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PONTIFICIO CONSIGLIO
"COR UNUM"

PONTIFICIO CONSIGLIO
DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI

I RIFUGIATI: UNA SFIDA ALLA SOLIDARIETA'

"Una vergognosa piaga del nostro tempo"

E' così che il Papa Giovanni Paolo II ha voluto qualificare il problema dei rifugiati nella lettera all'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (25 giugno 1982).

Dopo dieci anni, nonostante l'instancabile azione della comunità internazionale e di benevole organizzazioni, la piaga non ha smesso di espandersi nel fianco dell'umanità e di infettare i Paesi più poveri: quasi il 90% dei rifugiati si trova nei Paesi del Terzo Mondo e soprattutto il continente africano è colpito da questo flagello.

Oggi il numero già elevato (circa 17 milioni) di rifugiati che rientrano nella stretta definizione formulata dal diritto internazionale è doppiato dal numero dei profughi all'interno dei loro paesi e quindi giuridicamente non protetti. Sempre più numerosi sono poi coloro che varcano le frontiere per fuggire una povertà estrema e quasi oppressiva. Pur dovendo sempre distinguere un rifugiato da un migrante, tale distinzione risulta talvolta difficile da farsi, e certe interpretazioni arbitrarie favoriscono politiche restrittive poco conformi al rispetto dell'uomo.

Questo documento non si contenta di ravvivare l'attenzione spesso spenta sulla condizione inumana del rifugiato, dislocato nello spazio e nel tempo fino alla perdita della propria identità. Esso vorrebbe stimolare la solidarietà internazionale, non soltanto nei confronti degli effetti, ma soprattuutto delle cause del dramma: un mondo in cui i diritti dell'uomo sono impunemente violati continuerà a produrre rifugiati di ogni tipo.

La Chiesa, riaffermando il primato e la dignità della persona umana, si rivolge a tutti gli uomini e a tutti i popoli, ai loro responsabili nazionali e internazionali per esortarli a dar prova d'immaginazione e di coraggio nella ricerca di soluzioni giuste e durature a quella che Giovanni Paolo II ha chiamato "forse la più grande tragedia di tutte le tragedie umane del nostro tempo"*

Roger Cardinal ETCHEGARAY + Giovanni CHELI
Presidente del
Pontificio Consiglio
Cor Unum
Presidente del
Pontificio Consiglio
De Spirituali Migrantium
atque Itinerantium Cura


 

* GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai Rifugiati in esilio a Morong, Filippine (21 febbraio 1981): AAS 73 (1981), 390.


I.

RIFUGIATI IERI E OGGI: UNA TRAGEDIA CHE SI AGGRAVA

L'esilio nella memoria dei popoli

1. I rifugiati non sono un prodotto esclusivo del nostro tempo. Nel corso della storia, le tensioni tra gruppi culturalmente ed etnicamente diversi, tra i diritti dell'individuo e il potere dello Stato, sono sfociate spesso in guerre e persecuzioni, espulsioni e fughe. Esempi tipici di simili esperienze, radicate nella memoria collettiva di ogni popolo, ci vengono presentati anche dalla storia biblica. I fratelli di Giuseppe andarono in Egitto (Gen 42,1-3) spinti da una carestia devastante; Giuda, sconfitto dalla guerra, "fu deportato dal suo paese" (2 Re 25,21); Giuseppe prese Gesù e sua madre e durante la notte fuggì in un paese straniero poiché il re stava "cercando il bambino per ucciderlo" (Mt 2,13-15); lo scoppio di una violenta persecuzione disperse in varie regioni i fedeli della Chiesa di Gerusalemme (Atti 8,1).

La condizione del rifugiato

2. Il dramma dell'esilio forzato continua ad esistere e a crescere in tutto il mondo, tanto che il nostro è stato definito il secolo dei rifugiati. Molti vivono una così sconcertante esperienza da anni e addirittura da generazioni, senza aver mai conosciuto altro tipo di vita; è quanto accade in vari campi di Palestinesi.

Dietro le statistiche, approssimative ma espressive, si celano dolori personali e collettivi: perduti sono i luoghi dove trovava significato e rispetto la loro vita, perduti i luoghi ove si potevano celebrare gli avvenimenti della loro storia e venerare le tombe dei loro padri. Alcuni casi di esodo sono particolarmente drammatici, come quelli dei "boat-people" o quelli di etnie perseguitate.(1)

La vita è spesso molto penosa nei campi detti di prima accoglienza, a causa sia del sovraffollamento, sia dell'insicurezza alle frontiere, sia di una politica di "dissuasione" che trasforma certi campi in universi carcerari. Anche quando è trattato con umanità, il rifugiato si sente sempre umiliato: non è più padrone del suo destino, è alla mercè degli altri.

Rifugiati legalmente riconosciuti

3. I conflitti umani, e le altre situazioni che minacciano la vita, danno origine a diversi tipi di rifugiati. Tra questi si annoverano le persone che sono oggetto di persecuzione a causa della loro razza, della loro religione o della loro appartenenza ad un gruppo sociale o ad una scelta politica. Questi tipi di rifugiati, e soltanto questi sono esplicitamente riconosciuti da due importanti documenti dell'Organizzazione delle Nazioni Unite(2). Tali testi giuridici non tutelano molte altre persone i cui diritti umani sono parimenti calpestati.

Rifugiati "de facto"

4. Così non rientrano nelle categorie della Convenzione internazionale le persone vittime dei conflitti armati, di regimi repressivi, di politiche economiche sbagliate o di disastri naturali.

Oggi si registra, comunque, una crescente tendenza a riconoscere tali persone come rifugiati "de facto" per ragioni umanitarie, data la natura involontaria della loro migrazione. Del resto, gli Stati aderenti alla Convenzione avevano essi stessi espresso la speranza che essa avesse un "valore di esempio, oltre la sua portata contrattuale"(3). L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha chiesto in diverse occasioni all'Alto Commissario per i Rifugiati di interporre i suoi buoni uffici per assistere tali persone involontariamente fuori del proprio Paese. La pratica corrente in Europa dopo le due guerre mondiali, e più recentemente, in alcuni Paesi di primo asilo in altri continenti, si è mossa in questa direzione(4).

Nel caso poi dei cosiddetti "migranti economici", giustizia ed equità richiedono che si facciano appropriate distinzioni. Coloro che fuggono condizioni economiche che minacciano la loro vita e integrità fisica, devono essere trattati diversamente da coloro che emigrano semplicemente per migliorare la loro situazione.

Profughi all'interno del proprio paese

5. Per un gran numero di persone, lo sradicamento forzato dal proprio ambiente avviene senza uscire dai confini nazionali. Infatti, durante rivoluzioni e controrivoluzioni, la popolazione civile si trova spesso nel fuoco incrociato delle forze della guerriglia e delle forze governative, che lottano per motivi ideologici o per la proprietà della terra e delle risorse nazionali. Per ragioni umanitarie queste persone, dette "deplacées", dovrebbero essere considerate come rifugiati allo stesso titolo di coloro che sono riconosciuti tali dalla Convenzione, perché sono vittime dello stesso tipo di violenza.

Tendenza a ridurre la protezione dovuta ai rifugiati

6. Nonostante l'accresciuta consapevolezza dell'interdipendenza tra gli uomini e tra le nazioni, certi Stati determinano arbitrariamente i criteri per l'applicazione degli obblighi internazionali, lasciandosi guidare dalle proprie ideologie o da interessi di parte.

In altri paesi, peraltro, che pur in passato avevano offerto generosa accoglienza ai rifugiati, si sta verificando una preoccupante tendenza verso scelte politiche orientate a ridurre il numero di ingressi e a scoraggiare nuove richieste di asilo. Se momenti di recessione economica possono rendere comprensibile l'imposizione di alcuni limiti all'accoglienza, non si può però mai negare il rispetto del fondamentale diritto al rifugio delle persone la cui vita è seriamente minacciata nella loro patria.

E' preoccupante anche constatare la riduzione delle risorse destinate alla soluzione del problema dei Rifugiati e l'indebolimento del sostegno politico alle strutture appositamente create per questo servizio umanitario.

Nuove opportunità di progresso

7. Numerose sono tuttavia le persone che, all'interno delle varie nazioni, si schierano decisamente contro l'affermarsi di sentimenti e di scelte politiche di chiusura e si impegnano a sensibilizzare l'opinione pubblica in favore della protezione dei diritti di tutti e del valore dell'accoglienza.

Recenti cambiamenti politici in Europa Centrale e Orientale, e in altre parti del mondo hanno aperto nuove prospettive all'accoglienza, al dialogo e alla cooperazione, con la speranza che i muri abattuti non vengano eretti altrove.

II.

SFIDE ALLA COMUNITA' INTERNAZIONALE

I rifugiati interpellano la coscienza del mondo

8. Le prime iniziative internazionali si situavano in un ambito piuttosto limitato. Esse manifestavano un interesse per le sofferenze di persone specificamente perseguitate, soffermandosi sui motivi individuali dell'espatrio. Ora che le persone forzatamente sradicate sono diventate moltitudini, è necessario rivedere gli accordi internazionali ed estendere la protezione da essi garantita anche ad altre categorie.

Recentemente, il dibattito concernente le cause che generano e acutizzano l'instabilità politica si è concentrato sulla povertà, gli squilibri nella distribuzione dei mezzi di sussistenza, il debito estero, l'inflazione galoppante, la strutturale dipendenza economica e le calamità naturali. Non sorprende il fatto che la maggioranza dei rifugiati provenga dai paesi in via di sviluppo(5). Una ristrutturazione dei rapporti economici non sarebbe però da sola sufficiente a superare le divergenze politiche, le discordie etniche e rivalità di altro tipo. Fintanto che le relazioni tra le persone e tra le Nazioni non poggeranno su una vera capacità di accettarsi sempre più nella diversità e nell'arricchimento reciproco, ci saranno rifugiati vittime di abuso di potere(6).

Il diritto a una patria

9. Il problema dei rifugiati deve essere affrontato alle sue radici, cioè al livello delle cause stesse dell'esilio. Il primo punto di riferimento non deve essere la ragione di Stato o la sicurezza nazionale, ma la persona umana, affinché sia salvaguardata la sua esigenza di vivere in comunità, esigenza che proviene dalla natura profonda dell'uomo(7).

I diritti umani definiti dalle leggi, dagli accordi e dalle convenzioni internazionali già indicano il cammino da seguire. Ma una soluzione duratura al problema dei rifugiati sarà raggiunta soltanto quando la comunità internazionale, al di là delle norme di protezione dei rifugiati, arriverà a riconoscere il loro diritto di appartenere alla propria comunità. Numerose richieste vengono espresse a favore di un approccio più organico ai diritti delle persone in cerca di una terra di rifugio(8).

Mentalità d'accoglienza

10. Il progresso nella capacità di convivenza all'interno dell'intera famiglia umana è strettamente legato alla crescita di una mentalità di accoglienza. Ogni persona in pericolo che si presenta alle frontiere ha diritto all'assistenza. Per facilitare la determinazione delle cause dell'abbandono del proprio paese e l'adozione di soluzioni durevoli, è necessario un rinnovato impegno ad elaborare norme di asilo territoriale internazionalmente accettabili(9). Questo atteggiamento agevola la ricerca di soluzioni comuni e ridimensiona la validità di alcuni argomenti, a volte pretestuosamente usati per limitare l'accoglienza e la concessione del diritto d'asilo al solo criterio dell'interesse nazionale.

Per una più completa protezione dei rifugiati

11. La protezione non è una concessione che si fa al rifugiato: egli non è un oggetto di assistenza, ma piuttosto un soggetto di diritti e doveri. Ogni paese ha la responsabilità di rispettare e di far rispettare i diritti del rifugiato, tanto quanto quelli dei suoi cittadini.

Quando le persone fuggono l'invasione o la guerra civile, la loro protezione esige anche che siano riconosciute come non belligeranti. Da parte loro, esse dovranno esplicitamente rinunciare all'uso della forza.

12. Ai "rifugiati convenzionali" sono già state offerte varie misure di protezione; queste però non devono limitarsi alla garanzia della sicurezza fisica, ma vanno estese a tutte le condizioni necessarie a una esistenza pienamente umana. Pertanto devono assicurare non solo il nutrimento, il vestiario, l'alloggio e la protezione dalla violenza, ma anche l'accesso all'istruzione e all'assistenza medica, la possibilità di assumersi responsabilità per la propria vita, di coltivare la propria cultura e le proprie tradizioni e di esprimere liberamente la propria fede. Inoltre, poiché la famiglia è la cellula vitale di ogni società, si dovrà favorire la riunificazione delle famiglie dei rifugiati.

13. Sebbene molti l'abbiano già fatto, sarebbe auspicabile che tutti gli Stati aderissero alla Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951 e al relativo Protocollo del 1967, e che li rispettassero.

L'esercizio del diritto di asilo, proclamato dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell'Uomo, dovrebbe essere ovunque riconosciuto e non ostacolato con misure deterrenti e penalizzanti. Un richiedente asilo non dovrebbe essere internato, a meno che non si possa affermare che egli costituisce un reale pericolo, o ci siano fondati motivi per sospettare che non si presenterà alla competente autorità per l'esame del suo caso. Non si dovrebbe, inoltre, impedire l'accesso al lavoro e a una giusta e rapida procedura legale.

Il comportamento degli Stati nei riguardi dei rifugiati riconosciuti tali sulla base di considerazioni umanitarie necessita di essere articolato in una normativa che tenga conto di tutte le loro esigenze umane. In particolare, gli accordi internazionali dovrebbero includere l'obbligo di non considerare "migranti economici" quanti fuggono un'oppressione sistematica o una guerra civile. I paesi che riconoscono la loro interdipendenza regionale e mirano a coordinare le loro politiche, dovrebbero adottare un orientamento generoso ed uniforme verso i rifugiati, aperto ad una pluralità di soluzioni.

No al rimpatrio forzato

14. Il rispetto scrupoloso del principio della volontarietà del rimpatrio è base non negoziabile per il trattamento dei rifugiati. Nessuno deve essere rimandato in un paese ove tema azioni discriminatorie o gravi problemi di sopravvivenza. Nel caso che i competenti uffici governativi decidano di non accogliere i richiedenti asilo con l'argomentazione che non si tratta di veri rifugiati, sono tenuti ad assicurarsi che altrove sarà loro garantita un'esistenza sicura e libera. La storia recente mostra che tante persone sono state rinviate contro la loro volontà ad un destino a volte tragico; alcuni sono stati respinti in mare, altri sono stati dirottati verso campi minati, ove hanno trovato la morte.

Situazione e struttura dei campi profughi

15. I campi-profughi, strutture necessarie benché non ideali di prima accoglienza, dovrebbero essere situati in località il più possibile lontane da conflitti e sicure da eventuali attacchi(10). Essi devono inoltre essere organizzati in modo tale che i rifugiati possano godervi di un minimo di vita privata, di servizi medici, didattici e religiosi. Le persone che vi risiedono devono anche essere protette dalle varie forme di violenza morale e fisica e avere la possibilità di partecipare alle decisioni che riguardano la loro vita quotidiana. I dispositivi di sicurezza devono essere rinforzati là ove sono alloggiate donne sole, per evitare le violenze di cui esse sono spesso l'oggetto.

Le organizzazioni internazionali, specie quelle preposte alla tutela dei diritti umani, e i mezzi di comunicazione sociale abbiano libero accesso ai campi. Poiché il campo costituisce una comunità di vita artificiale e imposta, quindi traumatizzante, una lunga permanenza in esso rende il rifugiato ancor più vulnerabile. I campi devono restare ciò che era stato previsto che fossero: una soluzione d'emergenza e, pertanto, provvisoria.

No al silenzio dell'indifferenza

16. L'interesse ad aiutare i rifugiati - sentito anche come obbligo morale di lenire le sofferenze altrui - a volte si scontra con il timore di una loro eccessiva crescita numerica e del confronto con altre culture che possono disturbare gli schemi di vita adottati dai paesi di accoglienza. Quelli che ieri erano visti con simpatia perché "lontani", sono rifiutati oggi perché troppo "vicini" e troppo invadenti. Così, al di là di occasionali slanci dell'interesse generale, la premura verso i rifugiati tende ad essere delegata ad alcuni organismi e gruppi di settore.

I mezzi di comunicazione sociale possono contribuire a dissipare pregiudizi e suscitare un'attenzione costante per i rifugiati da parte dell'opinione pubblica. Quando essi sostengono politiche fondate sulla solidarietà e la comprensione umana, impediscono che i rifugiati diventino i capri espiatori dei mali della società. La presentazione di una positiva e precisa immagine dei rifugiati è particolarmente necessaria in quei paesi ove essi sono utilizzati per distogliere intenzionalmente l'attenzione da altri gravi problemi interni o esterni.

L'indifferenza costituisce un peccato di omissione. La solidarietà fa invertire la tendenza a considerare il mondo soltanto dal proprio punto di vista. L'accettazione della dimensione mondiale dei problemi sottolinea i limiti di ogni cultura; spinge a uno stile di vita più sobrio in vista di contribuire al bene comune; consente di rispondere efficacemente al giusto appello dei rifugiati e apre cammini di pace.

III.
IL CAMMINO DELLA SOLIDARIETA'

17. Rimane molto attuale la contraddizione rilevata dal Concilio Vaticano II: "Mentre il mondo avverte così lucidamente la sua unità e la mutua interdipendenza dei singoli in una necessaria solidarietà, a causa di forze tra loro contrastanti, violentemente viene spinto in direzioni opposte; infatti permangono ancora gravi contrasti politici, sociali, economici, razziali e ideologici..."(11). L'irrisolto problema dei rifugiati ne è una dolorosa conferma. La mancata risposta è ancora più sconcertante in quanto esprime noncuranza per quei diritti individuali e sociali, che pure sono additati come una conquista del nostro tempo.

18. Sempre più, tuttavia, nel corso della storia e grazie alla riflessione etica, la coscienza dell'interdipendenza trova espressione in istituzioni internazionali. L'azione e la testimonianza di organismi specializzati delle Nazioni Unite, di molti organismi internazionali o non governativi, di associazioni di volontari civili o religiosi, di servizi sociali e pastorali di Conferenze Episcopali, meritano stima e riconoscenza. Si deve rendere un riconoscimento tutto particolare all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, istituito il 1.mo Gennaio 1951 con sede a Ginevra, il cui mandato, rinnovato ogni cinque anni, ne sottolinea simbolicamente il carattere "provvisorio". Le sue due funzioni principali sono: assicurare una "protezione internazionale" ai rifugiati e ricercare "soluzioni permanenti" ai loro problemi(12).

19. Numerosi membri di associazioni di volontariato e funzionari di istituzioni internazionali, malgrado tante difficoltà di ogni genere, si dedicano al servizio dei più poveri e pagano talvolta con la loro vita l'aiuto che generosamente offrono. La presenza tra i rifugiati di persone impegnate a tempo pieno o per un periodo più o meno lungo, è una testimonianza efficace che va continuata ed incrementata.

20. Sono più che mai necessarie creatività e conversione dei cuori per far fiorire concrete iniziative di solidarietà. Già il riconoscimento dei diversi tipi di persone forzatamente sradicate costituisce un positivo sviluppo nel recente dibattito internazionale su questo tema. Esso facilita la comprensione della loro tragedia e la programmazione di interventi per la loro protezione e assistenza.

E' venuto il tempo di guardare ai rifugiati al di là e al di fuori di posizioni ideologiche, che hanno impedito finora l'elaborazione di accordi internazionali adatti alle necessità contemporanee.

Inoltre, la tutela dei diritti umani dei profughi interni esige l'adozione di specifici strumenti legislativi e di appropriati meccanismi di coordinamento da parte della comunità internazionale, i cui legittimi interventi non potranno essere considerati come violazioni della sovranità nazionale.

21. Lo spirito di solidarietà rivela chiaramente inaccettabile il fatto che milioni di rifugiati vivano in condizioni disumane. In particolare i cittadini e le istituzioni di Stati democratici ed economicamente sviluppati, non possono rimanere indifferenti di fronte a una così drammatica situazione. L'inazione o lo scarso impegno da parte di questi Stati sarebbe una stridente contraddizione con i principi da essi giustamente considerati alla base della loro cultura, fondata sulla pari dignità riconosciuta ad ogni persona umana. L'effettiva universalizzazione dei diritti umani dipende oggi in gran parte dalla capacità dei paesi sviluppati di fare quel salto di qualità morale che permetta di cambiare le strutture che mantengono così tante persone in una condizione di estrema emarginazione. Non si tratta, infatti, soltanto di bendare le ferite; ci si deve anche impegnare e intervenire sulle cause che sono all'origine dei flussi di rifugiati. La solidarietà internazionale deve innanzitutto concretizzarsi all'interno della comunità nazionale ed essere vissuta da ogni cittadino(13).

22. Un'espressione particolare della solidarietà verso i Rifugiati è l'appoggio dato per il rimpatrio volontario, che è l'aspirazione della maggior parte di essi. Si avverte sempre più fortemente la necessità di creare un sistema di controllo internazionale che assicuri ai Rifugiati la piena libertà di essere rimpatriati.

23. E' significativo che oggi soltanto una piccola percentuale di rifugiati cerchi o riceva asilo in paesi al di fuori di quelli della vicina regione di origine. L'onere dell'assistenza ai rifugiati nelle varie fasi della loro situazione ricade in gran parte sui paesi limitrofi. Esso dovrebbe essere equamente assunto da parte della comunità internazionale(14).

E' inoltre sempre più evidente che la solidarietà verso i rifugiati esige iniziative combinate di aiuto umanitario e di cooperazione allo sviluppo.

24. I governi che hanno generosamente operato per accogliere rifugiati non interrompano gli sforzi e non chiudano le loro frontiere finché la sistemazione in paesi-terzi rimane per molti rifugiati l'unica possibilità di sopravvivenza. Tanto più che l'ingresso di rifugiatiin un paese, pur creando inevitabili disagi, può stimolare lo sviluppo della società locale. Tale opportunità richiede, però, adeguate scelte politiche ed economiche da parte del paese ospitante. I rifugiati, poi, dal canto loro, si aiutino gli uni gli altri ponendo le loro risorse umane e spirituali al servizio della ricerca di soluzioni valide per far fronte alla loro situazione(15).

Le istituzioni internazionali sono chiamate a svolgere un ruolo di mediazione tra culture e sistemi socio-politici diversi, per favorire lo sviluppo di atteggiamenti di integrazione solidale.

IV.

L'AMORE DELLA CHIESA PER I RIFUGIATI

La sollecitudine della Chiesa per tutti i rifugiati

25. La tragedia dei rifugiati è "una piaga tipica e rivelatrice degli squilibri e dei conflitti del mondo contemporaneo"(16). Mostra un mondo disunito e ben lontano da quell'ideale secondo cui: "Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme" (1 Cor. 12,26). La Chiesa offre il suo amore e la sua assistenza a tutti i rifugiati senza distinzione di religione e di razza: rispetta in ciascuno di loro l'inalienabile dignità della persona umana creata a immagine di Dio (Gen 1,27).

I cristiani poi, forti della certezza della fede, possono dimostrare che, ponendo al primo posto la dignità della persona umana con tutte le sue esigenze, gli ostacoli creati dall'ingiustizia cominceranno a cadere; sono consapevoli che Dio, che ha camminato con i rifugiati dell'Esodo alla ricerca di una terra libera da ogni oppressione, è ancora in cammino con i rifugiati di oggi per realizzare con essi il Suo disegno d'amore.

Il compito della Chiesa locale

26. La responsabilità di offrire accoglienza, solidarietà e assistenza ai rifugiati è innanzitutto della Chiesa particolare. Essa è chiamata ad incarnare le esigenze del Vangelo andando incontro senza distinzioni a queste persone nel momento del bisogno e della solitudine.Il suo compito assume varie forme: contatto personale; difesa dei diritti di singoli e di gruppi; pubblicizzazione delle ingiustizie che sono alla radice del male; azione per l'adozione di leggi tali da garantirne l'effettiva protezione; educazione contro la xenofobia; istituzione di gruppi di volontariato e di fondi d'emergenza; assistenza spirituale. Cerca anche di inculcare nei rifugiati un comportamento rispettoso e di apertura verso la società che li ospita.

Ogni Chiesa locale, esprimendo la sollecitudine della Chiesa universale, deve poter contare sull'azione caritativa delle altre comunità ecclesiali, specialmente di quelle che dispongono di maggiori risorse. Quando, poi, i rifugiati sono presenti in gran numero, la Chiesa intesifichera' la sua cooperazione con tutte le forze sociali interessate, con le autorità competenti e la comunità internazionale.

La parrocchia

27. Il primo luogo d'attenzione ecclesiale ai rifugiati resta la comunità parrocchiale. Ad essa spetta di sensibilizzare i suoi membri al dramma dei rifugiati, esortando ad accoglierli come Gesù ha insegnato: "Ero forestiero e mi avete accolto" (Mt 25,35). Non veda nei nuovi arrivati una minaccia alla sua identità culturale e al suo benessere, ma uno stimolo a camminare insieme con questi nuovi fratelli ricchi di doni particolari, in un processo sempre nuovo di formazione di un popolo capace di celebrare la sua unità nella diversità. Benevolenza, rispetto, fiducia e condivisione esprimono concretamente una cultura di solidarietà e di accoglienza. Paura e sospetto nei confronti dei rifugiati vanno superati dalla comunità cristiana, la quale deve saper vedere in essi il volto amabile del Redentore.

Attenzione spirituale per coloro che vivono nei campi e per i gruppi più a rischio

28. Tutti i rifugiati hanno diritto ad un'assistenza che includa le loro esigenze spirituali durante il periodo di asilo nei campi e durante il processo d'inserimento nel paese ospitante. Così, essi potranno trovare quel conforto per sostenere la dura prova e per maturare la propria esperienza religiosa. A tal fine i ministri di diverse religioni debbono avere piena libertà di incontrare i rifugiati, condividere le loro vite per offrir loro un'assistenza adeguata(17). La Chiesa d'altra parte deplora ogni forma di proselitismo tra i rifugiati che tragga profitto dalla loro situazione di vulnerabilità, e riafferma il principio della libertà di coscienza anche nelle difficoltà dell'esilio.

Un'alta percentuale dei rifugiati è costituita da bambini, che sono i più gravemente colpiti a causa delle prove subite durante la loro crescita; il loro equilibrio fisico, psicologico e spirituale è seriamente compromesso. Le donne costituiscono la maggioranza della popolazione rifugiata mondiale e spesso sono esposte a maggior incomprensione e isolamento. Di fronte a queste situazioni, si impone chiaramente la priorità di uno sforzo concertato al fine di offrire uno specifico sostegno morale.

Volontari tra i rifugiati

29. I volontari che lavorano tra i rifugiati hanno anch'essi bisogno di una attenzione pastorale specifica. Vivendo in situazioni pesantemente condizionanti, quasi sempre lontano dal loro contesto linguistico e culturale, confrontati con problemi umani che non sempre sono preparati ad affrontare, questi volontari hanno bisogno di essere incoraggiati e sostenuti, anche per quanto riguarda il loro onere finanziario. I rifugiati stessi sono chiamati ad unirsi ai volontari; potranno così far sentire la loro voce, partecipando direttamente alla definizione e all'espressione delle loro esigenze e aspirazioni.

Cooperazione nella Chiesa

30. Nell'opera di assistenza pastorale ai rifugiati è più che mai necessaria la collaborazione fra le Chiese dei paesi di provenienza, e quelle dei paesi di asilo temporaneo o di insediamento stabile. Sono molto importanti gli incontri tra queste diverse Chiese, perché consentono di promuovere la cooperazione spirituale e sociale così come la possibilità di mettere a disposizione dei rifugiati sacerdoti, religiosi e religiose della loro stessa lingua e possibilmente della stessa cultura. La fraterna cooperazione tra le Chiese e una coordinazione a livello regionale contribuiranno a suscitare o accrescere anche il dialogo fra i diversi settori impegnati nell'assistenza ai rifugiati.

31. In questo ambito gli Organismi sociali, caritativi e particolarmente le Commissioni pastorali d'assistenza ai migranti e rifugiati delle Conferenze Episcopali giocano un ruolo importante e devono agire in collaborazione con le altre istituzioni(18). Anche le istituzioni culturali e universitarie, i seminari sono incoraggiati a riflettere sul dramma dei rifugiati e sulle loro condizioni di vita. E' necessario contribuire a formare l'opinione pubblica e a darsi strumenti di analisi per far crescere la sensibilità all'accoglienza.

32. Gli istituti religiosi, per l'universalità della loro missione e composizione, vengono caldamente invitati a rafforzare la loro presenza fra i rifugiati per integrare gli sforzi delle Chiese locali in stretta collaborazione con i Vescovi. E' motivo di particolare gioia per la Chiesa la testimonianza, spesso eroica, di numerosi religiosi e religiose in questo campo di apostolato.

33. L'opera svolta dalle Organizzazioni internazionali cattoliche impegnate nell'assistenza e nello sviluppo è vitale. Non deve tuttavia sovrapporsi all'opera svolta dalle organizzazioni locali, ma piuttosto sostenerla perché la loro diretta esperienza dell'ambiente rende generalmente il loro servizio più efficace(19). Inoltre è importante non separare l'assistenza sociale da quella spirituale.

In collaborazione con i competenti Dicasteri della Santa Sede, può organizzarsi un'efficace rete per affrontare le emergenze e richiamare tempestivamente l'attenzione sulle situazioni che causano rifugiati.

Cooperazione ecumenica e inter-religiosa

34. L'assistenza ai rifugiati offre ampie prospettive e nuove possibilità anche all'azione ecumenica. L'apertura, la comunicazione, la condivisione di appropriate informazioni, lo scambio di inviti a incontri internazionali e regionali svolgono un ruolo importante nelle relazioni ecumeniche e nella definizione di una risposta globale al problema dei rifugiati.

La collaborazione tra le varie Chiese cristiane e le varie religioni non cristiane in quest'opera di carità porterà a nuove tappe nella ricerca e nella realizzazione di una più profonda unità della famiglia umana. L'esperienza dell'esilio potrà diventare un momento privilegiato di grazia, così come avvenne per il Popolo che, esule nel deserto, venne a conoscere il nome di Dio e ne sperimentò la potenza liberatrice.

V.

CONCLUSIONE: LA SOLIDARIETA' E' NECESSARIA

35. La tragedia dei rifugiati, che colpisce gruppi e popoli interi in diverse aree del pianeta, è avvertita oggi come un attentato permanente ai fondamentali diritti umani di milioni di persone. Con una acutezza che tocca i limiti del soffrire umano, questa tragedia diviene un inderogabile appello alla coscienza di tutti. Una mancanza di impegno in questo campo sarebbe una grave colpa di omissione.

36. La Chiesa, "segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano"(20), accoglie l'invito a costruire una civiltà d'amore e si impegna a realizzarla sia attraverso le sue varie strutture interne che nelle sue iniziative di servizio e di collaborazione ecumenica e interreligiosa. Offre un amore disinteressato a tutti i rifugiati; richiama l'attenzione pubblica sulla loro situazione; contribuisce con la sua visione etica a risanare ed elevare la dignità di ogni persona umana.

L'esperienza di umanità finora accumulata, ricca del contributo di riflessione e di opere di tanti, consente di offrire un apporto decisivo all'educazione delle generazioni future e alla formulazione di leggi adeguate.

37. La solidarietà umana, testimoniata dalla comunità che accoglie il rifugiato e dall'impegno delle Organizzazioni nazionali e internazionali che se ne occupano, è un segno altamente eloquente e fonte di speranza per la concreta possibilità di convivenza nella fraternità e nella pace.


(1) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Centesimus Annus (1 maggio 1991), 18: L'Osservatore Romano, 2-3 maggio 1991. "Molti popoli perdono il potere di disporre di se stessi, vengono chiusi nei confini soffocanti di un impero, mentre si cerca di distruggere la loro memoria storica e la secolare radice della loro cultura. Masse enormi di uomini, in conseguenza di questa divisione violenta, sono costrette ad abbandonare la loro terra e forzatamente deportate".

(2) Cf. Convenzione relativa allo Status dei Rifugiati, adottata il 28 luglio 1951; Protocollo relativo allo Status dei Rifugiati, adottato il 31 gennaio 1967. La Convenzione definisce rifugiato colui che "temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra" (Art.1, A.2).

(3) Cf. Atto finale della Conferenza dei Plenipotenziari delle Nazioni Unite sullo status dei rifugiati e degli apolidi, Ginevra, 28 luglio 1951, IV E: "La Conferenza, esprime la speranza che la Convenzione relativa allo status dei rifugiati avrà valore di esempio, oltre alla sua portata contrattuale, e che inciterà tutti gli Stati ad accordare quanto più possibile alle persone che si trovano sul loro territorio in qualità di rifugiati, che però non rientrerebbero nei termini della Convenzione, il trattamento previsto da questa stessa Convenzione".

(4) Alcuni documenti ufficiali hanno allargato la definizione di rifugiato per un più ampio approccio umanitario al fenomeno: la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'asilo territoriale adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre 1967; la Convenzione dell'Organizzazione dell'Unità Africana, del 10 settembre 1969, che regola gli aspetti specifici dei problemi dei rifugiati in Africa; il Colloquio di Cartagena (Colombia) sui rifugiati del 22 novembre 1984, la cui dichiarazione finale, che per ora ha soltanto la forza di un opinione condivisa sul piano internazionale, considera come rifugiato anche la persona che è fuggita dal suo Paese a causa di "una violazione massiccia dei diritti dell'uomo" (III, 3).

(5) L'adozione nel 1986 da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite di una Dichiarazione sul diritto allo sviluppo richiederebbe una riflessione specifica sulla possibilità di applicare gli strumenti giuridici attualmente in vigore alle persone che abbandonano un paese nel quale il loro diritto allo sviluppo non viene rispettato. Non si tratta dopotutto di una nuova forma di "persecuzione", dovuta alla loro appartenenza "a un certo gruppo sociale", ai sensi dell'Art. 1, A.2 della Convenzione del 1951?

(6). Cf. GIOVANNI XXIII. Lett. Enc. Pacem in terris (11 aprile 1963): AAS 55 (1963), 285. Il fenomeno dei rifugiati "sta purtroppo a indicare come vi sono regimi politici che non assicurano alle singole persone una sufficiente sfera di libertà entro cui al loro spirito sia consentito respirare con ritmo umano; anzi in quei regimi è messa in discussione o addirittura misconosciuta la legittimità della stessa esistenza di quella sfera. Ciò, non v'è dubbio, rappresenta una radicale inversione nell'ordine della convivenza...."

(7) Cf. CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Istruzione sulla cura pastorale dei migranti De pastorali migratorum cura (22 agosto 1969): AAS 61 (1969), 617.

(8) Cf. Comunicato finale della Conferenza dei Ministri sui movimenti di persone provenienti dai Paesi dell'Europa Centrale e Orientale, Vienna, 24-25 gennaio 1991.

(9) Le Nazioni Unite avevano convocato nel 1977 a Ginevra una Conferenza diplomatica per adottare una Convenzione sull'asilo territoriale, idonea a colmare il vuoto giuridico provocato dall'evoluzione della problematica dei rifugiati. Purtroppo l'iniziativa si è risolta in un insuccesso, soprattutto a causa del conflitto ideologico tra i "blocchi" di paesi allora esistenti. Oggi, quindici anni dopo, il nuovo contesto geo- politico sembra suggerire un rinnovato sforzo da parte della comunità internazionale per darsi uno strumento giuridico capace di assicurare una adeguata tutela a tutti i rifugiati del mondo contemporaneo.

(10) Una conclusione del Comitato esecutivo dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (n. 22 del 1981) ha stabilito il principio secondo il quale i campi devono essere ubicati ad una "ragionevole distanza" dalla frontiera.

(11) CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes, 4,4.

(12) Tra gli organismi delle Nazioni Unite che operano in favore dei rifugiati, bisogna segnalare anche l'UNRWA - Agenzia di soccorso e di lavori delle Nazioni Unite per i rifugiati di Palestina e del Vicino-Oriente - creata nel 1950. Tra le organizzazioni non governative occore sottolineare il ruolo storico della Commissione Internazionale Cattolica per le Migrazioni (CICM), istituita dalla Santa Sede nel 1951 al servizio sia dei rifugiati che dei migranti.

(13) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), 38; AAS 80 (1988), 565-566: "Si tratta innanzitutto dell'interdipendenza, sentita come sistema determinante di relazioni nel mondo contemporaneo, nelle sue componenti economica, culturale, politica e religiosa, e assunta come categoria morale. Quando l'interdipendenza viene così riconosciuta, la correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come 'virtù', è la solidarietà... è la determinazaione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti".

(14) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Messaggio alla II Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite per l'Assistenza ai Rifugiati in Africa (ICARA II) (7 luglio 1984): L'Osservatore Romano, 13 luglio 1984.

(15) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Quaresima 1990 (8 settembre 1989): Messaggi Pontifici per la Quaresima, Pontificio Consiglio Cor Unum, Città del Vaticano, 1991, p. 39

(16) GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Sollicitudo rei sociali, 24: l.c., 542.

(17) Cf. PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PASTORALE DEI MIGRANTI E ITINERANTI, Lettera Circolare alle Conferenze Episcopali Per una pastorale dei rifugiati: L'Osservatore Romano, 23 Marzo 1983.

(18) Si deve notare anche l'importante contributo di numerosi ordini e congregazioni religiose che hanno creato centri specializzati e programmi al servizio dei rifugiati.

(19) Cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso per la consegna del Premio Internazionale della Pace Giovanni XXIII, al Catholic Office for Emergency Relief and Refugees (COERR) - organismo della Chiesa in Thailandia - in riconoscimento del suo lavoro in favore dei rifugiati del Sud-Est asiatico, (3 giugno 1986): Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX,1 1986, Libreria Editrice Vaticana, pp. 1747-1756.

(20) CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium,1; cf. Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 40

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