confermasse, sarebbe sia indegno che miope. Ogni persona, ovunque si trovi, specie se dispone di mezzi economici e di autorità politica, deve aprirsi all'ascolto della miseria dei più derelitti, per tenere conto nelle proprie decisioni e nelle proprie azioni degli interessi di costoro. Questo appello si rivolge a tutti coloro che debbono prendere delle decisioni concernenti i paesi in via di sviluppo.

Ma esso si rivolge anche a tutti coloro i quali, sia nell'ambito dei diversi paesi, sia a livello internazionale, bloccano di fatto le possibilità di agire in favore del bene comune, per proteggere interessi che di per sé possono essere del tutto legittimi. La protezione di un diritto acquisito in un determinato paese, può comportare il persistere della fame in una qualche parte del mondo, senza che si possa cogliere un nesso preciso di causalità, nè identificarne le vittime; diventa facile, allora, negarne l'esistenza. Altri atteggiamenti conservatori, ad altri livelli ed in altri luoghi, possono entrare in gioco e contribuire alle stesse situazioni di stallo.

La riforma del commercio internazionale è in via di realizzazione e allo stesso tempo sempre auspicata. Di fatto, coinvolge soprattutto i poveri dei paesi ricchi. Di qui la capitale importanza che queste priorità non facciano dimenticare la situazione degli indigenti dei paesi poveri, che sono pressoché senza voce a livello internazionale. Costoro debbono ritornare al centro delle preoccupazioni internazionali, congiuntamente alle altre priorità. E lodevole il fatto che, recentemente, la Banca Mondiale abbia dato preminenza allo « sradicamento della miseria ».

I responsabili dei paesi in via di sviluppo non debbono, a loro volta, confidare su un'ipotetica riforma internazionale prima di dedicarsi alle riforme interne ai loro paesi, spesso palesemente necessarie per favorire un certo decollo economico. Questo decollo non dipende da misure particolari ma, da una coraggiosa e costante applicazione di semplici regole che consentano, a chi ne è in grado, di avviare iniziative valide, conservandone parte dei frutti; e d'altra parte impediscano, a coloro che ne sono incapaci, di prelevare dalle risorse nazionali un compenso non correlato al loro apporto. I popoli debbono « sentirsi i principali artefici ed i primi responsabili del loro progresso economico e sociale ».58 Come già precedentemente menzionato, spetta ai governi e alle istituzioni in rapporto con i paesi in via di sviluppo, manifestare chiaramente la loro preferenza in favore di atteggiamenti responsabili e coraggiosi al servizio delle comunità nazionali.

La volontà politica dei paesi industrializzati

40. I poteri pubblici dei paesi globalmente ricchi, debbono intervenire sull'opinione pubblica per sensibilizzarla alla situazione dei poveri, siano essi vicini o lontani. Spetta a loro, parimenti, sostenere vigorosamente l'azione delle istituzioni internazionali che si occupano di queste sofferenze, per aiutarle ad intraprendere iniziative immediate e durature in grado di arginare la fame nel mondo. E quanto la Chiesa, da parte sua, chiede con grande tenacia da oltre cento anni nei confronti di tutti e contro tutti: essa chiede che i diritti dei più deboli siano protetti, tra l'altro, tramite interventi delle pubbliche autorità.59

Per sensibilizzare e mobilitare la comunità internazionale, specie per quanto attiene alla dimensione etica delle problematiche in questione, si possono trovare riferimenti energici e precisi in numerosi testi elaborati, per esempio, dal Consiglio Economico e Sociale (precisamente dalla sua Commissione dei diritti dell'uomo) o dall'UNICEF. Limitandosi a menzionare i lavori della FAO, ben nota in proposito, la convergenza già evocata fra l'insegnamento della Chiesa e gli sforzi di crescente mobilitazione intrapresi dalla comunità internazionale, affiora in tutta la sua evidenza, in un certo numero di strumenti quali la « Charte des Paysans » (carta dei lavoratori agricoli) contenuta nella Dichiarazione mondiale sulla riforma agraria e lo sviluppo rurale (1979),60 il Patto mondiale sulla sicurezza alimentare,61 la Dichiarazione mondiale sulla nutrizione ed il Programma di azione adottato dalla Conferenza Internazionale sull'Alimentazione (1992),62 senza dimenticare diversi codici di condotta o impegni internazionali — politicamente o moralmente vincolanti — sui pesticidi, sulle risorse fitogenetiche, ecc. E importante far notare che questo punto di vista etico è stato recentemente fatto proprio dalla Banca Mondiale.63

Lo sviluppo umano non potrà essere il risultato di meccanismi economici che funzionano in modo automatico, e che basta favorire. L'economia diventerà più umana grazie ad un insieme di riforme a tutto campo, tutte ispirate dal miglior servizio del vero bene comune, ovvero da una visione etica fondata sul valore infinito di ogni uomo e di tutti gli uomini; da una economia che si lascia ispirare dalla « necessità di costruire i rapporti fra i popoli su uno scambio costante di doni, su una effettiva « cultura oblativa », in virtù della quale ogni paese sarebbe aperto ai bisogni dei meno avvantaggiati ».64

Stabilire equamente le condizioni di scambio

41. Il funzionamento dei mercati, per favorire lo sviluppo, necessita tuttavia di una saggia regolamentazione. Il mercato ha sue proprie leggi che oltrepassano la capacità di decisione dei suoi partecipanti, per quanto costoro siano sufficientemente numerosi e sufficientemente indipendenti gli uni dagli altri; è quanto avviene sui mercati delle materie prime minerali, nonostante i considerevoli sforzi compiuti sia dai governi — ivi compresi alcuni organismi internazionali, in particolare dall'UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo) — sia da imprese del settore privato. Non risulta possibile, in nome di ragioni politiche o umanitarie, affrancarsi dal livello dei prezzi risultante dal cieco funzionamento dei mercati. Tuttavia, ci si deve assicurare che questi non siano oggetto di tentativi di manipolazione.

D'altronde, è compito dei paesi importatori non conservare o non erigere nuove barriere, che frenino l'eventuale ingresso di beni provenienti da quei paesi in cui una parte importante della popolazione ha fame; i paesi importatori debbono far sì che i benefici locali di tali operazioni commerciali, vadano soprattutto a vantaggio dei più indigenti. E un problema molto delicato che richiede un atteggiamento coraggioso e preciso.

Superare il problema del debito

42. Come già precedentemente riferito, a partire dal 1985, la questione del debito è stata gestita dalla comunità internazionale; la sua prima preoccupazione è di evitare lo sgretolamento del sistema finanziario che collega fra loro tutte le istituzioni finanziarie di tutti i paesi. Questo sistema ha consentito, nelle diverse nazioni e nel corso delle varie crisi, il consolidamento dei crediti, con il risultato di mettere sullo stesso piano tutti i creditori di uno stesso paese. Ciò non è conforme nè al diritto nè alla giustizia sociale. Per contro, coloro che hanno concesso prestiti, sono stati indotti a rinunciare ad una parte — variabile a seconda di ciascuno — dei propri crediti. E necessaria molta equità e molta vigilanza per evitare che i paesi più coraggiosi e più efficienti in materia di riforme vengano penalizzati rispetto ad altri.

E evidente che il debito deve ancora diminuire in misura notevole ma, pur dimenticando le circostanze che lo hanno provocato, è giusto che tale contrazione debba accompagnarsi, in tutti i paesi, a riforme in grado di evitare che si ricada in irregolarità quali: spesa pubblica eccessiva, spesa pubblica non mirata, sviluppo privato locale senza riscontro economico, eccessiva concorrenza tra paesi erogatori di prestiti e paesi esportatori, il che favorisce vendite inutili o addirittura dannose. In ogni caso va riconosciuto che un miglioramento delle condizioni dei paesi con difficoltà di sviluppo, non sarà possibile senza una maggiore stabilità del quadro sociale e politico-istituzionale.

Aumentare l'aiuto pubblico a favore dello sviluppo

43. Per il secondo decennio di sviluppo, il progetto dell'UNCTAD prevedeva che l'aiuto ai paesi in via di sviluppo raggiungesse lo 0,7% del PIL dei paesi industrializzati. Tale obbiettivo, raggiunto solo da alcuni paesi,65 è stato recentemente rivisto al Vertice di Copenaghen.66 In media l'aiuto ai paesi in via di sviluppo si attesta attualmente sullo 0,33% del PIL, ovvero a meno della metà dell'obiettivo prefissato!

Il fatto che alcuni paesi riescano a raggiungere tale obiettivo ed altri no, evidenzia come la solidarietà sia frutto della determinazione dei popoli e degli Stati, e non il risultato di automatismi tecnici. E raccomandabile, inoltre, serbare una quota maggiore di questo aiuto al finanziamento di quei progetti che vengono elaborati con la partecipazione degli stessi poveri. Poiché in democrazia i responsabili politici dipendono dalla loro opinione pubblica, si dovrà sostenere uno sforzo di ampio respiro affinché l'opinione pubblica acquisti più chiara coscienza dell'importanza di questo bilancio di aiuti per lo sviluppo. « Noi tutti siamo solidarmente responsabili delle popolazioni sottoalimentate (...) occorre educare la coscienza al senso di responsabilità che incombe a tutti e a ciascuno, specie ai più favoriti ».67

L'aiuto pubblico pone numerosi problemi di natura etica, sia ai paesi donatori che a quelli destinatari. Ovunque, la moralizzazione dei circuiti di nuova liquidità costituisce un problema difficile, e la mancanza di etica può risultare a vantaggio di gruppi di interesse più o meno ufficiali, negli stessi paesi esportatori. Si « congelano » in tal modo situazioni di potere assimilabili alle « strutture di peccato », che favoriscono ovunque il clientelismo.

Si tratta di potenti meccanismi inibitori delle vere riforme e dello sviluppo del bene comune, che possono causare conseguenze nefaste quali, per esempio, disordini locali e lotte inter-tribali specialmente nei paesi più fragili in tal senso.

La lotta contro queste « strutture di peccato » è portatrice di grande speranza per i paesi più svantaggiati.

Ripensare l'aiuto

44. Spetta ai paesi industrializzati non soltanto aumentare i loro aiuti ai paesi in via di sviluppo, ma anche ripensare la maniera in cui tali aiuti vengono distribuiti. Gli « aiuti vincolati » sono da criticare se concepiti in funzione del paese erogatore o donatore, e se abbinati a condizioni che vincolano il paese ricevente tramite, ad esempio, l'acquisto di beni prodotti nel paese donatore, l'impiego di mano d'opera specializzata straniera, a svantaggio della mano d'opera locale, la conformità ai programmi di aggiustamento strutturale, ecc. D'altro canto, si può considerare il fatto che gli aiuti non vincolati sono in grado di produrre realmente i risultati migliori, come si è verificato in numerosi casi. Tuttavia, conviene non scartare a priori l'eventualità di aiuti vincolati, nella misura in cui questi siano concepiti quale mezzo per distribuire in maniera equa i vantaggi derivanti alle varie parti in causa o nella misura in cui consentano una gestione sana dei mezzi a disposizione.

Gli aiuti di emergenza, una soluzione tampone

45. Gli aiuti alimentari di emergenza meritano alcune osservazioni, in quanto oggetto di controversie basate sulla considerazione che tali aiuti non sono in grado di agire sulle cause stesse del problema della fame. Mezzi di azione umanitaria agli occhi di alcuni, sono considerati, al contrario, da altri, quale leva di sviluppo e addirittura, da molti, come arma commerciale. Si rimprovera loro, fra l'altro, di scoraggiare gli agricoltori locali, di modificare le abitudini alimentari, di fungere da mezzo di pressione politica a motivo della dipendenza che inducono, di giungere troppo tardi, di favorire il sorgere di una mentalità assistenziale e, in ultimo, di avvantaggiare i soli intermediari, di favorire la corruzione e anche di non arrivare ai più indigenti. In alcuni paesi vengono protratti all'infinito, non senza motivo, così da tramutarsi in elementi strutturali. In tal caso vengono a costituire una forma di aiuto permanente alla bilancia dei pagamenti, in quanto riducono il deficit nazionale. Tali aiuti possono essere concessi anche quale forma di sostegno in periodi di aggiustamento strutturale particolarmente difficile, nel momento in cui vengono soppresse le sovvenzioni per il consumo dei prodotti primari.

Gli aiuti alimentari di emergenza devono rimanere una soluzione temporanea, all'unico scopo di consentire ad una popolazione di sopravvivere ad una situazione di crisi. In quanto aiuto umanitario, non possono essere contestati in linea di principio. In effetti, sono unicamente le loro deviazioni a suscitare critiche: per esempio, il loro arrivo spesso tardivo o non confacente ai bisogni, la loro distribuzione mal organizzata o distorta dall'intervento di fattori politici, etnici o dal clientelismo, i furti e la corruzione, che impediscono ai viveri di giungere ai più indigenti. E piuttosto l'aiuto strutturale prolungato ad apparire agli uni come una leva di sviluppo ed agli altri come un'arma commerciale, un fattore di destabilizzazione della produzione e delle abitudini alimentari, una causa di dipendenza. In realtà, può avere effetti sia benefici che nefasti. A prescindere dal fatto che l'aiuto consente la sopravvivenza di popolazioni intere, non bisogna passare sotto silenzio i suoi aspetti positivi, quali la possibilità di realizzare lavori infrastrutturali, le transazioni triangolari, la creazione di riserve negli stessi paesi in via di sviluppo. Si tratta di un'arma a doppio taglio, di cui tuttavia, non è possibile fare a meno.

La concertazione dell'aiuto

46. Si potrebbe ovviare ad alcune delle critiche che questi aiuti alimentari suscitano potenziando la concertazione fra i vari partners della catena: Stati, autorità locali, ONG, associazioni ecclesiali. Gli aiuti potrebbero venire limitati nel tempo e meglio distribuiti alle popolazioni con reale deficit alimentare; sarebbe anche raccomandabile che venissero costituiti da prodotti locali ogni qual volta ciò risultasse possibile. Gli aiuti di emergenza debbono, in primo luogo, contribuire a liberare le popolazioni dalla loro dipendenza. A tal fine, a prescindere dall'infrastruttura soddisfacente o meno e dalle capacità locali di distribuzione, gli aiuti debbono accompagnarsi a progetti che mirino a premunire le popolazioni colpite da future penurie alimentari. E in tal modo che gli aiuti di emergenza, devoluti a determinate condizioni, potranno considerarsi alla stregua di una incisiva azione di solidarietà internazionale. Di fatto, questo tipo di assistenza non sarà in grado di offrire « una soluzione soddisfacente nella misura in cui si continua a tollerare una miseria estrema, che non cessa di aggravarsi provocando un numero sempre maggiore di vittime della malnutrizione e della fame ».68

La sicurezza alimentare: una soluzione permanente

47. Il problema della fame non potrà risolversi se non rafforzando a livello locale i quattro elementi costitutivi della « sicurezza alimentare ».69 « La sicurezza alimentare esiste nel momento in cui tutti gli abitanti hanno liberamente accesso agli alimenti necessari a condurre una vita sana ed attiva ».70 A questo scopo, è importante mettere a punto programmi che valorizzino la produzione locale, una legislazione efficace che protegga le terre agricole e ne assicuri l'accesso alla popolazione rurale. La mancata realizzazione di queste misure nei paesi in via di sviluppo è dovuta al frapporsi di numerosi ostacoli che vi si oppongono. Infatti diviene sempre più difficile e complesso per i responsabili politici ed economici di questi paesi mettere a punto una politica agricola. Fra le più importanti cause del fenomeno ricordiamo la fluttuazione dei prezzi e delle valute provocata anche dalla sovrapproduzione di prodotti agricoli. Per garantire la sicurezza alimentare si dovrà favorire la stabilità e l'equità del commercio internazionale.71

Priorità alla produzione locale

48. L'importanza primaria dell'agricoltura nell'ambito di ogni processo di sviluppo, è ormai riconosciuta. Quale che sia l'evoluzione della congiuntura commerciale internazionale, l'indipendenza economica e politica, ma anche la situazione alimentare dei paesi in via di sviluppo, avrebbero molto da guadagnare dalla messa a punto di sistemi agricoli in grado di privilegiare lo sviluppo interno, pur rimanendo aperti all'esterno. Tutto ciò richiede la creazione di un ambiente economico e sociale basato su una migliore conoscenza ed una migliore gestione dei mercati agricoli locali, sul rafforzamento del credito rurale e della formazione tecnica, sulla garanzia di prezzi locali remunerativi, su migliori circuiti di trasformazione e di commercializzazione dei prodotti locali, oltre che su un'effettiva concertazione fra i paesi in via di sviluppo, un'organizzazione degli stessi lavoratori agricoli e la difesa collettiva dei loro interessi. Sono questi altrettanti obiettivi la cui realizzazione dipende dalla competenza come pure dalla volontà degli uomini.

L'importanza della riforma agraria

49. La produzione alimentare locale è spesso ostacolata da una cattiva distribuzione delle terre e dall'utilizzo irrazionale dei terreni. Oltre la metà della popolazione dei paesi in via di sviluppo non possiede terra e tale proporzione è in aumento.72 Anche se quasi tutti questi paesi hanno elaborato politiche di riforma agraria, pochi sono quelli che le hanno tradotte in pratica. Inoltre, gli spazi agricoli utilizzati dalle società alimentari multinazionali, sono destinati a nutrire quasi esclusivamente le popolazioni dell'emisfero Nord ed i sistemi di coltivazione adottati tendono ad impoverire i terreni. Si fa urgente una « riforma coraggiosa delle strutture e di nuovi modelli di rapporti fra gli Stati e le popolazioni ».73

Ruolo della ricerca e dell'educazione

50. I doveri che incombono sui responsabili politici e finanziari sono di primaria importanza. Tuttavia, per raccogliere la grande sfida della fame, della malnutrizione e della povertà, ciascun uomo è chiamato ad interrogarsi su ciò che fa e su ciò che potrebbe fare.

Sarebbero necessari a tale scopo:
– l'apporto della scienza: gli intellettuali sono invitati anch'essi a mobilitare le loro conoscenze e la loro influenza per cercare una soluzione al problema. Le ricerche nel settore della biotecnologia, per esempio, possono contribuire a migliorare — sia nell'emisfero Nord che in quello Sud — la sicurezza alimentare mondiale, le cure sanitarie o anche l'approvvigionamento di energia. Da parte loro, le scienze umane, tramite una migliore lettura ed una più esatta interpretazione dell'organizzazione sociale, possono meglio mettere in luce, allo scopo di correggerli, gli squilibri dei sistemi vigenti e le nefaste conseguenze che questi ingenerano. Possono pure contribuire alla definizione ed alla messa a punto di nuove vie per la solidarietà fra i popoli;
– la sensibilizzazione degli individui e dei popoli: l'amore per il prossimo è un compito affidato ai genitori, agli educatori, ai responsabili politici, a qualsiasi livello essi operino, come pure agli specialisti dei mezzi di comunicazione di massa che hanno una responsabilità maggiore per far maturare la coscienza dell'umanità;
– uno sviluppo autentico in ogni paese: è necessario dare una importanza prioritaria a quell'educazione che non si limita alla mera trasmissione degli elementi necessari per la comunicazione o per un lavoro di utilità personale o pubblica, ma che offre le basi per una coscienza morale. Dovrà venire eliminata qualsiasi dicotomia fra educazione e sviluppo, due obiettivi talmente interdipendenti, così strettamente interconnessi l'uno all'altra, che è necessario perseguirli congiuntamente, se si vogliono ottenere risultati durevoli. E un dovere di solidarietà quello di consentire ad ogni uomo di beneficiare « di un'educazione che corrisponda alla sua vocazione ».74

Gli Organismi Internazionali:
Associazioni Internazionali Cattoliche,
Organizzazioni Internazionali Cattoliche (OIC),
Organizzazioni Non Governative (ONG) e reti da loro costituite

51. Affiancandosi ad altre iniziative precedenti, alcuni organismi, fondati anche da volontari, si sono messi da qualche decennio al servizio degli individui e delle popolazioni in difficoltà. Questi Organismi Internazionali spesso conosciuti con il nome di: Associazioni Internazionali Cattoliche, Organizzazioni Internazionali Cattoliche (OIC) ed Organizzazioni Non Governative (ONG), sono ben noti per il loro dinamismo; il loro banco di prova sono stati la promozione dello sviluppo integrale dei poveri e la risposta a situazioni di emergenza (carestie o penurie). Sanno attirare l'attenzione su situazioni disperate, mobilitando fondi privati e pubblici ed organizzando soccorsi sul posto. La maggior parte di questi hanno perfezionato nel corso degli anni la loro lotta contro la fame, abbinandola ad una azione di più ampio respiro a favore dello sviluppo. Fra le loro realizzazioni più conosciute ci sono progetti in favore di nuove iniziative adottate in loco in maniera autonoma, o progetti tesi a rafforzare le istituzioni e le collettività locali.

Da parte sua, la Chiesa cattolica, da sempre (e dunque ben prima che le ONG esistessero come tali) incoraggia, ispira e coordina queste forze e questi mezzi, tramite innumerevoli associazioni parrocchiali, diocesane, nazionali ed internazionali e tramite grandi reti.75

Intendiamo qui esprimere il nostro apprezzamento per il lavoro degli Organismi Internazionali nel loro insieme, siano essi di ispirazione direttamente cristiana,76 di ispirazione religiosa o di ispirazione laica.

La duplice missione degli Organismi Internazionali

52. La missione degli Organismi Internazionali è duplice: sensibilizzazione ed azione. Se la seconda è evidente, la prima è spesso ignorata, anche se entrambe sono indissociabili l'una dall'altra: la sensibilizzazione di tutti alle realtà ed alle cause del cattivo sviluppo è fondamentale e primaria.

Da essa dipende direttamente l'indispensabile raccolta di fondi privati da una parte, e dall'altra la presa di coscienza di un maggior numero di persone. La costituzione di questa base popolare è necessaria per ottenere un aumento dell'aiuto pubblico allo sviluppo e la trasformazione delle « strutture di peccato ».

Una solidarietà fraterna

53. Gli Organismi Internazionali debbono considerare i gruppi ai quali vengono in aiuto, quali effettivi interlocutori paritetici. E così che nasce una solidarietà dal volto fraterno, nel dialogo, nella reciproca fiducia, nell'ascolto rispettoso dell'altro.

In questo settore così delicato, il Papa Giovanni Paolo II ha voluto offrire un segno del suo particolare interesse: si tratta della Fondazione « Giovanni Paolo II per il Sahel », il cui scopo è la lotta contro la desertificazione nei paesi del sud del Sahara, e della Fondazione « Populorum Progressio » a favore dei più diseredati dell'America Latina, entrambe con amministrazione autogestita dalle Chiese locali delle rispettive regioni.77

IV
IL GIUBILEO DELL'ANNO 2000
UNA TAPPA NELLA LOTTA CONTRO LA FAME

I Giubilei: dare a Dio ciò che è di Dio

54. Nella lettera Apostolica Tertio millennio adveniente, in vista della celebrazione del secondo millennio della nascita di Cristo, il Papa Giovanni Paolo II ricorda l'antichissima pratica dei giubilei nel vecchio Testamento, radicata nel concetto di anno sabbatico. L'anno sabbatico era un tempo specificamente consacrato a Dio; secondo la legge di Mosè veniva celebrato ogni sette anni. Prevedeva che si facesse riposare la terra, si liberassero gli schiavi e anche si condonassero i debiti. L'anno giubilare, che ricorreva, invece, ogni cinquanta anni, ampliava le prescrizioni precedenti: lo schiavo israelita, in particolare, non solo era liberato, ma rientrava in possesso della terra dei suoi avi: « Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo: ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia » (Lv 25, 10).

Il fondamento teologico di questa ridistribuzione era il seguente: « Non si poteva essere privati in modo definitivo della terra, poiché essa apparteneva a Dio, né gli israeliti potevano rimanere per sempre in una situazione di schiavitù, dato che Dio li aveva « riscattati » per sé, come proprietà esclusiva, liberandoli dalla schiavitù in Egitto ».78

Ritroviamo qui l'esigenza della destinazione universale dei beni. L'ipoteca sociale legata al diritto alla proprietà privata, si traduceva così, periodicamente, in leggi di diritto pubblico, per ovviare alle trasgressioni dei singoli rispetto a tale esigenza: desiderio smodato di guadagno, profitti di dubbia provenienza e modi ben diversi di utilizzo della proprietà, del possesso e del sapere, in aperta violazione del fatto che i beni creati debbono servire a tutti in maniera equa.

Questo quadro giuridico, associato al giubileo ed all'anno giubilare, preannunziava a grandi linee l'insegnamento sociale della Chiesa, strutturatosi, in seguito, sulla base del Nuovo Testamento. Indubbiamente, poche furono le realizzazioni concrete che accompagnarono l'ideale di società legato all'anno giubilare. Sarebbe stato necessario un governo equo, in grado di imporre i precetti sopra menzionati, volti a ristabilire una certa giustizia sociale. Il magistero sociale della Chiesa, sviluppatosi specie a partire dal XIX secolo, ha in certo modo trasformato questi precetti in principio di eccezione, essenzialmente di competenza dello Stato e destinato a ridare ad ogni persona la possibilità di godere di parte dei beni della creazione. Questo principio è costantemente ricordato e proposto a chi vuole intenderlo.

Diventare « provvidenza » per i propri fratelli

55. Fondamentalmente, la pratica dei giubilei trova il suo riferimento nella Divina Provvidenza e nella storia della salvezza.79 Se si prende avvio da tale origine, le realtà della fame e della malnutrizione possono essere comprese quale conseguenza del peccato dell'uomo, come rivelato già dai primi versetti del libro della Genesi: « Yahvè dice a Caino: "Dove è Abele, tuo fratello?" Egli rispose "Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?". Yahvè riprese "Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra" » (Gen 4, 9-12).

L'immagine qui evocata esprime con perfetta chiarezza il rapporto che intercorre fra il rispetto per la dignità della persona umana e la fecondità dell'ambiente ecologico, ormai macchiato e ferito. Tale rapporto ritorna come una eco nel corso di tutta la storia umana fino a costituire, verosimilmente, lo sfondo teologico dei rapporti di causalità, precedentemente analizzati a proposito della fame e della malnutrizione. Le alee naturali, a volte così sfavorevoli, appaiono amplificate dalle conseguenze della smisurata sete di potere e di profitto e dalle « strutture di peccato » che ne derivano. L'uomo, voltando le spalle all'intenzione di Dio espressa nella creazione, non riesce più a vedere se stesso, i suoi fratelli ed il suo futuro, se non attraverso una miopia che lo condanna all'esperienza dell'erranza che segna il genere umano: « ... che hai fatto di tuo fratello? ».

Dignità dell'uomo e fecondità del suo lavoro

56. Dio, tuttavia, non cessa di voler restituire la creazione agli uomini e di volerli aiutare, tramite Cristo Redentore, a coltivare ed a custodire il giardino, (cf. Gen 2, 15-17) evitando che si tramuti in fango ed escluda qualcuno. In questa situazione, l'intero sforzo teso a restituire la dignità della persona umana e l'armonia fra l'uomo e la creazione è iscritto, per la Chiesa, nel mistero della Redenzione operata dal Cristo, rappresentato simbolicamente dall'albero della vita nel giardino dell'Eden (cf. Gen 2, 9). Quando entra liberamente in comunione con questo mistero, l'uomo trasforma l'erranza alla quale è condannato in un pellegrinaggio, con luoghi e tappe della fede, ove apprende nuovamente ad instaurare un giusto rapporto con Dio, con i suoi simili e con tutta la creazione. Sa bene allora che tale giustificazione nasce e si nutre della fede, della fiducia in Dio, e che spesso si attua nell'uomo dal cuore povero. Costui diventa allora di nuovo pienamente partecipe del compimento della creazione, resa caduca dal peccato originale: « la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio... per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio » (Rm 8, 19 e 21).

Il significato dell'economia umana si dispiega così nella sua pienezza: possibilità per l'uomo e per tutti gli uomini di coltivare la terra, di vivere « della terra... (dove cresce) quel corpo della nuova famiglia umana, che già riesce ad offrire una certa prefigurazione del mondo a venire ».80 La dinamica di questa economia in cammino proviene dalla nostra adesione a questo pellegrinaggio, così che essa si « faccia carne » nelle nostre persone. Abbandonarvisi in una progressiva incondizionalità ci ricongiunge alla Chiesa, questo popolo di pellegrini in cammino, e la fa procedere tutta intera verso il Regno di Dio. Spetta dunque a ciascuno di noi, battezzato in Cristo, mostrare questa fecondità di cui la Chiesa è depositaria e la cui missione è di restaurare la fecondità di tutta la creazione. Di fronte alla logica delle « strutture di peccato » che debilitano l'economia umana, siamo chiamati ad essere persone che si lasciano interrogare intimamente da Dio ed in tal modo assumono un atteggiamento critico nei confronti dei modelli dominanti.

In tale prospettiva, la Chiesa invita tutti gli uomini a sviluppare le proprie conoscenze, le proprie competenze e le proprie esperienze, ciascuno a seconda dei doni ricevuti e a seconda della propria vocazione. Questi doni, queste vocazioni, proprie di ogni singola persona, sono d'altronde ammirevolmente illustrate dalle tre parabole (dell'amministratore, delle dieci vergini e dei talenti) che precedono quella del Giudizio finale (cf. Mt 24, 45-51 e 25, 1-46) di cui si è trattato precedentemente: la complementarità e la diversità delle vocazioni e dei carismi orientano la risposta d'amore dell'uomo, chiamato a divenire « provvidenza » per i suoi fratelli, « una provvidenza saggia ed intelligente, che guida lo sviluppo dell'uomo e lo sviluppo del mondo, in armonia con la volontà del Creatore, per il benessere della famiglia umana ed il compimento della vocazione trascendente di ciascun individuo ».81

L'economia degradata dalla mancanza di giustizia

57. La Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente, propone alcune iniziative molto concrete per promuovere attivamente la giustizia sociale,82 ed in tal senso essa incoraggia a ricercare altre forme di risposta al problema della fame e della malnutrizione, che il Giubileo potrebbe fare proprie.

La pratica giubilare è particolarmente necessaria nell'ambito dell'economia che, lasciata a se stessa, diventa di fatto anemica, in quanto non attua più la giustizia. Ogni crisi economica, il cui effetto estremo è la penuria alimentare, si configura fondamentalmente quale crisi di giustizia, che non viene più realizzata.83

Il popolo eletto del Vecchio Testamento lo aveva già capito ed ora sta a noi attualizzarlo. Questa crisi va analizzata oggi nel contesto del libero mercato: all'interno di ogni singolo paese, come pure nei rapporti internazionali, il libero mercato può costituire uno strumento appropriato per la distribuzione delle risorse e per un'efficace risposta ai bisogni.84 La realizzazione della giustizia sociale stabilizza lo scambio commerciale: ciascuno ha diritto di parteciparvi, pur correndo il rischio di cadere in un neo maltusianismo economico, che si limiterebbe ad una visione stereotipa della solvibilità e dell'efficacia.

Stabilito ciò, si deve constatare che la giustizia ed il mercato sono spesso analizzati come due realtà antinomiche, il che implica che la persona umana si sente libera da qualsiasi responsabilità in ordine alla giustizia sociale. L'esigenza di equità, di conseguenza, non è più di competenza dell'individuo, che soggiace con rassegnazione alle leggi del mercato: essa viene trasferita allo Stato e, più precisamente, allo Stato-provvidenza.

In linea di massima, le filosofie morali diffuse oggi sono ampiamente responsabili dello spostamento d'accento nella riflessione: si è passati dal campo del comportamento giusto, a quello della giustizia delle strutture e delle procedure, una costruzione teorica praticamente irrealizzabile. D'altronde, questa provvidenza dello Stato, ad intra ed ad extra, risulta oggi ben logora, sempre meno garante di una vera giustizia distributiva, essa stessa nociva all'efficienza delle economie nazionali. Non costituisce tutto ciò argomento di riflessione in merito al rapporto fra carenza di contributi individuali alla realizzazione di una giustizia sociale e di una sobrietà dei nostri comportamenti economici da un lato e, dall'altro, crescente inefficacia dei meccanismi di ridistribuzione, che si ripercuote a sua volta sull'efficacia globale della nostra economia?

Equità e giustizia nell'economia

58. Per poter offrire una risposta a questa antinomia fra mercato e giustizia, l'insegnamento sociale della Chiesa cerca di approfondire la nozione di prezzo equo, ripresa dal pensiero scolastico, riferendola non soltanto al criterio di giustizia commutativa, ma ampliandola a quello di giustizia sociale, ovvero all'insieme dei diritti e dei doveri della persona umana. La realizzazione di tale giustizia sociale, basata sulla equità dei prezzi, presuppone una duplice conformità: conformità del contesto giuridico, che delimita il mercato con la legge morale; conformità dei molteplici atti economici individuali, che stabiliscono il prezzo del mercato e la stessa legge morale.

Una responsabilità personale che si limiti alla sola legge civile è insufficiente, in quanto questa implica, in svariati casi, « l'abdicazione della sua coscienza morale ».85 Come il prezzo sul mercato deriva dalla molteplicità dei valori d'uso attribuitigli dai consumatori, così sarà la nostra condotta morale, arbitro dei valori d'uso attribuiti, che farà convergere o meno il prezzo del mercato verso il prezzo equo. Nel momento in cui gli agenti economici non integrano le loro scelte economiche con il dovere di giustizia sociale, il meccanismo di mercato dissocierà il prezzo concorrenziale dal prezzo equo.

Nella preparazione al Giubileo dell'anno 2000, siamo tutti invitati a incarnare la legge morale nella quotidianità dei nostri « atti economici ».86 Ne deriva che il carattere equo o non equo del prezzo è in qualche modo « nelle nostre mani », in quelle del produttore e dell'investitore, in quelle dei consumatori, come in quelle di coloro che gestiscono il potere pubblico a livello decisionale.

Ciò non comporta che lo Stato e la comunità degli Stati siano dispensati dall'esercitare una tutela in grado, fra l'altro, di sopperire, se pur in maniera imperfetta, alla carenza del dovere individuale di giustizia sociale, a questa assenza di conformità alla legge morale che incombe a ciascuno. Il bene comune, che costituisce un obiettivo politico, prevale sulla mera giustizia commutativa degli scambi.

Ispirare nuove proposte giubilari

59. L'appello di Dio trasmesso dalla sua Chiesa, è chiaramente un appello alla condivisione, alla carità attiva e fattiva, rivolto non solo ai cristiani, ma a tutti gli uomini di buona volontà ed a tutti gli uomini capaci di buona volontà, ovvero a tutti gli uomini, senza eccezione alcuna. La Chiesa si pone in tal modo alla guida di quei movimenti che, avendo a cuore la persona umana in generale e ogni uomo in particolare, promuovono l'amore solidale. Presente ed attiva a fianco di tutti coloro che si adoperano nell'azione umanitaria per rispondere ai bisogni ed ai diritti più fondamentali dei loro fratelli, la Chiesa ricorda costantemente che la « soluzione » della questione sociale necessita della collaborazione di tutte le forze.87

Ogni persona di buona volontà, in effetti, può percepire i risvolti etici connessi al divenire dell'economia mondiale: combattere la fame e la malnutrizione, contribuire alla sicurezza alimentare e ad uno sviluppo agricolo endogeno dei paesi in via di sviluppo, valorizzarne le loro potenzialità di esportazione, preservare le risorse naturali d'interesse planetario... L'insegnamento sociale della Chiesa vi scorge altrettanti elementi costitutivi del bene comune universale, che le nazioni industrializzate debbono riconoscere e promuovere. Parimenti, questi dovrebbero costituire l'obiettivo essenziale delle organizzazioni economiche internazionali e l'effettiva posta in gioco per la mondializzazione degli scambi. Questo bene comune universale — una volta riconosciuto — dovrebbe ispirare un rafforzamento del quadro giuridico istituzionale e politico che regoli gli scambi commerciali internazionali, e contemporaneamente ispirare nuove proposte giubilari. Ciò richiederà coraggio da parte dei responsabili delle istituzioni sociali, governative, sindacali, tanto difficile è divenuto oggigiorno inserire gli interessi di ciascuno all'interno di una visione coerente del bene comune.

In merito, la Chiesa non ha per sua missione quella di proporre soluzioni tecniche, ma coglie l'occasione di questa preparazione al grande Giubileo per lanciare un vasto appello per proposte e suggerimenti capaci di accelerare lo sradicamento della fame e della malnutrizione.

Fra queste proposte, due sono particolarmente importanti:

a) La costituzione di scorte alimentari di sicurezza — sull'esempio di Giuseppe in Egitto (cf. Gen 41, 35) — che consentano di offrire in caso di crisi momentanea, un'assistenza concreta alle popolazioni colpite da calamità. I meccanismi per la costituzione e la gestione di queste scorte dovrebbero essere concepiti in maniera tale da evitare qualsiasi tentazione burocratica, atta a prestare il fianco a lotte di influenza politica o economica da una parte, o alla corruzione dall'altra, e in grado di evitare una qualsiasi manipolazione diretta o indiretta dei mercati.

b) La promozione di orti familiari, specie in quelle regioni in cui la povertà priva le persone, in particolar modo i capi famiglia ed i loro cari, del pur minimo accesso all'utilizzo della terra come pure all'alimentazione di base, sulla scia di quanto il Papa Leone XIII invocava, per le stesse ragioni, a favore degli operai del XIX secolo: « (l'uomo) giunge a mettere tutto il suo cuore nella terra che lui stesso ha coltivato, che promette, a lui ed ai suoi, non soltanto lo stretto necessario, ma anche una certa agiatezza.... ».88

Nella maggior parte delle aree del mondo, è necessario prevedere ed adottare iniziative atte a fornire ai più poveri la disponibilità di un angolo di terra, le nozioni necessarie e anche un minimo di attrezzi agricoli strumenti, consentendo in tal modo di compiere passi rilevanti per uscire da situazioni di miseria estrema.

In ultimo, ed in una prospettiva più ampia, si raccoglieranno testimonianze e studi basati sull'esperienza e sull'osservazione in contesti specifici, per tentare di costituire una banca dati che illustri in termini pratici, da tutte le angolazioni, le reali situazioni di « strutture di peccato » e di « strutture di bene comune ».89

V
LA FAME: UN APPELLO ALL'AMORE

Il povero ci chiama all'amore

60. In tutti i paesi del mondo, l'esperienza della vita quotidiana ci sollecita — se non chiudiamo gli occhi — a incrociare lo sguardo di coloro che hanno fame. In questo sguardo, è « la voce del sangue di tuo fratello che grida a me dal suolo » (Gen 4, 10).

Sappiamo che è Dio stesso che ci chiama in colui che ha fame. La sentenza del Giudice universale condanna senza alcuna clemenza: « ... Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno preparato per il Diavolo ed il suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare... » (Mt 25, 41 ss).

Queste parole che salgono dal cuore di Dio fattosi uomo, ci fanno comprendere il significato profondo del soddisfacimento dei bisogni elementari di ogni uomo agli occhi del suo Creatore: non abbandonate colui che è fatto ad immagine di Dio, voi abbandonereste il Signore stesso. E Dio stesso che ha fame e che ci chiama nel gemito di colui che ha fame. Discepolo del Dio che si rivela, il cristiano è sollecitato ad ascoltare, se così si può dire, l'appello del povero. E infatti un appello all'amore.

La povertà di Dio

61. Secondo gli autori dei salmi, i canti del Vecchio Testamento, « i poveri » si identificano con i « giusti », con coloro « che cercano Dio », « che lo temono », che « hanno fiducia in lui », che « sono benedetti », che « sono i suoi servitori » e « conoscono il suo nome ».

Come riflessa in uno specchio concavo, tutta la luce degli « ANAWIM », i poveri della prima Alleanza, converge verso la donna che costituisce la cerniera fra i due Testamenti: in Maria riluce tutta la dedizione a Yahvè e tutta l'esperienza che guida il popolo di Israele, e si incarna nella persona di Gesù Cristo. Il « Magnificat » è la lode che gli rende testimonianza: l'inno dei poveri la cui ricchezza è tutta in Dio (cf. Lc 1, 46 ss).

Questo canto si apre con un'esplosione di gioia che esprime un'immensa gratitudine: « L'anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta in Dio mio salvatore ». Ma non sono le ricchezze o il potere che fanno esultare Maria: infatti, ella si vede piuttosto « piccola, insignificante e umile ». Questa idea di base ispira tutta la sua lode e si oppone radicalmente a coloro che mirano a soddisfare la loro sete d'orgoglio, di potere e di ricchezza. Chi si atteggia in tal modo sarà « disperso », « rovesciato dal suo trono », « rinviato a mani vuote ».

Gesù stesso riprende questo insegnamento di sua Madre nel suo discorso evangelico sulle Beatitudini, che iniziano — e non a caso — con l'espressione « beati i poveri ». Le sue parole indicano in cosa consista l'uomo nuovo, in opposizione alle « ricchezze » che costituiscono l'oggetto delle sue critiche.

E ai poveri che si indirizza la sua Buona Novella (cf. Lc 4, 18). L'« inganno delle ricchezze », al contrario, allontana dalla sequela di Cristo (cf. Mc 4, 19). Non si possono servire due padroni, Dio e Mammona (cf. Mt 6, 24). La preoccupazione per il domani è indice di mentalità pagana (cf. Mt 6, 32). Per il Signore non si tratta di belle parole; infatti ne dà testimonianza con la propria vita: « Ma il figlio dell'uomo, lui, non ha ove posare il capo » (Mt 8, 20).

La Chiesa è con i poveri

62. Il precetto biblico non va né falsato né taciuto: è in controtendenza con lo spirito del mondo e con la nostra sensibilità naturale. La nostra natura e la nostra cultura sono turbate davanti alla povertà.

La povertà evangelica è a volte oggetto di commenti cinici da parte degli indigenti, come pure da parte dei benestanti. I cristiani sono accusati di voler perpetuare la povertà. Un tale disprezzo della povertà sarebbe propriamente diabolico. Il segno di Satana (cf. Mt 4) è quello di opporsi alla volontà di Dio facendo riferimento alla sua Parola.

Un discorso del Papa Giovanni Paolo II può aiutarci ad evitare di giungere a tale conclusione, che ci permetterebbe di giustificare il nostro egoismo. In occasione della sua visita alla favela del Lixão de São Pedro, in Brasile, il 19 ottobre 1991, il Santo Padre, riflettendo sulla prima beatitudine del Vangelo di San Matteo, illustrò il nesso fra povertà e fiducia in Dio, fra beatitudine ed abbandono totale al Creatore. E dichiarava: « Ma esiste un'altra povertà, molto diversa da quella che Cristo proclamava beata, e che colpisce una moltitudine di nostri fratelli, impedendone lo sviluppo integrale in quanto persone. Di fronte a questa povertà, che è carenza e privazione dei beni materiali necessari, la Chiesa fa sentire la sua voce... E per ciò che la Chiesa sa che ogni trasformazione sociale deve necessariamente passare per una conversione dei cuori e prega a tal fine. Questa è la prima e la principale missione della Chiesa ».90

Come già affermato, l'appello di Dio, di cui la sua Chiesa si fa eco, evidentemente è un richiamo alla condivisione, alla carità attiva e concreta che si indirizza non solo ai cristiani, ma a tutti gli uomini. Come sempre, e oggi più che mai, la Chiesa è vicina a tutti coloro che svolgono un'azione umanitaria a servizio dei loro fratelli, per la soddisfazione dei loro bisogni e per la difesa dei loro diritti fondamentali.

Il contributo della Chiesa allo sviluppo della persona e dei popoli, non si limita unicamente alla lotta contro la miseria e il sottosviluppo. Esiste una povertà provocata dal convincimento che basti proseguire sulla via del progresso tecnico ed economico per rendere ogni uomo più degno di tale nome. Ma all'uomo non può bastare uno sviluppo senz'anima, e l'eccesso di opulenza risulta a suo danno, al pari dell'eccesso di povertà. E il « modello di sviluppo » creato dall'emisfero settentrionale e che questo diffonde nell'emisfero meridionale, ove il senso religioso ed i valori umani ivi presenti, rischiano di essere spazzati via dall'invasione di un consumismo fine a se stesso.

Il povero ed il ricco sono entrambi chiamati alla libertà

63. Dio non vuole la povertà del suo popolo, cioè di tutti gli uomini, poiché Egli nel grido di ciascuno di essi rivolge a noi una chiamata. Ci dice semplicemente che il povero, al pari del ricco accecato dalla sua ricchezza, sono entrambi uomini mutilati: il primo, per circostanze che lo oltrepassano suo malgrado, il secondo, a motivo delle sue stesse mani, troppo piene, e con la sua stessa complicità. Così ambedue si trovano ostacolati ad accedere alla libertà interiore alla quale Dio non cessa di chiamare tutti gli uomini.

Il povero « colmo di ricchezze » non troverà in questo un'egoistica rivalsa sulla cattiva sorte, bensì una condizione che gli consentirà infine di non vedere limitate le sue capacità fondamentali. Il ricco, « rimandato a mani vuote », non è punito per essere ricco, ma è liberato dalla pesantezza e dall'opacità inerenti al suo attaccamento troppo esclusivo ai beni, di qualsiasi natura essi siano. Il canto del Magnificat non è una condanna, ma un appello alla libertà e all'amore.

In questo processo di duplice guarigione, il povero è chiamato a sanare il suo cuore ferito da un'ingiustizia che può condurlo fino all'odio per se stesso e per gli altri. Il ricco è chiamato ad abbandonare il suo fardello di paccottiglie, lui che si tappa gli occhi e le orecchie e nasconde le profondità del suo cuore sotto le coltri delle sue povere ricchezze: denaro, potere, immagine e piaceri di ogni tipo, che riducono la percezione che ha nei confronti di se stesso e degli altri, e che, nel mentre aumentano i suoi beni, fanno crescere i suoi desideri.

La necessaria conversione del cuore dell'uomo

64. La fame nel mondo fa toccare con mano le debolezze degli uomini, a tutti i livelli: la logica del peccato evidenzia come il peccato stesso, questo male del cuore dell'uomo, è all'origine delle miserie della società, attraverso il meccanismo, se così si può dire, delle « strutture di peccato ». Per la Chiesa, sono l'egoismo colpevole, la ricerca ad ogni costo del denaro, del potere e della gloria, che rimettono in questione lo stesso valore del progresso in quanto tale. « Infatti, sconvolto l'ordine dei valori e mescolando il male col bene, gli individui ed i gruppi guardano solamente alle cose proprie, non a quelle degli altri; e così il mondo cessa di essere il campo di una genuina fraternità, mentre invece l'aumento della potenza umana minaccia di distruggere ormai lo stesso genere umano ».91, legata alla nozione di "progresso", dalle connotazioni filosofiche di tipo illuministico... Ad un ingenuo ottimismo meccanicistico, è subentrata una fondata inquietudine per il destino dell'umanità... Oggi si comprende meglio che la pura accumulazione di beni e servizi, anche a favore della maggioranza, non basta a realizzare la felicità degli uomini », l. c., pp. 547-550.]

Per contro, l'amore che si instaura nel cuore dell'uomo, gli consente di superare i propri limiti e di agire nel mondo, creando « strutture del bene comune »: queste favoriscono il cammino verso la « civiltà dell'amore »92 per coloro che sono ad esse più sensibili, i quali vi trascinano anche gli altri.

L'uomo è così chiamato a riformare il suo agire; la posta in gioco è di vitale importanza per il mondo. Egli è condotto a riformare il suo cuore, con un movimento del suo essere teso all'unificazione di sé e della comunità umana nell'amore. Questa riforma dell'uomo nella sua totalità, è radicale per profondità e conseguenze, in quanto l'amore è radicale per la sua stessa essenza; non accetta divisioni, abbraccia tutti gli impulsi della persona, le sue azioni al pari della sua preghiera, i suoi mezzi materiali al pari delle sue ricchezze spirituali.

La conversione del cuore degli uomini, di ciascuno e di tutti insieme, è la proposta di Dio che può cambiare profondamente la faccia della terra, cancellarne gli orrendi tratti della fame che sfigurano parte del suo volto. « ... Convertitevi e credete al Vangelo » (Mc 1, 15) è l'imperativo che accompagna l'annuncio del Regno di Dio e che realizza la sua venuta. La Chiesa sa che questo mutamento intimo e profondo, spingerà l'uomo nella sua vita di tutti i giorni a guardare oltre il suo immediato interesse, a mutare man mano la sua maniera di pensare, di lavorare, di vivere, per apprendere in tal modo, nel quotidiano, ad amare nel pieno esercizio delle sue facoltà, nel mondo così come è.

Per quanto poco ci prestiamo a ciò, Dio stesso se ne prenderà cura.

« Diffidate degli idoli »

65. Ecco la promessa che ci fa il Signore : « Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati: io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne » (Ez 36, 25-27).

Che questo magnifico linguaggio biblico non ci tragga in errore! Non si tratta qui di un appello ai buoni sentimenti, per arrivare ad una semplice condivisione materiale, per quanto valida ed efficace possa essere. Si tratta della proposta più impegnativa che ci possa essere, quella di Dio stesso, che viene ad offrire a ciascuno di noi un cammino di liberazione dai nostri idoli ed ad insegnarci ad amare. Questo impegna tutto il nostro essere, che si trova così riunificato. Allora, potremo vincere le nostre paure ed i nostri egoismi per essere attenti ai nostri fratelli e servirli.

I nostri idoli ci insidiano da molto vicino; sono la nostra ricerca, individuale e comunitaria, di ricchi o di poveri, dei beni materiali, del potere, della reputazione, del piacere, considerati come fini a se stessi. Servire questi idoli rende schiavo l'uomo e povero il pianeta (cf. n. 25). L'ingiustizia profonda subita da colui che non dispone del necessario, risiede precisamente nel fatto che egli è obbligato, spinto dalla necessità, a ricercare innanzitutto questi beni materiali.

Il cuore del povero Lazzaro è più libero di quello del ricco malvagio e Dio, attraverso la voce di Abramo, non chiede soltanto al ricco di condividere la mensa con Lazzaro, ma gli chiede di cambiare il suo cuore, di accettare la legge dell'amore per diventare suo fratello (cf. Lc 16, 19 ss.).

E liberandoci dai nostri idoli che Dio consentirà non solo che il nostro lavoro trasformi il mondo, accrescendo i diversi tipi di ricchezza, ma soprattutto farà in modo che il lavoro stesso venga inteso come servizio a tutti gli uomini. Il mondo, allora, potrà ritrovare la sua bellezza originale, che non è unicamente quella della natura il giorno della Creazione, ma quella del giardino mirabilmente lavorato e reso fertile dall'uomo, al servizio dei suoi fratelli, alla presenza amorevole di Dio e per amore suo.

« "Contro la fame cambia la vita", è il motto nato in ambienti ecclesiali e che indica ai popoli ricchi la via per diventare fratelli dei poveri... »93

L'attenzione al povero...

66. Il cristiano, là dove Dio lo ha posto nel mondo, risponderà all'appello di colui che ha fame ponendosi seriamente delle domande circa la propria stessa vita. L'appello di colui che ha fame spinge l'uomo a interrogarsi sul senso e sul valore della sua attività quotidiana. Cercherà di vedere le conseguenze, prossime ed a volte più remote, del suo lavoro professionale, volontario, artigianale, domestico. Misurerà la ricaduta, molto più concreta e più ampia di quanto potesse ritenerla, dei suoi atti, anche di quelli più ordinari, e dunque della sua effettiva responsabilità. Esaminerà la gestione del suo tempo, che nel mondo attuale, per difetto o per eccesso, provoca tante sofferenze; per esempio, nel caso della disoccupazione, può diventare un fattore altamente distruttivo. Aprirà gli occhi della mente e del cuore e, se saprà cogliere l'invito rivolto da Dio a tutti gli uomini, si porrà con regolarità, discrezione ed umiltà all'ascolto e al servizio di chi è nel bisogno. E questo un richiamo rivolto in particolar modo a coloro che il linguaggio corrente definisce « i responsabili ».

San Paolo ribadisce, e non a caso, che « Gesù Cristo..... da ricco che era si è fatto povero per voi » (2 Cor 8, 9). In effetti, Egli voleva renderci ricchi con la sua povertà e con l'amore che noi dobbiamo avere nei confronti del povero.

... nell'ascolto di Dio

67. L'ascolto di Dio presente nel povero, aprirà il cuore dell'uomo e lo solleciterà a cercare un incontro personale sempre nuovo con Dio. Questo incontro che Dio stesso vuole, Lui che non cessa di cercare ogni uomo e tutto l'uomo, proseguirà nel cammino quotidiano che trasforma progressivamente la vita di colui che accetta « di aprire la porta » a Dio medesimo che umilmente bussa (cf. Ap 3, 20).

L'ascolto di Dio richiede del tempo, con Dio e per Dio. E la preghiera personale: essa sola consente all'uomo di mutare il proprio cuore e, di conseguenza, il proprio agire. Il tempo dedicato a Dio non è tolto ai poveri. Una vita spirituale forte ed equilibrata non ha mai distolto alcuno dal servizio dei suoi fratelli. E se San Vincenzo de' Paoli (, 1660), famoso per il suo impegno in favore dei diseredati, diceva: « Lascia la tua preghiera se tuo fratello ti chiede una tazza di tisana », non bisogna scordarsi che il santo pregava circa sette ore al giorno e trovava nella preghiera il sostegno al suo agire.

Cambiare vita...

68. L'uomo che è all'ascolto di suo fratello e che si apre alla presenza ed all'azione di Dio, rimetterà progressivamente in discussione le sue abitudini di vita. La corsa all'abbondanza, alla quale partecipa un numero sempre crescente di individui, spesso in mezzo ad una crescente miseria, cederà progressivamente il passo ad una maggiore semplicità di vita che in molti paesi è già dimenticata, ma che ridiventerà possibile ed anche auspicabile, nel momento in cui il consumatore nelle sue scelte cesserà di preoccuparsi dell'apparire.

Infine, l'uomo, che così accetta di mutare il suo modo di vivere per cercare di conformarsi a quello che Dio stesso ci ha mostrato nelle parole di Cristo, e che riflette sulle conseguenze della sua attività — quale che essa in apparenza sia, importante o insignificante — si metterà in tal modo al servizio del bene comune, della promozione integrale di tutti gli uomini e di ogni singolo uomo.

...per cambiare la vita

69. Liberato progressivamente delle sue paure e delle sue ambizioni puramente materiali, illuminato sulle possibili conseguenze dei suoi propri atti, quale che sia il suo ruolo, l'uomo, che così accoglie la presenza di Dio in tutti gli aspetti della sua vita, diventerà un operatore della civiltà dell'amore. Discretamente, in profondità, il suo lavoro assumerà il carattere di una missione, nella quale si farà obbligo di esercitare e sviluppare i suoi talenti, di contribuire alla riforma delle strutture e delle istituzioni, di avere un comportamento esemplare, che inciterà il suo prossimo ad agire parimenti, e di porsi al servizio della dignità dell'uomo e del bene comune.

Le circostanze della vita fanno sì che un tale approccio al lavoro venga considerato impossibile. Ma l'esperienza dimostra che anche in situazioni apparentemente senza via d'uscita, ciascuno ha sempre un seppur piccolo margine di manovra, e che le sue scelte hanno un'importanza concreta, sia per i suoi simili sul posto di lavoro, come pure per il bene comune. Ciascuno, in un certo senso, è responsabile degli altri.94 E unodei segnali dell'appello all'amore che Dio non cessa di far riecheggiare. In circostanze a volte difficili, che possono addirittura provocare sofferenze prossime alla testimonianza-martirio, ciascuno deve trovare sostegno nella forza di Dio, che ci promette il suo aiuto se noi lo poniamo al centro della nostra vita, compresa quella attiva.

« Coraggio, popolo tutto del paese, al lavoro, perché io sono con voi... ed il mio Spirito sarà con voi, non temete » (Ag 2, 4-5). Il cristiano lotta contro le « strutture di peccato » e si fa addirittura strumento della loro distruzione. Pratiche tanto deleterie sul piano dello sviluppo economico e sociale saranno allora meno diffuse. Nelle regioni ove i cristiani, con coraggio e determinazione, coinvolgeranno uomini di buona volontà, la miseria potrà cessare di progredire, le abitudini di consumo potranno mutare, potranno realizzarsi riforme, la solidarietà svilupparsi e la fame arretrare.

Sostenere le iniziative

70. In prima fila tra questi cristiani figurano i religiosi e i ministri ordinati, chiamati a dare la loro vita per Dio e per i propri fratelli.

Per tutto il corso della storia della Chiesa, dai diaconi degli Atti degli Apostoli (cf. At 6, 1 ss), fino ad oggi, vi sono stati uomini e donne straordinari,95 ordini religiosi e missionari, associazioni di cristiani laici, istituzioni ed iniziative ecclesiali, che hanno cercato di aiutare i poveri e gli affamati. Hanno combattuto la sofferenza e la miseria sotto tutte le loro forme, in obbedienza a Cristo.

La Chiesa ringrazia tutti coloro che attualmente prestano questi servizi sotto forma di azioni concrete in favore del prossimo, nelle diocesi, nelle parrocchie, presso le organizzazioni missionarie, le organizzazioni caritatevoli e le altre ONG. Essi trasmettono l'amore di Dio e mostrano l'autenticità del Vangelo.

La Chiesa cattolica è presente in tutti i continenti con circa 2700 diocesi o circoscrizioni molto diverse fra loro,96 molte delle quali impegnate già da tempo nell'azione contro la fame e la povertà. Le diocesi e le parrocchie sono luoghi privilegiati di discernimento in ordine a ciò che i cristiani possono fare. In tali contesti, facilitano l'organizzazione di gruppi a livello popolare, di gruppi locali e di comunità. Comunità di accoglienza a misura d'uomo possono ridare fiducia, aiutare ad organizzarsi, a meglio vivere, ad uscire dalla rassegnazione e dall'annientamento. Il Vangelo ridiventa così speranza per i poveri, in un crogiuolo ove la forza di Cristo si coniuga con quella dei diseredati.

Ciascuno è chiamato a partecipare a questa azione. Ciascuno, a seconda delle sue condizioni di vita, della sua posizione nel mondo e nel suo ambiente circostante, deve tradurre in azioni questo appello all'amore che Dio ci trasmette tramite la presenza dei nostri fratelli che hanno fame. La meravigliosa varietà umana, nella diversità delle culture, comporta una molteplicità di impegni e missioni.

E il caso, dunque, che ogni cristiano favorisca le diverse iniziative locali. La Chiesa cattolica è consapevole di condividere questo impegno con le altre chiese cristiane e con le altre comunità religiose, come pure con tutti gli uomini di buona volontà. Le azioni a carattere umanitario sono un importante campo di azione per il cristiano, che dovrà tuttavia contribuirvi in maniera particolare affinché gli scopi dell'associazione e della sua azione rimangano centrati al servizio integrale dell'uomo, senza escludere la sua dimensione spirituale. In tal modo egli sarà un baluardo contro coloro che potrebbero tentare di sviare il dinamismo dell'associazione verso obiettivi politici ispirati al materialismo e ad ideologie che, in ultima analisi, sono sempre distruttive dell'uomo.

La chiamata alla missione nella quotidianità di ogni cristiano

71. Il cristiano è al servizio dei suoi fratelli, in tutti i campi della sua attività e della sua vita. L'amore operoso è un appello rivolto a tutti i cristiani nel loro lavoro quotidiano, come pure nelle loro iniziative personali. L'impegno del cristiano, al pari delle sue azioni umanitarie e caritative, proviene dalla stessa chiamata alla missione.

Nella loro attività professionale, come pure in quella di volontariato o nel lavoro domestico, spesso notevole, l'uomo e la donna sono chiamati a vivere la stessa missione, quella di annunciare e servire la Buona Novella nelle gioie e nelle sofferenze quotidiane e in ogni situazione. La qualità del proprio lavoro, la partecipazione a riforme giuste, l'esempio umile nel comportamento, l'attenzione agli altri, sempre presente anche al di là dei legittimi obiettivi personali ed istituzionali, tutto ciò è un bagaglio quotidiano per l'uomo e la donna che cercano di offrire a Dio, in tutti gli aspetti della loro vita, la possibilità di avvicinarsi loro e di far crescere il mondo intero nel Suo amore. Saranno allora vieppiù capaci di lottare contro gli sprechi e le ingiustizie e di offrire le loro sofferenze e le loro gioie a Cristo Salvatore, che dà loro il suo Spirito nella vita di ogni giorno.

Il cristiano cercherà di affidare tutte le proprie azioni nelle mani di Colui che parla direttamente al nostro cuore per bocca di ogni povero. Il cristiano, trascinatore di uomini di buona volontà, con i quali condivide i valori umani fondamentali, dovrà vigilare a che il suo agire personale e quello dei suoi fratelli cristiani, rimanga ispirato alla Parola di Dio e radicato nella vita divina, in unione con la Chiesa e con i suoi pastori. La comunione nell'azione deve essere comunione con il Signore, che veglierà egli stesso affinché tale azione sia pensata e realizzata nello Spirito Santo e non perda la sua qualità di missione dalla radice divina, missione nella quale il Servo dell'Uomo è cercato in modo personale quale fonte, forza e fine dello stesso agire.

Il cristiano troverà il suo continuo sostegno nella preghiera alla beata Vergine Maria, orante ed agente in uno stesso movimento di servizio incondizionato a Dio ed agli uomini. La Madre di Dio supplicherà lo Spirito Santo di effondersi nell'intelligenza e nel cuore del cristiano, che diventerà in tal modo, nel suo agire, un collaboratore libero, responsabile e fiducioso, in una azione che testimonierà l'amore di Dio e avrà fin d'ora il suo peso di eternità.

Città del Vaticano, Palazzo San Calisto, 4 ottobre 1996, Festa di San Francesco d'Assisi.

Paul Josef Cordes
Arcivescovo titolare di Naisso
Presidente
Pontificio Consiglio « Cor Unum »

Mons. Iván MarIn
Segretario
Pontificio Consiglio « Cor Unum »

INDICE

Presentazione

Introduzione [nn. 1-3]

I
LA REALTA DELLA FAME

La sfida della fame [n. 4]

Uno scandalo durato troppo a lungo: la fame distrugge la vita [n. 5]

La malnutrizione compromette il presente ed il futuro di un popolo [n. 6]

Le principali vittime: le popolazioni più vulnerabili [n. 7]

La fame genera la fame [n. 8]

Cause individuabili [n. 9]

A) Cause economiche

Le cause profonde [n. 10]

Il debito dei paesi con difficoltà di sviluppo [n. 11]

I programmi di aggiustamento strutturale [n. 12]

B) Le cause socio-culturali

Le realtà sociali [n. 13]

La demografia [n. 14]

Le sue implicazioni [n. 15]

C) Le cause politiche

L'influenza della politica [n. 16]

La concentrazione dei mezzi [n. 17]

Le destrutturazioni economiche e sociali [n. 18]

D) La terra può nutrire i suoi abitanti

I notevoli progressi dell'umanità [n. 19]

I mercati agro-alimentari [n. 20]

L'agricoltura moderna [n. 21]

II
SFIDE DI NATURA ETICA DA AFFRONTARE INSIEME

La dimensione etica del fenomeno [n. 22]

L'amore del prossimo per raggiungere lo sviluppo [n. 23]

La giustizia sociale e la destinazione universale dei beni [n. 24]

Le costose deviazioni dal bene comune: le « strutture di peccato »[n. 25]

All'ascolto preferenziale dei poveri ed al loro servizio: la condivisione [n. 26]

Una società integrata [n. 27]

La pace, un equilibrio di diritti [n. 28]

Il disarmo, un'urgenza da cogliere [n. 29]

Rispetto dell'ambiente [n. 30]

Ecologia e sviluppo equo [n. 31]

Cogliere insieme la sfida [n. 32]

Riconoscere il contributo dei poveri alla democrazia [n. 33]

Le iniziative comunitarie [n. 34]

L'accesso al credito [n. 35]

Il ruolo fondamentale delle donne [n. 36]

Integrità e senso sociale [n. 37]

III
VERSO UN'ECONOMIA PIU SOLIDALE

Per meglio servire l'uomo e tutti gli uomini [n. 38]

Far convergere l'azione di tutti [n. 39]

La volontà politica dei paesi industrializzati [n. 40]

Stabilire equamente le condizioni di scambio [n. 41]

Superare il problema del debito [n. 42]

Aumentare l'aiuto pubblico a favore dello sviluppo [n. 43]

Ripensare l'aiuto [n. 44]

Gli aiuti di emergenza, una soluzione tampone [n. 45]

La concertazione dell'aiuto [n. 46]

La sicurezza alimentare: una soluzione permanente [n. 47]

Priorità alla produzione locale [n. 48]

L'importanza della riforma agraria [n. 49]

Ruolo della ricerca e dell'educazione [n. 50]

Gli organismi internazionali: Associazioni Internazionali Cattoliche, Organizzazioni Internazionali Cattoliche (OIC), Organizzazioni non governative(ONG) e reti da loro costituite [n. 51]

La duplice missione degli Organismi Internazionali [n. 52]

Una solidarietà fraterna [n. 53]

IV
IL GIUBILEO DELL'ANNO 2000
UNA TAPPA NELLA LOTTA CONTRO LA FAME

I Giubilei: dare a Dio ciò che è di Dio [n. 54]

Diventare « provvidenza » per i propri fratelli [n. 55]

Dignità dell'uomo e fecondità del suo lavoro [n. 56]

L'economia degradata dalla mancanza di giustizia [n. 57]

Equità e giustizia nell'economia [n. 58]

Ispirare nuove proposte giubilari [n. 59]

V
LA FAME: UN APPELLO ALL'AMORE

Il povero ci chiama all'amore [n. 60]

La povertà di Dio [n. 61]

La Chiesa è con i poveri [n. 62]

Il povero ed il ricco sono entrambi chiamati alla libertà [n. 63]

La necessaria conversione del cuore dell'uomo [n. 64]

« Diffidate degli idoli! » [n. 65]

L'attenzione al povero... [n. 66]

... nell'ascolto di Dio [n. 67]

Cambiare vita... [n. 68]

... per cambiare la vita [n. 69]

Sostenere le iniziative [n. 70]

La chiamata alla missione nella quotidianità di ogni cristiano [n. 71]


(1) Nell'elaborazione del presente documento, il cui originale è in lingua francese, particolare cura è stata posta nel tener conto degli studi più diversi e recenti; purtuttavia, il fatto che vengano citati nel testo non ne implica un'approvazione integrale e senza riserve.

(2) Cf. ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), Déclaration universelle des droits de l'homme (Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo), adottata e proclamata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nella sua risoluzione 217 A (III) del 10 dicembre 1948, art. 25.1.

(3) ONU, Déclaration sur le progrès et le développement dans le domaine social (Dichiarazione sul progresso e lo sviluppo nel settore sociale), proclamata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nella sua risoluzione 2542 (XXIV) dell'11 dicembre 1969, parte II, art. 10b.

(4) ONU, Déclaration universelle pour l'éliminataion définitive de al faim et de la malnutrition (Dichiarazione universale per l'eliminazione definitiva della fame e della malnutrizione), Conférence Mondiale de l'Alimentation (Conferenza Mondiale sull'Alimentazione) Roma, 16 novembre 1974, n. 1.

(5) FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura) ed OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), Conférence Internationale sur la Nutrition, Déclaration mondiale sur la nutrition (Conferenza Internazionale sulla Nutrizione, Dichiarazione mondiale sulla nutrizione), Rapporto finale della Conferenza, n. 1, Roma 1992.

(6) 3 Cf. ibid., n. 1. Cf. anche FAO, Necessità e risorse, Atlante dell'alimentazione e dell'agricoltura, Roma 1995, p. 16: « In media nel mondo sono disponibili circa 2700 calorie alimentari a testa al giorno, abbastanza da soddisfare il fabbisogno energetico di tutti. Ma non esiste uniformità nella produzione, né nella distribuzione alimentare. Alcuni paesi producono più di altri, ma sono i sistemi di distribuzione e il reddito familiare a determinare l'accesso agli alimenti ».

(7) Cf. FAO, Agriculture: Horizon 2010 (Agricoltura: Orizzonte 2010), Doc. C 9324, Roma 1993, p. 1.

(8) Cf. Conc. Oecum. Vat. II, Costituzione Pastorale Gaudium et spes (1965), n. 40: « La Chiesa, che è insieme società visibile e comunione spirituale, cammina insieme con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena, ed è come il fermento e quasi l'anima destinata a rinnovarsi in Cristo e trasformarsi in famiglia di Dio. Tale compenetrazione di città terrena e città celeste non può certo essere percepita se non con la fede... ».

(9) Conc. Oecum. Vat. II, Costituzione pastorale Gaudium et spes (1965), n. 69.

(10) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis (1987), n. 41, AAS (1988), p. 570.

(11) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis (1987), n. 33, l. c., p. 558; cf. anche Paolo VI, Lettera Enciclica Populorum progressio (1967), n. 47, AAS (1967), p. 280.

(12) Cf. FAO, Necessità e risorse. Atlante dell'alimentazione e dell'agricoltura, Roma 1995, p. 16. Cf. anche nota n. 4.

(13) Cf. Alan Berg, Malnutrition: What can be done? Lessons from World Bank Experience, The John Hopkins University Press for World Bank, Baltimore, Maryland, 1987.

(14) Alcuni studi condotti dalla FAO e dall'OMS hanno stabilito che il minimo giornaliero necessario è di circa 2100 calorie e la disponibilità quotidiana necessaria di alimenti deve essere pari a 1,55 volte il metabolismo di base; al di sotto di questi parametri un individuo può essere considerato sofferente di sotto alimentazione cronica (cf. FAO ed OMS, Conférence Internationale sur la Nutrition. Nutrition et développement. Une évaluation d'ensemble [Conferenza Internazionale sulla Nutrizione. Nutrizione e sviluppo. Una valutazione d'insieme], Roma 1992). Attualmente, esistono ancora nel mondo 800 milioni di individui sotto alimentati, il fabbisogno medio di un adulto è di 2500 calorie al giorno. Gli abitanti dei paesi industrializzati assimilano circa 800 calorie in eccesso al giorno, mentre gli abitanti dei paesi in via di sviluppo debbono accontentarsi di un apporto di due terzi di tale razione (cf. Le sud dans votre assiette. L'interdépendance alimentaire mondiale, CRDI, Ottawa 1992, p.26).

(15) 3 Cf. Documento preparatorio dell'UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo) alla seconda Conférence des Nations Unies sur les Pays Moins Avancés (Conferenza delle Nazioni Unite sui Paesi meno sviluppati), Parigi 1990.

(16) FAO ed OMS, Conférence Internationale sur la Nutrition. Déclaration mondiale sur la nutrition, (Conferenza Internazionale sulla Nutrizione. Dichiarazione mondiale sulla nutrizione) Rapporto finale della Conferenza Roma 1992, n. 2.

(17) Cf. Banca Mondiale, Poverty and Hunger, 1986. Questo documento descrive i livelli di insicurezza alimentare (transitori o cronici), le cause economiche di tali situazioni ed i mezzi per porvi rimedio a medio ed a lungo termine. Tale distinzione, pur se utile, presenta l'inconveniente di non evidenziare direttamente le correlazioni fra le diverse cause, il che metterebbe più chiaramente in luce il loro ordine di importanza, in quanto alcune cause sono allo stesso tempo effetto di cause più profonde. Il concetto di durevole associato allo sviluppo aveva in origine il senso di un processo compatibile con il rispetto dell'ambiente, mentre ora tale nozione comprende anche quella della permanenza dello sviluppo.

(18) Cf. Banca Mondiale, Poverty and Hunger, 1986.

(19) Il termine italiano traduce l'espressione francese « pays en mal de développement », la quale esula dal campo della mera economia, e si applica ai paesi la cui evoluzione economica e sociale è eccessivamente onerosa in termini di sofferenze umane, di mezzi finanziari e, in ugual misura, di abbandono di conoscenze e pratiche usuali e di perdita di un patrimonio acquisito nel corso dei secoli.

(20) L'Asia ha fatto registrare globalmente una performance molto più efficace, dovuta, in complesso a migliori politiche e a migliori realizzazioni, senza che tuttavia la qualità dei rapporti interpersonali possa essere considerata migliore, né i livelli di corruzione più bassi.

(21) In alcuni paesi si sono dovuti effettuare dei tagli nel settore dell'educazione. Da notare che in molti dei paesi con difficoltà di sviluppo, una certa propensione a favorire l'insegnamento superiore a spese dell'istruzione primaria, costituisce un problema ricorrente che le istituzioni internazionali debbono affrontare nel loro dialogo con questi paesi.

(22) Cf. UNFPA (United Nations Populations Fund – Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione), The State of World Population 1993, New York 1993; United Nations, World Population Prospects; the 1992 Revision, New York 1993. Cf. anche FNUAP (Fonds des Nations Unies pur la Population), Etat de la population mondiale 1994. Choix et responsabilités.

(23) PNUD (Programme des Nations Unies pour le Developpement – Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo), Rapport mondial sur le developpement humain, 1990. Economica, Parigi 1990. Cf. ibidem, p. 94: nei paesi in via di sviluppo, laddove vive la maggior parte delle persone che soffrono la fame, la popolazione rurale è più che raddoppiata e la popolazione urbana è triplicata o quadruplicata in 30 anni (dal 1950 al 1980).

(24) Cf. Franz Böckle u.a., Armut und Bevölkerungs-Entwicklung in der Dritten Welt (Povertà e sviluppo demografico nel terzo mondo) edita dal Gruppo di lavoro scientifico sui problemi della Chiesa universale della Conferenza Episcopale tedesca, Bonn 1991.

(25) Cf. Pontificia Accademia delle Scienze, Popolazione e Risorse. Rapporto. Città del Vaticano 1993 (i dati statistici forniti hanno già subito delle modifiche).

(26) Cf. Pontificio Consiglio per la Famiglia, Evoluzioni demografiche. Dimensioni etiche e pastorali, Città del Vaticano 1994. Cf. Le contrôle des naissances dans les pays du Sud: promotion des droits des femmes ou des intérêts du Nord, in « Inter-mondes », vol. 7, n. 1, ottobre 1991, p. 7: recentemente, numerose ricerche hanno dimostrato che altri tre fattori, oltre al controllo delle nascite, contribuiscono parimenti al rallentamento della crescita della popolazione mondiale. Si tratta dello sviluppo economico e sociale, del miglioramento delle condizioni di vita delle donne, e, paradossalmente, della riduzione della mortalità infantile. Cf. anche UNICEF (United Nations Children's Fund – Fondo delle Nazioni Unite per l'Infanzia), La situation des enfants dans le monde, Ginevra 1991.

(27) Cf. Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla Settimana di Studi su « Risorse e Popolazione » organizzata dalla Accademia Pontificia delle Scienze (22 novembre 1991), nn. 4 e 6: « La Chiesa è consapevole della complessità del problema... Ma al momento di adottare misure di emergenza, non bisogna essere indotti in errore; l'applicazione di metodi che non risultano in armonia con la vera natura dell'uomo, finisce di fatto per causare danni drammatici... che colpiscono in particolare gli strati più poveri e deboli della popolazione, aggiungendo ingiustizia ad ingiustizia », AAS (1992), pp. 1120-1122. Cf. anche Cardinal Angelo Sodano, Intervento alla Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo (CNUED), di Rio de Janeiro (13 giugno 1992), L'Osservatore Romano, 15-16 giugno 1992.

(28) FAO e OMS, Conférence Internationale sur la Nutrition. Déclaration mondiale sur la nutrition (Conferenza Internazionale sulla Nutrizione. Dichiarazione mondiale sulla nutrizione), Rapporto finale della Conferenza, Roma 1992, n. 15.

(29) Cf. FAO, Agriculture: Horizon 2010, Doc. C 9324, Roma 1993, n. 2.13.

(30) Cf. PNUD Rapport Mondial sur le Dévloppement humain 1990 (Rapporto Mondiale sullo Sviluppo umano 1990), Economica Paris 1990, p. 18.

(31) FAO ed OMS, Conférence Internationale sur la Nutrition. Déclaration mondiale sur la Nutrition, (Conferenza Internazionale sulla Nutrizione. Dichiarazione mondiale sulla nutrizione.) Rapporto finale della Conferenza, Roma 1992, n. 1.

(32) Ibidem.

(33) L'Argentina risulta fra i massimi esportatori di grano e di carne bovina: Questa nazione, dunque, non è da annoverarsi fra i paesi con difficoltà di sviluppo; è un paese industrializzato il cui andamento economico sul lungo periodo era insoddisfacente per ragioni essenzialmente imputabili alle debolezze dei suoi sistemi politici. Tale situazione è profondamente mutata negli ultimi anni e le conseguenze economiche sono già evidenti.

(34) Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana 1992, § 1906 ove si trova la definizione di « bene comune », ripresa da Gaudium et spes, n. 26, § 1: « l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi come ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente ».

(35) Giovanni Paolo II, Discorso al Palazzo della CEAO (Comunità Economica dell'Africa Occidentale), Ouagadougou, 29 gennaio 1990, AAS (1990), p. 818.

(36) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Centesimus annus (1991), n. 31, AAS (1991), p. 831.

(37) Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Reconciliatio et pænitentia (1984), n. 16, AAS (1985), pp. 213-217 (in termini di peccato sociale che produce mali sociali), Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis (1987), nn. 36-37, l. c., pp. 561-564 e Lettera Enciclica Centesimus annus (1991), n. 38, l. c., p. 841. Questi documenti utilizzano anche espressioni quali « situazioni di peccato » o anche « peccati sociali », facendo sempre risalire la causa di questi peccati all'egoismo, alla ricerca del profitto ed al desiderio di potere.

(38) La realizzazione dell'arma chimica, senza « ricadute », che serve solo ad attaccare o a difendersi, ne è testimonianza. A mero titolo di esempio, le 500.000 tonnellate di prodotti mortali, in grado di distruggere 60 miliardi di uomini, di cui dispone l'ex Unione Sovietica, hanno avuto un costo di produzione di 200 miliardi di dollari USA, ed altrettanto costerà distruggerle. Si tratta di risorse reali, e dunque di una perdita secca per il pianeta. Questa avventura perversa si traduce in un abbassamento del tenore di vita degli uomini (principalmente, ma non solo, nell'ex URSS) e addirittura in fame per numerose famiglie che altrimenti non l'avrebbero conosciuta.

(39) Cf. Paolo VI, Omelia del Natale 1975 a conclusione dell'Anno Santo, AAS (1976), p. 145. Questo concetto è stato utilizzato per la prima volta dal Papa Paolo VI.

(40) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Centesimus annus (1991), n. 28, l. c., p. 828.

(41) Cf. Larry Salmen, Listen to the People, Participant-Observer Evaluation of Development Projects, The World Bank and Oxford University Press 1987. A tale proposito si può ricordare il metodo dell'osservatore partecipante, praticato da un consulente della Banca Mondiale. Profondamente motivato dall'amore per gli uomini, non ha esitato a trascorrere periodi da tre a sei mesi, nelle « favelas » dell'America del Sud (specie Quinto e La Paz), per condurre la stessa vita della popolazione. Ogni volta è stato così in grado di consigliare gli architetti che lavoravano al rinnovamento urbano, per evitare che le nuove costruzioni venissero sistematicamente danneggiate dai nuovi abitanti, usciti dalle loro misere catapecchie. E l'ascolto preferenziale del povero che, nel caso specifico è anche beneficiario, come lo stesso buon senso, che richiede eroismo. In un secondo momento, il consulente ha diffuso questo metodo in Thailandia, coinvolgendo l'autorità mondiale della Banca per convincere i funzionari di Bangkok ad andare a vivere loro stessi per un certo periodo con i loro concittadini svantaggiati per garantire in tal modo il successo dei programmi di nuovi alloggi urbani.

Da segnalare ugualmente lo straordinario intervento di un pastore inglese, Stephen Carr, che ha vissuto per 20 anni in due villaggi africani, servendosi unicamente delle risorse e delle tecniche tradizionali. Era divenuto molto influente in quei luoghi e, di passaggio a Washington, è stato intervistato dalla Banca Mondiale nell'anno 1985/86. La sua testimonianza ha illuminato gli specialisti della Banca, che accusavano un insuccesso dopo l'altro nei progetti agricoli dell'Organismo in Africa. Esiste una simbiosi fra il contadino e la terra. La bella terra d'Africa è buona ma molto fragile. I cambiamenti di abitudini indotti nei contadini dall'economia moderna e la perdita dei valori ancestrali ha comportato la distruzione della terra. I missionari cattolici, e forse anche altri, lo avevano perfettamente capito. Le vecchie missioni erano rispettose dei talenti e specie dell'esperienza tradizionale. Questi valori sono stati riscoperti da alcune ONG, fra le quali la FIDESCO, con sede in Francia e presente in alcuni altri paesi europei.

(42) Cf. l'opera del P. Joseph Wrejinsky e di ATD - Quart-Monde.

(43) Cf. Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in terris (1963), cap. III, AAS (1963), pp. 279-291.

(44) Giovanni Paolo II, Discorso alla Conferenza della FAO in occasione della celebrazione del 50.esimo anniversario dell'Organizzazione (23 ottobre 1995), n. 2, L'Osservatore Romano, 23-24 ottobre 1995.

(45) Banca Mondiale, Rapport sur le développpement dans le monde 1990 (Rapporto sullo sviluppo nel mondo), 1990, Washington 1990, p. 19.

(46) Cf. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Il commercio internazionale delle armi. Una riflessione etica, Città del Vaticano 1994.

(47) Cf. FAO, Développement durable et invironnement, les politiques et activités de la FAO (Sviluppo duraturo ed ambiente, politiche ed attività della FAO), Roma 1992.

(48) 3 Cf. Giovanni Paolo II, Discorso alla venticinquesima sessione della Conferenza della FAO (16 novembre 1989), n. 8, AAS (1990), pp. 672-673.

(49) Cf. Chirografi d'istituzione delle Fondazioni Pontificie « Giovanni Paolo II per il Sahel », fondata il 22 febbraio 1984 e « Populorum Progressio », fondata il 13 febbraio 1992. La sede legale delle due Fondazioni è presso il Pontificio Consiglio « Cor Unum », Stato della Città del Vaticano; la sede del Consiglio di Amministrazione della Fondazione « Giovanni Paolo II per il Sahel » è a Ouagadougou (Burkina Faso) e quella della Fondazione « Populorum Progressio » a Santafé di Bogotà (Colombia).

(50) Cf. Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea generale delle Nazioni Unite in occasione del 50o anniversario dell'Organizzazione (5 ottobre 1995), nn. 12 e 13, L'Osservatore Romano, 6 ottobre 1995.

(51) Citiamo alcune di queste iniziative: Economia di Comunione Opera di Maria, Movimento del Focolare (Grottaferrata, Roma) AVSI Comunione e Liberazione (Milano), FIDESCO Communauté Emmanuel (Parigi); « Famiglia in Missione » Cammino Neocatecumenale (Roma), Opera sociale « Kolping International » (Colonia).

(52) PNUD, op. cit., p. 31 (cf. nota n. 29).

(53) Cf. IFAD (International Fund for Agricultural Development – Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo), The Role of Rural Credit Projects in Reaching the Poor, Rome-Oxford 1985.

(54) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera alle donne (29 giugno 1995), n. 4, AAS (1995), pp. 805-806.

(55) Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Mulieris dignitatem (1988), nn. 6-7, AAS (1988), pp. 1662-1667. Cf. anche Esortazione Apostolica post-sinodale Christifideles laici (1988), AAS (1989), pp. 489, 492.

(56) Si può trarre una valutazione dell'ordine di grandezza della corruzione, dalle stime dei servizi competenti di repressione delle frodi (specie in Francia, TRACFIN) sull'entità del riciclaggio del denaro.

(57) 3 Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis (1987), n. 44, l. c., pp. 576-577.

(58) Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in terris (1963) cap. III, AAS (1963), p. 290.

(59) Cf. Leone XIII, Lettera Enciclica Rerum novarum (15 maggio 1891), Leonis XIII P.M. Acta, XI, Romae 1892, pp. 97-144.

(60) Cf. FAO, « Charte des paysans » (Carta dei lavoratori agricoli): Dichiarazione di principio e programma d'azione nel Rapporto della Conférence Mondiale sur la Réforme agraire et le Développement rural (Conferenza Mondiale sulla Riforma agraria e lo Sviluppo rurale), Roma 1979.

(61) Cf. FAO, Rapporto della Conferenza della FAO, 23a sessione, C85REP, p. 46; Roma, 9-28 novembre 1985.

(62) Cf. nota n. 4.

(63) Cf. Banca Mondiale, Rapport sur le développement dans le monde, 1990, avant-propos, Washington 1990.

(64) Giovanni Paolo II, Discorso in occasione del 50o anniversario della FAO, n 4, L'Osservatore Romano, 23-24 ottobre 1995.

(65) Cf. PNUD, Rapport mondial sur le développement humain 1992, Economica, Parigi 1992, p. 49; cf. anche ONU, Rapport de la Conférence des Nations Unies sur l'environnement et le développement (Rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo), Rio de Janeiro 1992, par. 33.13: « I paesi industrializzati reiterano il loro impegno a devolvere lo 0,7% del loro PIL all'APD [Aide Publique au Développement]- percentuale stabilita dall'ONU e da loro convenuta- e, se non già realizzato, accettano di rivedere i loro programmi di aiuto per raggiungere tale livello prima possibile...Alcuni paesi si sono impegnati a raggiungere tale livello prima dell'anno 2000...I paesi che lo hanno già fatto debbono essere lodati ed incoraggiati a continuare a contribuire all'azione comune tesa a mettere a disposizione le importanti risorse supplementari necessarie".

(66) Cf. ONU, Rapport du Sommet Mondial pour le Développement Social (Rapporto del Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sociale), Copenaghen, 6-12 marzo 1995, Déclaration et Programme d'action (Dichiarazione e programma d'azione), par. 88b.

(67) Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Mater et magistra (1961), cap. III, AAS (1961), p. 440.

(68) Giovanni Paolo II, Discorso in occasione del 50o anniversario della FAO, n. 3, L'Osservatore Romano, 23-24 ottobre 1995.

(69) Cf. PNUD, op. cit., pp. 164-165 (cf. nota n. 64).

(70) FAO, Necessità e risorse... (cf. nota n. 11), p. 35. La sicurezza alimentare dipende generalmente da quattro elementi: la disponibilità di approvvigionamenti alimentari, l'accessibilità ad una alimentazione sufficiente, la stabilità degli approvvigionamenti, l'accettabilità culturale degli alimenti o di determinate associazioni di alimenti.

(71) Cf. anche Pacte mondial de sécurité alimentaire (Patto mondiale di sicurezza alimentare) (1985), già menzionato al n. 40.

(72) FAO, Landlessness. A growing problem, « Economic and Social Development Series », 2, n. 28, Roma 1984; versione francese: Le paysannat sans terre. Un problème toujours plus aigu, in « Collection FAO: développement économique et social », n. 28, Roma 1985.

(73) Giovanni Paolo II, Messaggio in occasione della Giornata Mondiale per la Pace del 1o gennaio 1990, « La pace con Dio Creatore, la pace con tutta la creazione », n. 11, AAS (1990), p. 153.

(74) Conc. Oecum. Vat. II, Dichiarazione Gravissimum educationis, n. 1, che rinvia a Pio XI, Lettera Enciclica Divini illius magistri (1929), AAS (1930), pp. 50 ss.

(75) Cf. anche Pontificio Consiglio « Cor Unum », Catholic Aid Directory, 4a ed., Città del Vaticano 1988 (prossimamente sarà pubblicata la 5a edizione). Si considerino, ad esempio, gli Organismi Membri di « Cor Unum »: Association internationale des Charités de St. Vincent de Paul (AIC), Caritas Internationalis, Unione Internazionale Superiore Generali (U.I.S.G.), Unione Superiori Generali (U.S.G.), Australian Catholic Relief, Caritas Italiana, Caritas Liban, Catholic Relief Services U.S.C.C., Deutscher Caritasverband, Manos Unidas, Organisation Catholique Canadienne pour le Développement et la Paix, Secours Catholique, Kirche in Not, Société de Saint Vincent de Paul, Secrétariat des Caritas de l'Afrique francophone, Caritas Aotearoa (Nuova Zelanda), Caritas Bolivia, Caritas Española, Caritas Moçambicana, Misereor, Österreichische Caritaszentrale, Ordine di Malta.

(76) Molto importante è l'Unità IV del Consiglio Mondiale delle Chiese a Ginevra; da menzionare altresì l'opera della Croce Rossa nel mondo.

(77) Cf. nota n. 48.

(78) Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente (1994), n. 12, AAS (1995), p. 13.

(79) Cf. ibid., n. 13, l.c., pp. 13-14.

(80) Conc. Oecum. Vat. II, Costituzione Pastorale Gaudium et spes (1965), n. 39.

(81) Giovanni Paolo II, Meditazione in occasione della veglia di preghiera al Cherry Creek State Park, nell'ambito della celebrazione della VIII Giornata mondiale della gioventù, 14.8.1993, AAS (1994), p. 416.

(82) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente (1994), n. 51: « ... proponendo il Giubileo come un tempo opportuno per pensare, tra l'altro, ad una consistente riduzione — se non proprio al totale condono — del debito internazionale che pesa sul destino di molte Nazioni », l. c., p. 36.

(83) Cf. a tale proposito H. Hude, Ethique et Politique, capitolo XIII: « La justice sur le marché », Ed. Universitaires, Parigi 1992.

(84) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Centesimus annus (1991), n. 34, l. c., pp. 835-836.

(85) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium vitae (1995), n. 69, AAS (1995), p. 481.

(86) La Lettera Enciclica Centesimus annus (1991) del Papa Giovanni Paolo II offre delle indicazioni in tal senso al n. 36: « Individuando nuovi bisogni e nuove modalità per il loro soddisfacimento, è necessario lasciarsi guidare da un'immagine integrale dell'uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere e subordini quelle materiali ed istintive a quelle interiori e spirituali. Al contrario, rivolgendosi direttamente ai suoi istinti e prescindendo in diverso modo dalla sua realtà personale cosciente e libera, si possono creare abitudini di consumo e stili di vita oggettivamente illeciti. Il sistema economico non possiede al suo interno criteri che consentano di distinguere correttamente le forme nuove e più elevate di soddisfacimento dei bisogni umani dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano la formazione di una matura personalità. E perciò necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la quale comprenda l'educazione dei consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, la formazione di un alto senso di responsabilità nei produttori e, soprattutto, nei professionisti delle comunicazioni di massa, oltre che il necessario intervento delle pubbliche autorità... alludo al fatto che anche la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro è sempre una scelta morale e culturale », l. c., pp. 838-840.

(87) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Centesimus annus (1991), n. 60, l. c., pp. 865-866.

(88) Leone XIII, Lettera Enciclica Rerum novarum (1891), n. 35.

(89) Cor Unum cercherà di favorire la realizzazione di questo progetto.

(90) Giovanni Paolo II, Secondo viaggio in Brasile (12-21 ottobre 1991), Discorso nella favela del Lixão de São Pedro, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIV2 (1991), p. 941.

(91) Conc. Oecum. Vat. II, Costituzione Pastorale Gaudium et spes (1965), n. 37. Cf. anche Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis (1987), nn. 27-28: « una simile concezione [di sviluppo], legata alla nozione di "progresso", dalle connotazioni+++

(92) 3 Cf. nota n. 38.

(93) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptoris missio (1990), n. 59, AAS (1991), pp. 307-308.

(94) Questa convinzione non è soltanto diffusa presso i cristiani. E alla base di un movimento recentemente costituito negli Stati Uniti, il « comunitarismo ». Il sociologo A. Etzioni presenta il movimento che auspica la promozione del bene comune di ogni uomo nel suo studio The Spirit of Community. Rights, Responsabilities and the Communitarian Agenda,Crown Publishers, inc. New York 1993.

(95) Cf. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis (1987), n. 40, l. c., p. 569.

(96) Cf. Secretaria Status Rationarium Generale Ecclesiae, Annuarium statisticum Ecclesiae, Typis Vaticanis (1994), p. 41.

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